TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, 17 novembre 2021, n. 342

Rapporto fra disciplina nazionale sugli RTDA e il diritto europeo - rapporto fra la disciplina nazionale sugli RTDA e la Costituzione

Data Documento: 2021-11-17
Area: Giurisprudenza
Massima

Circa la sospetta incompatibilità della disciplina nazionale sui ricercatori universitari di “tipo A” (art. 24, comma 3, lett. a della l. 240 del 2010) con la direttiva 1999/70/CE e i principi ivi sanciti in materia di rapporto di lavoro a termine, le medesime questioni sono state oggetto di una recente ordinanza di rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea (Tar Lazio, sez. III, 3 aprile 2019, n. 4336), riportata per ampi stralci dallo stesso ricorrente nel proprio atto introduttivo e sulla quale si è di recente pronunciata la Corte di giustizia (sez. VII, 3 giugno 2021, C-326/19). In tale sede, la Corte ha disposto che “la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo massimo di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse «per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti», e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla «positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte», senza che sia necessario che tale normativa stabilisca i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine”. Secondo il giudice europeo, il rapporto di lavoro dei ricercatori di “tipo A” rientra senz’altro nel campo di applicazione dell’Accordo quadro (di cui alla direttiva 1999/70/CE) quando il relativo contratto sia stato oggetto della proroga biennale prevista dall’art. 24, comma 3 lett. a), venendo in tal caso in rilievo “una successione di due contratti a tempo determinato”. Ritiene però che i meccanismi correttivi previsti dalla disciplina nazionale siano sufficienti a prevenire l’utilizzo abusivo del contratto di lavoro a tempo determinato e si collochino all’interno del margine di discrezionalità lasciato agli stati dallo stesso Accordo quadro. In particolare, “nel caso di specie, occorre constatare che l’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010 stabilisce non solo un limite per quanto riguarda la durata massima del contratto a tempo determinato dei ricercatori universitari nella categoria cui appartiene EB, ma anche per quanto riguarda il numero possibile di rinnovi di tale contratto. Più precisamente, relativamente al contratto di tipo A, tale legge fissa la durata massima del contratto a tre anni e autorizza una sola proroga limitata a una durata di due anni. Pertanto, l’articolo 24, comma 3, della legge n. 240/2010 contiene due delle misure indicate alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, ossia limiti riguardanti la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero di possibili rinnovi”. La disciplina del rapporto di lavoro dei ricercatori di “tipo A” non presenta, dunque, di per sé, profili di diretto contrasto con la disciplina europea sul contratto a termine, tenuto conto delle specificità del settore universitario.

In relazione ai sospetti profili di incostituzionalità della disciplina detta dalla l. 240 del 2010 con riferimento a principi di diritto interno e in particolare quello di ragionevolezza delle scelte legislative, il principio di promozione della cultura e della ricerca scientifica (art. 9 Cost.), della libertà di insegnamento (art. 33 Cost.), si evidenzia che non emergono profili di evidente irragionevolezza nella previsione di una figura di ricercatore (il ricercatore di “tipo A”) strutturalmente inquadrato a tempo determinato e che potrebbe non riuscire a proseguire il proprio rapporto con l’Università, pur dopo aver svolto un periodo significativo di servizio e avere acquisito particolare qualificazione ed esperienza. Come affermato di recente da Corte cost., 24 luglio 2020, n. 165, “la posizione del ricercatore di tipo A corrisponde al passaggio intermedio fra la posizione del titolare di assegno di dottorato o di post-dottorato e la carriera accademica, ed è destinata ad aprire l’accesso alla posizione di ricercatore di tipo B.”. Tale figura di ricercatore, dunque, lungi dall’essere configurata come intrinsecamente e necessariamente “precaria”, rappresenta un passaggio dell’iter di accesso alla carriera accademica e del sistema di reclutamento dei professori universitari. Il fatto che ciò non avvenga automaticamente, ma all’esito di ulteriori procedure selettive, determinandosi quindi una progressiva restrizione della platea di soggetti titolati all’avanzamento, non può essere considerato un elemento di irrazionalità del sistema, essendo posto a garanzia della sempre più elevata qualificazione richiesta ai fini del prosieguo della carriera accademica e, quindi, al fine di perseguire la qualità dell’insegnamento e della ricerca. Non si rinvengono, infine, profili di incompatibilità tra la natura subordinata del rapporto di lavoro dei ricercatori e i principi costituzionali che garantiscono la cultura, la ricerca e la libertà di insegnamento. Da un lato, infatti, l’assoggettamento ad un potere direttivo non implica necessariamente una diretta ingerenza sul contenuto dell’insegnamento e sugli obiettivi di ricerca. Al contempo, la natura “a termine” dell’incarico di ricercatore si esplica pur sempre all’interno di un orizzonte temporale (tre anni, prorogabili ad altri due) senz’altro compatibile con l’attività di ricerca scientifica e le sue tempistiche.

