TAR Campania, Napoli, Sez. I, 17 gennaio 2018, n. 372

Dipendente pubblico ateneo-Procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento-Obbligo ripristino rapporto di impiego

Data Documento: 2018-01-17
Area: Giurisprudenza
Massima

L’art. 3, comma 57 della L. 350/2003 e s.m.i. attribuisce al pubblico dipendente sospeso dal servizio, in conseguenza di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento “perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso o se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero con decreto di archiviazione per l’infondatezza della notizia di reato, (…)”, ad ottenere il ripristino del rapporto di impiego per un periodo di tempo pari a quello della disposta sospensione anche oltre i limiti di età previsti dalla legge. 

In presenza di provvedimenti giurisdizionali di cui all’art. 3, comma 57 della succitata legge, non è richiesta, dunque, all’amministrazione alcuna valutazione o attività particolari, posto che la stessa è tenuta a porre in essere una attività sostanzialmente vincolata che, in presenza del presupposto e della domanda dell’interessato, consiste in atti che comportino, come prevede il medesimo comma 57, ” il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita e del periodo di servizio non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro, anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento, con il medesimo trattamento giuridico ed economico a cui avrebbe avuto diritto in assenza della sospensione“.

Contenuto sentenza

N. 00372/2018 REG.PROV.COLL.
N. 02459/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2459 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Napoli, via Melisurgo, n. 4; 
contro
l’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso i cui uffici ex lege domicilia in Napoli, via A. Diaz, n. 11; 
per l’annullamento
a) del provvedimento rettorale del 04/04/2017, prot. n. 31945 con il quale è stata rigettata l’istanza di riammissione in servizio del ricorrente presentata in relazione all’intervenuta sentenza della Corte di Appello di Napoli, Sez. III, del 29/9/2016;
b) di tutti gli atti presupposti, preparatori, conseguente e comunque connessi;
nonché per l’accertamento del diritto del ricorrente alla ricostruzione della posizione giuridica ed economica pregiudicate dalla disposta sospensione dal servizio, anche agli effetti previdenziali e del trattamento di fine rapporto, con la conseguente condanna dell’intimata Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” al pagamento degli arretrati retributivi dovuti, maggiorati di interessi legali e svalutazione monetaria fino all’effettivo soddisfo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II”;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2017 la dott.ssa [#OMISSIS#] Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, il Prof. -OMISSIS-, docente di prima fascia presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli “[#OMISSIS#] II”, ha agito avvero il provvedimento rettorale del 04/04/2017, prot. n. 31945, con il quale è stata rigettata l’istanza di riammissione in servizio, in conseguenza della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli, Sez. III, del 29/9/2016.
B. Il ricorrente ha rappresentato, sotto il profilo fattuale:
che con decreto rettorale n. 1227 del 15/04/2010 è stata disposta la propria sospensione dal servizio, a seguito dell’intervenuta sentenza del Tribunale di Napoli n. 731/2010 del 30/03/2010, comunicata con nota della Procura della Repubblica di Napoli del 13/04/2010, con la quale è stato condannato, in relazione a fatti commessi al di fuori del rapporto di servizio con l’Università “[#OMISSIS#] II”, per il reato di cui all’art. 314 c.p.;
che durante il periodo di sospensione obbligatoria il-OMISSIS-veniva collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età;
che con sentenza della Corte di Appello di Napoli, III Sezione, del 29/9/2016 la suindicata pronuncia di I grado è stata riformata con l’integrale proscioglimento dall’addebito di cui all’art. 314 c.p., che aveva determinato la sospensione obbligatoria dal servizio, per insussistenza del fatto;
che, in conseguenza della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli, Sez. III, del 29/9/2016, con istanza del 27/10/2016, ha richiesto alla Università “[#OMISSIS#] II” di essere reintegrato nella propria posizione giuridica ed economica pregiudicata dalla intervenuta sospensione dal servizio;
che con atto del 21/11/2016, prot. n. 107716, il Rettore della “[#OMISSIS#] II” ha rigettato la predetta istanza, negando l’accoglimento della relativa richiesta di ripristino del trattamento economico sul presupposto che, a seguito della sospensione dal servizio ex art. 4 L. 97/2001 “per determinate fattispecie di reati, discende l’esclusiva responsabilità del dipendente per l’interruzione del sinallagma tra prestazione lavorativa e quella retributiva … … che preclude all’amministrazione di appartenenza di provvedere alla restituito in integrum”, con l’ulteriore puntualizzazione che la reintegrazione economica del dipendente è ammissibile soltanto nell’ipotesi in cui la sospensione dal servizio ex art. 4 citato perda efficacia “in conseguenza di una sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato perché il fatto non sussiste o perché l’impiegato non l’ha commesso”;
che, in conseguenza del passaggio in giudicato della sopra indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli, con istanza del 31/1/2017 (prodotta unitamente alla predetta pronuncia), ha richiesto, ai sensi dell’art. 3, comma 57, della L. 350/2003 e s.m.i., di essere riammesso in servizio, reiterando, altresì, la richiesta di reintegrazione della posizione giuridica ed economica interrotta dalla intervenuta sospensione obbligatoria dal servizio;
che, con provvedimento del 4/4/2017, prot. n. 31945, il Rettore dell’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” ha rigettato anche l’istanza sopra indicata, ribadendo quanto alla pretesa inerente alla reintegrazione della posizione giuridica ed economica le conclusioni già rassegnate con la precedente nota, nonché assumendo l’inapplicabilità alla fattispecie della disciplina recata dalla L. 350/2003, laddove “la Corte di Appello di Napoli, nel rigettare l’appello proposto dal PM dichiara di non doversi procedere nei confronti della S.V. in ordine ai reati ascritti perché estinti per intervenuta prescrizione”.
