TAR Lazio, Roma, Sez. III, 22 maggio 2018, n. 5681

Istituzione di nuovi corsi di laurea ad accesso programmato - Test di ammissione ai CdL

Data Documento: 2018-05-22
Area: Giurisprudenza
Massima

Dichiarazione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione

Contenuto sentenza

N. 05681/2018 REG.PROV.COLL.
N. 07499/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7499 del 2017, proposto da: 
Udu- Unione degli Universitari Milano in persona del legale rappresentante p.t., [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Dovico, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Melis, [#OMISSIS#] Bellina, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentati e difesi dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Umberto Cantelli e [#OMISSIS#] Antonellis, con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, via San [#OMISSIS#] D’Aquino, 47, come da procure in atti; 
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca in persona del Ministro p.t., Universita’ degli Studi Milano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti
[#OMISSIS#] Goffi, [#OMISSIS#] Corsi [#OMISSIS#] non costituiti in giudizio; 
per l’annullamento
dei provvedimenti ostativi all’esercizio del diritto di parte ricorrente a veder riconoscere come libero ed a numero aperto l’accesso al primo anno dei corsi di laurea in Filosofia, Lettere, Scienze dei beni Culturali, Scienze umane, dell’ambiente, del territorio e del paesaggio e Storia, Lingue e letterature straniere e comunque di tutte le facoltà umanistiche dell’Università degli Studi di Milano
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca e di Universita’ degli Studi Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2018 il consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori l’Avv. M. [#OMISSIS#], l’Avv. S. [#OMISSIS#] e l’Avvocato dello Stato O. [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – Con ricorso notificato il 24 luglio 2017 e depositato il successivo 1° agosto, l’associazione UDU – Unione Universitari Milano e gli studenti segnati in epigrafe, aspiranti all’iscrizione per l’anno accademico 20172018 ai corsi di laurea in Filosofia, in Lettere, in Lingue e letterature straniere, in Scienze dei beni culturali, in Scienze umane dell’ambiente, in Scienze umanistiche per la comunicazione e in Storia, hanno impugnato la deliberazione del Senato Accademico del 23 maggio 2017 ed i conseguenti atti, con i quali l’Università degli Studi di Milano ha disposto che l’accesso alle predette Facoltà, per l’anno accademico 20172018, fosse a numero programmato.
Essi impugnano, altresì, il Decreto Ministeriale n. 987 del 12 dicembre 2016 e le successive modifiche avvenute tramite il Decreto Ministeriale n. 285 del 3 febbraio 2017, con i quali il MIUR ha dettato nuove disposizioni in materia di autovalutazione, valutazione accreditamento iniziale, e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari, in applicazione dei quali è stata emessa la deliberazione del Senato Accademico impugnata.
2. – In punto di fatto i ricorrenti espongono che nella seduta del Senato Accademico del 23 maggio 2017 è stata adottata una deliberazione che prevedeva, con riferimento all’anno accademico 2017/2018, “la limitazione dell’accesso al primo anno dei corsi di laurea in Filosofia, lettere, Scienze dei beni culturali, Scienze umane dell’ambiente, del territorio e del paesaggio e Storia” nella misura di n. 530 posti per la facoltà di Filosofia, n. 550 posti per la Facoltà di Lettere, n. 500 posti per la Facoltà di Scienze dei beni culturali, n. 230 posti per la Facoltà di Scienze umane dell’ambiente, del territorio e del paesaggio e n. 480 posti per la Facoltà di Storia.
Precisano, inoltre, che la delibera gravata è stata assunta a seguito di un vivace dibattito nell’ambito dell’Organo collegiale accademico, preceduto da una petizione sottoscritta da numerosi docenti (che si opponevano alla annunciata introduzione del numero programmato per l’accesso alle dette Facoltà umanistiche), ed animato dalla contrapposizione fra coloro che caldeggiavano la misura poi assunta e coloro che, invece, avanzavano proposte alternative; tanto che l’introduzione del numero programmato è stata approvata con un solo voto di scarto.
3. – Il provvedimento in questione richiama il Decreto Ministeriale n. 987/2017 del MIUR (“Autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio” da parte del MIUR, processi che prevedono l’applicazione di taluni indicatori costituiti anche da determinati rapporti tra numero di docenti e numero di discenti), affermando che l’alto tasso di iscrizioni relative ad alcuni corsi di laurea, avente ripercussioni negative in sede di sostentamento dell’offerta formativa e didattica ai sensi del decreto in questione, potrebbe essere arginata unicamente prevedendo la limitazione degli accessi; costituirebbe infatti misura inefficace a questo fine il c.d. test di autovalutazione degli aspiranti iscritti.