Contenuto sentenza

N. 00342/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00089/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 89 del 2021, proposto da 
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
contro
Università degli Studi Trieste, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], 3; 
per l’accertamento
del diritto del ricorrente ad essere assunto a tempo indeterminato come ricercatore e ad essere sottoposto alla procedura di valutazione di cui all’art. 24, comma 5, della l. n. 240 del 2010
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Trieste;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2021 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Visto l’art. 36, co. 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente agisce per il riconoscimento del diritto ad ottenere l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’Università di Trieste, presso la quale ha prestato servizio in qualità di ricercatore a tempo determinato ai sensi dell’art. 24, comma 3, lett. a) della l. n. 240 del 2010 (per tre anni, successivamente prorogati di altri due), oltre ad essere titolare di diversi assegni di ricerca e rapporti di collaborazione di [#OMISSIS#] tipo (per ulteriori tre anni e quattro mesi). 
2. Il presente giudizio è dunque volto a censurare la disciplina del rapporto di lavoro dei ricercatori universitari (cui è stato anche impedito di beneficiare delle procedure di stabilizzazione previste per il personale a tempo determinato dal d.lgs. 75 del 2017), per plurimi [#OMISSIS#] di contrarietà con la Costituzione e con il diritto sovranazionale. Sono dedotti, in particolare, i seguenti motivi:
I) “In via principale: violazione del diritto europeo e dell’art.117, comma 1, Cost.” Il ricorrente rileva che la disciplina applicabile ai ricercatori universitari contrasta con gli obblighi derivanti dalla direttiva n. 1999/70/CE del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, applicabile indifferentemente dalla natura pubblica e privata del rapporto di lavoro (e dalla relativa disciplina), che limita fortemente il ricorso ai contratti a tempo determinato. Per i ricercatori universitari, infatti, è dettata una disciplina del tutto derogatoria rispetto alla normazione eurounitaria e ai relativi principi: la l. 240 del 2010 individua quale tipologia contrattuale standard del ricercatore quella a tempo determinato, cui può farsi ricorso del tutto indipendentemente da esigenze temporanee o eccezionali, con un limite di durata superiore a quello applicabile a tutti gli altri settori (cinque anni), senza alcuna aspettativa di stabilizzazione successiva, né alcuna possibilità di accedere a meccanismi di conversione del rapporto in [#OMISSIS#] di abusi. Anche il limite complessivamente sancito dalla legge alla reiterazione di rapporti di lavoro a tempo determinato (art. 22, comma 9, della l. 240 del 2010), pari a dodici anni, appare del tutto inadeguato ad una effettiva protezione del lavoratore. Si tratta dunque di una disciplina del rapporto fortemente discriminatoria per la posizione dei ricercatori, anche [#OMISSIS#] comparazione con quella di altri lavoratori del settore pubblico e, in particolare, con quella dei ricercatori degli enti pubblici di ricerca, che hanno potuto beneficiare della stabilizzazione di cui al d.lgs. 75 del 2017. Il ricorrente dà atto che, proprio per queste ragioni, sia il Tar del Lazio che il Consiglio di Stato hanno sollevato dubbi in ordine alla compatibilità con la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, rimettendo questione pregiudiziale alla Corte di giustizia UE e invita l’adito Tar Friuli-[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] ad operare analoga rimessione.
