TAR Lazio, Roma, Sez. III, 3 aprile 2019, n. 4336

Università degli studi - Ricercatori-Rapporto a tempo determinato di durata triennale-Trasformazione in rapporto a tempo indeterminato-Rimessione alla Corte di giustizia UE

Data Documento: 2019-04-03
Area: Giurisprudenza
Massima

Deve essere rimessa alla Corte di Giustizia le questioni 1) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, “Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato”, intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui agli artt. 29, comma2, lett. d), e comma 4, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 e 36, commi 2 e 5, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, precluda per i ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale, prorogabile per due anni, ai sensi dell’art. 24, comma 3, lett. a), l. n. 240 del 2010, la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato; 2) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, “Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato”, intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui agli artt. 29, comma 2, lett. d), e comma 4, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 e 36, comma 2, e comma 5, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sia applicata dai giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione pubblica mediante un contratto di lavoro flessibile soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto a tempo determinato da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, non sussistendo (per effetto delle su citate disposizioni nazionali) un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori; 3) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, “Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato”, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui all’articolo 24, commi primo e terzo, della legge 30 dicembre 2010 n. 240, che prevede la stipulazione e la proroga, per complessivi cinque anni (tre anni con eventuale proroga per due anni), di contratti a tempo determinato fra ricercatori ed Università, subordinando la stipulazione a che essa avvenga “Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti”, ed altresì subordinando la proroga alla “positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte”, senza stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se la stipulazione e il rinnovo di siffatti contratti rispondano effettivamente ad un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine, e comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti, non risultando così compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro.

Contenuto sentenza

N. 04336/2019 REG.PROV.COLL.
N. 12242/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 12242 del 2017, proposto da:

 

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Dandolo, 19°, come da procura in atti;

 

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del [#OMISSIS#] pro tempore, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati con essa in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Università degli Studi “Roma Tre” in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], come da procura in atti;

per l’annullamento

della nota prot. 97391 del 21 novembre 2017, recante in oggetto «Riscontro ad istanza di proroga del contratto di ricercatore a tempo determinato tipo A, ai sensi dell’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 75 del 2017» e della circolare n. 3/2017 adottata dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

e per l’accertamento

del diritto del ricorrente ad essere assunto a tempo indeterminato come ricercatore, ovvero ad essere sottoposto alla valutazione di cui all’art. 24, comma 5, della l. n. 240 del 2010, ai fini della chiamata nel ruolo degli associati.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’Universita’ degli Studi Roma Tre e del Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2018 il consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori per la parte ricorrente gli Avv.ti G. [#OMISSIS#] e F. [#OMISSIS#], per l’Università degli Studi Roma Tre l’Avv. L. [#OMISSIS#] e per il MIUR l’Avvocato dello Stato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (solo [#OMISSIS#] chiamata preliminare);

 

Con ricorso notificato il 6 dicembre 2017 e depositato il successivo giorno 11, l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], premesso di essere ricercatore universitario a tempo determinato presso l’Università degli Studi “Roma Tre”, ha impugnato, chiedendone l’annullamento, la nota prot. 97391 del 21 novembre 2017, recante in oggetto «Riscontro ad istanza di proroga del contratto di ricercatore a tempo determinato tipo A, ai sensi dell’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 75 del 2017» e la circolare n. 3/2017 adottata dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione.

Inoltre il ricorrente chiede l’accertamento del diritto ad essere assunto a tempo indeterminato come ricercatore, ovvero ad essere sottoposto alla valutazione di cui all’art. 24, comma 5, della l. n. 240 del 2010, ai fini della chiamata nel ruolo degli associati.

Sulla presente controversia il Collegio ritiene di dovere sollevare di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, la questione pregiudiziale di interpretazione dell’art. 29 comma II lettera d) e comma IV del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e dell’art. 36 comma II e comma V del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, nonché dell’art. 24 commi I e III della legge 30 dicembre 2010 n. 240, nei termini che di seguito saranno illustrati [#OMISSIS#] forma suggerita dalla “Nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei [#OMISSIS#] nazionali” n. 2011/C 160/01 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

I. – Oggetto della controversia.

I.1. – Il ricorrente premette di avere superato, classificandosi al primo posto, il concorso per l’accesso al dottorato di ricerca in diritto amministrativo, e poi di essere risultato vincitore di concorso pubblico bandito ai sensi dell’art. 24, comma 2, della l. n. 240 del 2010 quale ricercatore a tempo determinato con contratto avente durata triennale, prorogabile una sola volta per un [#OMISSIS#] di due anni; nel mese di ottobre del 2014, poi, egli ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale di seconda fascia relativa al Settore scientifico disciplinare IUS/10 – Diritto amministrativo, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 240 del 2010.

Il ricorrente, inoltre, sei mesi prima rispetto alla scadenza del proprio contratto (prevista per il 1° dicembre 2015), ha chiesto al proprio Dipartimento la concessione della proroga biennale, allegando all’istanza come previsto dal regolamento di Ateneo, una relazione sul lavoro svolto ai fini della relativa valutazione, e vedendo approvare dal Dipartimento, [#OMISSIS#] seduta del 14 [#OMISSIS#] 2015 la sua istanza di proroga.

I.2. – Nei due anni successivi alla concessione della proroga al dott. [#OMISSIS#], il Dipartimento di Giurisprudenza di “Roma Tre” ha proceduto, per quanto specificamente riguarda il diritto amministrativo, alla chiamata nel ruolo dei professori associati, ai sensi del combinato disposto degli artt. 24, commi 5 e 6, della l. n. 240 del 2010, di due ricercatori a tempo indeterminato che avevano ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale di seconda fascia, ma nessuna procedura di tale genere è stata bandita per i ricercatori a tempo determinato.

I.3. – In data 8 novembre 2017 il ricorrente ha proposto una istanza di proroga del contratto basata sull’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 75 del 2017, che ha introdotto disposizioni volte al superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni, ivi illustrando le ragioni per cui le disposizioni del richiamato art. 20 sarebbero applicabili anche al personale docente delle Università, ed ha concluso con la richiesta rivolta all’Ateneo di voler attivare, a partire dal 2018, la procedura di stabilizzazione prevista dal comma 1.

I.4. – Con nota la impugnata nota firma del Direttore Generale, “Roma Tre” ha respinto tale istanza, affermando che l’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 75 del 2017 non può trovare applicazione per la figura del ricercatore a tempo determinato; e che, inoltre, la legge 240/2010, dopo aver introdotto all’art. 24 le attuali figure e le nuove modalità di reclutamento del personale ricercatore a tempo determinato, al successivo art. 29 comma 1 ha disposto che, a decorrere dalla medesima data, le Università non possano più utilizzare le previgenti procedure destinate alla figura del ricercatore a tempo indeterminato.

II. – I motivi di ricorso e le domande ivi proposte.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi (di seguito di seguirà la numerazione dei motivi proposta dal ricorrente):

1) Violazione di legge per contrasto con l’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017.

La [#OMISSIS#] dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017 sarebbe applicabile ai ricercatori universitari, in quanto essa avrebbe [#OMISSIS#] generale (non escludendo espressamente i ricercatori), e sarebbe successiva e speciale rispetto a quella dell’art. 29, comma 1, della Legge 2402010.

Essa, inoltre, non utilizza l’espressione “le amministrazioni possono assumere con contratti a tempo indeterminato”, bensì soltanto “a tempo indeterminato”, senza riferimento ai contratti, così confermando la propria estensibilità ai rapporti di lavoro in regime di diritto pubblico.

Non potrebbe invocarsi in senso contrario la circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 3 del 2017 che afferma l’inapplicabilità della [#OMISSIS#] citata ai dipendenti in regime di diritto pubblico, atteso che per le categorie in questione la stabilizzazione prevista da tale [#OMISSIS#] non potrebbe trovare applicazione perché per esse non sarebbero previsti rapporti di lavoro a tempo determinato.

La circolare violerebbe poi i principi del diritto europeo, in quanto l’accordo quadro recepito dalla direttiva CEE n. 1999/70/CE, oltre a riconoscere che «i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della [#OMISSIS#] dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento», sottopone a rigorose condizioni la possibilità per i datori di lavoro di avvalersi di contratti a tempo determinato, richiedendo per essi ragioni oggettive idonee a prevenire gli abusi.

2) In subordine: illegittimità costituzionale dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 9, 33, comma 1, Cost.