C. Avverso il provvedimento impugnato, la difesa del ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge ed eccesso di potere, contestando, in primis, con puntuali ed articolate argomentazioni, la violazione dell’art. 3, comma 57, della L. 350/2003 e dell’art. 4, comma 2 della L. 97/2001, sostenendo la sussistenza, nella fattispecie, tutti i presupposti prescritti per la riammissione in servizio del ricorrente. In via di subordine, ha dedotto l’illegittimità del decreto impugnato, a motivo dell’omessa valutazione da parte dell’Ateneo della possibilità di disporre la riammissione del ricorrente alla stregua delle previsioni recate dall’art. 3, comma 57 bis della L. 350/2003, che facoltizza le amministrazioni a prorogare ovvero ripristinare il rapporto di impiego con le stesse modalità previste dal comma 57 dell’art. 3, salvo che non residuino elementi rilevanti sotto il profilo disciplinare. Parte ricorrente, infine, ha sviluppato specifiche deduzioni a sostegno della pretesa alla reintegrazione sotto il profilo economico della posizione lavorativa conseguente all’intervenuta sentenza di assoluzione da parte della Corte di Appello di Napoli.
D. L’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” si è costituita in giudizio per resistere al gravame, sollevando preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e di legittimazione ad agire, in ragione dell’asserita assenza di una assoluzione piena per il reato di peculato e della natura vincolata del provvedimento di sospensione a suo tempo adottato. La difesa erariale, inoltre, ha eccepito l’inammissibilità anche del primo motivo di ricorso sulla base della riqualificazione del fatto di reato operata dalla Corte di Appello di Napoli (da peculato ad abuso di ufficio) e della rilevata prescrizione, alla quale l’interessato avrebbe potuto rinunciare in sede penale, ai fini di un accertamento funzionale ad ottenere una integrale e piena assoluzione. L’Ateneo resistente, infine, ha concluso per la reiezione del ricorso nel merito, in quanto infondato.
E. In data 30 novembre 2017, la difesa del ricorrente ha depositato memoria replicando alle eccezioni e deduzioni dell’Ateneo resistente.
F. All’udienza del 19 dicembre 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio deve preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse e legittimazione ad agire sollevata dalla difesa dell’Ateneo resistente.
2. L’eccezione è palesemente infondata.
2.1. Il Collegio rileva che le deduzioni articolate dall’Ateneo resistente muovono da un presupposto smentito per tabulas, in quanto la stessa sentenza della Corte di Appello di Napoli, III Sezione, del 29/9/2016 attesta inequivocabilmente l’assoluzione piena del ricorrente dal reato di peculato che, come di seguito si andrà ad evidenziare, ha costituito, a suo tempo, il presupposto unico alla base dell’adozione del provvedimento di sospensione dal servizio.
2.2. Nessun accertamento è stato svolto in sede penale quanto alla sussistenza del reato di abuso di ufficio, mai neanche solo contestato al ricorrente, e le considerazioni riferite alla riqualificazione del fatto emergenti dalla predetta sentenza si sostanziano in prospettazioni in ordine ad una configurazione astratta della fattispecie delittuosa, articolate al fine di escluderne, comunque, la procedibilità, stante l’intervenuta prescrizione, in radice prive di idoneità a dispiegare gli effetti pretesi dal resistente Ateneo.
