Il professore fuori ruolo, in quanto non gode della posizione tipica del docente in servizio attivo pleno iure, non è ammesso allo svolgimento di funzioni assistenziali in posizione strutturata rispetto al servizio sanitario nazionale, non potendo di conseguenza godere della equiparazione degli emolumenti corrispettivi del rapporto di lavoro a quelli del personale medico del S.S.N. prevista dall’art. 102 d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382.Nell’ipotesi in cui si debba applicare al trattamento pensionistico di un professore ordinario la normativa vigente precedentemente alla data del 1 gennaio 1993, esso viene determinato sulla base dell’art. 43 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, a tenore del quale, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza, la base pensionabile è costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga o retribuzione (nonché da una serie tassativa di assegni o indennità ivi elencati) integralmente percepiti. Ciò posto, considerato come il docente non avrebbe potuto percepire l’indennità ospedaliera in relazione al proprio ultimo stipendio, in quanto collocato fuori ruolo, detta indennità non può essere computata nella base pensionabile. In caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale, senza aggiunta di alcuna somma accessoria.
Corte dei conti, sez. III, 20 luglio 2015, n. 390
Personale ATA – Recupero somme erroneamente versate in sede di pensionamento – Riduzione trattamento provvisorio di pensione – Buona fede e affidamento
PENSIONI
C. Conti Sez. III App., Sent., 20-07-2015, n. 390
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte dei conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello
composta dai seguenti Magistrati :
D.ssa Fausta Di Grazia – Presidente – Estensore
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
D.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
D.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
pronuncia la seguente
SENTENZA
sull’appello in materia di pensioni n.41200 proposto dall’ Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS), con sede in Via [#OMISSIS#] Beccaria n.29 – 00196 Roma, rappresentato, assistito e difeso dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], giusta delega dell’avv. [#OMISSIS#] MESSINA.
avverso
la sentenza 03 – 28 dicembre 2010 n. 990/2010 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Sardegna.
contro
1) il sig. G.C. (C.F. (…))
nato a N. il (…), residente in V. C. n.22 – 90120 C. (C.), rappresentato e difeso dagli avv.ti Chiara Monni (C.F. (…)) e [#OMISSIS#] Corda (C.F. (…)), con studio in Via E. Lai n.2 – 09128 Cagliari, presso il quale elegge domicilio.
e nei confronti di
Università degli Studi di Cagliari.
Visto l’atto di appello iscritto al n.41200 del registro di segreteria;
Esaminati tutti gli altri atti e documenti della causa;
Uditi alla pubblica udienza del 03 luglio 2015, con l’assistenza della segretaria [#OMISSIS#] Bianco, il Presidente relatore, dr.ssa Fausta Di Grazia, l’avv. [#OMISSIS#], delegato dall’avv. Messina per l’INPS, assente la parte appellata, assente e non rappresentata l’Università degli Studi di Cagliari.
Svolgimento del processo
Il sig. G.C. ha prestato servizio all’Università degli Studi di Cagliari, fino al 01/01/1997, data in cui è cessato dal servizio per volontarie dimissioni ed ha acquisito la titolarità della pensione n. 16548750.
Con provvedimento n.225 del 13.11.1996, l’Università di Cagliari gli ha conferito un trattamento pensionistico provvisorio annuo di L. 24.132.600 (lorde) a decorrere dal 01/07/1997.
Successivamente, l’Università degli Studi di Cagliari ha effettuato una rideterminazione del trattamento della pensione provvisoria diretta, conferendogli l’importo di L. 23.384.100 (lorde) a decorrere dal 01/01/1997, nonché di L. 23.817.800 (lorde) a decorrere dalla stessa data.
Con la nota prot. n.(…) del 16/3/2010 l’INPDAP di Cagliari ha comunicato l’accertamento del debito pari ad Euro 2.747,77 risultante dal conguaglio tra il trattamento pensionistico provvisorio e la pensione definitiva ordinaria.
Con la comunicazione prot.n.10356 del 16/3/2010 è stato disposto il recupero del predetto debito mediante la ritenuta mensile di Euro 249,80 nel periodo compreso tra il 01/04/2010 ed il 28/02/2011.