4. – Il ricorso è affidato ai seguenti motivi.
1) Violazione e falsa applicazione della legge 2.08.1999 n. 264 e del D.M. 31.10.2007 n. 544 art. 7 comma 2. Eccesso di potere per deviante considerazione dei presupposti di fatto e normativi anche alla luce della nota del Miur del 16.3.2007. Eccesso di potere per travisamento e difetto di istruttoria. Contraddittorietà. Manifesta irragionevolezza ed illogicità dell’azione amministrativa. Violazione delle disposizioni del regolamento didattico dell’ateneo. Violazione per difetto di previsione nel regolamento didattico. Lesione del legittimo affidamento degli istanti. Difetto di istruttoria. Carenza di motivazione. Violazione degli artt. 33, 34, 97 Cost. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio della capienza strutturale, del fabbisogno. Violazione dei criteri sulla programmazione anche a livello nazionale. Esorbitanza normativa.
Il motivo si articola su più censure.
Con un primo ordine di doglianze i ricorrenti premettono che l’art. 19 del regolamento didattico dell’Università degli Studi di Milano prevede che i soli corsi di laurea magistrale delle professioni sanitarie in medicina e chirurgia e Odontoiatria e protesi dentaria sono limitati a livello nazionale, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 2641999; e che il Senato Accademico può deliberare la limitazione degli accessi ai Corsi di laurea magistrale individuati dall’art. 2 della medesima legge, comma I lettere a) e b), con atto da sottoporre a successiva autorizzazione da parte del MIUR; quindi, rilevano che non solo l’ordinamento interno dell’Ateneo prevede che le limitazioni all’accesso debbano possano essere assunte soltanto ai sensi della legge n. 2641999, ma che, inoltre, nel caso in esame sarebbe mancata del tutto la sottoposizione all’autorizzazione del MIUR.
Il secondo ordine di censure afferma che la delibera del 23 maggio 2017 non sarebbe stata preceduta da adeguata istruttoria, né in ordine alla valutazione dell’offerta potenziale, al fine di determinare i posti disponibili di cui all’art. 3 della legge n. 2641999, da effettuarsi sulla base di “1) posti nelle aule; 2) attrezzature e laboratori scientifici per la didattica; 3) personale docente; 4) personale tecnico; 5) servizi di assistenza e tutorato”; né ai sensi dell’art. 7 del Decreto Ministeriale n. 5442007, che prevede una valutazione favorevole del Ministero sulla base dell’istruttoria svolta; sarebbe mancato, inoltre, il controllo del Nucleo di Valutazione dell’Ateneo, previsto al fine di evitare immotivate limitazioni al diritto allo studio.
Con la terza serie di censure svolte nel motivo i ricorrenti precisano che l’art. 2 comma I, disciplina la possibilità di istituire, ad iniziativa dell’Ateneo interessato, la programmazione nei casi di Corsi di laurea non contemplati nel precedente art. 1 (limitazione prevista a livello nazionale) principalmente in due casi:
a) per i corsi di laurea per i quali l’ordinamento didattico preveda l’utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti-studio personalizzati;
b) per i corsi di diploma universitario, diversi da quelli di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), per i quali l’ordinamento didattico prevede l’obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, da svolgere presso strutture diverse dall’ateneo.
I corsi di laurea in Filosofia, in Lettere, in Lingue e letterature straniere, in Scienze dei beni culturali, in Scienze umane dell’ambiente, in Scienze umanistiche per la comunicazione e in Storia non rientrano nel novero di quelli di cui all’art. 1 della legge n. 2641999, né per essi sono stati verificati i presupposti di cui all’art. 2 successivo, in quanto l’Ateneo ha motivato la limitazione degli accessi non in virtù di laboratori ad alta specializzazione o in virtù di altri criteri previsti dalla legge 264, ma in ragione di “problemi di numerosità proporzionati alle docenze”.