Ove ritenuto non applicabile ai ricercatori a tempo determinato, l’art. 20 del d.lgs. n. 75, poi, risulterebbe in contrasto sia con gli articoli 2 e 3 della Costituzione per disparità di trattamento con i ricercatori degli enti pubblici di ricerca, i quali, soli, per effetto di essa beneficerebbero della possibilità di essere stabilizzati.

La [#OMISSIS#] contrasterebbe, inoltre:

– con l’art. 4 Cost., che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e impone alla Repubblica di promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto;

– con l’art. 9 Cost., secondo cui la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica;

– con l’art. 33 Cost., che riconosce la libertà della scienza.

3) Sempre in subordine: violazione del diritto europeo e dell’art. 117, comma 1, Cost.

L’art. 19 del d.lgs. n. 81, per cui il rapporto di lavoro a tempo determinato non può avere durata superiore a trentasei mesi, superati i quali «il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento», non si applica ai contratti a tempo determinato stipulati ai sensi della legge 30 dicembre 2010, n. 240 per effetto della deroga contemplata dall’art. 29, comma 2, lett. d); a dire del ricorrente tale esclusione non sarebbe compatibile con il diritto europeo, in quanto non sussisterebbe alcuna ragione oggettiva per cui il ricercatore universitario debba essere assunto a tempo determinato, specie ove tale rapporto di lavoro possa superare – come è avvenuto nel [#OMISSIS#] del ricorrente –il [#OMISSIS#] di tre anni, per effetto di una normativa che consente, previa positiva valutazione delle attività di didattica e di ricerca svolte, una proroga biennale: il rapporto quinquennale che così si viene a costituire non sarebbe compatibile con esigenze di natura temporanea del datore di lavoro.

A dire del ricorrente, qualora sussistessero dubbi in ordine alla compatibilità con il diritto europeo della disciplina dei contratti di ricercatore a tempo determinato previsti dalla Legge [#OMISSIS#], nonché in ordine alla previsione dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, [#OMISSIS#] parte in cui non fosse ritenuta applicabile a tale tipologia di dipendenti pubblici, il Tar dovrebbe operare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, sottoponendo a quest’[#OMISSIS#] un quesito dal seguente tenore: se sia compatibile con gli obblighi discendenti dal diritto europeo in capo [#OMISSIS#] Stati membri, ed in particolare dall’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato di cui alla direttiva 1999/70/CE, anche alla luce del principio di equivalenza, una normativa come quella nazionale che, da un lato, prevede per i ricercatori universitari un contratto a tempo determinato di durata triennale, prorogabile per due anni, senza alcuna garanzia in ordine alla successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato, e, dall’altro, esclude tale categoria dalla possibilità di avvalersi di una misura che prevede la possibilità di assunzione a tempo indeterminato con riferimento alla generalità delle altre categorie del pubblico impiego.

4) In via principale: incostituzionalità, sotto altri [#OMISSIS#], dell’art. 24, comma 5, della l. n. 240 del 2010, [#OMISSIS#] parte in cui non prevede la possibilità per i ricercatori di tipo a che abbiano ottenuto l’a.s.n. di essere valutati ai fini della chiamata nel ruolo dei professori associati. Violazione del diritto europeo.

La normativa in questione contrasterebbe anche con il principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro di cui alla direttiva 1999/70/CE, tra i cui principi fondamentali vi è l’obbligo della parità di trattamento fra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato, per cui «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».

5) Incostituzionalità dell’art. 24, comma 3, della l. n. 240 del 2010 per violazione, sotto altro profilo, dell’art. 9, comma 1, e dell’art. 33, comma 1, Cost.

Inoltre, l’art. 24, comma III, della Legge [#OMISSIS#], laddove introduce la figura del ricercatore a tempo determinato, facendola divenire l’unica utilizzabile dalle Università a partire dall’entrata in vigore della legge, contrasterebbe con i principi costituzionali secondo cui «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica» e «la scienza è [#OMISSIS#]», e sotto tale profilo il ricorrente chiede che sia sollevata di fronte alla Corte costituzionale una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la [#OMISSIS#] che appone un [#OMISSIS#] di durata al contratto di ricercatore universitario, senza prevedere alcunché in ordine alla possibilità di accesso al rapporto di lavoro a tempo indeterminato alla scadenza di tale [#OMISSIS#], e che inoltre qualifica il contratto di ricercatore come di lavoro subordinato.

6) Sul diritto alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Anche volendo prescindere dal tema della applicabilità o meno ai ricercatori universitari dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, il dott. [#OMISSIS#] afferma di avere comunque diritto alla conversione del proprio rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, e ciò per le ragioni rassegnate nelle censure precedenti circa la compatibilità della normativa interna vigente sia con i principi costituzionali che con quelli comunitari in materia, dal momento che –secondo la prospettazione del ricorrente- sia la Corte di Giustizia UE, sia la Corte costituzionale (sentenza n. 1872016), avrebbero già riconosciuto l’illegittimità delle disposizioni nazionali che, con riferimento al settore della docenza scolastica, prevedevano la reiterazione di rapporti di lavoro a tempo determinato senza che ragioni obiettive lo giustificassero, ed ha posto l’accento sui principi comunitari di dissuasività, proporzionalità ed effettività cui deve ispirarsi il legislatore nazionale per evitare l’abuso delle proroghe dei contratti a [#OMISSIS#], con i quali sarebbe compatibile il [#OMISSIS#] del risarcimento del danno di cui all’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001: [#OMISSIS#], tuttavia, al quale il ricercatore universitario non potrebbe attingere, in quanto non sussisterebbe il necessario presupposto della violazione di una [#OMISSIS#] imperativa (essendo stato applicato l’art. 24 comma III lettera a) della legge n. 240 del 2010).

Per tale ragione vi sarebbero due motivi che indicherebbero quale unica via per la stabilizzazione del rapporto di lavoro del dott. [#OMISSIS#] lo strumento della conversione del suo contratto da lavoro a tempo determinato a lavoro a tempo indeterminato:

– il fatto che egli sia stato assunto mediante un vero e proprio concorso pubblico;

– il principio comunitario di equivalenza, per cui, mancando una [#OMISSIS#] favorevole come quelle che regolano casi analoghi di natura interna, si dovrebbe fare riferimento ai casi dei lavoratori privati (per cui è prevista la conversione automatica), dei docenti della scuola (per la cui immissione in ruolo esistono le graduatorie ad esaurimento e le procedure selettive “blande” di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 1872016) e di tutti gli altri pubblici dipendenti (cui è applicabile l’art. 20 del decreto legislativo n. 752017).

7. – Sulla scorta di tali motivi, dunque, il dott. [#OMISSIS#] ha proposto le seguenti domande:

“si chiede all’adito Tar di voler accogliere il presente ricorso e, per l’effetto, previa concessione delle invocate misure cautelari, di voler:

– annullare i provvedimenti impugnati;

– accertare il diritto del dott. [#OMISSIS#] ad essere sottoposto alla procedura di valutazione di cui all’art. 24, comma 5, della l. n. 240 del 2010;

– disporre la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato del ricorrente in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Con [#OMISSIS#] di spese ed onorari di giudizio.”

III. – Le difese delle parti resistenti.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Università degli Studi “Roma Tre”, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.

L’Università degli Studi “Roma Tre”, nei suoi scritti difensivi, ha sostenuto l’inapplicabilità dell’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 al personale in regime di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3 comma II del decreto legislativo n. 165 del 2001, come i ricercatori universitari.

Inoltre, la legge n. 240 del 2010 non violerebbe i parametri costituzionali evocati dal ricorrente, in quanto sarebbe ragionevole la differenza di disciplina corrente fra i ricercatori di tipo B, che, maturando un più ampio periodo di ricerca, possono aspirare (nei limiti di discrezionalità segnati dallo stesso Ateneo) alla carriera di professore associato, e il ricercatore di tipo A, verso il quale prevarrebbero ragioni di [#OMISSIS#] ed i vincoli annuali e pluriennali stabiliti dalla legge per le Università.

Neppure l’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 sarebbe [#OMISSIS#] di disparità di trattamento fra i ricercatori di tipo A e altri dipendenti, compresi gli assegnisti degli Enti di ricerca e i collaboratori coordinati e continuativi, in quanto –[#OMISSIS#] la discrezionalità del legislatore in materia di finanza pubblica- il personale degli Enti di ricerca non rientra fra quello in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3 comma II del decreto legislativo n. 165 del 2001.

