Non comporta l’obbligo di astensione di un componente la Commissione giudicatrice di concorso a posti di professore universitario la circostanza che un commissario e un candidato abbiano pubblicato insieme una o più opere, tenuto conto che si tratta di ipotesi ricorrente nella comunità scientifica, rispondendo alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca sempre più articolati e complessi, sì da rendere in alcuni settori disciplinari, estremamente difficile, se non impossibile formare le commissioni esaminatrici in cui tali collaboratori non siano presenti, per cui non ogni forma di rapporto professionale o collaborazione scientifica tra commissario e candidato costituisce ipotesi d’incompatibilità ma soltanto quella in cui la comunanza di interessi economici o di vita sia di intensità tale da far sorgere il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva ma motivata dalla conoscenza personale.
TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 1 ottobre 2019, n. 742
Assegno di ricerca-Incompatibilità
N. 00742/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00943/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 943 del 2015, proposto da
[#OMISSIS#] Bocchini, rappresentata e difesa dagli avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Massimo [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Bologna, via San Gervasio 10;
contro
Università degli Studi di Bologna, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni 6;
per l’annullamento
del decreto del 16.7.2015 adottato dal Direttore del Dipartimento di chimica “[#OMISSIS#] Ciamician” dell’Università di Bologna con cui sono stati annullati gli atti della selezione pubblica per l’attribuzione di un assegno di ricerca;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 settembre 2019 il dott. [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori Massimo [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ricorrente è ricercatore presso il Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Bologna dal 2004 e dal 2002 è socia e consigliere di amministrazione della società “spin off” Analytical Research Systems s.r.l.
Con bando nel 2011 il Dipartimento di Chimica ha indetto la selezione pubblica per l’attribuzione di n. 1 assegno di ricerca della durata di 24 mesi nell’ambito del progetto “sviluppo di tecniche GC/MS per la determinazione di antimuffa“, con tutor individuato dalla struttura nel prof. Guido [#OMISSIS#].
Il progetto sarebbe stato finanziato con fondi derivanti da convenzione stipulata tra il Dipartimento di Chimica e la società spin off; la ricorrente partecipò alla selezione con altra concorrente che la Commissione giudicatrice non ammise in carenza dei titoli di studio necessari e avendo superato le prove fu dichiarata vincitrice del concorso.
In data 20 11 2011 la ricorrente ha iniziato a svolgere la propria attività di ricerca nell’ambito del progetto assegnato.
Il Dipartimento di Chimica, con il provvedimento impugnato, ha annullato in sede di autotutela gli atti della procedura della selezione per l’attribuzione dell’assegno di ricerca, in quanto il prof. [#OMISSIS#], amministratore con la ricorrente della società di spin off, aveva ricoperto il ruolo di Presidente della Commissione.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 21 nonies, comma 1, L. 241/1990 poiché non sarebbe stato indicato lo specifico interesse pubblico attuale, diverso dal mero ripristino della legalità, che giustificherebbe l’esercizio dell’autotutela, tenuto conto oltretutto dell’affidamento ingenerato medio tempore.
Inoltre l’annullamento d’ufficio deve intervenire entro un termine ragionevole che la L. 124/2015, entrata in vigore pochi mesi dopo l’emanazione dell’atto impugnato, ha fissato in diciotto mesi, termine che, seppur non applicabile al caso di specie, è comunque indicativo dell’illegittimità di una valutazione adottata quattro anni dopo l’attribuzione dell’assegno di ricerca.
Tale ritardo non è giustificato da una mancata conoscenza da parte dell’Università dell’esistenza dei presupposti per cui il presidente della Commissione avrebbe dovuto astenersi, come affermato nel provvedimento, poiché l’Università era a conoscenza, fin dal 2002, di quale fosse la compagine societaria di ARS, essendo da quell’anno socia di ARS con un suo rappresentante nel Consiglio di Amministrazione.
Manca l’interesse pubblico all’annullamento degli atti della procedura selettiva in quanto l’assegno di ricerca è interamente finanziato dalla società ARS senza esborso di denaro pubblico.
Il secondo motivo censura l’inesistenza della violazione delle norme indicate nel provvedimento impugnato e cioè l’art. 11, comma 1, DPR 487/1994. l’art. 51 c.p.c., l’art. 5 comma 9 del decreto del Rettore dell’Università di Bologna n. 416/2011.
