Corte dei conti, sez. I, 16 settembre 2015, n. 488

Professore associato – Danno da disservizio – Danno all'immagine – Appropriazione apparecchiature universitarie

Data Documento: 2015-09-16
Area: Giurisprudenza
Massima

In relazione al danno all’immagine, il termine stabilito nell’art. 7 l. 27 marzo 2001, n. 97, nella parte in cui la norma stessa precisa che “La sentenza irrevocabile di condanna è comunicata al competente Procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato”, non istituisce alcuna decadenza dell’azione risarcitoria contabile per l’inosservanza del suddetto termine, che va perciò ritenuto di natura ordinatoria e non perentoria. Ciò, del resto, in piena armonia con i principi generali in materia, secondo cui i termini perentori sono quelli per i quali vi è specifica sanzione o che siano espressamente qualificati tali.Secondo giurisprudenza consolidata, tutti gli elementi utili per la conoscenza dei fatti, comunque acquisiti, anche in sede processuale e preprocessuale penale, devono e possono essere oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice contabile, in quanto concorrono, ex art. 116 c.p.c., alla formazione del convincimento sull’esistenza dell’eventuale danno e delle conseguenti responsabilità amministrative.Il diritto delle pubbliche amministrazioni alla tutela della propria immagine trova la sua garanzia nell’art. 97 Cost., per cui è interesse costituzionalmente garantito che le competenze individuate vengano rispettate, le funzioni assegnate vengano eseguite e le responsabilità proprie dei funzionari vengano attivate. Ove l’azione del pubblico amministratore o dipendente leda tale interesse, essa si traduce in un’alterazione dell’identità della pubblica amministrazione e, più ancora, nell’apparire di una sua immagine negativa, in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente o, peggio, illecita.Non appaiono meritevoli di accoglimento le censure dell’appellante in ordine alla stima del danno all’immagine operata dai primi giudici, avente quale parametro di riferimento il trattamento stipendiale percepito. Invero, tale parametro appare negli effetti finali ben più mite di quello fissato dalla l. 6 novembre 2012, n. 190 la quale, introducendo l’art. 1, comma 1-sexies, l. 14 gennaio 1994, n. 20 ha stabilito che l’entità del danno all’immagine, nel giudizio di responsabilità, si presume…pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.Il c.d. danno da disservizio è un istituto che presuppone un pubblico servizio al quale correlarsi, e consiste nell’effetto dannoso causato all’organizzazione e allo svolgimento dell’attività amministrativa dal comportamento illecito di un dipendente (o amministratore), che abbia impedito il conseguimento della attesa legalità dell’azione pubblica e abbia causato inefficacia o inefficienza di tale azione. In altri termini, può sussistere il danno da disservizio allorché l’azione non raggiunge, sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall’impiego di determinate risorse, così da determinare uno spreco delle stesse: si tratta, quindi, di un pregiudizio effettivo, concreto ed attuale, che coincide con il maggiore costo del servizio, nella misura in cui questo si riveli inutile per l’utenza.Il danno da disservizio è generalmente collegato, nel settore dei pubblici servizi, al mancato raggiungimento dell’utilità che si prevede di ricavare dall’investimento di una certa quantità di risorse, umane e strumentali, ovvero ai costi generali sopportati dalla pubblica amministrazione in conseguenza del mancato conseguimento della legalità, dell’efficienza, dell’efficacia, dell’economicità e della produttività dell’azione amministrativa. Nel caso di danno collegato alla commissione di reati, di solito corruzione o concussione, si è ritenuto costituisca danno da disservizio la spesa investita per l’organizzazione e lo svolgimento dell’attività amministrativa, in quanto non produttiva di risultati a favore della collettività.In caso di illecita appropriazione di macchinari universitari, la posta di danno da disservizio non attiene al valore di acquisto degli apparati, ma a quello d’uso, e cioè alla destinazione dei macchinari all’attività di ricerca e didattica degli studenti universitari e del personale accademico. Ne consegue che costoro, potenziali fruitori a fini di didattica e di ricerca dei macchinari dei quali il docente ha fatto uso proprio ed esclusivo, sono stati privati, per il periodo di illecita detenzione, della possibilità di avvalersene, dovendo limitare le proprie attività a causa dell’illecita sottrazione cagionata dall’appellante.