Con altri specifici profili di doglianza, i ricorrenti assumono che al predetto fine l’Università ha richiamato il Decreto ministeriale n. 987/2016 successivamente modificato con il D.M. 3 febbraio 2017 n. 285, nel quadro della legge 30 dicembre 2010 n. 240, del D. Lgs. 27 gennaio 2012, n. 19 e del DM 8 agosto 2016 n. 635 che sostituiscono le disposizioni di cui al DM 30 gennaio 2013 n. 47; tuttavia, l’attuazione del suddetto decreto potrebbe essere efficacemente ottenuta utilizzando metodi meno invasivi e lesivi del corpo studenti.
Ma, continuano i ricorrenti, qualora si ritenesse che il Decreto Ministeriale n. 9872016 abbia introdotto il c.d. “numero chiuso”, il medesimo sarebbe chiaramente contrario alla legge 264/1999 nonché ai principi sanciti dalla Costituzione a tutela del diritto allo studio, precisando quale sarebbe, a loro dire, l’alternativa.
O il suddetto Decreto sarebbe stato male interpretati dal Senato.
Oppure, esso stesso sarebbe illegittimo, in quanto, se effettivamente autorizzasse l’imposizione del numero programmato nelle dette Facoltà, comporterebbe la violazione della legge 264/1999 e dei i principi costituzionali che garantiscono il diritto allo studio.
E a questo proposito occorrerebbe accedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa richiamata la quale, negato ogni valore a delibere e decreti ministeriali che possano ingiustamente comprimere i diritti ex artt. 33 e 34 Cost., garantisse l’effettività del diritto allo studio, mentre l’attuazione delle disposizioni ministeriali impugnate andrebbe ricercata attraverso altri strumenti, non comprimenti il detto diritto, quali la verifica da parte dell’università dalla preparazione attraverso attività formative propedeutiche, e non mediante un test di accesso (come previsto dagli articoli 6 del D.M. 3 novembre 1999, n. 5092 (per cui i regolamenti didattici di Ateneo possono richiedere il possesso o l’acquisizione di un’adeguata preparazione iniziale) ed 11 comma VII del D.M 270/04 (che conferisce la possibilità di chiedere allo studente il possesso o l’acquisizione di “requisiti minimi” di preparazione), oppure di un test di autovalutazione con funzione deterrente, quale quello utilizzato dal medesimo Ateneo per altri Corsi.
Altra serie di censure pone l’accento sul fatto che non sarebbe stato considerato né il criterio del fabbisogno sociale, né quello della capienza strutturale dell’Ateneo; mentre con nota del Ministero dell’Università e della Ricerca del 16.03.2007 Protocollo n. Gab. 4947 sarebbero stati denunciati gli effetti di una asseritamente errata interpretazione del Decreto Ministeriale n. 9872016, che avrebbe avuto l’effetto di aumentare irrazionalmente il numero di facoltà con accesso programmato con una netta limitazione al diritto allo studio e che gli obiettivi evidenziati a giustificazione del c.d. “numero chiuso” pur avendo notevole [#OMISSIS#] per l’organizzazione didattica, non sempre rientrerebbero nelle previsioni normative, dal momento che anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 383 del 1998 è detto che i criteri di accesso all’università, e dunque anche la previsione del numerus clausus, non potrebbero legittimamente risalire ad altre fonti, diversa da quella legislativa.
Pertanto, non varrebbero a legittimare gli atti gravati neppure i richiami, effettuati dall’Ateneo, ai criteri dettati dal D.M. 27 gennaio 2005, n. 15, così come modificato dal D.M. 23 marzo 2006, n. 203, finalizzati esclusivamente all’attivazione di un corso e al suo inserimento nella Banca dati dell’offerta formativa, in quanto il previsto indicatore della “numerosità” sarebbe preordinato a garantire allo studente la congruenza tra la formazione impartita ed il raggiungimento degli obiettivi formativi previsti nell’ordinamento didattico, ma non potrebbe giustificare la programmazione del relativo accesso.
Con la successiva censura gli interessati assumono che, qualora si ritenesse legittima la applicabilità dell’accesso programmato ai corsi in parola, le previsioni normative così interpretate sarebbero in contrasto con gli artt. 2, 3, 9, 33, 34 Cost. e con numerose Direttive della Comunità Europea (direttive 78/686/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978; 78/687/CEE del Consiglio, di pari data; 78/1026/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978; 78/1027/CEE del Consiglio, di pari data; 85/384/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1985; 89/594/CEE del Consiglio, del 30 ottobre 1989 e 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993) che al fine di garantire il reciproco riconoscimento negli Stati – membri dei titoli di studio universitari e l’esercizio del diritto di stabilimento e la libera circolazione dei professionisti, vorrebbero che i vari Stati garantiscano adeguati standard formativi nei rispettivi corsi di formazione.