II) “Sempre in via principale: incostituzionalità dell’art. 24, comma 3, della l. n. 240 del 2010 per violazione degli artt. 3, 9, comma 1, 33, comma 1, Cost.”. La disciplina di cui all’art. 24 della l. 240 del 2010 appare del tutto irragionevole nel determinare l’interruzione del rapporto con il ricercatore – soggetto vincitore di apposito concorso, che ha maturato esperienza nell’incarico e, in [#OMISSIS#] di proroga, ha visto valutata positivamente la propria attività – anche dopo un periodo di sessanta mesi, con frustrazione del principio lavoristico, della dignità della persona, nonché con innegabile dispersione dell’investimento effettuato dall’Università sulla sua formazione. Sotto altro profilo, l’incostituzionalità emerge dalla qualificazione del rapporto di lavoro come “subordinato”, quindi soggetto al potere direttivo del datore, dato radicalmente incompatibile con il principio della “libertà” della scienza.
III) “Sempre in via principale: incostituzionalità dell’art. 24, commi 5 e 6, della l. . 240 del 2010, [#OMISSIS#] parte in cui non prevede la possibilità per i ricercatori di tipo a che abbiano ottenuto l’a.s.n. di essere valutati ai fini della chiamata nel ruolo dei professori associati. Violazione del diritto europeo”. Il ricorrente evidenzia che la l. 240 del 2010 discrimina i ricercatori di tipo A da quelli di tipo B e dai ricercatori a tempo indeterminato, giacché solo ai primi è precluso l’accesso alle procedure di stabilizzazione previste dall’art. 24, comma 5 per chi – come il ricorrente – abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale come professore di seconda fascia. In chiave sovranazionale, la diversità di disciplina tra le varie categorie di ricercatori contrasta con il principio di parità di trattamento tra lavoratori comparabili sancito dall’accordo quadro di cui alla direttiva 1999/70/CE. I [#OMISSIS#] discriminatori sarebbero accentuati dal rilievo per cui la diversità di trattamento è tutta interna al settore universitario.
3. L’Università ha eccepito il difetto di giurisdizione dell’adito Tribunale con riferimento all’attività prestata dal ricorrente quale collaboratore di ricerca ed in qualità di assegnista di ricerca, ai sensi dell’articolo 22 l. 240/2010. Ha inoltre eccepito la carenza di legittimazione, per non avere lo stesso alcun rapporto in essere con l’Università e per non avere tempestivamente impugnato provvedimenti asseritamente lesivi.
3.1. Nel merito ha argomentato per l’infondatezza del ricorso, sottolineando come il rapporto di lavoro del ricorrente si sia svolto tutto all’interno della cornice normativa e dei limiti temporali ivi disposti ed evidenziando i [#OMISSIS#] di specialità del rapporto proprio dei ricercatori universitari.
4. Con memoria del 24.09.2021, il ricorrente ha domandato al Tribunale di sospendere il giudizio in attesa della pronuncia della Corte di giustizia sulla questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato con ordinanza sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2376 o di sollevare analoga questione.
5. All’udienza del 27.10.2021 le parti hanno discusso come da verbale.
6. Il Tribunale ritiene di poter definire in parte il presente giudizio, con riferimento in particolare al primo e al secondo motivo di ricorso, sospendendolo invece – con separata ordinanza – per quanto attiene al terzo motivo, che ha riguardo a specifici [#OMISSIS#] della legge 240 del 2010 attualmente sottoposti alla cognizione del [#OMISSIS#] europeo.
7. Appaiono manifestamente infondate le preliminari eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dalla difesa erariale. 
7.1. Quanto alla giurisdizione, essa deve affermarsi in forza dell’art. 63, comma 4 del d.lgs. 165 del 2001 e dell’art. 133, comma 1, lett. i) del c.p.a., che sottopongono alla giurisdizione esclusiva del [#OMISSIS#] amministrativo i rapporti in regime di diritto pubblico (art. 3 del d.lgs. 165 del 2001), tra cui quello dei ricercatori universitari. Non è poi possibile scindere, nell’ambito di un unitario giudizio di accertamento del rapporto, i periodi di servizio svolti dal ricorrente in qualità di assegnista di ricerca o collaboratore ad altro titolo, che sono peraltro valorizzati dal ricorrente, senza alcun connotato di autonomia, quali semplici passaggi argomentativi per sostenere la fondatezza della pretesa ad essere inquadrato a tempo indeterminato.