Contenuto sentenza

GIUDIZIO DI CONTO
C. Conti Sez. I App., Sent., 16-09-2015, n. 488
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO
Composta dai seguenti magistrati :
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
Dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere relatore
Dott. [#OMISSIS#] DELLA [#OMISSIS#] Consigliere
Dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio di appello iscritto al n. 47631 del Registro di segreteria, proposto da M.G., rappresentato e difeso dall’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via [#OMISSIS#] de Carolis n. 101;
avverso la sentenza n. 4/2014, depositata in data 11.02.2014, della Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Abruzzo
Visti gli atti di appello e la documentazione di causa;
Uditi, [#OMISSIS#] pubblica udienza del giorno 5 marzo 2015, il Consigliere relatore dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’appellante ed il Pubblico Ministero [#OMISSIS#] persona del V.P.G. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto in
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regine Abruzzo ha condannato il signor G.M., [#OMISSIS#] qualità di professore associato dipendente dell’Università degli Studi de L’Aquila e Consigliere di amministrazione della stessa, al risarcimento del danno, patrimoniale, da disservizio ed all’immagine, in favore di quest'[#OMISSIS#], complessivamente quantificato in Euro 209.558,55 oltre rivalutazione monetaria, interessi e spese di lite.
Risulta dagli atti che il M., nominato nel 2000 [#OMISSIS#] del Consiglio direttivo e poi nel 2003 liquidatore della C.R.A.B. SUD (Società consortile a responsabilità limitata composta dalla privata S. S.r.l. e dalla stessa Università), aveva ottenuto dalla Comunità Europea e dalla Regione Abruzzo un contributo di due miliardi di vecchie lire per la realizzazione di un centro di ricerche avanzate biotecnologiche nel campo degli ultrasuoni, laser ed informazione farmacologica a cura della su menzionata Società, designata quale esecutore del progetto. Ottenuta la strumentazione necessaria per lo svolgimento della suddetta attività di ricerca, fra cui due apparecchi ecografici e la relativa strumentazione di supporto, acquistati nel 1999 per un importo pari ad Euro 185.273,49, il progetto non era mai stato avviato concretamente, tanto più che la società finanziata aveva speso la somma assegnata per l'[#OMISSIS#] degli apparecchi ecografici e dell’area su cui era stata stabilita la sede dell’attività di ricerca; sede che, sebbene fosse stata collaudata formalmente, in realtà risultava priva del tetto e, dunque, del tutto inutilizzabile.
I due apparecchi ecografici, di iniziale proprietà della Regione Abruzzo, dapprima concessi in comodato d’uso e poi trasferiti definitivamente all’Università de L’Aquila con obbligo di conservarne la destinazione d’uso originaria, cioè l’attività di ricerca, rimanevano invece, per sola disposizione del M., [#OMISSIS#] esclusiva disponibilità del medesimo per un lungo periodo di tempo, e in ogni [#OMISSIS#] dal settembre 2001 al 19 luglio 2005, presso il suo studio medico privato, senza alcuna delibera autorizzativa o presupposto di affidamento, così sottraendoli al loro uso pubblico ed alla specifica finalità per la quale erano stati acquistati.
Per la medesima vicenda di appropriazione il M. veniva sottoposto a procedimento penale, conclusosi con la definitiva condanna per peculato con sentenza della Corte di Cassazione n. 27123/2011 del 12.07.2011, che così confermava la condanna già inflittagli in primo grado e non riformata in appello.
La Sezione territoriale, riformulando in parte la stima operata dall’attore pubblico, ha condannato il M. alla complessiva somma di Euro 209.558,55, suddivisa nelle seguenti poste di danno:
-Euro 113.634,41 oltre interessi legali, quale danno patrimoniale, calcolato in base all’ammortamento annuo del valore storico o di [#OMISSIS#] degli ecografi e rapportato ai 46 mesi di arbitraria detenzione degli apparecchi stessi prima della riconsegna all’Università;
-Euro 20.000,00 quale danno da disservizio, stante la perdita della disponibilità delle apparecchiature da parte degli studenti della Facoltà di Medicina e Chirurgia con obbligo di frequenza presso la Clinica ostetrica e ginecologica e conseguente diminuzione delle potenzialità di ricerca e di utilizzo da parte dell’Università per finalità formative e per i servizi all’utenza.
-Euro 75.294,14 quale danno all’immagine.