L’obbligo di astensione di cui al citato art. 51 sussiste in caso di parentela fino al quarto grado o altro tipo di legame; in presenza di grave inimicizia, rapporti di credito o debito, o laddove il commissario sia amministratore di una società che ha interesse nella causa.
Nel caso di specie non è provata la dedotta esistenza di rapporti di debito-credito tra il presidente della Commissione giudicatrice e la ricorrente e gli stessi non si possono ricavare dallo status di socio per entrambi in ARS poichè la posizione della ricorrente in Ars era ben nota all’Università fin dal 2002 e tale circostanza non ha mai indotto l’amministrazione resistente a provvedere tempestivamente.
Non viene spiegato perchè il comune status di socio in ARS avrebbe condizionato lo svolgimento della procedura selettiva annullata dal momento che essere soci della medesima società non è certo fattispecie che comprova un rapporto di credito o di debito tra i due soci.
Per giurisprudenza amministrativa [#OMISSIS#], le cause d’incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c. sono tassative e non sono quindi passibili di estensione analogica e l’Università non ha compiuto alcuna verifica nella direzione supposta nel provvedimento.
Non si è, inoltre, considerata la circostanza che ARS è uno spin off dell’Università, costituito ai sensi dell’art. 2 D.lgs. 297/1999 all’interno del quale dunque è fisiologica e necessaria la compartecipazione di professori, ricercatori universitari e titolari di assegni di ricerca.
Per quanto concerne eventuali [#OMISSIS#] di interesse, la legge demanda ai regolamenti universitari il compito di disciplinare le procedure autorizzative nonché le limitazioni alla partecipazione.
Nel caso di specie il D.R. 6.6.2002, n. 180 ha stabilito che — oltre ai soci proponenti — possano partecipare al capitale sociale degli spin off i titolari di assegni di ricerca i quali dunque possono svolgere attività retribuita o non a favore dello spin off, previo parere del tutor, su autorizzazione del Consiglio del Dipartimento.
Nella realtà degli spin off anche dell’Università resistente è prassi che i contratti per assegni di ricerca vengano stipulati con assegnisti che sono al contempo soci/amministratori di spin off, a seguito di procedure concorsuali nelle quali le commissioni comprendono quasi sempre componenti che sono contemporaneamente soci e/o amministratori dello stesso spin off.
L’Università di Bologna si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso non può essere accolto.
Sul piano logico è opportuno innanzitutto verificare se sussiste il primo presupposto dell’annullamento d’ufficio e cioè l’illegittimità dell’atto.
La ricorrente nega che il Presidente della Commissione che doveva attribuire l’assegno di ricerca fosse in una situazione di incompatibilità per essere contestualmente il presidente della s.r.l. ARS spin off cui partecipava anche l’Università.
La questione è stata già affrontata da questo giudice nel ricorso proposto dal Prof. [#OMISSIS#] avverso la sanzione disciplinare inflittagli dall’Università e deciso con la sentenza 981/2016 di cui è opportuno riportare il passo che affronta la sussistenza o meno dell’incompatibilità: “Esiste ormai un ventaglio ampio di condotte esaminate sul piano giurisprudenziale circa le situazioni di incompatibilità nell’ambito di concorsi universitari.
Si possono riportare due massime delle sentenze 982/2015 e 2173/2014 del TAR Lazio che sintetizzano il punto di arrivo sulla questione; la prima: “Non comporta l’obbligo di astensione di un componente la Commissione giudicatrice di concorso a posti di professore universitario la circostanza che un commissario e un candidato abbiano pubblicato insieme una o più opere, tenuto conto che si tratta di ipotesi ricorrente nella comunità scientifica, rispondendo alle esigenze dell’approfondimento dei temi di ricerca sempre più articolati e complessi, sì da rendere in alcuni settori disciplinari, estremamente difficile, se non impossibile formare le commissioni esaminatrici in cui tali collaboratori non siano presenti, per cui non ogni forma di rapporto professionale o collaborazione scientifica tra commissario e candidato costituisce ipotesi d’incompatibilità ma soltanto quella in cui la comunanza di interessi economici o di vita sia di intensità tale da far sorgere il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva ma motivata dalla conoscenza personale.”; la seconda: “Sussiste una causa di incompatibilità – con conseguente obbligo di astensione – per il componente di una commissione giudicatrice di concorso universitario ove risulti dimostrato che fra lo stesso e un candidato esista un rapporto di natura professionale con reciproci interessi di carattere economico ed una indubbia connotazione fiduciaria.”.
