N. 07383/2020 REG.PROV.COLL.
N. 15504/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 15504 del 2016, proposto da
[#OMISSIS#] Buscemi, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] Affinito e [#OMISSIS#] Grisostomi Travaglini, elettivamente domiciliato in Roma, via Civitavecchia, 7, presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] Grisostomi Travaglini;
contro
Guardia di finanza e Ministero dell’economia e delle finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Università degli studi internazionali di Roma Unint, Formit Fondazione per la ricerca sulla migrazione e sulla integrazione delle tecnologie, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento prot. 438369 del 07.10.2016 recante in oggetto il recupero somme per attività private extraprofessionali svolte dal ricorrente negli anni 2010/2013
e per l’accertamento
della non debenza delle domande richieste con il predetto provvedimento n. 438369/2016
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Guardia di finanza e del Ministero dell’economia e delle finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Considerato che la pubblica udienza si è svolta, ai sensi dell’art. 84 comma 5 d. l. n. 18/2020, come modificato dal d. l. n. 28/2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13/03/2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 giugno 2020 la dott.ssa [#OMISSIS#] Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente, già appuntato della Guardia di finanza ora in congedo, impugna il provvedimento indicato in epigrafe con il quale la Guardia di finanza lo ha invitato ad effettuare il versamento del compenso lordo di € 35.336,03 percepito, nel corso del triennio 2010 – 2013, per lo svolgimento di attività accademiche svolte in assenza dell’autorizzazione di cui all’art. 53, comma 7, d.lgs. 165/2001.
Premesso in fatto che, con determina n. 325878/2009, la Guardia di finanza gli aveva concesso una licenza straordinaria “per dottorato di ricerca e borsa di studio universitarie” per un triennio, decorrente dal settembre 2009, il ricorrente articola i seguenti motivi di doglianza:
I. Violazione dell’art. 53, commi 6 e 7, del d.lgs. 165/2001. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e illogicità. Eccesso di potere per contraddittorietà con atti della medesima amministrazione. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta ed inosservanza di provvedimenti della medesima amministrazione. Difetto di motivazione. Violazione dei principi di correttezza amministrativa di buon andamento e del giusto procedimento.
Poiché nel periodo dal 21 settembre 2009 al 21 settembre 2012, trovandosi in licenza straordinaria, egli non ha prestato attività lavorativa in favore della Guardia di finanza, non sarebbe stato tenuto a chiedere l’autorizzazione di cui all’art. 53 del d.lgs. 165/2001.
II. Violazione dell’art. 53, commi 6 e 7, del d.lgs. 165/2001. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e illogicità. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Violazione dei principi di correttezza amministrativa, di buona amministrazione e del giusto procedimento.
Le attività extraprofessionali svolte svolte, in quanto riconducibili alle previsioni di cui alle lettere c), e) ed f-bis, del comma 6 dell’art. dell’art. 53 del d.lgs. 165/2001 (perché derivanti dalla partecipazione a convegni o seminari, perché riguardanti l’incarico per il quale egli è stato posto in aspettativa e perché integranti attività di docenza) non avrebbero avuto bisogno di espressa autorizzazione.
Le attività, inoltre, sarebbero state erroneamente qualificate come docenze, mentre invece le prestazioni da lui effettuate erano da ricondursi ad attività di formazione di pubblici dipendenti ai sensi della lettera f bis del comma 6 della citata norma e strettamente connesse all’attività accademica per la quale era stata concessa la licenza straordinaria.
II Violazione dell’art. 53, commi 6 e 7, del d.lgs. 165/2001. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e illogicità. Eccesso di potere per contraddittorietà con atti della medesima amministrazione. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta ed inosservanza di provvedimenti della medesima amministrazione. Difetto di motivazione. Violazione dei principi di correttezza amministrativa di buon andamento e del giusto procedimento.
Il provvedimento sarebbe stato assunto all’esito di un’istruttoria incompleta, all’esito di un procedimento nel quale non sono state concesse al destinatario dell’atto le garanzie partecipative.
Violazione dell’art. 53, commi 6 e 7, del d.lgs. 165/2001. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e illogicità. Eccesso di potere per contraddittorietà con atti della medesima amministrazione. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta. Erroneità degli importi richiesti. Difetto di istruttoria.