Avverso la sentenza ha interposto appello il M., il quale ha in primo luogo contestato la sussistenza in concreto di un danno patrimoniale, stante la piena fruibilità delle attrezzature all’atto della loro restituzione, e lo stesso verdetto di condanna, formulato dal primo [#OMISSIS#] attestandosi sulla sentenza penale e senza addivenire ad una propria ed autonoma valutazione. In ogni [#OMISSIS#], ad avviso dell’appellante, la stessa quantificazione del danno patrimoniale (Euro 113. 634,41) è errata. In primo luogo perché è stata determinata al lordo dell'[#OMISSIS#], che andrebbe invece scorporata; in secondo luogo perché all’epoca dei fatti (agosto 2001) il M. era entrato in possesso di beni che avevano già una [#OMISSIS#] di due anni e due mesi, e dunque in parte ammortizzati con conseguente perdita di valore; beni che nel luglio 2004 risultavano già completamente ammortizzati. Sicché, ad avviso dell’appellante, il danno patrimoniale dovrebbe essere rideterminato, a tutto concedere, in Euro 51.836,05. Inoltre il danno consisterebbe [#OMISSIS#] mancata destinazione ad uso pubblico dei beni e non nel valore storico degli ecografi, per cui vi sarebbe una duplicazione con la posta di danno da disservizio, contestata a parte.
In merito al danno da disservizio, identificato dai primi [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] diminuzione delle potenzialità di ricerca e di esame per l’Università a seguito della indisponibilità delle apparecchiature ecografiche, il M. rileva che “in tanto la CRAB SUD poteva mettere a disposizione dell’Università dette attrezzature in quanto le medesime di fatto risultassero operative nell’esercizio delle attività che statutariamente la CRAB avrebbe dovuto svolgere. Ma poiché le attività di ricerca che la CRAB avrebbe dovuto avviare non sono mai partite, non si vede che cosa la CRAB avrebbe potuto o dovuto mettere a disposizione dell’Università“.
La sentenza impugnata avrebbe, quindi, invertito l’onere della prova a fronte dell’evidente insussistenza del danno medesimo. Il M. aggiunge che le attrezzature sono state in seguito consegnate all’Università, che le ha collocate presso la U.O.C. di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San [#OMISSIS#], ove “giacciono del tutto inutilizzate”, a riprova che alcun disservizio si è oggettivamente verificato.
Quanto al danno all’immagine, l’appellante reitera l’eccezione, formulata in primo grado, di nullità del procedimento per non avere il Procuratore regionale osservato il [#OMISSIS#] di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza penale irrevocabile, di cui all’art. 7 della L. n. 97 del 2001, per l’avvio dell’azione erariale di responsabilità.
Circa la quantificazione del danno all’immagine, il M. contesta l’avere i primi [#OMISSIS#] ancorato detta quantificazione, in via equitativa, allo stipendio annuo lordo del sanitario, dal momento che siffatto tipo di danno non ha alcuna diretta correlazione con il livello retributivo della persona che tale danno ha provocato.
In conclusione, l’appellante chiede l’assoluzione da ogni addebito rispetto ai contestati danni patrimoniale e da disservizio e, rispetto al danno all’immagine, chiede che venga dichiarata la decadenza dell’azione della Procura per la nullità dell’istruttoria. In subordine chiede che i rispettivi importi del danno patrimoniale e da disservizio vengano ridefiniti come esposto in ricorso e comunque su basi oggettive, mentre con riguardo al danno all’immagine, che il relativo calcolo venga ridefinito tenendo conto del comportamento degli Enti interessati (Regione ed Università) in base a quanto disposto dall’art. 1227 c.c.
Con conclusioni scritte depositate il 9.02.2015 il Procuratore Generale ha preso in esame i motivi di ricorso formulati dall’appellante dimostrandone l’infondatezza, tanto più che il comportamento dell’appellante è ben delineato dalle sentenze penali, da cui si ricava che gli apparecchi sono rimasti [#OMISSIS#] esclusiva disponibilità del M., anche oltre il luglio 2005 e che l’inutilizzo delle apparecchiature anche dopo la riconsegna all’Università è comunque imputabile al medesimo.
Anche in merito alla quantificazione delle varie poste di danno il Procuratore Generale ha ritenuto corretto il criterio seguito dai primi [#OMISSIS#]; né sussiste l’asserita duplicazione delle poste di danno patrimoniale e da disservizio. Sul danno all’immagine, [#OMISSIS#] restando la natura ordinatoria del [#OMISSIS#] di trenta giorni, lo stesso trova conferma nelle tre sentenze penali che hanno riguardato la vicenda.
