[X] Il danno erariale relativo alla differenza tra la retribuzione illegittimamente percepita quale docente a tempo pieno, a fronte dell’attività extra ufficio svolta, e la retribuzione quale docente a tempo definito riguarda un’ipotesi di responsabilità differente rispetto a quella delineata dall’art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.Anche quando sia acclarato che il docente abbia operato in violazione della disciplina sulle incompatibilità del rapporto di pubblico impiego e, in particolare, dell’esclusività del rapporto di lavoro, qualora non si faccia valere la responsabilità ex art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ma quella legata alla differenza tra la retribuzione illegittimamente percepita quale docente a tempo pieno e la retribuzione spettante quale docente a tempo definito, va provata l’illecita sottrazione di energie lavorative e risorse intellettuali al datore di lavoro-università, poiché il solo svolgimento di un’altra attività non autorizzata non può considerarsi sufficiente a ritenere in re ipsa la minore resa del servizio e la conseguente indebita percezione della retribuzione pattuita. Anche quando sia acclarato che il docente abbia operato in violazione della disciplina sulle incompatibilità del rapporto di pubblico impiego e, in particolare, dell’esclusività del rapporto di lavoro, qualora non si faccia valere la responsabilità ex art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ma quella legata alla differenza tra la retribuzione illegittimamente percepita quale docente a tempo pieno e la retribuzione spettante quale docente a tempo definito, va provata l’illecita sottrazione di energie lavorative e risorse intellettuali al datore di lavoro-università, poiché il solo svolgimento di un’altra attività non autorizzata non può considerarsi sufficiente a ritenere in re ipsa la minore resa del servizio e la conseguente indebita percezione della retribuzione pattuita.
Corte dei conti, sez. III, 15 dicembre 2016, n. 653
Professore associato – Incompatibilità – Danno da disservizio
Sent.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO
composta dai seguenti magistrati
dr.ssa [#OMISSIS#] Di [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
dr.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
dr.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere relatore
dr. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
dr. [#OMISSIS#] Di [#OMISSIS#], Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sull’ appello in materia di responsabilità amministrativa, iscritto al n. 47453 del Registro di Segreteria, proposto dal Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione [#OMISSIS#] Romagna;
contro
il prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, Viale Parioli, n. 180;
avverso
la sentenza della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione [#OMISSIS#] Romagna n. 14/2014, depositata in data 6 febbraio 2014;
Visto l’atto d’appello e tutti gli altri atti e documenti di causa.
Uditi [#OMISSIS#] pubblica udienza del 4 novembre 2016, con l’assistenza della segretaria sig.ra [#OMISSIS#] Calabrese il relatore, Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], l’Avv. [#OMISSIS#] Medogni in difesa del dr. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e il Vice Procuratore generale, dr. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
considerato in
FATTO
1. Con atto di citazione del 31 [#OMISSIS#] 2013 la Procura della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale per la regione [#OMISSIS#] Romagna ha convenuto in giudizio il Prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Docente universitario Associato, per sentirlo condannare al risarcimento di complessivi euro 77.302,64, oltre al risarcimento del danno da disservizio quantificabile fino alla concorrenza di euro 4.000,00 più interessi rivalutazione e spese, in favore dell’ Università degli Studi di Parma.
1.1. La vicenda prendeva l’avvio da una segnalazione di irregolarità in ordine allo svolgimento di attività extraprofessionali poste in essere al di fuori dell’ambito universitario per le quali la Procura Regionale ravvisava a carico del dott. [#OMISSIS#] un’ipotesi di danno erariale per infrazione del regime dell’incompatibilità e per il cumulo dell’attività [#OMISSIS#]-professionale con il rapporto di lavoro pubblico in regime di tempo pieno.
Tale danno era quantificato [#OMISSIS#] misura delle differenze retributive tra il regime di impiego “a tempo pieno” e il regime “a tempo definito” nel periodo temporale compreso dal 1° novembre 2003 fino al 31 dicembre 2009, ed era quindi stimato nell’importo di € 77.302,64 cui era da aggiungere, secondo la prospettazione accusatoria, “il danno da disservizio” quantificabile con stima equitativa fino alla concorrenza di euro 4.000,00, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese del presente procedimento”.
In udienza la quantificazione del danno è stata rettificata in € 84.605,48 come da prospetto allegato alla nota in data 17 giugno 2013 dell’ Università degli Studi di Parma.