IV. – Le deduzioni contenute nelle memorie difensive del ricorrente.

Con le memorie depositate in vista della [#OMISSIS#] di consiglio fissata per la discussione dell’istanza cautelare e con quelle depositate in vista della pubblica udienza del 28 novembre 2018, [#OMISSIS#] quale il ricorso è stato posto in decisione, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento delle domande proposte nel ricorso, evidenziando la portata omnicomprensiva dell’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 (che dunque non potrebbe escludere i ricercatori di tipo A dal suo ambito applicativo) ed ha ribadito, in [#OMISSIS#] contrario, i dedotti [#OMISSIS#] di incostituzionalità della [#OMISSIS#] e di contrasto di essa con la direttiva 1999/70/CE.

Ha, inoltre, affermato che l’eventuale applicazione del citato art. 20 anche ai ricercatori di tipo A costituirebbe rafforzamento dell’autonomia universitaria, in quanto riconoscerebbe [#OMISSIS#] Atenei una facoltà assunzionale ulteriore a quelle già riconosciute dall’ordinamento; ha poi ribadito l’irragionevolezza delle differenze normative esistenti in tema di finanziamento dei rapporti di lavoro dei ricercatori degli Enti di ricerca, ma non di quelli di cui alla legge n. 240 del 2010, nonché l’irragionevolezza insita in un rapporto di lavoro ritenuto sì in regime di diritto pubblico, ma a tempo determinato e senza possibilità di conversione, in contrasto con la Direttiva 1999/70/CE e con la sentenza della Corte di Giustizia UE 14 settembre 2016 in C – 18415.

V. – Le fonti comunitarie che disciplinano la fattispecie.

V.1. – L’art. 155 (già 139 del TCE) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea prevede:

“1. Il dialogo fra le parti sociali a livello dell’Unione può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi.

2. Gli accordi conclusi a livello dell’Unione sono attuati secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri o, nell’ambito dei settori contemplati dall’articolo 153, e a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Il Parlamento europeo è informato.

Il Consiglio delibera all’unanimità allorché l’accordo in questione contiene una o più disposizioni relative ad uno dei settori per i quali è richiesta l’unanimità a [#OMISSIS#] dell’articolo 153, paragrafo 2.”

V.2. – Su questa base pattizia è stata [#OMISSIS#] la Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, <<Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato>> pubblicata [#OMISSIS#] G.U.C.E. 10 luglio 1999, n. L 175 ed entrata in vigore il 10 luglio 1999 (d’ora in avanti la “direttiva”).

Nei suoi “considerando” tale direttiva precisa, per quanto qui rileva, che:

– (3) il punto 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori stabilisce tra l’altro che la realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di [#OMISSIS#] e di lavoro dei lavoratori [#OMISSIS#] Comunità europea. Tale processo avverrà mediante il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e il lavoro stagionale;

– (14) le parti contraenti hanno voluto concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che stabilisce i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato; hanno espresso l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato;

– (15) l’atto appropriato per l’attuazione dell’accordo quadro è costituito da una direttiva ai sensi dell’articolo 249 del trattato; tale atto vincola quindi gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ma lascia ad essi la scelta della forma e dei mezzi.

V.3. – Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 1999/70, quest’[#OMISSIS#] mira ad «attuare l’accordo quadro (…), che figura nell’allegato, concluso (…) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».

L’art. 2 della direttiva prevede che: “Gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi entro il 10 luglio 2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordi. Gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

Gli Stati membri possono fruire di un periodo supplementare non superiore ad un anno, ove sia necessario e previa consultazione con le parti sociali, in considerazione di difficoltà particolari o dell’attuazione mediante contratto collettivo. Essi devono informare immediatamente la Commissione di tali circostanze.

V.4. – Il contenuto sostanziale della direttiva è –vista la genesi pattizia della fonte- racchiuso nell’accordo quadro, di cui si riportano di seguito le norme rilevanti per la presente controversia.

Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro, l’obiettivo di quest’[#OMISSIS#] è:

“a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;

b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.

La clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro è formulata come segue:

“Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro”.

La clausola 3 dell’accordo quadro così recita:

“1. Ai fini del presente accordo, il [#OMISSIS#] “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui [#OMISSIS#] è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.

2. Ai fini del presente accordo, il [#OMISSIS#] “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze.

In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile [#OMISSIS#] stesso stabilimento, il raffronto si dovrà fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di quest’[#OMISSIS#], in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali.

La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata “Principio di non discriminazione”, prescrive quanto segue:

“1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. (…)

4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.

La clausola 5 dell’accordo quadro, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», recita:

“1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a [#OMISSIS#] delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

(…).

V.5. – La Raccomandazione della Commissione dell’11 marzo 2005, riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori, 2005/251/CE, prevede, per quanto qui rileva, nel suo preambolo:

– (6) Si dovrebbero introdurre ed attuare nuovi strumenti per lo sviluppo della carriera dei ricercatori, contribuendo in questo modo al miglioramento delle prospettive di carriera per i ricercatori in Europa;

– (9) Gli Stati membri dovrebbero sforzarsi di offrire ai ricercatori dei sistemi di sviluppo di carriera sostenibili in tutte le fasi della carriera, indipendentemente dalla loro situazione contrattuale e dal percorso professionale scelto [#OMISSIS#] R&S, e impegnarsi affinché i ricercatori vengano trattati come professionisti e considerati parte integrante delle istituzioni in cui lavorano.

E nelle raccomandazioni:

– 2) Gli Stati membri si impegnino a compiere, laddove necessario, i passi fondamentali per garantire che i finanziatori e i datori di lavori dei ricercatori perfezionino i metodi di assunzione e i sistemi di valutazione delle carriere al fine di istituire un sistema di assunzione e uno sviluppo professionale più trasparenti, aperti, equi e accettati a livello internazionale, come presupposto per un vero mercato europeo del lavoro per i ricercatori.

VI. – Norme interne d’interesse [#OMISSIS#] presente controversia.

VI.1. – La legge 30 dicembre 2010, n. 240, << Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario>>, Pubblicata [#OMISSIS#] Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 14 gennaio 2011, n. 10, Supplemento Ordinario, In vigore dal 1 gennaio 2018, all’art. 24 (“Ricercatori a tempo determinato”), recita:

“1. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti, le università possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. Il contratto stabilisce, sulla base dei regolamenti di ateneo, le modalità di svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti nonché delle attività di ricerca.

2. I destinatari sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle università con regolamento ai sensi della legge 9 [#OMISSIS#] 1989, n. 168, nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005, e specificamente dei seguenti criteri:

a) pubblicità dei bandi sulla Gazzetta Ufficiale, sul [#OMISSIS#] dell’ateneo e su quelli del Ministero e dell’Unione europea; specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari; informazioni dettagliate sulle specifiche funzioni, sui diritti e i doveri e sul relativo trattamento economico e previdenziale; previsione di modalità di trasmissione telematica delle candidature nonché, per quanto possibile, dei titoli e delle pubblicazioni;

b) ammissione alle procedure dei possessori del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente, ovvero, per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica, nonché di eventuali ulteriori requisiti definiti nel regolamento di ateneo, con esclusione dei soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori universitari di prima o di seconda fascia o come ricercatori, ancorché cessati dal servizio;

c) valutazione preliminare dei candidati, con motivato giudizio analitico sui titoli, sul curriculum e sulla produzione scientifica, ivi compresa la tesi di dottorato, secondo criteri e parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale, individuati con decreto del Ministro, sentiti l’ANVUR e il CUN; a seguito della valutazione preliminare, ammissione dei candidati comparativamente più meritevoli, in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento del numero degli stessi e comunque non inferiore a sei unità, alla discussione pubblica con la commissione dei titoli e della produzione scientifica; i candidati sono tutti ammessi alla discussione qualora il loro numero sia pari o inferiore a sei; attribuzione di un punteggio ai titoli e a ciascuna delle pubblicazioni presentate dai candidati ammessi alla discussione, a seguito della stessa; possibilità di prevedere un numero [#OMISSIS#], comunque non inferiore a dodici, delle pubblicazioni che ciascun candidato può presentare. Sono esclusi esami scritti e orali, ad eccezione di una prova orale volta ad accertare l’adeguata conoscenza di una lingua straniera; l’ateneo può specificare nel bando la lingua straniera di cui è richiesta la conoscenza in relazione al profilo plurilingue dell’ateneo stesso ovvero alle esigenze didattiche dei corsi di studio in lingua estera; la prova orale avviene contestualmente alla discussione dei titoli e delle pubblicazioni. Nelle more dell’emanazione del decreto di cui al primo periodo, si applicano i parametri e criteri di cui al decreto del Ministro adottato in attuazione dell’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1;

d) formulazione della proposta di chiamata da parte del dipartimento con voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima e di seconda fascia e approvazione della stessa con delibera del consiglio di amministrazione.