Inoltre, l’autonomia universitaria di cui alla legge 168/89 comporterebbe, sotto il profilo finanziario, l’interesse a vedere aumentare la platea di coloro i quali, con il pagamento delle tasse universitarie, contribuiscono all’aumento delle sue entrate in bilancio.
2) Violazione del Regolamento di funzionamento del Senato Accademico dell’Università degli studi di Milano. Eccesso di potere. Ingiustizia manifesta.
Sarebbe stato poi violato, sotto il profilo strettamente procedimentale, l’art. 3 comma 23 del “Regolamento di funzionamento del Senato Accademico dell’Università degli studi di Milano”, per cui “di norma l’espressione di voto è palese e si effettua per alzata di mano. Nei casi in cui sia richiesto l’appello nominale, su proposta del Rettore o quando ne faccia domanda almeno un quarto dei presenti, sono verbalizzate le singole espressioni di voto (…) Non è ammessa l’assunzione di deliberazioni per acclamazione o per consenso tacito”; ed atteso che la deliberazione del Senato accademico è stata approvata da diciotto voti a favore e diciassette contrari su trentaquattro partecipanti, di cui uno espresso da componente dell’organo in collegamento telefonico, il provvedimento sarebbe viziato.
Inoltre, non sarebbe stato trattato nella seduta in questione il punto 3/ab relativo all’introduzione del numero programmato per l’accesso al corso di laurea in Lingue e letterature straniere, e ciò malgrado il detto corso figura tra quelli per cui è stato introdotto, con atti successivi, il numero programmato.
5. – Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato il 17 agosto 2017, senza depositare memorie difensive.
Con ordinanza n. 44782017, assunta il 30 agosto 2017 e depositata il giorno successivo, è stata accolta l’istanza cautelare proposta dai ricorrenti.
In ragione di tale accoglimento, l’Università degli Studi di Milano ha consentito che tutti i richiedenti potessero iscriversi ai suddetti corsi di laurea senza sottoporsi a test.
6. – In vista dell’udienza di trattazione del ricorso nel merito, i ricorrenti hanno depositato una memoria conclusionale, cui ha replicato l’Avvocatura erariale in data 31 gennaio 2018.
Anche i ricorrenti hanno depositato una memoria di replica.
In occasione della pubblica udienza del 21 febbraio 2018 il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
1. – In via pregiudiziale il Collegio intende verificare d’ufficio (sebbene alcuna delle parti resistenti abbia inteso proporre la relativa eccezione) se sussista la competenza per territorio del TAR del Lazio sulla presente controversia, ai sensi dell’art. 15 comma I del c.p.a.
E ciò nella consapevolezza che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, il secondo comma dell’art. 15 del c.p.a., nel prevedere che “In ogni caso il giudice decide sulla competenza prima di provvedere sulla domanda cautelare e, se non riconosce la propria competenza ai sensi degli art. 13 e 14, non decide sulla stessa” avrebbe il significato di precisare che il potere-dovere del Giudice e l’onere delle parti di eccepire eventuali profili di incompetenza territoriale si esaurirebbe nella fase dell’incidente cautelare, sicchè la decisione sulla competenza, anche se implicita, vincolerebbe anche la decisione del merito.
Tuttavia, posto che il primo comma dell’art. 15 citato dispone che “Il difetto di competenza e’ rilevato d’ufficio finche’ la causa non e’ decisa in primo grado”, ritiene il Collegio di potere scrutinare la questione ancora in questa sede.
Ciò posto, occorre osservare che, nel caso in esame, sono impugnati atti assunti da vari organi dell’Università degli Studi di Milano, congiuntamente al Decreto Ministeriale n. 987 del 12 dicembre 2016 e le successive modifiche avvenute tramite il Decreto Ministeriale n. 285 del 3 febbraio 2017, con i quali il MIUR ha dettato nuove disposizioni in materia di autovalutazione, valutazione accreditamento iniziale, e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari, in dichiarata applicazione dei quali è stata emessa la deliberazione del Senato Accademico del 23 maggio 2017 impugnata.