Con ricorso datato 15/4/2010 il sig. G.C. impugnava il provvedimento di recupero conseguente all’accertamento in via principale dell’insussistenza dell’indebito contestato, in via subordinata dell’irrecuperabilità dell’indebito in contestazione ed in via di ulteriore subordine dell’avvenuta prescrizione dell’accertato debito, formatosi nel periodo dal 01/01/1997 al 12/04/2000.
Osserva il Giudice di prime cure che non può essere accolta la richiesta del ricorrente in ordine all’insussistenza del debito a lui contestato, in quanto lo stesso deriverebbe dall’inclusione – in sede di trattamento provvisorio di pensione – nella c.d. quota “A” dell’importo di L. 950.000, spettante ai sensi dell’art.45 CCNL Comparto Università, quadriennio 1994-1997, voce retributiva che secondo l’amministrazione deve essere inserita nella c.d. quota “B”.
Invero, stante le caratteristiche dell’indennità (che non risulta avere mai assunto natura di componente dello stipendio base, né è stata mai espressamente dichiarata includibile nella base pensionabile) la domanda proposta in via principale deve essere respinta.
Va invece dichiarata, in relazione alla richiesta subordinata del ricorrente, l’irripetibilità delle somme erogate in più sulla pensione provvisoria, sottoposte a recupero cui consegue l’obbligo di restituzione delle stesse, dal momento che il provvedimento di liquidazione della pensione definitiva è stato emesso nel luglio 2008 ed il provvedimento di accertamento del debito e conseguente comunicazione dell’avvio del procedimento di recupero è stato adottato nel marzo 2010, a distanza cioè di circa 13 anni dalla maturazione del diritto alla liquidazione al trattamento di pensione.
Doveva, infatti, ritenersi consolidata nell’interessato la ragionevole aspettativa circa la legittima corresponsione della pensione provvisoria, nella misura sino ad allora liquidata.
Per l’effetto ha dichiarato la non ripetibilità della maggiore somma di Euro 2.747,77, con conseguente restituzione al ricorrente delle somme già recuperate, sulle quali vanno corrisposti gli interessi nella misura legale, a decorrere dalla data di ogni singola trattenuta e sino alla restituzione, con compensazione delle spese.
Ha presentato appello l’INPDAP (ora INPS), rappresentato e difeso dall’Avvocatura INPDAP, contro G.C. e nei confronti dell’Università degli Studi di Cagliari.
L’appellante eccepisce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1092 del 1973 e, segnatamente, degli artt.162 e 206 del medesimo, nonché dell’art.2033 c.c..
Sostiene l’Istituto nell’impugnativa che le somme erogate sono state corrisposte sul trattamento pensionistico provvisorio e, pertanto, la competente sede ha provveduto al doveroso conguaglio, a norma della disposizione di cui all’art.162 del D.P.R. n. 1092 del 1973.
Eccepisce, altresì, la violazione e falsa applicazione dell’art.1, comma 136, della L. n. 311 del 2004, legge finanziaria per l’anno 2005, dal momento che secondo la dottrina amministrativa e la giurisprudenza dominante, il potere di autotutela può avere ad oggetto tutti gli atti amministrativi e non già solamente quelli a contenuto provvedimentale.
Anzi, di contro, alla misura della c.d. revoca, che attiene più specificatamente alla tematica del merito, l’annullamento d’ufficio trova il proprio humus con riferimento agli atti vincolati.
Inoltre il Giudice dovrebbe valutare, ai sensi del nuovo art.21 nonies, se sussistono ragioni di pubblico interesse al recupero entro un tempo ragionevole, tenuto conto anche di tutti gli interessi coinvolti.
Sostiene l’INPDAP, altresì, la violazione e falsa applicazione degli artt.820, 1277, 1282, 1284 c.c. nonchè dell’art.429 c.p.c..
La Sezione Regionale ha infatti ritenuto che sulle somme da restituire debbano essere computati anche gli interessi legali e ciò in palese contrasto con la più recente giurisprudenza che, pur ritenendo illegittimo procedere al recupero dell’indebito pensionistico in presenza del decorso di un notevole lasso di tempo, contemporaneamente ha negato la possibilità in questi casi di computare sulle somme da restituire gli accessori di legge.