Sarebbe, infine, erronea la quantificazione delle somme, calcolata al lordo della ritenuta fiscale.
L’amministrazione intimata, costituita in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 879/2017 il Collegio ha richiesto, all’amministrazione resistente, chiarimenti in ordine alla data esatta in cui si sono svolte le docenze e attività di assistenza presso il Formit Roma per euro 3.630,00 (anno 2013) nonché in ordine alla possibilità di ottenere una rateizzazione per il pagamento di quanto richiesto al ricorrente.
Con successiva ordinanza n. 1698/2017, la Sezione ha accolto in parte l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento, escludendo dall’obbligo di versamento alla amministrazione resistente le somme trattenute a titolo di imposte sui compensi non autorizzati, disponendo, altresì, che per ovviare al pregiudizio rappresentato dal ricorrente, l’amministrazione avrebbe dovuto accordare una rateizzazione del debito da concordarsi con l’interessato.
All’udienza del 16 giugno 2020 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato in parte, nei limiti appresso specificati.
Con il primo motivo di doglianza il ricorrente ha sostenuto che, quantomeno con riferimento al periodo in cui si trovava in licenza straordinaria, non sussisteva un suo obbligo di chiedere l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi retribuiti.
Il motivo è infondato.
L’art. 53, comma, 7 dispone che “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. […] In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.
La disposizione, in ragione della sua dichiarata finalità, volta ad operare una valutazione di compatibilità tra l’attività che il dipendente intende svolgere e le finalità istituzionali dell’ente presso il quale lo stesso è incardinato, si applica anche ai dipendenti in aspettativa e, a maggior ragione, ai dipendenti che, come il ricorrente, fruiscano di un periodo di licenza straordinaria, con conservazione del trattamento economico da parte dell’ente datoriale.
Come, infatti, ribadito anche recentemente in giurisprudenza “ l’autorizzazione allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita è necessaria anche ove il dipendente si trovi in regime di aspettativa, in quanto, da un lato, la previsione contenuta nell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 non contiene una distinzione a seconda dello stato del rapporto di lavoro, e, dall’altro, la predetta aspettativa non fa cessare il rapporto stesso, sicché la persistente appartenenza del dipendente medesimo ad una pubblica amministrazione non fa venir meno i rischi di conflitto di interessi o di possibile utilizzazione di entrature che la citata previsione è preposta a prevenire” (così Cassazione civile sez. lav., 9 marzo 2020, n.6637”.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente ha sostenuto che, ai sensi del comma 6 del d.lgs. 165/2001, gli incarichi da lui svolti non sarebbero rientrati nella sfera di applicazione del successivo comma 7 in quanto consistenti in partecipazioni a convegni e seminari, in attività connesse all’incarico per il quale egli è stato posto in aspettativa, perché integranti attività di docenza o ancora perché consistenti in attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione.
La prospettazione non può essere condivisa.
In primo luogo deve osservarsi come le contestazioni alla qualifica delle prestazioni operata dall’amministrazione procedente, in ragione del loro contenuto, non trova rispondenza negli atti di causa, atteso che anche la produzione documentale versata in atti dal ricorrente non parla di attività di formazione ma, di volta, in volta, di attività di docenza, di tutoraggio o di assistenza project work con partecipazione ad esami.
Va pure considerato che non essendo il ricorrente in posizione di aspettativa ma di licenza straordinaria non poteva trovare applicazione la lettera e) del comma 6 dell’art. 53 del d.lgs. 165/2001.
Con riferimento all’attività di docenza va pure considerato, come già evidenziato in sede cautelare, che “la modifica all’art. 53, comma 7, d.lgs. 165/2001 (e partitamente l’introduzione della lettera f) bis) è intervenuta con DL 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla l. 30 ottobre 2013, n. 125, cosicché alla data di entrata in vigore della nuova disciplina erano stati conferiti e accettati gli incarichi relativi ai compensi percepiti nel 2013 di cui si chiede la restituzione”.
Da ultimo occorre rilevare come le attività svolte non possano essere qualificate come attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione
Il ricorrente stesso rappresenta infatti come le attività di docenza da lui svolte sono state effettuate presso: l’Università degli studi internazionale di Roma – Unint, il Formit – Fondazione per la ricerca sulla migrazione e sulla integrazione delle tecnologie, l’Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza, l’Accademia edizioni e formazione s.r.l., nessuna delle quali ha natura di ente pubblico.