7.2. Irrilevante appare poi il fatto che il ricorrente abbia esaurito il proprio servizio presso l’Università, [#OMISSIS#] egli proprio alla costituzione ex novo di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la stessa amministrazione. Infine, la natura esclusiva della giurisdizione amministrativa in materia, di cui si è detto al punto che precede, rende irrilevante ogni profilo inerente alla pregressa mancata impugnazione di atti relativi al rapporto.
8. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l’incompatibilità della disciplina nazionale sui ricercatori universitari di “tipo A” (art. 24, comma 3, lett. a della l. 240 del 2010) con la direttiva 1999/70/CE e i principi ivi sanciti in materia di rapporto di lavoro a [#OMISSIS#]. Le medesime questioni sono state oggetto di una recente ordinanza di rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea (Tar Lazio, sez. III, 3 aprile 2019, n. 4336), riportata per ampi stralci dallo stesso ricorrente nel proprio atto introduttivo e sulla quale si è di recente pronunciata la Corte di giustizia (sez. VII, 3 giugno 2021, C-326/19).
8.1. La Corte ha disposto che “la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo [#OMISSIS#] di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse «per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti», e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla «positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte», senza che sia necessario che tale normativa stabilisca i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza [#OMISSIS#], se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine”.
8.2. Secondo il [#OMISSIS#] europeo, il rapporto di lavoro dei ricercatori di “tipo A” rientra senz’altro nel campo di applicazione dell’Accordo quadro (di cui alla direttiva 1999/70/CE) quando il relativo contratto sia stato oggetto della proroga biennale prevista dall’art. 24, comma 3 lett. a), venendo in tal [#OMISSIS#] in rilievo “una successione di due contratti a tempo determinato”. Ritiene però che i meccanismi correttivi previsti dalla disciplina nazionale siano sufficienti a prevenire l’utilizzo abusivo del contratto di lavoro a tempo determinato e si collochino all’interno del margine di discrezionalità lasciato [#OMISSIS#] stati dallo stesso Accordo quadro. 
8.3. In particolare, “nel [#OMISSIS#] di specie, occorre constatare che l’articolo 24, comma 3, lettera a), della legge n. 240/2010 stabilisce non solo un limite per quanto riguarda la durata massima del contratto a tempo determinato dei ricercatori universitari [#OMISSIS#] categoria cui appartiene EB, ma anche per quanto riguarda il numero possibile di rinnovi di tale contratto. Più precisamente, relativamente al contratto di tipo A, tale legge fissa la durata massima del contratto a tre anni e autorizza una sola proroga limitata a una durata di due anni. Pertanto, l’articolo 24, comma 3, della legge n. 240/2010 contiene due delle misure indicate alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, ossia limiti riguardanti la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero di possibili rinnovi”.
8.4. La disciplina del rapporto di lavoro dei ricercatori di “tipo A” non presenta, dunque, di per sé, [#OMISSIS#] di diretto contrasto con la disciplina europea sul contratto a [#OMISSIS#], tenuto conto delle specificità del settore universitario. Ne consegue l’infondatezza del primo motivo.
9. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce plurimi [#OMISSIS#] di incostituzionalità della disciplina detta dalla l. 240 del 2010 con riferimento a principi di diritto interno e in particolare quello di ragionevolezza delle scelte legislative, il principio di promozione della cultura e della ricerca scientifica (art. 9 Cost.), della libertà di insegnamento (art. 33 Cost.).
9.1. Anche questo motivo appare infondato. Si evidenzia, infatti, che non emergono [#OMISSIS#] di evidente irragionevolezza [#OMISSIS#] previsione di una figura di ricercatore (il ricercatore di “tipo A”) strutturalmente inquadrato a tempo determinato e che potrebbe non riuscire a proseguire il proprio rapporto con l’Università, pur dopo aver svolto un periodo significativo di servizio e avere acquisito particolare qualificazione ed esperienza.