Si è costituito il sig. G.C. con memoria pervenuta a questa Sezione Terza Centrale d’Appello in data 17/12/2014 contro l’INPDAP (ora INPS) e nei confronti dell’Università degli Studi di Cagliari.
Riguardo al primo motivo di appello, sostiene che la disciplina prevista dall’art.162 D.P.R. n. 1092 del 1973 deve interpretarsi facendo riferimento alla citata L. n. 241 del 1990 per cui, decorso il termine per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, essendosi venuta a consolidare una situazione esistente, fondata sull’affidamento che il cittadino ha riposto nell’Amministrazione Pubblica.
Evidenzia che il termine per concludere un procedimento pensionistico è stato stabilito dallo stesso INPDAP in 540 giorni per le cessazioni dal servizio avvenute entro il 31/12/1991, in 180 giorni per le cessazioni avvenute tra il 01/01/1992 ed il 17/02/1993, in 120 giorni per i collocamenti a riposo avvenuti tra il 18/02/1993 ed il 28/03/1997 ed in 30 giorni a far tempo dal 29/03/1997 in poi.
Nel caso di cui trattasi, di conseguenza, deve essere tenuto in considerazione il lungo lasso di tempo trascorso, ingiustificatamente, tra la liquidazione della pensione provvisoria e quella definitiva, e, altresì, l’assoluta buona fede del percipiente.
Sulla violazione e falsa applicazione della legge finanziaria per l’anno 2005, invece, afferma che la norma invocata all’art.21 nonies impone che il provvedimento amministrativo illegittimo, ai sensi dell’art.21 octies, possa essere annullato entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei contro-interessati.
Reputa altresì infondato il riferimento fatto dall’INPDAP alla violazione e falsa applicazione degli artt. 820, 1277, 1282, 1284 c.c., nonché dell’art.429 c.p.c., valendo le suddette argomentazioni.
All’odierna pubblica udienza la causa giunge a decisione.
Motivi della decisione
L’appello merita parziale accoglimento.
Trattandosi di questione attinente al recupero di una somma indebitamente corrisposta a titolo di trattamento provvisorio di pensione (erogato dal 01/01/1997) in sede di adozione del decreto definitivo determinante è la sussistenza o meno nel pensionato percettore delle somme del legittimo affidamento giustificativo dell’irripetibilità dell’indebito pensionistico.
La questione ha dato luogo ad un travaglio giurisprudenziale che in sintesi occorre ripercorrere.
Invero, in materia di trattamento pensionistico provvisorio la sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte n. 7/QM/2007 aveva affermato che “in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nell’art. 162 del D.P.R. n. 1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella L. n. 241 del 1990, per cui a decorrere dall’entrata in vigore di detta, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione”.
Con sentenza n.7/2011/QM del 26 maggio 2011, le SS.RR. di questa Corte dei conti hanno riesaminato parzialmente il suddetto orientamento, ribadendo con chiarezza la piena vigenza delle norme che consentono all’amministrazione dei pagamenti non dovuti (art.162 del D.P.R.n.1092/73;
art.406 R.D. n. 827 del 1924; art.3 del R.D.L. n. 295 del 1939; art.3 delD.P.R. n. 1544 del 1955) ed hanno peraltro radicalmente esclusoche si possa equiparare il trattamento provvisorio di pensione a quello definitivo affermando testualmente che “gli artt.203, 204,205 del D.P.R. n. 1092 del 1973 non si applicano al trattamento provvisorio di cui all’art.162 del summenzionato T.U. delle pensioni, con la conseguenza che, sino all’adozione del provvedimento definitivo di pensione, sono possibili modifiche del trattamento provvisorio stesso, attesa la sua natura interinale”.
Successivamente, con sentenza n.2/QM del 2012 le stesse Sezioni Riunite hanno precisato: “Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’Amministrazione del diritto – dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’Amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo”.