3. I contratti hanno le seguenti tipologie:

a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro; i predetti contratti possono essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse;

b) contratti triennali, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero che hanno conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia di cui all’articolo 16 della presente legge, ovvero che sono in possesso del titolo di specializzazione medica, ovvero che, per almeno tre anni anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca ai sensi dell’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, o di assegni di ricerca di cui all’articolo 22 della presente legge, o di borse post-dottorato ai sensi dell’articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri.

4. I contratti di cui al comma 3, lettera a), possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito. I contratti di cui al comma 3, lettera b), sono stipulati esclusivamente con regime di tempo pieno. L’impegno annuo complessivo per lo svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti è pari a 350 ore per il regime di tempo pieno e a 200 ore per il regime di tempo definito.

5. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l’università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e). In [#OMISSIS#] di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati. La valutazione si svolge in conformità [#OMISSIS#] standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale individuati con apposito regolamento di ateneo nell’ambito dei criteri fissati con decreto del Ministro. La programmazione di cui all’articolo 18, comma 2, assicura la disponibilità delle risorse necessarie in [#OMISSIS#] di esito positivo della procedura di valutazione. Alla procedura è data pubblicità sul [#OMISSIS#] dell’ateneo.

6. Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, [#OMISSIS#] restando quanto previsto dall’articolo 18, comma 2, dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo, la procedura di cui al comma 5 può essere utilizzata per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell’università medesima, che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16. A tal fine le università possono utilizzare fino alla metà delle risorse equivalenti a quelle necessarie per coprire i posti disponibili di professore di ruolo. A decorrere dal nono anno l’università può utilizzare le risorse corrispondenti fino alla metà dei posti disponibili di professore di ruolo per le chiamate di cui al comma 5.

(…)

VI.2. – La legge 7 agosto 2015, n. 124, <<Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche>>, Pubblicata [#OMISSIS#] Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana del 13 agosto 2015, n. 187, all’articolo 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), reca delega al Governo per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

In particolare, per quanto qui interessa, l’art. 17 comma 1, tra i criteri di delega, prevede, rispettivamente alle lettere a) ed o):

“a) previsione nelle procedure concorsuali pubbliche di meccanismi di valutazione finalizzati a valorizzare l’esperienza professionale acquisita da coloro che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche, con esclusione, in ogni [#OMISSIS#], dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione degli organi politici e [#OMISSIS#] restando, comunque, la garanzia di un adeguato accesso dall’esterno;”

“o) disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato.”

VI.3. – In attuazione a tale delega, il decreto legislativo 25 luglio 2017, n. 175, <<Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e)e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche>>, pubblicato [#OMISSIS#] Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana 7 giugno 2017, n. 130, in vigore dal 1° gennaio 2018, all’art. 20 (“Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni “), prevede quanto segue:

“1. Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a [#OMISSIS#] e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in [#OMISSIS#] di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati;

b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;

c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.

2. [#OMISSIS#] stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni, possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e [#OMISSIS#] restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;

b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso.

3. Ferme restando le norme di contenimento della spesa di personale, le pubbliche amministrazioni, nel triennio 2018-2020, ai soli fini di cui ai commi 1 e 2, possono elevare gli ordinari limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dalle norme vigenti, al netto delle risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per reclutamento tramite concorso pubblico, utilizzando a tal fine le risorse previste per i contratti di lavoro flessibile, nei limiti di spesa di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 [#OMISSIS#] 2010, n. 78, convertito dalla legge 20 luglio 2010, n. 122, calcolate in misura corrispondente al loro ammontare medio nel triennio 2015-2017 a condizione che le medesime amministrazioni siano in grado di sostenere a regime la relativa spesa di personale previa certificazione della sussistenza delle correlate risorse finanziarie da parte dell’organo di controllo interno di cui all’articolo 40-bis, comma 1, e che prevedano nei propri bilanci la contestuale e definitiva riduzione di tale valore di spesa utilizzato per le assunzioni a tempo indeterminato dal tetto di cui al predetto articolo 9, comma 28.

(…)

5. Fino al [#OMISSIS#] delle procedure di cui ai commi 1 e 2, è fatto divieto alle amministrazioni interessate di instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 [#OMISSIS#] 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, per le professionalità interessate dalle predette procedure. Il comma 9-bis dell’articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è abrogato.

(…)

8. Le amministrazioni possono prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile con i soggetti che partecipano alle procedure di cui ai commi 1 e 2, fino alla loro conclusione, nei limiti delle risorse disponibili ai sensi dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 [#OMISSIS#] 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

9. Il presente articolo non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative statali. Fino all’adozione del regolamento di cui all’articolo 2, comma 7, lettera e), della legge 21 dicembre 1999, n. 508, le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle Istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica. I commi 5 e 6 del presente articolo non si applicano [#OMISSIS#] enti pubblici di ricerca di cui al decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218. Per i predetti enti pubblici di ricerca il comma 2 si applica anche ai titolari di assegni di ricerca in possesso dei requisiti ivi previsti. Il presente articolo non si applica altresì ai contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni.

(…).

VI.4. – Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, << Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche>>, pubblicato [#OMISSIS#] Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 9 [#OMISSIS#] 2001, n. 106, Supplemento Ordinario, all’art. 3 (Personale in regime di diritto pubblico), comma II, prevede, per quanto qui interessa:

“Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari, a tempo indeterminato o determinato, [#OMISSIS#] disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione ed [#OMISSIS#] articoli 6 e seguenti della legge 9 [#OMISSIS#] 1989, n. 168, e successive modificazioni ed integrazioni, tenuto conto dei principi di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421.”.

Il medesimo decreto legge, all’art. 36, [#OMISSIS#] formulazione in vigore dal 22 giugno 2017, prevede quanto segue:

“1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35.

2. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare i contratti di cui al primo periodo del presente comma soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall’articolo 35. I contratti di lavoro subordinato a tempo determinato possono essere stipulati nel rispetto degli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, escluso il diritto di precedenza che si applica al solo personale reclutato secondo le procedure di cui all’articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto. I contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato sono disciplinati dagli articoli 30 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. È consentita l’applicazione dell’articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, [#OMISSIS#] restando la salvaguardia della posizione occupata [#OMISSIS#] graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato.

2-bis. I rinvii operati dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ai contratti collettivi devono intendersi riferiti, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, ai contratti collettivi nazionali stipulati dall’ARAN.

(…)

5. In ogni [#OMISSIS#], la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, [#OMISSIS#] restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell’articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.

5-quater. I contratti di lavoro posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell’articolo 21. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato.

5-quinquies. Il presente articolo, fatto [#OMISSIS#] il comma 5, non si applica al reclutamento del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), a tempo determinato presso le istituzioni scolastiche ed educative statali e degli enti locali, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. Per gli enti di ricerca pubblici di cui [#OMISSIS#] articoli 1, comma 1, e 19, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218, rimane [#OMISSIS#] quanto stabilito dal medesimo decreto.”

VI.5. – Il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, <<Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a [#OMISSIS#] dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183>>, pubblicato [#OMISSIS#] Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 24 giugno 2015, n. 144, Supplemento Ordinario, costituisce oggi attuazione nel diritto interno della su citata direttiva.

Il relativo articolo 19, “Apposizione del [#OMISSIS#] e durata massima”, [#OMISSIS#] versione precedente alla modifica apportata dal decreto legge 12 luglio 2018, n. 87 (<<Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese>>), pubblicato [#OMISSIS#] Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana del 13 luglio 2018, n. 161, e dunque applicabile alla fattispecie in esame, prevedeva:

”1. Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un [#OMISSIS#] di durata non superiore a trentasei mesi.

2. Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i trentasei mesi”.