2.3. Vi è di più. L’istanza di riammissione in servizio, come sopra rilevato, è correlata ad una sospensione dal servizio obbligatoria, disposta, ai sensi dell’art. 4 della L. 97/2001, in conseguenza della sentenza di condanna in primo grado riportata dal ricorrente per il reato di peculato e non per quello di abuso di ufficio che, non essendo stato, appunto, mai contestato al -OMISSIS-, non ha costituito oggetto di alcuna valutazione da parte dell’Ateneo e, in ogni caso – come correttamente rilevato dalla difesa del ricorrente – non avrebbe potuto determinare l’adozione di quel provvedimento cautelare, giacché la predetta disposizione, in combinato disposto con l’art. 3 del medesimo testo legislativo, non contempla anche il reato di abuso di ufficio.
2.4. La sussistenza di un interesse concreto e attuale del ricorrente alla proposizione del presente giudizio non può essere, dunque, revocata in dubbio, al pari dell’altra condizione fondamentale dell’azione, evidente essendo la legittimazione del ricorrente – la cui sfera giuridica viene ad essere direttamente e consistentemente incisa dalla determinazione impugnata – pure contestata dalla difesa erariale, sia pure con formulazione del tutto generica.
3. Da quanto precede discende anche l’infondatezza della eccezione di inammissibilità sollevata dall’Ateneo resistente in relazione al primo motivo di ricorso.
4. Il Collegio può, a questo punto, procedere all’esame del ricorso nel merito.
4.1. Merita accoglimento il primo motivo di ricorso con il quale la difesa del ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 3, comma 57, della L. 350/2003 e dell’art. 4, comma 2 della L. 97/2001, nonché censurato il vizio di eccesso di potere.
4.2. L’art. 3, comma 57 della L. 350/2003 e s.m.i. attribuisce al pubblico dipendente sospeso dal servizio, in conseguenza di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento “perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso o se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero con decreto di archiviazione per l’infondatezza della notizia di reato, (…)”, ad ottenere il ripristino del rapporto di impiego per un periodo di tempo pari a quello della disposta sospensione anche oltre i limiti di età previsti dalla legge. 4.3. Chiarito, per le ragioni esposte ai capi precedenti della presente pronuncia, che la sopra indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli reca la piena assoluzione del ricorrente dal reato di peculato, che aveva costituito il fondamento unico dell’applicazione del provvedimento di sospensione obbligatoria dal servizio, emerge che, nel caso che ne occupa, sussistono tutti i presupposti applicativi della suddetta previsione.
4.4. E, invero, la sopra indicata sentenza ha accertato che “con assoluta certezza non vi è stata alcuna acquisizione di denaro pubblico da parte di -OMISSIS-”, escludendo con formulazione inequivoca la sussistenza del reato di peculato (“l’addebito mosso non risponde, quindi, alla condotta prevista dall’attuale formulazione dell’art. 314 c.p.”).
4.5. In presenza di provvedimenti giurisdizionali di cui al comma 57, non è richiesta, dunque, all’amministrazione alcuna valutazione o attività particolari, posto che la stessa è tenuta a porre in essere una attività sostanzialmente vincolata che, in presenza del presupposto e della domanda dell’interessato, consiste in atti che comportino, come prevede il medesimo comma 57, ” il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita e del periodo di servizio non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro, anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento, con il medesimo trattamento giuridico ed economico a cui avrebbe avuto diritto in assenza della sospensione“.
4.6. Giova precisare, peraltro, che il comma 57 della predetta disposizione si esprime testualmente affermando il “diritto” di ottenere, il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, dovendosi pertanto propendere per una qualificazione della situazione giuridica dell’interessato in termini di diritto soggettivo (in questo senso, si è espressa la giurisprudenza anche del Giudice d’Appello con orientamento univoco: cfr. ex multis, 26 giugno 2011, n. 3842; 26 gennaio 2009 n. 409; 6 maggio 2008 n. 2063).
4.7. Del tutto inconferenti si palesano, quindi, le deduzioni di parte resistente riferite ad un reato diverso da quello che ha determinato la sospensione obbligatoria, per il quale la sospensione obbligatoria non è legislativamente prevista, mai contestato all’interessato ed in relazione al quale non è stato pertanto svolto nessun accertamento o valutazione.