2. Con sentenza n. 14/2014 depositata in data 6 febbraio 2014 la Sezione giurisdizionale regionale ha osservato “che – stando [#OMISSIS#] atti versati in giudizio e alla stessa prospettazione di parte attrice – l’attività professionale prestata dal convenuto, seppure non consentita, non risulta comunque avere interferito sul regolare svolgimento dell’attività di docente universitario a “tempo pieno”, nel senso che non sono stati rilevati e contestati scostamenti – né sul piano qualitativo né, soprattutto, su quello quantitativo – tra l’attività istituzionale resa in concreto dal dott. G. nel periodo controverso (1° novembre 2003 – 31 dicembre 2009) e quella dovuta in ragione del regime d’impegno cui lo stesso aveva optato” ed ha assolto il prof. [#OMISSIS#] dall’addebito di responsabilità amministrativo-contabile formulato a suo carico; revocato il sequestro conservativo autorizzato con decreto presidenziale del 5 giugno 2013 e successivamente convalidato con ordinanza n. 83/13/R del 15 luglio 2013; liquidato in favore della difesa del predetto convenuto il complessivo importo di € 3.300,00 (tremilatrecento/00), per onorari e diritti, oltre spese generali, [#OMISSIS#] e CPA come per legge, [#OMISSIS#] restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato.
3. Avverso la sentenza ha proposto appello il Procuratore presso la Sezione giurisdizionale per la Regione [#OMISSIS#] Romagna deducendo vari motivi di gravame.
3.1. Contraddittorietà della motivazione, con particolare riferimento alla disciplina vigente sul regime di lavoro a tempo pieno.
[#OMISSIS#] specifico ha sostenuto che la natura unitaria della fattispecie, e la struttura unitaria degli obblighi di servizio, principali ed accessori al rapporto di lavoro pubblico, non consente di ignorare la inscindibile connessione normativa, sussistente tra l’esercizio della [#OMISSIS#] professione e la trasformazione del rapporto in tempo definito, con la conseguenza che “non assume alcuna rilevanza la insussistenza di prove specifiche su eventuali inadempimenti negli obblighi di servizio a tempo pieno, essendo già in evidenza una puntuale infrazione degli obblighi di servizio (conversione del rapporto da tempo pieno a tempo definito), con immediati riflessi economici sul trattamento economico dovuto in misura ridotta dall’ente pubblioc-datore di lavoro.”.
3.2. Erronea ricostruzione della fattispecie prospettata in giudizio.
L’appellante contesta, la prospettazione, operata dal primo [#OMISSIS#], della domanda risarcitoria, avendo operato arbitrariamente una scissione tra attività di lavoro a tempo pieno ed esercizio dell’attività professionale.
Sottolinea l’inerenza tra il [#OMISSIS#] in esame e quello richiamato dalla Procura a conforto della propria tesi (sentenza n. 209/2012 Sezione giurisdizionale [#OMISSIS#] Romagna) ed esclude ogni inerenza con i precedenti evocati [#OMISSIS#] sentenza appellata in considerazione della diversità delle situazioni d’incompatibilità e della diversa prospettazione della domanda con cumulo dei [#OMISSIS#] sanzionatorio e risarcitorio.
Su tale [#OMISSIS#] profilo, ha ravvisato l’opportunità di chiedere al [#OMISSIS#] d’appello la fissazione di principi interpretativi idonei alla trattazione delle fattispecie controverse, con l’analisi delle diverse situazioni normative assorbite nelle posizioni d’incompatibilità.
3.3. Errata applicazione dei criteri giuridici utilizzati per l’accertamento e la quantificazione del danno erariale emergente
Sul punto ha sostenuto l’erroneità delle motivazioni dedicate [#OMISSIS#] sentenza di primo grado in relazione ai [#OMISSIS#] sanzionatori della disciplina vigente in materia, ed ha confermato la domanda risarcitoria [#OMISSIS#] misura della differenza del trattamento economico tra il regime di lavoro a tempo pieno, ed il regime di lavoro a tempo definito (euro 84.60548), alla quale si cumula la prospettazione del danno da disservizio (euro 4.000,00).
3.4. Errata interpretazione ed applicazione dell’art. 52 D. Lgs. n. 196/2003 (codice in materia di protezione dei dati personali).
Ha, in sintesi lamentato che la Sezione territoriale [#OMISSIS#] Romagna utilizza quale mera clausola di stile l’art. 52 D. Lgs. n. 196/2003 e pertanto chiede che questo [#OMISSIS#] determini i criteri ed i limiti per l’ipotesi di esercizio di tale potere d’ufficio.
3.5. L’ appellante conclude citando il dott. [#OMISSIS#] dinanzi a questa Sezione Giurisdizionale d’Appello, per sentire pronunziare, in riforma della sentenza impugnata, la condanna in favore dell’ Università degli Studi di Parma al pagamento della somma di complessivi euro 84.605,48, ed anche al risarcimento del danno da disservizio quantificabile con stima equitativa fino alla concorrenza di euro 4.000,00, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese del procedimento; oltre interessi, rivalutazione monetaria ed al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
4. Con memoria depositata in data 14 ottobre 2016 il dr. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] si è costituito in giudizio ed ha contestato gli addebiti formulati.