Inoltre –per quanto qui rileva, l’art. 29 (“Esclusioni e discipline specifiche”) dello stesso decreto legislativo, in vigore dal 12 agosto 2018, recita:

“ (…) 2. Sono, altresì, esclusi dal campo di applicazione del presente capo: (…)

d) i contratti a tempo determinato stipulati ai sensi della legge 30 dicembre 2010, n. 240.

(…)

4. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] quanto disposto dall’articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001.”

VII. – Illustrazione dei motivi del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del TFUE e dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione Europea. – Osservazioni del Collegio sugli articoli 29 comma II lettera d) e comma IV del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e sull’art. 36 comma II e comma V del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165.

In relazione al terzo ed al sesto motivo del ricorso introduttivo, il Collegio dubita della compatibilità con il diritto comunitario della normativa nazionale che, nel [#OMISSIS#] dei ricercatori universitari disciplinati dall’art. 24 comma III, lettera a), della legge n. 240 del 2010, vieta la conversione del rapporto di lavoro di detti dipendenti da rapporto a tempo determinato a rapporto a tempo indeterminato.

VII.1. – La [#OMISSIS#] interna che determina, in via diretta ed immediata, tale specifica preclusione alla conversione, è innanzitutto l’art. 29, comma II, lettera d), del su richiamato decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante la <<Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a [#OMISSIS#] dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183>.

In particolare, come risulta dalla suesposta rassegna normativa, tale art. 29 (“Sono, altresì, esclusi dal campo di applicazione del presente capo: (…) d) i contratti a tempo determinato stipulati ai sensi della legge 30 dicembre 2010, n. 240”) [#OMISSIS#] una deroga all’applicazione dell’art. 19 del medesimo decreto legislativo, che, [#OMISSIS#] versione applicabile al [#OMISSIS#] di specie, prevedeva una durata massima pari a trentasei mesi dei contratti a [#OMISSIS#].

Non vi è, quindi, in questo [#OMISSIS#], la mediazione costituita dal generale rinvio allo specifico ordinamento universitario posta dall’art. 3 comma II del decreto legislativo n. 165 del 2001, su richiamato, che dunque è sottratto dalla presente richiesta di interpretazione pregiudiziale.

VII.2. – Il successivo comma IV del citato art. 29, poi, prevede che “[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] quanto disposto dall’articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001”.

Tale art. 36, al comma II, prima parte, prevede che le amministrazioni pubbliche possano stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui per esse ne sia prevista l’applicazione, come accade proprio per i ricercatori universitari di cui all’art. 24 comma III lettera a) della legge n. 240 del 2010; e soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall’articolo 35; il medesimo comma, poi, richiama il rispetto delle condizioni di cui all’art. 19 e seguenti del decreto legislativo n. 81 del 2015.

Il comma V dell’art. 36, invece, si palesa come [#OMISSIS#] altrettanto preclusiva della conversione, in quanto [#OMISSIS#] la tassativa prescrizione secondo cui in ogni [#OMISSIS#], la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, [#OMISSIS#] restando ogni responsabilità e sanzione, ed il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.

VII.3. – Occorre premettere che non influisce sulla fattispecie in esame la novella al decreto legislativo n. 81 del 2015 sopravvenuta (in vigore dal 1° gennaio 2019) costituita dall’[#OMISSIS#] comma dell’art. 1 del decreto legge n. 87 del 12 luglio 2018 (<<Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese>>), convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, secondo cui le disposizioni di cui al detto articolo 1 non si applicano ai contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, ai quali continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto.

Si tratta della novella che ha abbreviato a dodici mesi la durata possibile del contratto a [#OMISSIS#] ed ha introdotto la causa tipica di cui alle lettere a) e b) dell’art. 19 comma 1 del decreto legislativo n. 81 del 2015, per cui è ammessa la stipulazione di detto contratto solo in [#OMISSIS#] di specifiche esigenze.

Occorre infatti tenere conto del perdurante –in quanto non abrogato espressamente- rinvio dell’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 all’art. 19 del decreto legislativo n. 81 del 2015, nonché della collocazione temporale dei fatti oggetto di causa (il contratto a [#OMISSIS#] in parola è definitivamente scaduto il 27 novembre 2017).

VII.4. – Da quanto detto risulta evidente la rilevanza [#OMISSIS#] presente controversia delle norme di cui si chiede l’interpretazione pregiudiziale.

Qualora non fossero state poste le preclusioni alla conversione del rapporto di cui alle norme appena citate, il ricercatore in questione, avendo sottoscritto un contratto a tempo determinato di durata complessiva pari a cinque anni (comprensivo di durata di base triennale e di proroga biennale) in assenza delle comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale (che l’Università “Roma Tre” non allega in giudizio) di cui parla l’art. 36 in questione, avrebbe diritto alla conversione del contratto, protrattosi per oltre trentasei mesi.

VII.5. – Il Collegio dubita che le suddette disposizioni dell’art. 29 del decreto legislativo n. 81 del 2015 e dell’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nel porre una preclusione alla conversione del rapporto di lavoro dei ricercatori universitari disciplinati dall’art. 24 comma III lettera a) della legge n. 240 del 2010, siano conformi alla clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 199970, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», secondo cui, per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti, alla durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, ed al numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

Tanto, [#OMISSIS#] consapevolezza che, per consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla direttiva non enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, lasciando [#OMISSIS#] Stati membri la determinazione delle condizioni in presenza delle quali i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato.

Ma, allo stesso tempo, il Collegio deve rilevare che, secondo lo stesso [#OMISSIS#] comunitario, “affinché una normativa che vieta in modo assoluto, nel settore pubblico, la conversione in un contratto di lavoro a tempo indeterminato di contratti di lavoro a tempo determinato successivi possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare ed, eventualmente, sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi (sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 105; del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C‑53/04, EU:C:2006:517, punto 49; del 7 settembre 2006, Vassallo, C‑180/04, EU:C:2006:518, punto 34, e del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punti 161 e 184)”.

VII.6. – Ed infatti, tale clausola 5, paragrafo 1, [#OMISSIS#] lettura datane dalla Corte di Giustizia (Decima Sezione, 14 settembre 2016, in C. 184/15), “deve essere interpretata nel senso che osta a che una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, sia applicata dai [#OMISSIS#] nazionali dello Stato membro interessato in modo che, in [#OMISSIS#] di utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione mediante un contratto di lavoro soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, a meno che non esista un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori, circostanza che spetta al [#OMISSIS#] nazionale verificare”.

VII.7 – Alla luce di tale principio, dunque, questo TAR è chiamato a verificare se nell’ordinamento interno sussista il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro accordato alle persone assunte dall’amministrazione mediante un contratto di lavoro soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica (mentre le norme sospettate di non essere compatibili con il diritto comunitario pongono un divieto di conservazione per i soggetti “in regime di diritto pubblico”, nozione in cui qui occorre intendere ricompreso, oltre al rapporto non contrattualizzato di cui all’art. 3 comma II del decreto legislativo n. 165 del 2001 che fa capo al ricorrente, anche il lavoro pubblico contrattualizzato).

VII.8. – La risposta deve essere positiva.

Infatti, l’art. 20 comma II del citato decreto legislativo n. 75 del 2017 ha previsto che “[#OMISSIS#] stesso triennio 2018-2020, le amministrazioni, possono bandire, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e [#OMISSIS#] restando la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, previa indicazione della relativa copertura finanziaria, procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:

a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;

b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2017, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso.”

VII.9 – La previsione di tutela conservativa (sebbene sottoposta a necessario contingentamento del numero dei posti) per i soggetti che hanno stipulato contratti di “lavoro flessibile” si affianca a quella del comma I del medesimo articolo 20, che riguarda i soggetti “con rapporto di lavoro a tempo determinato” di tipo pubblicistico, sebbene contrattualizzato.

Essa riguarda, pertanto, soggetti che hanno stipulato con l’Amministrazione pubblica un tipo contrattuale diverso dal contratto a [#OMISSIS#], annoverato nell’elenco desumibile dall’art. 9 comma 28 del decreto-legge 31 [#OMISSIS#] 2010, n. 78, convertito dalla legge 20 luglio 2010, n. 122: [#OMISSIS#] espressamente richiamata in questo senso dal successivo comma III dell’art. 20, che individua la copertura finanziaria dei procedimenti di cui al comma II.

Tale articolo 9 comma 28 prevede che “A decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui [#OMISSIS#] articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici, le università e gli enti pubblici di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e integrazioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura [#OMISSIS#] quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio di cui all’articolo 70, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni ed integrazioni, non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009”.