1.1 – Recita l’art. 13 del c.p.a. ( Competenza territoriale inderogabile), che:
“1. Sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni è inderogabilmente competente il tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione territoriale esse hanno sede. Il tribunale amministrativo regionale è comunque inderogabilmente competente sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni i cui effetti diretti sono limitati all’ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede.
2. Per le controversie riguardanti pubblici dipendenti è inderogabilmente competente il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio.
3. Negli altri casi è inderogabilmente competente, per gli atti statali, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma e, per gli atti dei soggetti pubblici a carattere ultra regionale, il tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il soggetto.
4. La competenza di cui al presente articolo e all’articolo 14 è inderogabile anche in ordine alle misure cautelari.
4-bis. La competenza territoriale relativa al provvedimento da cui deriva l’interesse a ricorrere attrae a sè anche quella relativa agli atti presupposti dallo stesso provvedimento tranne che si tratti di atti normativi o generali, per la cui impugnazione restano fermi gli ordinari criteri di attribuzione della competenza.”
Alla luce della norma in questione, ritiene il Collegio che sussista la propria competenza territoriale.
Ed invero, nel primo motivo di ricorso, alla censura che i ricorrenti enumerano sub 3.3., si legge:
“L’Ateneo giustifica l’instaurazione del numero chiuso richiamando le disposizioni del D.M. 987/2016 successivamente modificato con il D.M. 3 febbraio 2017 n. 285, nel quadro della legge 30 dicembre 2010 n. 240, del D. Lgs. 27 gennaio 2012, n. 19 e del DM 8 agosto 2016 n. 635 che sostituiscono le disposizioni di cui al DM 30 gennaio 2013 n. 47. Invero l’attuazione del suddetto decreto può essere efficacemente ottenuta utilizzando metodi meno invasivi e lesivi del corpo studenti. Diversamente, qualora si ritenesse che il D.M. citato abbia introdotto il c.d. “numero chiuso”, il medesimo sarebbe chiaramente contrario alla legge 264/1999 nonché ai principi sanciti dalla Costituzione a tutela del diritto allo studio. Delle due una: o i suddetti provvedimenti sono stati infelicemente interpretati dal Senato nella parte in cui si presume che caldeggino l’instaurazione del numero programmato, facendone in tal modo lo strumento di una direzione ottusa e limitata, o i citati D.M. si pongono marcatamente in contrasto con la Legge 264/1999 e con i principi costituzionali che garantiscono il diritto allo studio. Nonostante gli stessi ineriscano problematiche finanziarie e rapporti docenti-alunni nell’ambito dell’offerta formativa, non si può concludere che una delibera quale quella di specie sia ad essi direttamente conseguente. Il fatto stesso che l’introduzione del numero programmato nelle facoltà umanistiche sia stato previsto tramite intervento, peraltro illegittimo, del Senato, esclude ab origine che questo fosse il fine ultimo del MIUR. Come già specificato, bisogna invece caldeggiare una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa richiamata la quale, negato ogni valore a delibere e decreti ministeriali che possano ingiustamente comprimere i diritti ex artt. 33 e 34 Cost., garantisca l’effettività del diritto allo studio.”
Dunque, con il profilo di doglianza in esame, i ricorrenti hanno contestato (anche) la legittimità del Decreto Ministeriale n. 987 del 12 dicembre 2016 e delle successive modifiche.
1.2. – Il comma IV bis dell’art. 13 c.p.a. su riportato, in caso di impugnazione congiunta di un atto di Autorità centrale e di un atto di Autorità che ha sede nell`ambito territoriale di un TAR diverso da quello del Lazio, determina la competenza del TAR diverso da quello avente sede in Roma nei casi in cui nella circoscrizione del primo è stato emesso l`atto da cui deriva l`interesse ad agire, eccetto che nei casi in cui l`atto statale abbia natura regolamentare o di atto amministrativo generale.
Nel caso in esame l`interesse ad agire deriva certamente dalla applicazione che l`Ateneo milanese ha ritenuto di fare del Decreto Ministeriale n. 9872016, ossia dalla su citata deliberazione del Senato Accademico (che ha creduto di potere introdurre il numero programmato per l’anno accademico 20172018 per l’accesso ai ridetti corsi di laurea, per cui gli studenti in epigrafe hanno fatto domanda) e dai conseguenti bandi di selezione.
1.3. – Tanto conferma la competenza di questo TAR.