In via preliminare, ha eccepito l’intervenuta prescrizione per le somme relative al periodo fino al 5 febbraio 2008, in quanto l’invito a dedurre è stato notificato solamente il 5 febbraio 2013. Relativamente alle contestazioni formulate nell’atto di appello ne sottolinea l’inammissibilità e l’infondatezza sostenendo che muovono dall’applicazione di presunti obblighi che non sono previsti in alcuna [#OMISSIS#] di legge
Afferma che la normativa applicabile al [#OMISSIS#] di specie è contenuta nel combinato disposto degli artt. 11 e 15 del D.P.R. n. 382/1980 e nell’art. 53 del D.lgs. n. 165/2001 e che [#OMISSIS#] citazione introduttiva del giudizio di primo grado, cosi come nell’atto di appello, parte attrice tratteggia una responsabilità e un conseguente danno che non sono in alcun modo previsti e sanzionati dalla normativa applicabile al [#OMISSIS#] di specie.
Sostiene che la fattispecie in esame non rientra in alcun modo nell’ambito di applicazione della disciplina di legge e contrattuale prevista per la dirigenza sanitaria e sottolinea l’inconferente richiamo alla sentenza della Sezione giurisdizionale [#OMISSIS#] – Romagna della Corte dei Conti n. 209/2012 relativa a un dirigente medico dipendente di un’Azienda Sanitaria sottoposto al regime giuridico, di cui all’art. 15-quater del D.lgs. 502/1992 e all’art. 72, comma 7, della L. n. 448/1998, che per espressa previsione di legge, non è applicabile ai professori universitari che non svolgano attività assistenziale.
Dopo aver rilevato l’assenza nel [#OMISSIS#] di specie di tutti i presupposti, e gli elementi costitutivi del danno e della conseguente responsabilità ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile, improcedibile ed irricevibile l’atto atto di appello n. 47453 proposto dal Procuratore regionale della Corte dei Conti [#OMISSIS#] Romagna; in subordine, in via preliminare: dare atto dell’avvenuta prescrizione quinquennale e per l’effetto dichiarare prescritti tutti i crediti antecedenti al 5 febbraio 2008; in via principale, assolvere e dichiarare non responsabile il professor [#OMISSIS#]; per gli effetti, confermare la sentenza impugnata, n. 14/2014 della Sezione Giurisdizionale Regionale per l'[#OMISSIS#] – Romagna del 6 febbraio 2014; in estremo subordine, [#OMISSIS#] denegata ipotesi di condanna, tenuto conto della effettiva mancanza di disservizio in capo all’ Università di Parma nonché della mancanza di prova contraria assolvere e dichiarare non responsabile il convenuto relativamente a tale voce di danno; in via ulteriormente subordinata, fare uso del potere riduttivo.
5. [#OMISSIS#] pubblica udienza odierna, dopo l’esposizione introduttiva del relatore, l’Avv. [#OMISSIS#] Medogni in difesa del Prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ed il Pubblico Ministero si sono riportati [#OMISSIS#] atti scritti e alle richieste conclusive ivi rassegnate.
Considerato in
DIRITTO
1. E’ opportuno ricordare che il Procuratore regionale ha proposto un’azione riferita a due poste di danno.
La prima, riguarda le somme che l’appellato ha percepito prestando attività lavorativa in violazione del principio dell’esclusività della prestazione, non avendo lo stesso optato per il tempo definito, come pure è consentito ai docenti universitari ed è quantificata nell’importo di € 84.605,48, quale differenza retributiva tra quanto dallo stesso effettivamente percepito e quanto invece lo stesso avrebbe invece percepito qualora avesse optato per il tempo definito.
La seconda posta di danno riguarda il danno da disservizio quantificato in euro 4.000,00.
Rileva il Collegio che il regime delle incompatibilità è delineato all’art. 53 comma 7, D.Lgs. n. 165/2001 (che recepisce l’art.58, comma 7, de l previgente D.lgs. n.29/1993, come modificato dall’art.26 del D.lgs. n.80/1998) il quale impone al dipendente pubblico il dovere di riversare gli importi dei compensi percepiti per incarichi non autorizzati, obbligo strettamente inerente i doveri di ufficio, perché trova causa nell’esistenza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione in virtù del quale egli è titolare dell’obbligo, posto dalla [#OMISSIS#] stessa, di richiedere e ottenere dall’amministrazione medesima la previa autorizzazione per l’espletamento di incarichi retribuiti esterni al servizio stesso. Correttamente la Sezione di primo grado, ha ritenuto che nel [#OMISSIS#] di specie tale responsabilità non ha formato oggetto di esame da parte del Collegio in quanto non è stata espressamente e specificatamente contestata dal requirente.