Ne deriva che, quando l’art. 20 comma II parla dei rapporti di lavoro flessibile, si riferisce a quelli contemplati dall’art. 9 comma 28 del decreto legge n. 78 del 2010 ma non dal comma I dell’art. 20 medesimo, ossia ai rapporti di lavoro (non necessariamente denominato come “subordinato”, ma spesso qualificabile come tale o comunque comparabile al primo ai fini comunitari) derivanti da contratti di collaborazione coordinata e continuativa, convenzioni, contratti di formazione-lavoro, “altri rapporti formativi”, e finanche lavoro accessorio di cui all’art. 70 comma I lettera d) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (ovvero, attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare).

D’altronde, tali tipi contrattuali sono espressamente previsti in via generale proprio dall’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, sia nell’epigrafe (“Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile”) che nel comma II, per cui le Amministrazioni, entro limiti che sono loro propri, possono “avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa”.

VII.10. – Non rileva in senso contrario a quanto qui appena detto la circostanza per cui il comma II dell’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 preveda un’assunzione subordinata a superamento di una procedura concorsuale riservata.

E’ evidente che, per il diritto comunitario, risulta equivalente che la conservazione del rapporto di lavoro derivi dalla diretta conversione del contratto o da una procedura di stabilizzazione comunque disciplinata.

E’ poi altrettanto evidente che tale previsione, oltre ad essere necessaria per il limitato numero di posti disponibili, vuole salvaguardare il principio dell’accesso al pubblico impiego tramite concorso contemplato dall’art. 97 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Anche sotto tale profilo, tuttavia, la situazione del ricercatore di cui all’art. 24 comma III lettera a) della legge n. 240 del 2010 è comparabile con quelle dei lavoratori che si giovano del citato art. 20, in quanto proprio la [#OMISSIS#] della c.d. legge “[#OMISSIS#]” n. 240 del 2010 prevede il loro reclutamento tramite procedure pubbliche di selezione indette mediante pubblicazione di un bando che preveda una valutazione preliminare ed un colloquio inerente titoli e pubblicazioni.

In particolare, le procedure in questione devono essere indette nel rispetto dei principi enunciati dalla Carta europea dei ricercatori, di cui alla raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005, e specificamente dei seguenti criteri:

a) pubblicità dei bandi sulla Gazzetta Ufficiale, sul [#OMISSIS#] dell’ateneo e su quelli del Ministero e dell’Unione europea; specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari; informazioni dettagliate sulle specifiche funzioni, sui diritti e i doveri e sul relativo trattamento economico e previdenziale; previsione di modalità di trasmissione telematica delle candidature nonché, per quanto possibile, dei titoli e delle pubblicazioni;

b) ammissione alle procedure dei possessori del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente, ovvero, per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica, nonché di eventuali ulteriori requisiti definiti nel regolamento di ateneo, con esclusione dei soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori universitari di prima o di seconda fascia o come ricercatori, ancorché cessati dal servizio;

c) valutazione preliminare dei candidati, con motivato giudizio analitico sui titoli, sul curriculum e sulla produzione scientifica, ivi compresa la tesi di dottorato, secondo criteri e parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale, individuati con decreto del Ministro, sentiti l’ANVUR e il CUN; a seguito della valutazione preliminare, ammissione dei candidati comparativamente più meritevoli, in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento del numero degli stessi e comunque non inferiore a sei unità, alla discussione pubblica con la commissione dei titoli e della produzione scientifica; (…)

d) formulazione della proposta di chiamata da parte del dipartimento con voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima e di seconda fascia e approvazione della stessa con delibera del consiglio di amministrazione.

VII.11. – Inoltre, a parere del Collegio non esiste nell’ordinamento giuridico nazionale una misura efficace, alternativa alla conservazione del posto di lavoro, atta a sanzionare l’abuso del ricorso al contratto a [#OMISSIS#] nei confronti degli interessati.

VII.12. – Ed invero, l’unica misura efficace, alternativa alla conversione del rapporto, potrebbe in astratto essere costituta da un [#OMISSIS#] risarcitorio per equivalente, comprensivo, ai sensi dell’art. 1223 del codice civile, di danno emergente e lucro cessante (detratto l’aliunde perceptum) legato alla mancata instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Invece, tale misura non può essere costituita dallo specifico [#OMISSIS#] risarcitorio contemplato proprio dal comma V dell’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, per cui la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ed il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.

Ed invero, rileva in senso determinante ai fini dell’esclusione della tutela risarcitoria contemplata nell’art. 36 il fatto che si tratti di contratto a tempo determinato stipulato a seguito di procedura selettiva, e dunque nel rispetto del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione e dell’art. 35 dello stesso decreto legislativo n. 165 del 2001.

Al riguardo occorre rammentare come la giurisprudenza interna, ed in particolare quella della Suprema Corte di cassazione, interpreta la fattispecie risarcitoria in questione, che ritiene unica forma di tutela ammissibile nei casi in questione.

A questo proposito può essere sufficiente citare la sentenza delle Sezioni Unite 15 marzo 2016, n. 5072 (che a sua volta richiama la [#OMISSIS#] giurisprudenza della Corte costituzionale, specie la sentenza 27 marzo 2003, n. 89) per cui “l’art. 36 in questione, per la parte in cui non consente, a differenza di quanto accade nel rapporto di lavoro privato, che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori possa dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, non [#OMISSIS#] gli artt. 3 e 97 Cost., dal momento che è giustificata la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di quelle disposizioni conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, dato che il principio dell’accesso mediante concorso – enunciato dall’art. 97 Cost., a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione rende non omogeneo il rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto alle dipendenze di datori privati”.

VII.13. – A parere del Collegio queste considerazioni sono pienamente condivisibili solo [#OMISSIS#] misura in cui esse sono espresse (come fa la [#OMISSIS#] giurisprudenza interna sviluppatasi sul punto) nell’ambito specifico della comparazione tra regime proprio del lavoro pubblico (regolato dall’art. 97 Cost. e del principio dell’accesso per concorso) e regime del lavoro privato, che non soggiace a tale regola.

Esse, tuttavia, non si attagliano affatto al diverso ambito di indagine che qui ci occupa, il quale:

a) è legato alla comparazione tra diverse forme di impiego alle dipendenze di Amministrazioni Pubbliche (e non alle differenze di regime esistenti tra lavoro pubblico e lavoro privato);

b) vede l’accesso del dipendente interessato alla –denegata- conversione tramite una procedura di selezione rispettosa dei parametri di cui all’art. 97 Cost., quale è quella contemplata dall’art. 24 della legge n. 240 del 2010; e quale sarebbe, a maggior ragione, in altri settori dell’impiego pubblico, un concorso strutturato su classiche prove scritte ed orali, affrontato dalla maggior parte dei dipendenti interessati all’applicazione dell’art. 36 citato: ossia sul legittimo metodo di accesso al pubblico impiego, sulla cui assenza la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale hanno imperniato il proprio orientamento negatorio della possibile conversione del rapporto.

VII.14. – Anche per tale ragione, dunque, l’alternativa alla preclusa conversione costituita dal risarcimento del danno non può trovare ingresso nel [#OMISSIS#] in esame: come interpretato dalla giurisprudenza interna, il risarcimento di cui all’art. 36 è stato approntato dal legislatore per apprestare una residuale forma di tutela ai dipendenti che, per essere stati assunti in violazione della regole che impone l’accesso tramite concorso, non sono in condizione da potere essere assunti a tempo indeterminato, e vedono il contratto stipulato versare in causa di nullità.

VII.15. – Sotto un profilo più generale, ciò che meno convince [#OMISSIS#] disposizione oggetto di dubbio di compatibilità comunitaria è proprio il legame posto dalla formulazione dell’art. 36 fra la violazione delle norme imperative poste a presidio della costituzione del rapporto di lavoro pubblico e il divieto di conversione (o comunque di accedere ad altre forme di stabilizzazione).

Infatti ad ancora più paradossali effetti l’art. 36 citato conduce nel [#OMISSIS#] in cui la violazione delle norme imperative, invece, sussista: ma sia legata proprio alla avvenuta costituzione, tramite pubblico concorso, di un rapporto di lavoro a tempo determinato fuori dai casi in cui ciò sarebbe potuto avvenire.