In conclusione il Procuratore generale ha chiesto il rigetto dell’interposto appello con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Alla pubblica udienza del giorno 5 marzo 2015, udito il Consigliere relatore, l’Avv. [#OMISSIS#] ed il Pubblico Ministero hanno richiamato le argomentazioni e le richieste conclusive di cui ai rispettivi scritti.
Motivi della decisione
L’atto di appello mira a contestare la sentenza appellata sulla base degli stessi motivi posti a fondamento della richiesta di rigetto della domanda attrice nel giudizio di primo grado, con argomentazioni che, sostanzialmente, tendono a sminuire la [#OMISSIS#] delle sentenze penali di condanna.
1. Al riguardo il Collegio deve precisare – a confutazione di quanto dedotto dall’appellante – che quegli stessi elementi probatori versati [#OMISSIS#] atti del fascicolo processuale penale sono stati poi autonomamente vagliati dal [#OMISSIS#] contabile, al fine di trarne il [#OMISSIS#] convincimento della loro rilevanza ai fini del giudizio di responsabilità, scaturente dalle condotte illecite contestate all’appellante ed a prescindere dalla loro qualificazione in sede penale.
In ogni [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] presente fattispecie, come già precisato dai primi [#OMISSIS#], osta ad una diversa ricostruzione della vicenda l’efficacia vincolante del giudicato penale di condanna, secondo quanto disposto dall’art. 651 c.p.p., in virtù del quale devono ritenersi dimostrate con forza di giudicato nel processo per responsabilità amministrativa sia le condotte di illecita appropriazione delle apparecchiature ecografiche da parte del M., sia la loro utilizzazione per le finalità del proprio studio privato; detenzione che, peraltro, ha ammesso lo stesso appellante, sia pure giustificandola con l’assolvimento di finalità di custodia delle strumentazioni medesime. Al riguardo appare opportuno richiamare quanto precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27123/2011 che così ricostruisce la vicenda:
“La CRAB provvide ad acquistare, in attuazione del progetto e su concessione della Regione, apparecchiature ecografiche per complessive L. 358.739.496 (come da fatture del 02.04.1997 e del 08.07.1999), collaudate il 09.07.1999 e consegnate ad essa CRAB;
– lo stabile realizzato dalla CRAB veniva in data 16.03.2000 collaudato, con comunicazione alla Regione Abruzzo dell’avvenuta ultimazione dei lavori edilizi ed impiantistici e della fornitura dei mobili e delle apparecchiature per la diagnostica;
.- nell’ordinanza dirigenziale n. 245 del 27.11.2000 la CRAB veniva definita agente in sostituzione della Regione Abruzzo nell’attivazione del progetto;
.- dopo un periodo di inerzia, in data 17.07.2003 la CRAB veniva posta in liquidazione, con riserva di sollecitare alla Regione e all’Università che “… la concessione degli immobili e macchinari di proprietà della Regione Abruzzo venisse trasferita all’Università per ivi esercitare la stessa attività di ricerca della Crab Sud…”;
.- la [#OMISSIS#] regionale abruzzese, con Decreto n. 119 del 20.09.2005, disponeva il trasferimento all’Università, con mantenimento del vincolo di destinazione ([#OMISSIS#] il disposto della L.R. 10 gennaio 1096, n. 2, art. 4), della proprietà delle apparecchiature ecografiche del valore di L. 358.739.496;
.- delle dette apparecchiature il M. ebbe la materiale disponibilità [#OMISSIS#] sua veste di [#OMISSIS#] del consiglio direttivo della CRAB SUD (conservandola poi con il successivo incarico di liquidatore della stessa Società), e le spostò nel proprio ambulatorio medico privato, per utilizzarle sistematicamente nel proprio interesse, richiedendo anche, con urgenza rivelatrice dell’effettività dell’utilizzo (a evidente smentita delle addotte finalità di mera custodia), i necessari interventi di riparazione”.
2. Dalla ricostruzione dei fatti così operata in sede penale appare evidente che il M., in qualità di [#OMISSIS#] della CRAB SUD, ha avuto la materiale disponibilità degli apparecchi ecografici anche prima del settembre 2001, e cioè fin dal momento della loro installazione presso lo stabile, in qualità di [#OMISSIS#] della CRAB SUD, la quale, come attuatore del progetto in sostituzione della Regione, aveva il possesso delle strumentazioni necessarie per la realizzazione delle attività di ricerca e di destinazione all’uso pubblico.