9.2. Come affermato di recente da Corte cost., 24 luglio 2020, n. 165, “la posizione del ricercatore di tipo A corrisponde al passaggio intermedio fra la posizione del titolare di assegno di dottorato o di post-dottorato e la carriera accademica, ed è destinata ad aprire l’accesso alla posizione di ricercatore di tipo B.”. Tale figura di ricercatore, dunque, lungi dall’essere configurata come intrinsecamente e necessariamente “precaria”, rappresenta un passaggio dell’iter di accesso alla carriera accademica e del sistema di reclutamento dei professori universitari. Il fatto che ciò non avvenga automaticamente, ma all’esito di ulteriori procedure selettive, determinandosi quindi una progressiva restrizione della platea di soggetti titolati all’avanzamento, non può essere considerato un elemento di irrazionalità del sistema, essendo posto a garanzia della sempre più elevata qualificazione richiesta ai fini del prosieguo della carriera accademica e, quindi, al fine di perseguire la qualità dell’insegnamento e della ricerca.
9.3. Non si rinvengono, infine, [#OMISSIS#] di incompatibilità tra la natura subordinata del rapporto di lavoro dei ricercatori e i principi costituzionali che garantiscono la cultura, la ricerca e la libertà di insegnamento. Da un lato, infatti, l’assoggettamento ad un potere direttivo non implica necessariamente una diretta ingerenza sul contenuto dell’insegnamento e sugli obiettivi di ricerca. Al contempo, la natura “a [#OMISSIS#]” dell’incarico di ricercatore si esplica pur sempre all’interno di un orizzonte temporale (tre anni, prorogabili ad altri due) senz’altro compatibile con l’attività di ricerca scientifica e le sue tempistiche.
10. Quanto al terzo motivo, esso valorizza [#OMISSIS#] della disciplina interna – in particolare in punto di disparità di trattamento tra le varie tipologie di ricercatori – che sono già stati oggetto di un’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (Cons. Stato, sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2376) attualmente pendente
10.1. Il [#OMISSIS#] di appello ha infatti domandato al [#OMISSIS#] europeo di pronunciarsi sulla compatibilità tra “la clausola 4 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n.1999/70/CE, «Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato», intitolata «Principio di non discriminazione», letta unitamente [#OMISSIS#] articoli 20 e 21 del Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ed anche alla luce dei principi di equivalenza e di effettività” e la normativa nazionale (articoli 24, commi 5 e 6, della l. n. 240 del 2010), [#OMISSIS#] parte in cui “riconosce ai ricercatori a tempo determinato di cui all’art. 24, comma 3, lett. b), che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale di cui all’art. 16 della medesima legge, e ai ricercatori a tempo indeterminato, che parimenti abbiano conseguito la predetta abilitazione, rispettivamente il diritto e la possibilità (implementata con l’assegnazione di apposite risorse) di essere sottoposti – i primi alla scadenza del contratto, i secondi fino al 31 dicembre 2021 – ad un’apposita procedura di valutazione per la chiamata nel ruolo dei professori associati, mentre nessun diritto né possibilità analoghi vengono riconosciuti ai ricercatori a tempo determinato di cui all’art. 24, comma 3, lett. a), in possesso della abilitazione scientifica nazionale, malgrado si tratti di lavorato richiamati a svolgere, tutti indistintamente, identiche mansioni”.
10.2. Vista l’istanza presentata dal ricorrente e alla luce di ragioni di economia processuale, il Tribunale ritiene di attendere il pronunciamento del [#OMISSIS#] sovranazionale, sospendendo il giudizio in parte qua con separata ordinanza.
11. Ogni determinazione in punto di spese di lite sarà [#OMISSIS#] con la sentenza definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (Sezione Prima), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge in parte (primo e secondo motivo di ricorso).
Rinvia a separata ordinanza per la sospensione del giudizio, per la parte non definita.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.
Così deciso in Trieste [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 27 ottobre 2021 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 17/11/2021