E’ infatti evidente che il Decreto Ministeriale n. 9872016, impugnato nel presente giudizio quale ritenuto presupposto dei su citati provvedimenti dell’Università di Milano, e recante “Autovalutazione, valutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio”, pubblicato nella Gazz. Uff. 6 febbraio 2017, n. 30, e’ atto di natura regolamentare, e pertanto, come tale, determina la deroga alla regola dell’attrazione al foro degli atti da cui sorge l’interesse ad agire, come prevede l’ultima parte del comma IV bis dell’art. 13 c.p.a.
E’ infatti noto che per ravvisare la natura regolamentare o di atto generale di un atto amministrativo occorre avere riguardo alla consueta distinzione, fatta propria anche dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 9 del 2012), secondo cui “è atto normativo quello i cui destinatari sono indeterminabili sia a priori che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza della generalità e dell’astrattezza), mentre l’atto amministrativo generale ha destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori in quanto è destinato a regolare non una serie indeterminati di casi, ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti”.
1.4. – Il decreto ministeriale impugnato in questa sede attua le previsioni del decreto legislativo n. 19 del 2012 (“Valorizzazione dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività, a norma dell’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240)”.
Esso prevede, in breve, il procedimento di accreditamento iniziale e periodico sia delle sedi universitarie che dei corsi di studio, e a questo fine, pone, negli allegati, i relativi requisiti ed indicatori di qualità, nonchè le “Numerosità massime e di riferimento di studenti e relativi raggruppamenti” e gli “Indicatori di valutazione periodica di sede e di corso”.
La sua attitudine ad essere applicato in via generale ed astratta a tutte le fattispecie di accreditamento delle sedi e dei corsi derivanti dalle istanze proposte dalle varie Università italiane ai sensi delle fonti primarie di riferimento è dunque evidente, ed è attestata, innanzitutto, dall’art. 1, per il quale “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano, a decorrere dall’anno accademico 2017/2018, ai fini del potenziamento dell’autovalutazione, dell’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari, nonché alla valutazione periodica delle università, con riferimento alle università statali e non statali legalmente riconosciute, ivi comprese le università telematiche.”
1.5. – In ragione di tanto, dunque, “restano fermi gli ordinari criteri di attribuzione della competenza”, ovvero quelli contemplati dal combinato disposto del primo e del terzo comma dell’art. 13 c.p.a. ossia: sede dell’Amministrazione che ha emesso l’atto, ovvero –trattandosi del MIUR- Roma; ambito ultraterritoriale (e non circoscritto ad una sola Regione) degli effetti diretti dell’atto regolamentare, estesi a tutte le Università Italiane, ivi comprese quelle telematiche.
Questo rilievo è conforme alla giurisprudenza [#OMISSIS#] del Tribunale, atteso che il TAR Lazio si è già pronunziato in passato su casi di limitazione all’accesso di corsi universitari, come ad esempio per quelli indetti dagli Atenei di Napoli [#OMISSIS#] II (ord. n. 58162015 sez. III bis) di Catania (sentenza n. 122122015 sez. III bis) o di Cosenza (sentenza n. 79392017 sez. III bis).
1.6. – Peraltro –e lo si osserva per mera completezza- la deliberazione del 23 maggio 2017 del Senato Accademico dell’Università degli Studi di Milano e i conseguenti provvedimenti dell’Ateneo (tra cui i bandi di indizione delle procedure selettive per l’accesso a numero programmato) non possono certo essere definiti atti aventi effetti diretti limitati alla sola Lombardia, atteso che l’Ateneo non ha –ovviamente- diretto i propri atti verso i soli residenti nella Regione in cui si trova; e che è nozione di comune esperienza che verso una Università quale è la “Statale” di Milano ha grande forza attrattiva verso studenti provenienti non solo da tutta Italia, ma anche dall’estero.
Ne segue che, anche nel caso in cui i ricorrenti non avessero impugnato il suddetto decreto ministeriale, la competenza si sarebbe comunque radicata presso il TAR del Lazio, sede di Roma.
2. – Occorre adesso affrontare la questione di procedibilità del ricorso sollevata dagli stessi ricorrenti nella memoria conclusionale, nella quale si afferma che la spontanea ottemperanza dell’Università degli Studi di Milano all’ordinanza cautelare n. 44782017 della Sezione, consistente nella esplicita e pubblica dichiarazione di rinunziare all’appello ed alla apertura dei corsi di laurea in questione a tutti gli istanti (con restituzione delle tasse di partecipazione alla selezione per l’accesso a numero programmato a coloro che vi si erano iscritti) comporterebbe acquiescenza alla detta pronunzia cautelare, e farebbe venire meno l’interesse dell’Ateneo alla definizione di questo giudizio nel merito.