Dalla lettura di detta sentenza si rileva che l’affidamento quale valore fondamentale dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel nostro ordinamento (cfr. Corte Costituzionale sent. n.39 del 10 febbraio 1993 e n.155 del 04 aprile 1990) ed in quello Comunitario – che ha accentuato le tutele dell’interesse privato nei confronti delle azioni normativa e amministrativa delle Istituzioni Europee (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 15 luglio 2004, causa C-459/02)per essere definito legittimo e tutelabile deve collocarsi nel contesto di una condotta, quella del percettore di maggiori somme caratterizzata dall’assenza di qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza, integrata dal decorso del termine procedimentale, previsto dalla L. n. 241 del 1990 e dai regolamenti attuativi di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo e dal concorso di altri parametri “quali indicati, seppur a titolo esemplificativo e non tassativo ed esaustivo” dalle SS.RR. con la citata sentenza n.2/2012/QM.
Ne consegue che, nella sostanza, ciascuna fattispecie di indebito previdenziale deve essere esaminata in concreto e tenendo conto di una serie di circostanze che possono verosimilmente giustificare l’operato dell’Amministrazione.
L’affidamento legittimo scaturisce dalla plausibile convinzione, da parte del pensionato di avere titolo ad un vantaggio conseguito in un arco di tempo tale da persuadere il beneficiario stesso della sua stabilità e, ad esempio, quando sussiste la non rilevante entità della somma percepita in più mensilmente che non consente la scoperta, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito al maggior importo erogato sul rateo di pensione.
Va innanzitutto rammentato che preminente ai fini della dichiarazione di irripetibilità risulta di conseguenza l’apprezzamento in concreto della buona fede del percettore, il cui accertamento in concreto sfugge al sindacato di questo Collegio giudicante di secondo grado, trattandosi di una valutazione che attiene ad una questione di fatto la cui cognizione è preclusa al Giudice pensionistico d’appello, ai sensi dell’art. 1, L. n. 639 del 1996.
Nella presente fattispecie, portata all’attenzione di questa Corte, tale accertamento e le conseguenti correlative valutazioni sono state comunque effettuate dal Giudice di prime cure, le cui conclusioni sul punto appaiono sorrette da giustificati motivi, puntualmente esposti in motivazione, risultando non censurabili sotto il profilo della legittimità.
Sul punto, quindi, l’appello dell’INPDAP (ora INPS) deve essere rigettato e confermata la sentenza di primo grado che ha dichiarato la non ripetibilità della somma erogata a titolo di conguaglio tra pensione provvisoria e definitiva (Euro 2.747,77) con conseguente restituzione all’interessato delle somme già recuperate.
Dev’essere accolto, invece, il motivo di gravame avverso la sentenza della Sezione Territoriale per quanto attiene al disposto, secondo il quale la medesima ha ritenuto che sulle somme da restituire debbano essere computati anche gli interessi legali e ciò in palese contrasto con la più recente giurisprudenza che, pur ritenendo illegittimo procedere al recupero dell’indebito pensionistico in presenza del decorso di un notevole lasso di tempo, contemporaneamente ha negato la possibilità in questi casi di computare sulle somme da restituire gli accessori di legge.
E’ intervenuta, da ultimo, la sentenza del 24 marzo 2015 n.11/QM delle SS.RR. che hanno affermato il seguente principio: “In caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale, senza aggiunta di alcuna somma accessoria.”
Pertanto, sulle somme da restituire al pensionato non spettano gli interessi legali riconosciuti dalla sentenza impugnata. Incertezze giurisprudenziali sulle materie oggetto del giudizio inducono a compensare le spese di lite, stante anche la reciproca soccombenza.
Nulla per le spese di giustizia.
Ogni altra domanda o eccezione risulta assorbita.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione III^ giurisdizionale Centrale d’Appello, definitivamente pronunciando, ogni avversa istanza, eccezione e deduzione respinta,
accoglie parzialmente
l’appello proposto dall’INDAP (ora INPS) avverso la sentenza indicata in epigrafe che, per l’effetto, è parzialmente riformata, nei termini di cui in motivazione.
Spese legali compensate.
Nulla per le spese di giustizia.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 3 luglio 2015.
Depositata in Cancelleria 20 luglio 2015.