In questo [#OMISSIS#] ricorre un [#OMISSIS#] di abusivo ricorso allo strumento del contratto a [#OMISSIS#], contrastante con la clausola 5 dell’accordo quadro.

E’ infatti la stessa genesi del rapporto a tempo determinato a rilevare nel senso dell’abusività (anche) della successione dei contratti ne tempo; ed è del tutto evidente che, se è viziata la genesi del rapporto (perché il contratto non avrebbe potuto essere stipulato a tempo determinato, bensì a tempo indeterminato), è di conseguenza viziata la successione al primo di altri contratti a tempo determinato o la proroga del primo.

Viene dunque in considerazione la violazione del principio –oramai generale ed immanente all’ordinamento del lavoro pubblico- cristallizzato nel primo comma dello stesso articolo 36, per cui “Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35”.

Da questa disposizione di principio si ricava che il ricorso ai contratti a tempo determinato ha carattere eccezionale, e non risponde ad esigenze strutturali delle Amministrazioni, a fronte delle quali l’approvvigionamento di personale deve avvenire unicamente mediante contratti a tempo indeterminato: lo conferma il secondo comma, quando espressamente afferma che il ricorso ad altri tipi contrattuali avvenga “soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”.

E tuttavia, l’assunzione a tempo determinato per esigenze non occasionali, [#OMISSIS#] comune prassi amministrativa, è un [#OMISSIS#] non di scuola, ma, al contrario, è stata –soprattutto in passato- evenienza ricorrente: tanto da avere dato luogo, a più riprese, a numerose norme di “superamento del precariato”, novero di cui l’art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017 è solo l’[#OMISSIS#] esempio in ordine di tempo.

A questo fine si veda l’elencazione di disposizioni aventi medesima finalità contenuta [#OMISSIS#] stessa circolare n. 32017 del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, impugnata dal ricorrente nel presente giudizio, che, alla nota n. 1, ricorda: “Per quanto riguarda le norme principali in tema di superamento del precariato si richiamano, a titolo meramente esemplificativo, le seguenti: articolo 1, commi 519, 529, 558 e 560, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nonché articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Con riferimento alla valorizzazione della professionalità acquisita mediante esperienze lavorative, si ricorda l’art. 1, comma 401, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha inserito il comma 3-bis all’articolo 35 del d.lgs. 165/2001, nonché l’art. 1, comma 227, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Si ricordano, altresì, le procedure per il personale insegnante ed educativo previste dall’articolo 17 del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, (…). Con riferimento alle procedure del d.l. 101/2013 si riporta l’articolo 1, comma 426, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 secondo cui: “In relazione alle previsioni di cui ai commi da 421 a 425 il [#OMISSIS#] del 31 dicembre 2016, previsto dall’articolo 4, commi 6, 8 e 9, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, per le finalità volte al superamento del precariato, è prorogato al 31 dicembre 2018, con possibilità di utilizzo, nei limiti previsti dal predetto articolo 4, per gli anni 2017 e 2018, delle risorse per le assunzioni e delle graduatorie che derivano dalle procedure speciali. Fino alla conclusione delle procedure di stabilizzazione, ai sensi dell’articolo 1, comma 529, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, le regioni possono procedere alla proroga dei contratti a tempo determinato interessati alle procedure di cui al presente periodo, [#OMISSIS#] restando il rispetto dei vincoli previsti dall’articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, in ogni [#OMISSIS#] nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica”.

VII.16. – Nei casi di illegittimo ricorso al contratto a tempo determinato il legame tra il divieto di conversione ed il risarcimento del danno per violazione di norme imperative sulle assunzioni risulta condurre ad effetti tali da privare gli interessati di una tutela efficace, così come la previsione di nullità del rapporto di cui allo stesso articolo.

Infatti, in applicazione dell’art. 36, il dipendente si trova privo del contratto di lavoro (che non viene convertito) e destinatario di un mero risarcimento.

Quest’[#OMISSIS#], per di più, secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, non riguarda affatto l’equivalente pecuniario del contratto a tempo indeterminato non concluso.

Per la Suprema Corte, infatti, (sentenza su citata) “Il danno è altro. Il lavoratore, che abbia reso una prestazione lavorativa a [#OMISSIS#] in una situazione di ipotizzata illegittimità della clausola di apposizione del [#OMISSIS#] al contratto di lavoro o, più in generale, di abuso del ricorso a tale fattispecie contrattuale, essenzialmente in ipotesi di proroga, rinnovo o ripetuta reiterazione contra legem, subisce gli effetti pregiudizievoli che, come danno patrimoniale, possono variamente configurarsi. Si può soprattutto ipotizzare una perdita di chance nel senso che, se la pubblica amministrazione avesse operato legittimamente emanando un bando di concorso per il posto, il lavoratore, che si duole dell’illegittimo ricorso al contratto a [#OMISSIS#], avrebbe potuto parteciparvi e risultarne vincitore. Le energie lavorative del dipendente sarebbero state liberate verso altri impieghi possibili ed in ipotesi verso un impiego alternativo a tempo indeterminato. (…) L’evenienza ordinaria è la perdita di chance risarcibile come danno patrimoniale [#OMISSIS#] misura in cui l’illegittimo (soprattutto se prolungato) impiego a [#OMISSIS#] abbia fatto perdere al lavoratore altre occasioni di lavoro stabile.”

Tanto è vero che la liquidazione di tale danno è forfettizzata ed assume i connotati di una mera indennità.

Al riguardo la citata pronunzia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ricorda che “Con riguardo poi al profilo del risarcimento del danno in ragione dell’illegittima apposizione del [#OMISSIS#] la Corte (sent. n. 303 del 2011) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, sollevata in particolare [#OMISSIS#] parte in cui il comma 5, stabilisce che, nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il risarcimento del lavoratore illegittimamente estromesso alla scadenza del [#OMISSIS#] dev’essere ragguagliato ad una indennità onnicomprensiva da liquidare tra un minimo di 2,5 ed un [#OMISSIS#] di 12 mensilità dell'[#OMISSIS#] retribuzione globale di fatto, alla stregua dei criteri dettati dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, (…) indennità onnicomprensiva che – osserva la Corte – “assume una chiara [#OMISSIS#] sanzionatoria” (…) La L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 13, ha poi offerto l’interpretazione autentica dell’art. 32, comma 5, cit. chiarendo che l’indennità risarcitoria suddetta limita l’ammontare del risarcimento del danno dovuto a seguito della illegittima apposizione del [#OMISSIS#] ad un contratto di lavoro fissandolo [#OMISSIS#] misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un [#OMISSIS#] di 12 mensilità dell'[#OMISSIS#] retribuzione globale di fatto (…).”

Nessuna tutela risarcitoria è dunque prevista per equivalente, né tanto meno –evidentemente- in forma specifica.

VII.17. – Per tutto quanto su ricordato, la normativa interna riporta, all’evidenza, ad effetti assai lontani da quelli auspicati dalla clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla direttiva 199970.

Persino la medesima sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite su richiamata afferma che “la compatibilità comunitaria del regime differenziato per i dipendenti a [#OMISSIS#] delle pubbliche amministrazioni quanto alla preclusione che non consente la conversione del rapporto da tempo determinato in tempo indeterminato deve comunque rispettare il principio dell’equivalenza e quello dell’effettività e dissuasività della reazione dell’ordinamento interno a situazioni di abuso nel ricorso al contratto a [#OMISSIS#] e quindi della tutela approntata in favore del dipendente pubblico”.

Equivalenza, effettività e dissuasività rispetto alle quali, per quanto detto, l’art. 36 conduce in direzione diametralmente opposta.

VII.18. – La violazione della clausola 5 dell’accordo quadro per mancanza di un [#OMISSIS#] equivalente nell’ordinamento interno è stata affermata dalla Corte di Giustizia anche con riferimento a lavoratori del settore pubblico.

In particolare, la sentenza della Corte di Giustizia (Decima Sezione) del 25 ottobre 2018, [#OMISSIS#] Sciotto / Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, Causa C-331/17, afferma che la clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale le norme di diritto comune, intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato se il rapporto di lavoro perdura oltre una data precisa, non sono applicabili al settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati in tale settore.