In base a tali considerazioni, non appaiono meritevoli di accoglimento le censure del M. in ordine alla quantificazione del danno patrimoniale, che avrebbe dovuto – a suo dire – essere ulteriormente ridotto in ragione dell’iniziale periodo di obsolescenza dei macchinari, posto che i medesimi furono [#OMISSIS#] disponibilità della CRAB SUD fin dal loro collaudo avvenuto nel luglio 1999 e risultavano già collocati nell’immobile alla data di ultimazione e collaudo dello stesso avvenuto nel marzo 2000.
Risulta anche acclarato che l’appellante conservò la disponibilità degli ecografi anche dopo il luglio 2005, data di consegna dei beni (ad eccezione degli ecografi) dalla CRAB all’Università, che li inventariò solo nel 2007 e li collocò presso l’U.O.C. di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San [#OMISSIS#]. La circostanza è dimostrata dalle sentenze penali e dal Verbale di dissequestro del 11.09.2007 della [#OMISSIS#] di Finanza, da cui si evince che gli apparati furono sequestrati e dissequestrati mentre erano [#OMISSIS#] disponibilità del M. quale responsabile della U.O.C. di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San [#OMISSIS#]. In base a quanto premesso, appaiono destituite di fondamento anche le censure miranti ad attribuire una qualche responsabilità per il loro non utilizzo alla asserita inerzia dell’Università o della ASL.
3. Chiarito ciò con riferimento alle condotte illecite imputabili al M., il Collegio osserva, quanto alla determinazione in concreto della posta di danno patrimoniale, e limitando il periodo di illecita detenzione al lasso di tempo compreso fra il settembre 2001 ed il 19 luglio 2005, che deve ritenersi corretta la quantificazione operata dai primi [#OMISSIS#], i quali hanno già apportato una riduzione rispetto alla stima operata dalla Procura regionale. La posta di danno patrimoniale attiene infatti alla perdita di valore dei beni [#OMISSIS#] tutto il periodo in cui il M. se ne era impossessato. Per cui è corretto aver preso a parametro il valore storico di [#OMISSIS#] dei macchinari ed averlo depurato dell’ammortamento (stimato in cinque anni) per il periodo di illecita detenzione pari a 46 mesi.
4. E’ poi da ritenersi corretta anche la circostanza che [#OMISSIS#] quantificazione del danno si tenga conto della somma complessivamente sborsata, comprensiva di [#OMISSIS#], atteso che tale somma corrisponde all’investimento di risorse per le finalità perseguite. La circostanza che una parte di essa sia stata destinata alla fiscalità e sia stata versata allo Stato attraverso il sostituto di imposta/fornitore, non può elidere l’aspetto che rileva ai fini del presente giudizio, e cioè che nel [#OMISSIS#] dell’Ente pubblico che ha effettuato la spesa la somma in uscita sia stata esattamente quella di 360 milioni di vecchie lire, pari ad Euro 185.232,46.
Il motivo di appello, pertanto, si rivela infondato.
5. Ugualmente infondato è da ritenersi il motivo relativo alla pretesa insussistenza del danno all’ immagine, che per il Procuratore è stato invece ampiamente provato [#OMISSIS#] sua ontologica esistenza, anche alla luce della gravità dei fatti contestati e dell’ampia eco mediatica avuta dalla vicenda, oltre che correttamente quantificato in via equitativa ex art. 1226 c.c. sulla base di criteri consolidati.
Il relazione al danno all’immagine il M., con ulteriore motivo di gravame, prospetta la violazione dell’art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78 del 2009 e dunque la nullità dell’istruttoria e della susseguente citazione per inosservanza del [#OMISSIS#] stabilito nell’art. 7 della L. n. 97 del 2001, [#OMISSIS#] parte in cui la [#OMISSIS#] stessa precisa che “La sentenza irrevocabile di condanna … è comunicata al competente Procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato”.
Ad avviso degli appellanti, l’azione, in quanto esercitata dal PM contabile oltre il detto [#OMISSIS#] di trenta giorni, sarebbe perciò intempestiva.
Tale pretesa è priva di qualsiasi fondamento.