Pertanto nel caso di specie l’obbligo di astensione sussisteva a carico del prof. [#OMISSIS#] in quanto le due assegniste, da lui giudicate nei concorsi incriminati, erano anche le socie nella società spin off ARS da loro costituita e che comportava interessi economici costituiti quanto meno dal notevolissimo aumento del valore di mercato delle quote sociali rispetto al valore nominale.”.
La necessità di valutare situazioni di incompatibilità, anche laddove gli assegni di ricerca sono finanziati da società di spin off, deriva dal fatto che comunque si tratta di un’attribuzione fatta da un ente pubblico come l’Università che necessità di una selezione pubblica.
La circostanza che il denaro per retribuire l’assegnista prescelto provenga da un soggetto privato aumenta la necessità che il procedimento offra ogni garanzia che non si tratti di una sorta di affidamento in house.
L’illegittimità del giudizio finale della Commissione giudicatrice per mancata astensione del prof. [#OMISSIS#] è, quindi, indubitabile.
Né può inficiare tale conclusione il fatto che la ricorrente ha documentato situazione analoghe a quella censurata con l’atto di autotutela, per le quali l’Università non ha seguito un’analoga linea di condotta.
Tale circostanza, già emersa nel giudizio promosso dal prof. [#OMISSIS#] e conclusosi con la sentenza 981/2016, non è in questo caso rilevante; mentre il comportamento non uniforme dell’Università ha fatto ritenere contraria al principio di proporzionalità della sanzione la misura della sospensione inflitta al prof. [#OMISSIS#], il mancato esercizio dell’autotutela in casi prospettati come analoghi non può essere considerato una sorta di disparità di trattamento. Tale elemento sintomatico dell’eccesso di potere si può apprezzare di fronte a situazioni fisiologiche e non patologiche.
Passando agli altri due requisiti per l’esercizio dell’autotutela, quanto all’interesse pubblico esso deve ravvisarsi nella necessità di non continuare a retribuire un’assegnista scelta con una procedura invalida. Diversamente da altre situazioni dove l’atto annullato produce effetti istantaneamente che si consolidano nel tempo, in un rapporto di durata gli effetti del provvedimento si producono in modo continuo per tutto il tempo di esistenza.
Non a caso l’annullamento non ha comportato la restituzione delle somme già corrisposte, ma ha inteso impedire il protrarsi di una situazione di illegittimità che avrebbe continuato a produrre nuovi effetti non già consolidati al momento dell’emanazione dell’atto.
Per la stessa ragione non sussiste neanche la tardività prospettata, al di là di ogni considerazione sull’epoca in cui l’Università si sarebbe dovuta accorgere del mancato rispetto dell’obbligo di astensione.
Nella sentenza prima richiamata era stata prospettata la stessa censura che all’epoca non fu accolta in considerazione della complessa organizzazione di un Ateneo che può portare ad una difficoltà di valutazione complessiva di una situazione; in questa sede la memoria della difesa erariale tende a fornire elementi che rafforzino tale convincimento, ma il Collegio è portato a ritenere che l’Università avrebbe potuto adottare più tempestivamente l’atto contestato in questa sede.
Ma il punto decisivo è lo stesso che è stato appena illustrato per affermare che sussiste un interesse pubblico diverso dal mero ripristino della legalità: siamo di fronte ad un rapporto che continua a produrre effetti per tutta la sua durata poiché l’assegno viene corrisposto sulla base di ratei che, al di là della liquidazione che dipende da norme interne dell’Università, maturano con lo scorrere del tempo.
In queste situazioni la tardività non sussiste poiché l’esborso illegittimo di denaro amministrato da un ente pubblico ( non rileva a questo titolo il fatto che la provvista per pagare l’assegno fosse stata finanziata da ARS ), va interrotto non appena l’Amministrazione ne prende consapevolezza. E non importa che l’Università avrebbe potuto ragionevolmente esercitare in precedenza il potere di autotutela, perché ciò avrebbe comportato solo una cessazione anteriore della corresponsione dell’assegno senza che il mancato più celere esercizio rilevi ai fini della qualificazione come tardivo del provvedimento impugnato.
Il ricorso va respinto, ma la condotta dell’Università che non è stata limpida in questa vicenda, sia per il ritardo nel valutare l’incompatibilità sia per l’inerzia mantenuta a fonte di situazioni analoghe, giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Di [#OMISSIS#], Presidente
Umberto [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 01/10/2019