[#OMISSIS#] circostanza di cui alla pronunzia appena citata, il [#OMISSIS#] comunitario ha osservato che il carattere pubblico delle fondazioni lirico-sinfoniche non incide sulla tutela di cui beneficia un lavoratore in base alla clausola 5 dell’accordo quadro, in quanto, per giurisprudenza [#OMISSIS#], la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro sono applicabili anche ai contratti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico (sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 54, nonché del 7 settembre 2006, Vassallo, C‑180/04, EU:C:2006:518, punto 32), poiché la definizione della nozione di «lavoratori a tempo determinato» ai sensi dell’accordo quadro, figurante [#OMISSIS#] clausola 3, punto 1, di quest’[#OMISSIS#], include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro (sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 56, del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, da C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 67, nonché del 14 settembre 2016, Pérez López, C‑16/15, EU:C:2016:679, punto 24).

VIII. – Illustrazione dei motivi del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del TFUE e dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione Europea. – Osservazioni del Collegio sull’articolo 24 commi I e III della legge n. 240 del 2010 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario).

Il Collegio dubita della compatibilità con il diritto comunitario dell’art. 24 commi I e III della legge n. 240 del 2010, che istituisce la figura del ricercatore a tempo determinato e individua in tre anni, eventualmente prorogabili per altri due, la durata del contratto.

VIII.1. – Il primo comma dispone:

“Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti, le università possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. Il contratto stabilisce, sulla base dei regolamenti di ateneo, le modalità di svolgimento delle attività di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti nonché delle attività di ricerca”.

Tale disposizione si limita a individuare le due figure del ricercatore a tempo determinato introdotte, descrivendo le caratteristiche delle procedure selettive per il loro reclutamento e delineando la relativa differenza di disciplina.

Essa, tuttavia, non descrive, e neppure individua, le condizioni alla luce delle quali le Università possono ricorrere alla stipulazioni di tali contratti di lavoro subordinato a tempo determinato.

VIII.2. – Lo stesso è da dirsi a proposito della disposizione del comma terzo, che disciplina la proroga biennale del contratto stipulato, inizialmente, per tre anni, subordinandola unicamente alla “previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte”.

VIII.3. – Come ripetuto, il rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato deve essere giustificato da una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro.

La giurisprudenza della Corte comunitaria chiarisce la nozione di «ragioni obiettive» che figura [#OMISSIS#] clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro nel senso che si deve trattare di circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenza della Corte di Giustizia, Terza Sezione, 26 novembre 2014; sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

Per contro, una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale e astratto attraverso una [#OMISSIS#] legislativa o regolamentare, il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, non soddisfarebbe i requisiti precisati al punto precedente della presente sentenza.

Infatti, una disposizione di tal genere, di natura puramente formale, non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza [#OMISSIS#], se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro (sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punti 28 e 29 nonché giurisprudenza ivi citata).

Anche con la sentenza della Decima Sezione del 25 ottobre 2018, [#OMISSIS#] Sciotto / Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, Causa C-331/17, il [#OMISSIS#] Comunitario ha evidenziato (paragrafo 40) che una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale e astratto attraverso una [#OMISSIS#] legislativa o regolamentare, il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, di natura puramente formale, non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza [#OMISSIS#], se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti, non risultando così compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro (sentenze del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401, punto 88 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 febbraio 2015, Commissione/Lussemburgo, C 238/14, EU:C:2015:128, punto 45).

E, come detto in precedenza, la sentenza in questione precisa che il carattere pubblico del datore di lavoro non incide sulla tutela di cui beneficia un lavoratore in base alla clausola 5 dell’accordo quadro.

VIII.4. – Le citate disposizioni, per quanto detto, paiono al Collegio violare la clausola 5 punto 1 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, <<Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato>>, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi”, come interpretata dalla Corte di Giustizia.

E’ del tutto evidente che i richiesti criteri “oggettivi e trasparenti” non si ritrovano nel primo comma dell’art. 24 cella legge n. 240 del 2010, che si limita a porre la condizione che il contratto a [#OMISSIS#] sia compatibile con le risorse disponibili per la programmazione; così operando una sorta di inversione logica della previsione che vorrebbe prima l’emersione dell’esigenza oggettiva (ma non strutturale e permanente) dell’Amministrazione di stipulare un contratto a tempo determinato (si deve ritenere: per esigenze di ricerca); e solo dopo, una volta emersa l’esigenza, il (necessario) reperimento delle risorse necessarie alla copertura finanziaria.

E, a quest’[#OMISSIS#] proposito, va evidenziato che la stessa giurisprudenza della Corte comunitaria su citata precisa come eventuali esigenze di [#OMISSIS#] che inducano a negare la tutela conservativa del posto di lavoro, sebbene possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero la portata delle misure che esso intende adottare, non costituiscono di per sé un obiettivo perseguito da tale politica e, pertanto, non possono giustificare l’assenza di qualsiasi misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13, EU:C:2014:2401, punto 110, nonché ordinanza del 21 settembre 2016, [#OMISSIS#], C 614/15, EU:C:2016:726, punto 63).

VIII.5. – Parimenti, neppure la soggezione del possibile rinnovo biennale ad una semplice “positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte” consente di ritenere soddisfatta la necessità che l’Università stabilisca e segua “criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza [#OMISSIS#], se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine”.

Anche in questo [#OMISSIS#], inoltre, il rinnovo soffre del contrasto con i suddetti principi comunitari della stipulazione del primo contratto a tempo determinato, che ne costituisce l’indefettibile antecedente logico necessario.

Pertanto, anche la previsione del terzo comma dell’art. 24 comporta un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti, non risultando così compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro.

IX. – Questioni pregiudiziali poste al vaglio della Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE e dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Tanto premesso, il Collegio solleva innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione:

1) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, <<Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato>>, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui [#OMISSIS#] articoli 29 comma II lettera d) e comma IV del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e 36 comma II e comma V del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, precluda per i ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale, prorogabile per due anni, ai sensi dell’art. 24 comma III lettera a) della legge n. 240 del 2010, la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato;

2) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, <<Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato>>, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui [#OMISSIS#] articoli 29 comma II lettera d) e comma IV del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 e 36 comma II e comma V del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, sia applicata dai [#OMISSIS#] nazionali dello Stato membro interessato in modo che il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione pubblica mediante un contratto di lavoro flessibile soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto a tempo determinato da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, non sussistendo (per effetto delle su citate disposizioni nazionali) un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori;

3) se, pur non sussistendo un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, la clausola 5 dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, <<Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato>>, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi”, anche alla luce del principio di equivalenza, osti a che una normativa nazionale, quale quella di cui all’articolo 24, commi primo e terzo, della legge 30 dicembre 2010 n. 240, che prevede la stipulazione e la proroga, per complessivi cinque anni (tre anni con eventuale proroga per due anni), di contratti a tempo determinato fra ricercatori ed Università, subordinando la stipulazione a che essa avvenga “Nell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti”, ed altresì subordinando la proroga alla “positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte”, senza stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se la stipulazione e il rinnovo di siffatti contratti rispondano effettivamente ad un’esigenza [#OMISSIS#], se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine, e comporta quindi un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti, non risultando così compatibile con lo scopo e l’effetto utile dell’accordo quadro.

X.- Sospensione del giudizio e disposizioni per la Segreteria.

Ai sensi della Nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei [#OMISSIS#] nazionali 2011/C160/01 (in G.U.C.E. 28 [#OMISSIS#] 2011), [#OMISSIS#] trasmessi alla Cancelleria della Corte mediante plico raccomandato al seguente indirizzo Rue du Fort Niedergrunewald, L-2925 Lussemburgo, a cura della Segreteria della Sezione, mediante plico raccomandato, in copia i seguenti atti:

– testo degli articoli 29 del decreto legislativo n. 81 del 2015 e 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché dell’art. 24 della legge n. 240 del 2010;

– gli atti impugnati con il ricorso di primo grado;

– il ricorso di primo grado con i relativi allegati (fascicolo di parte ricorrente);

– le memorie di costituzione e difensive dell’Università degli Studi “Roma Tre”, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con i relativi allegati (fascicoli delle parti resistenti);

– le successive memorie difensive delle parti in causa;

– la presente ordinanza.

Il presente giudizio viene sospeso fino alla pronuncia della Corte di Giustizia, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, provvede come segue:

– rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali indicata in motivazione, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea;

– dispone che la presente ordinanza, unitamente a copia del fascicolo di causa, sia trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, alla Cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea;

– dispone la sospensione del presente giudizio;

– riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese.

Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 28 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:

[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Primo Referendario