L’ipotesi in esame riguarda pertanto l’ipotesi di svolgimento di incarichi extralavorativi in assenza di autorizzazione dell’amministrazione con la quale vige un rapporto di esclusività.
Orbene, ritiene il Collegio che seppur acclarato che il prof. [#OMISSIS#] avesse operato in violazione della disciplina sulle incompatibilità del rapporto di pubblico impiego e, in particolare, dell’esclusività del rapporto di lavoro, andava provata la illecita sottrazione di energie lavorative e risorse intellettuali al datore di lavoro- università , poichè il solo svolgimento di un’altra attività non autorizzata, al di fuori della previsione dell’art 53, non può ritenersi sufficiente a ritenere in re ipsa la minore resa del servizio e la conseguente indebita percezione della retribuzione pattuita.
Infatti il dovere di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento degli incarichi extralavorativi è una prescrizione chiaramente strumentale al corretto esercizio delle mansioni, in quanto preordinata a garantirne il proficuo svolgimento attraverso il previo controllo dell’amministrazione sulla possibilità, per il dipendente, d’impegnarsi in un’ulteriore attività senza incidere sull’equilibrato esplicarsi del rapporto sinallagmatico tra le prestazioni lavorative del pubblico dipendente e le prestazioni retributive dell’ente datore di lavoro, che continua ad erogare una retribuzione non più giustificata dalle prestazioni lavorative del primo.
Ne consegue che l’inosservanza, da parte di un pubblico dipendente, delle norme relative alla esclusività del rapporto di lavoro non è automaticamente fonte di danno quando il dipendente pubblico continua a percepire la retribuzione spettante per il lavoro a ‘tempo pieno’, in luogo della retribuzione spettante per il lavoro ‘a tempo definito’, se non risulta [#OMISSIS#] atti prova del nocumento che, in concreto, sarebbe derivato dalla corresponsione dello stipendio a fronte della attività prestata.
Non trova infatti applicazione nel [#OMISSIS#] di specie l’art 72 della legge 23 dicembre 1998, n.448 che si applica ai Professori ed ai ricercatori universitari che svolgono attività assistenziale presso Aziende Ospedaliere Universitarie.
In sostanza, se può senz’altro ritenersi che il Guzzanti abbia violato il dovere di esclusività lavorativa non può per ciò stesso asserirsi, che ciò abbia di per sé stesso comportato un danno per l’ente datore di lavoro (tanto più se, come nel [#OMISSIS#] che ci occupa, il Guizzanti ha regolarmente svolto la sua attività universitaria).
Nel [#OMISSIS#] di specie non è stato dimostrato che la prestazione lavorativa non sia stata resa a tempo pieno; anzi, è provato che non vi è stata una riduzione della prestazione lavorativa, in termini sia quantitativi sia qualitativi, idonea a giustificare la decurtazione richiesta della Procura attrice nei confronti del convenuto che va, di conseguenza, mandato assolto da ogni pretesa.
Quanto all’errata interpretazione dell’art 52 D.lgs n. 196/2003 si afferma che l’anonimizzazione delle decisioni dell’autorità giudiziaria, è vincolata da una valutazione effettuata [#OMISSIS#] per [#OMISSIS#] da parte degli organi giudicanti e non rientra nei poteri del [#OMISSIS#] d’appello determinare i criteri ed i limiti per l’esercizio di tale potere disciplinato dalla legge.
Per le considerazioni esposte, l’appello è da respingere, con conferma integrale della sentenza impugnata.
Ogni altra domanda o eccezione risulta assorbita.
L’assoluzione nel merito comporta che in favore dell’ appellato debba essere riconosciuta la liquidazione di onorari e diritti di difesa che, si quantificano forfettariamente in euro 2.000,00 oltre [#OMISSIS#], spese generali e CPA.
P.Q.M.
la Corte dei Conti – Sezione Terza Centrale d’appello, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione respinge l’appello con conseguente conferma della sentenza della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione [#OMISSIS#] Romagna n. 14/2014 depositata il 6 febbraio 2014;
Liquida in favore di parte appellata onorari e diritti di difesa che, quantifica forfettariamente in euro 2.000,00 oltre [#OMISSIS#], spese generali e CPA.
Così deciso in Roma, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di Consiglio del 4 novembre 2016.
Depositata in Segreteria il giorno 15 Dicembre 2016