Con riferimento al Formit e all’Accademia edizioni e formazione s.r.l, va considerato come l’assenza di natura pubblicistica emerge dalla stessa denominazione, a nulla rilevando, ai fini che occupano, la riferita circostanza per cui le stesse collaborino con enti pubblici in materia di formazione.
Con riferimento alle università private, quali sono sia la Unint che l’Unitelma, il Collegio richiama, poi, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “le Università c.d. libere non rientrano nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013 (che, a sua volta, rinvia alla nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165)” (cfr. da ultimo Tar Perugia, sez. I, 17 febbraio 2020, n. 86, che, con riferimento a un’attività di docenza svolta da un dipendente pubblico presso la Luiss, ha affermato che “…Non rilevano in senso contrario neanche gli orientamenti giurisprudenziali che, in alcune occasioni (in particolare ai fini del riparto della giurisdizione sulle controversie concernenti il rapporto di impiego o della sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti per le controversie aventi ad oggetto la responsabilità di amministratori e dipendenti), hanno affermato la loro equiparazione agli enti pubblici, dando rilevanza gli scopi, alla struttura organizzativa e ai poteri amministrativi ritenuti del tutto analoghi a quelli delle Università statali (così testualmente, ad esempio, Cass., Sez. Un., 11 marzo 2004, n. 5054, riferita alla L.U.I.S.S.). Come già rilevato nella citata sentenza Cons. Stato, sez. VI, n. 2660/2014, tali arresti giurisprudenziali non possono essere invocati per sostenere, sic et simpliciter, una completa equiparazione, ad ogni fine, tra Università private ed enti pubblici. La nozione cangiante di ente pubblico, ampiamente esaminata in precedenza, impedisce, infatti, di estendere automaticamente la qualifica pubblicistica riconosciuta a un ente in determinati ambiti, al fine di giustificare automaticamente la sua integrale soggezione alla disciplina di diritto pubblico» (TAR Lazio, Roma, sez. III, 15 giugno 2015 n. 8375; cfr. anche C.d.S., sez. VI, 11 luglio 2016 n. 3041)”.
Con il terzo motivo di doglianza il ricorrente ha lamentato difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative.
Anche tale doglianza va respinta in considerazione della sostanziale genericità della censura, non essendo chiaro quali profili sarebbero stati accertati in maniera insufficiente o scorretta, alla luce del fatto che le stessa documentazione versata in atti dal ricorrente conferma la ricostruzione dell’amministrazione procedente in ordine alla natura delle prestazioni, né le ragioni per le quali lo stesso non si è avvalso della facoltà di presentare memorie e documenti espressamente conferitagli dal provvedimento.
E’ invece fondato, come già anticipato in sede cautelare, il quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente ha sostenuto che dovessero essere escluse dall’obbligo di versamento alla amministrazione resistente le somme trattenute a titolo di imposte sui compensi non autorizzati.
E’ infatti consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “Le somme percepite in relazione allo svolgimento di incarichi esterni devono … essere versate al netto delle imposte già corrisposte e così anche la richiesta di restituzione dei compensi illegittimamente percepiti non può che avere a oggetto le somme ricevute in eccesso (e cioè, effettivamente entrate nella sfera patrimoniale del dipendente medesimo), non potendosi pretendere la ripetizione di somme al lordo delle ritenute fiscali” (così da ultimo Consiglio di Stato, sez. parere 671/2019, che richiama Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 614/2013 e Tar per il Lazio, Roma, n. 3753 del 2016).
Tanto si reverbera sulla connessa domanda di accertamento, con contestuale obbligo di riquantificazione con detrazione delle ritenute fiscali e tenuto conto di quanto versato fino ad oggi dal ricorrente ed, eventualmente, dagli enti che hanno conferito gli incarichi non autorizzati.
Le spese di lite possono essere compensate in ragione del parziale accoglimento del gravame.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie e in parte lo respinge, nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2020 tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza secondo quanto disposto dall’art. 84 comma 6 d. l. n. 18/2020, come modificato dal d. l. n. 28/2020 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] Cicchese, Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
[#OMISSIS#] Cicchese
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 01/07/2020