In primo luogo, infatti, come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza, la [#OMISSIS#] non prevede alcuna decadenza dell’azione risarcitoria contabile per l’inosservanza del suddetto [#OMISSIS#] di trenta giorni, che va perciò ritenuto di natura ordinatoria e non perentoria (ex multis, v. Corte dei conti, Sezione I app., Sezione I app., 12.02.2014 n. 253; 25.11.2008, n. 508 e 12.6.2006, n. 132); ciò, del resto, in piena armonia con i principi generali in materia, secondo cui i termini perentori sono quelli per i quali vi è specifica sanzione o che siano espressamente qualificati tali.
D’altronde, la asserita natura perentoria del [#OMISSIS#] di 30 giorni previsto dal citato art. 7 si rivelerebbe incompatibile, per la ristrettezza dei termini, con l’esercizio degli adempimenti prodromici previsti per legge a tale scopo (Corte dei conti, Sezione III app., 13.10.2008, n. 303; Sezione I app., 21.1.2008, n. 42 e n. 132/2006).
6. Nel merito, l’appellante ha contestato il criterio seguito per la valutazione equitativa del danno all’immagine, che sarebbe stato erroneamente ancorato al parametro retributivo del M..
Ritiene inoltre l’appellante che il primo [#OMISSIS#] abbia erroneamente affermato la sua responsabilità per il danno all’immagine, sulla base di un acritico recepimento del materiale probatorio raccolto in sede penale e ponendo a fondamento della decisione di condanna la “verità processuale” sancita dalle sentenze penali senza preoccuparsi di ricercare la “verità storica” della vicenda personale dell’incolpato.
Il Collegio deve in primo luogo precisare che, secondo giurisprudenza consolidata, tutti gli elementi utili per la conoscenza dei fatti, comunque acquisiti, anche in sede processuale e preprocessuale penale, devono e possono essere oggetto di autonoma valutazione da parte del [#OMISSIS#] contabile, in quanto concorrono, ex art. 116 c.p.c., alla formazione del convincimento sull’esistenza dell’eventuale danno e delle conseguenti responsabilità amministrative (Corte dei conti, Sezione I app., 14.12.2012, n. 809; 14.11.2011, n. 516; 18.3.2010, n. 188; 11.9. 2009, n. 544).
In ogni [#OMISSIS#], i fatti emersi in sede penale sono stati, [#OMISSIS#] presente fattispecie, autonomamente apprezzati dal Collegio di prime cure a fini qualificatori diversi rispetto al giudizio penale, che è indirizzato, esclusivamente, all’accadimento dell’esistenza del reato ed alla erogazione della pena nei confronti del colpevole (Corte dei conti, Sezione I app., 11 gennaio 2006 n. 7 e 18 marzo 2010, n. 188; Sezione III app., 14 febbraio 2005, n. 75).
E comunque, come già accennato, [#OMISSIS#] presente fattispecie osta ad una diversa interpretazione dei fatti la forza del giudicato penale di condanna, ai sensi e per gli effetti dell’art. 651 c.p.p., sicché non è proprio possibile giungere ad una ricostruzione dell’accaduto diversa da quella che ha determinato il [#OMISSIS#] penale, prima, e quello contabile di primo grado, poi, alle rispettive pronunzie sanzionatorie
Questo Collegio pertanto, sul punto, non può che integralmente confermare la correttezza della sentenza impugnata
7. Sostiene inoltre parte appellante che non vi sarebbe stato alcun danno all’immagine dell’ente pubblico poiché il clamor fori che è derivato dalla vicenda deve considerarsi conseguenza dell’accanimento giornalistico piuttosto che di una effettiva gravità dei fatti contestati.
Tali deduzioni sono prive di pregio e [#OMISSIS#] disattese.
In tema di danno all’immagine, appare utile ricordare quanto affermato dalle SSRR di questa Corte con sentenza n. 10/QM del 23 aprile 2003: il diritto delle pubbliche amministrazioni alla tutela della propria immagine trova la sua garanzia nell’articolo 97 della Costituzione, per cui è interesse costituzionalmente garantito che le competenze individuate vengano rispettate, le funzioni assegnate vengano eseguite e le responsabilità proprie dei funzionari vengano attivate. Ove l’azione del pubblico amministratore o dipendente [#OMISSIS#] tale interesse, essa si traduce in un’alterazione dell’identità della pubblica amministrazione e, più ancora, nell’apparire di una sua immagine negativa, in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente o, peggio, illecita (come accaduto nel [#OMISSIS#] all’esame).