2.1. – Sul punto si deve innanzitutto osservare che la prima memoria di replica delle intimate Amministrazioni, depositata il 31 gennaio 2018, contiene una decisa smentita circa tale asserito e sopravvenuto difetto di interesse, in quanto afferma che l’Università ha doverosamente dato attuazione ad una pronunzia giurisdizionale.
2.2 – Tuttavia, il Collegio deve prendere atto che, con una nuova memoria, depositata soltanto il 20 febbraio 2018, le Amministrazioni resistenti hanno dovuto dare atto di una nota pervenuta alla Avvocatura erariale dall’Università di Milano solo il giorno precedente, che è interamente trascritta nella memoria stessa, e della quale è necessario qui riportare alcuni passi salienti:
“Come già riferito verbalmente, l’Ateneo ritiene che siano ormai venute meno le condizioni per la prosecuzione della vertenza, per le ragioni di seguito illustrate. 1. Cessazione della materia del contendere. – A seguito dell’ordinanza cautelare n. 4478/2017 del 31.8.2017 l’Ateneo ha immediatamente provveduto a sospendere i test di ammissione ai seguenti corsi di laurea: – Filosofia (Classe L-5) – Lettere (Classe L-10) – Lingue e letterature straniere (Classe L-11) – Scienze dei beni culturali (Classe L-1) – Scienze umane dell’ambiente, del territorio e del paesaggio (Classe L-6) – Storia (Classe L-42). (omissis) Pertanto, avendo l’Ateneo dato completa esecuzione all’ordinanza del Tar Lazio, ammettendo in modo generalizzato ai corsi di studio tutti gli studenti richiedenti, può allo stato dichiararsi cessata la materia del contendere, tenuto conto che il ricorso introduttivo del giudizio aveva per oggetto proprio la legittimità della scelta dell’Ateneo di introdurre il numero programmato per il solo anno a.a. 2017-2018. 2. Novità normative intervenute a seguito dell’ordinanza cautelare n. 4478/2017. – del 31.8.2017 La delibera del Senato Accademico oggetto di impugnazione nel ricorso al Tar Lazio è stata assunta dall’Ateneo, come è noto, per la necessità di uniformarsi alle disposizioni del D.M. 487/2016 in materia di verifica dei requisiti di docenza per l’accreditamento dei corsi di studio. Tali disposizioni sanzionavano gli Atenei che non fossero in linea con il requisito di sostenibilità rappresentato dal rapporto docenti di riferimento/studenti iscritti, attraverso l’attivazione condizionata (per un solo anno) dei corsi di studio carenti e la mancata attivazione di corsi di studio nuovi (art. 4, comma 4 D.M. 987/2016). Tuttavia, successivamente all’emissione dell’ordinanza cautelare n. 4478/2017, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è intervenuto sulla materia emanando il D.M. n. 935 del 29.11.2017. Con tale provvedimento, il MIUR ha introdotto una significativa modifica alla disciplina della materia, che consente ora una maggiore flessibilità rispetto ai parametri numerici richiesti per la docenza. (omissis) Nella nuova impostazione normativa la mancata attivazione di nuovi corsi di studio risulta abrogata per la parte sanzionatoria e sostituita dalla possibilità di procedere comunque all’attivazione, nel rispetto ovviamente degli indicatori numerici previsti. Nel caso in questione, essendo pienamente soddisfatto il requisito di sostenibilità economico-finanziaria richiesto, l’Università degli Studi di Milano, nonostante risulti al momento carente sotto il profilo dei requisiti di docenza, potrà in ogni caso procedere all’attivazione di nuovi corsi di studio, in numero pari al 2% del numero di corsi in regola, per un totale verosimilmente pari (in base agli indicatori quantitativi forniti dal nuovo D.M.) a 3 corsi di studio. La novità normativa introdotta dal Ministero induce ad un ripensamento dei criteri che avevano a suo tempo giustificato il provvedimento del Senato Accademico, comportando l’attuale disinteresse dell’Ateneo a coltivare ulteriormente il contenzioso.”
2.3. – In ragione di quanto appena esposto, il Collegio deve prendere atto della convergenza delle parti circa la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.
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