5. Per completezza di analisi, il Collegio ritiene di rimarcare che l’applicazione del comma 57 della disposizione sopra indicata è sorretta dal carattere definitivo della sentenza della Corte di Appello di Napoli, divenuta incontrovertibile a seguito del passaggio in giudicato. La medesima disposizione, nella formulazione conseguente alle modifiche introdotte con il d.l. n. 66 del 2004, trova, inoltre, applicazione anche quanto ai provvedimenti che dichiarano non doversi procedere per una causa estintiva del reato pronunciati dopo una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso o perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, sicché, a fortiori, va affermato il diritto del dipendente pubblico, ingiustamente sospeso dal servizio, alla reintegrazione nei casi in cui, come nella fattispecie, la procedibilità è stata esclusa in relazione ad un reato mai contestato ed accertato ed in relazione al quale l’interessato non ha esercitato alcuna difesa.
6. L’accoglimento della censura proposta in via principale dal ricorrente giustifica l’assorbimento delle deduzioni articolate in via di subordine, dovendosi conseguentemente affermare il diritto del ricorrente al ripristino del rapporto di lavoro cessato per il collocamento a riposo per raggiunti limiti di età ed al contestuale prolungamento dello stesso per un periodo pari a quello della sospensione patita.
7. Del pari, merita accoglimento anche l’ulteriore azione proposta per l’accertamento del diritto del ricorrente alla ricostruzione della posizione giuridica ed economica pregiudicate dalla disposta sospensione dal servizio, anche agli effetti previdenziali e del trattamento di fine rapporto, con la conseguente condanna dell’intimata Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” al pagamento degli arretrati retributivi dovuti, maggiorati di interessi legali.
7.1. In conformità all’art. 97 del d.P.R. n. 3 del 1957, che trova applicazione nella fattispecie in forza del rinvio recato dall’art. 12, comma 2 della l. n. 311 del 1958, va riconosciuto all’interessato – come chiarito anche dalla sentenza dell’A.P. n. 2 del 2002, peraltro richiamata dalla stessa difesa del ricorrente – il diritto “al ripristino dello status quo ante e l’obbligo dell’amministrazione di far luogo ad una ricostruzione sotto ogni profilo giuridico, previdenziale, economico con tutti gli accessori, con riferimento ai periodi durante i quali la prestazione lavorativa non è stata eseguita”.
7.2. Al riguardo, inoltre, il Collegio evidenzia che l’Ateneo resistente non ha ritenuto di avviare successivamente alla sentenza della Corte di Appello di Napoli alcun procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, dovendosi quindi escludere la sussistenza di circostanze ostative al predetto riconoscimento.
7.3. Alla luce di quanto precede, va disposta la condanna dell’Ateneo resistente a procedere alla ricostruzione della posizione del ricorrente incisa dal periodo di sospensione ingiustamente sofferto, ai fini giuridici ed economici, inclusi i profili previdenziali e quelli riferiti al trattamento di fine rapporto, con conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento di tutte le somme arretrate dovute, maggiorate di interessi legali e rivalutazione monetaria.
7.4. Sulle somme risultanti dalla restitutio in integrum spettano al ricorrente interessi e rivalutazione monetaria, dalla data di maturazione del diritto e fino al soddisfo. Gli interessi e la rivalutazione monetaria devono essere calcolati separatamente sull’importo nominale del credito e, quindi, sulla somma dovuta quale rivalutazione non vanno calcolati né gli interessi legali, né la rivalutazione ulteriore (Cons. Stato, Sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181). Ciò con l’ulteriore precisazione, conformemente alle statuizioni di cui all’A.P. n. 18 del 2012, che la base di calcolo da prendere in considerazione per la valutazione di interessi e rivalutazione monetaria di somme arretrate dovute a titolo retributivo deve essere individuata al netto delle ritenute fiscali e previdenziali.
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie e per l’effetto:
annulla il provvedimento rettorale del 04/04/2017, prot. n. 31945;
accerta il diritto del ricorrente alla ricostruzione della posizione giuridica ed economica, anche agli effetti previdenziali e del trattamento di fine rapporto, con la conseguente condanna dell’intimata Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” al pagamento degli arretrati retributivi dovuti, maggiorati di interessi legali e svalutazione monetaria fino all’effettivo soddisfo.
Condanna l’Università degli Studi di Napoli “[#OMISSIS#] II” al pagamento delle spese di lite, liquidate complessivamente in euro 2.000,00 (duemila/00) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] Dell’Olio, Consigliere
[#OMISSIS#] Bruno, Consigliere, Estensore
Pubblicato il 17/01/2018
IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.