Sempre le Sezioni riunite, [#OMISSIS#] medesima sentenza n. 10/2003, hanno ricordato che per la sussistenza di un danno all’ immagine è sufficiente che ricorra la lesione di un interesse, inteso come rapporto tra il soggetto e un [#OMISSIS#]: e l’ immagine esterna della p.a. rientra, senza dubbio, tra tali valori primari protetti dall’ordinamento.
Tale pregiudizio arrecato all’immagine è suscettibile non di risarcimento, ma di riparazione in termini economici, in quanto violazione di posizioni soggettive costituzionalmente protette (art. 97 Cost., cit.), come ormai è diritto vivente a seguito di numerose pronunce della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione (per le quali si rimanda alla già citata sentenza n. 10/QM/2003 delle Sezioni riunite), oltre che naturalmente di questa stessa Corte dei conti: cfr., ex plurimis, Sezione I app., 12.02.2014 n. 253; 26.7.2010, n. 481; id, 14.1.2008, n. 24; id., 10.1.2005, n. 3; id., 22.4.2003, n. 128; Sezione II app., 29.5.2003, n. 208; Sezione III app., n. 121/2004.
In tale quadro, giustamente il Collegio territoriale ha ritenuto che gli illeciti commessi dall’appellante siano stati più che sufficienti a provare l’esistenza dell’autonoma figura del danno all’immagine azionato dal PM; danno che, diversamente da quello patrimoniale, consiste nel pregiudizio che il fatto arreca ex se alla personalità dell’ente pubblico.
E la diffusione mediatica, comunque prodottasi, di quei fatti – diffusione ammessa dallo stesso interessato, che però la ritiene frutto di accanimento mediatico – rende del tutto irrilevante l’asserito ripristino del [#OMISSIS#] giuridico leso mediante il prestigio conseguito dall’Ateneo aquilano con la costituzione di un Centro di eccellenza per la cura dei tumori fondata sulla nuova tecnica a base di ultrasuoni.
Deve essere pertanto riconosciuta la sussistenza, nel [#OMISSIS#] di specie, del danno all’ immagine dell’amministrazione, [#OMISSIS#] misura indicata dal primo [#OMISSIS#]; misura che questo Collegio d’appello non ha motivo di non ritenere adeguata alla vicenda, alle caratteristiche e alla stessa gravità dell’efficienza lesiva, nei confronti dell’ente, dei comportamenti tenuti dall’interessato.
8. Non appaiono dunque meritevoli di accoglimento le censure dell’appellante in ordine alla stima del danno non patrimoniale operata dai primi [#OMISSIS#], avente quale parametro di riferimento il trattamento stipendiale percepito; ed invero, tale parametro appare negli effetti finali ben più mite di quello stabilito dalla c.d. “legge anticorruzione” (L. n. 90 del 2012). In base a quanto stabilito dall’art. 1, comma 1 sexies, della L. n. 20 del 1994 (introdotto dalla richiamata normativa) l’entità del danno all’immagine, nel giudizio di responsabilità, “si presume…pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
In conclusione, se si adottasse il criterio introdotto dalla novella legislativa, nel [#OMISSIS#] di specie – anche a volere aderire alla riduttiva quantificazione operata dall’appellante del valore di ammortamento nel periodo di illecita sottrazione (Euro 51.836,00), si giungerebbe certamente ad una stima superiore ai 100 [#OMISSIS#] Euro a fronte dei circa 76 [#OMISSIS#] per cui vi è condanna.
9. [#OMISSIS#] profilo da delibare riguarda l’esistenza e l’addebitabilità all’interessato, [#OMISSIS#] specie, del danno c.d. da disservizio.
Anche in ordine a tale [#OMISSIS#] aspetto le pretese dell’appellante si appalesano infondate e devono essere respinte.
In proposito, occorre premettere che il c.d. danno da disservizio è un istituto, elaborato già da alcuni anni dalla giurisprudenza della Corte dei conti, il quale presuppone un pubblico servizio al quale correlarsi, e consiste nell’effetto dannoso causato all’organizzazione e allo svolgimento dell’attività amministrativa dal comportamento illecito di un dipendente (o amministratore), che abbia impedito il conseguimento della attesa legalità dell’azione pubblica e abbia causato inefficacia o inefficienza di tale azione. In altri termini, può sussistere il danno da disservizio allorché l’azione non raggiunge, sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall’impiego di determinate risorse, così da determinare uno spreco delle stesse: si tratta, quindi, di un pregiudizio effettivo, concreto ed attuale, che coincide con il [#OMISSIS#] costo del servizio, [#OMISSIS#] misura in cui questo si riveli inutile per l’utenza.
La giurisprudenza contabile lo collega, nel settore dei pubblici servizi, al mancato raggiungimento dell’utilità che si prevede di ricavare dall’investimento di una certa quantità di risorse, umane e strumentali (Corte dei conti, Sez. I app. n. 253 del 2014; Sez. giur. Trentino Alto [#OMISSIS#]-Trento, 19.09. 2005, n. 79; Sez. giur. Lombardia, 16.05.2000, n. 648), ovvero ai costi generali sopportati dalla pubblica amministrazione in conseguenza del mancato conseguimento della legalità, dell’efficienza, dell’efficacia, dell’economicità e della produttività dell’azione amministrativa (così Corte dei conti, Sez. giur. Basilicata, 22.03.2006, n. 83 e 21.09. 2005, n. 198); nel [#OMISSIS#] di danno collegato alla commissione di reati, di [#OMISSIS#] corruzione o concussione, si è ritenuto costituisca danno da disservizio la spesa investita per l’organizzazione e lo svolgimento dell’attività amministrativa, in quanto non produttiva di risultati a favore della collettività (Corte dei conti, Sezione II app., 13.04.2000, n. 134 e 10.04.2000, n. 125).
Da quanto premesso appare destituita di fondamento la doglianza prospettata dall’appellante in ordine ad una presunta duplicazione dell’addebito in ordine al danno patrimoniale in senso stretto e a quello da disservizio. E’ evidente, infatti, come pure rilevato dal Procuratore Generale, che la posta di danno da disservizio non attiene al valore di [#OMISSIS#] degli apparati, ma a quello d’uso, e cioè alla destinazione dei macchinari all’attività di ricerca e didattica degli studenti universitari e del personale accademico.
Ne consegue che costoro, potenziali fruitori a fini di didattica e di ricerca dei macchinari dei quali il M. ha fatto uso proprio ed esclusivo, sono stati privati, per il periodo di illecita detenzione, della possibilità di avvalersene, dovendo limitare le proprie attività a causa dell’illecita sottrazione cagionata dall’appellante.
Al riguardo il M. sostiene che siccome le macchine non erano state utilizzate per il loro fine [#OMISSIS#] a causa del totale fallimento dell’iniziativa riconducibile alla CRAB SUD, da lui stesso promossa e diretta, non potevano neppure servire per la didattica e la ricerca dell’Università.
La censura è del tutto priva di pregio, se solo si considera che dal 2001 al luglio 2005 gli ecografi sono stati fisicamente collocati, su iniziativa dell’appellante, nel suo studio privato, a suo esclusivo utilizzo, impedendone quindi la sua destinazione pubblica e interrompendo il c.d. “collegamento teleologico” tra i beni di cui l’Amministrazione aveva il comodato d’uso e le finalità istituzionali che con gli stessi dovevano essere perseguite. E neppure in epoca successiva al luglio 2005, quando gli apparecchi furono a lui affidati “da una precedente assemblea consortile per una loro migliore conservazione”, l’appellante si è preoccupato di volgere le attrezzature alla destinazione pubblica, di ricerca e di attività diagnostica, come sancito dall’art. 4 dello Statuto della CRAB e negli accordi intercorsi fra la Regione e l’Università.
In sostanza, nessun dubbio sulla piena correttezza, anche su tale punto, della decisione di prime cure: l’uso indebito e distorto delle attrezzature ecografiche è da ritenere pacificamente accertato, e la stessa quantificazione equitativa del relativo danno appare, davvero, più che contenuta.(Sez. I n. 253 del 2014).
In conclusione, l’appello proposto deve essere respinto, con conseguente conferma dell’impugnata decisione di primo grado.
Parte appellante, da [#OMISSIS#], deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti – Sezione Prima giurisdizionale centrale di Appello, definitivamente pronunciando,
– RIGETTA l’ appello in epigrafe, proposto da M.G. avverso la sentenza n.4/2014, depositata il 11.02.2014, della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Abruzzo;
– CONDANNA il signor M.G., in ragione della soccombenza, al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 128,00 (centoventotto/00)
Così deciso in Roma, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 5 marzo 2015.
Depositata in Cancelleria 16 settembre 2015.