N. 00049/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01151/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1151 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Università degli Studi di Milano Bicocca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata ex lege in Milano, via Freguglia, 1;
per l’annullamento
– nei limiti d’interesse, del provvedimento prot. n. 14374, del 02.03.2018, pervenuto a mezzo posta in data 08.03.2018, a firma del Dirigente p.t. dell’Area Formazione e dei Servizi agli Studenti dell’Università degli Studi Bicocca di Milano;
nonchè per l’accertamento
– dell’avvenuta estinzione, a seguito del pagamento dell’oblazione ex art. 16 L n. 689/81 effettuato dalla ricorrente in data 12.03.2018, dell’obbligazione pecuniaria conseguente all’atto di contestazione degli illeciti (di cui agli artt. 10 D.Lgs. n. 68/2012 e 38, comma 3 D.L. n. 78/2010), formulato con nota del responsabile del procedimento- Settore Diritto allo Studio – dell’Università degli Studi Milano Bicocca, n. 2472 del 12.01.2018.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Milano Bicocca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2019 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1) Con determina del 2 marzo 2018 l’Università degli studi di Milano Bicocca ha annullato l’attribuzione dei benefici per l’a.a. 2012/2013 a favore della ricorrente, essendo emerso in seguito ad appositi controlli la non veridicità dei dati autocertificati per omissioni mobiliari e immobiliari.
Contestualmente, lo stesso Ateneo ha applicato nei confronti della studentessa le sanzioni di cui agli artt. 10 D. Lgs. n. 68/2012 e 38, comma 3 D.L. 78/2010.
2) L’esponente, pur non contestando la sussistenza dei presupposti del provvedimento di autotutela, ha tuttavia richiesto all’Università di applicare l’istituto del pagamento in misura ridotta, di cui all’art. 16 della legge n. 689/1981, anche alla sanzione di cui all’art. 10 e non soltanto alla sanzione ex art. 38.
3) L’Università ha riscontrato negativamente tale richiesta, ritenendo che la natura restitutoria-risarcitoria della sanzione ex art. 10 renda ad essa inapplicabile il beneficio del pagamento in misura ridotta.
4) Con ricorso notificato il 7/5/2018 e depositato il successivo 18/5/2018 l’esponente ha impugnato gli atti in epigrafe specificati, deducendone l’illegittimità laddove non hanno previsto la possibilità di procedere ad una definizione agevolata, ex art. 16 L. n. 689/81, per la sanzione comminata ex art. 10, comma 3 D.Lgs. n. 68/2012.
5) Con un unico motivo si lamenta, in particolare, l’eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto, l’illogicità manifesta dell’azione amministrativa, la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 legge n. 689/81, la carenza dell’istruttoria e la violazione del principio del giusto procedimento.
Si fa leva, in sostanza, sulla asserita portata generale della legge n. 689/1981, per inferirne l’applicazione con riferimento a tutte le violazioni che comportano sanzioni di ordine pecuniario senza distinguere tra sanzioni depenalizzate o ab origine amministrative.
6) Si è costituita l’Università degli Studi di Milano Bicocca, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.
L’Ateneo richiama il punto 5.2 della propria “Guida ISEE”, che rimanda integralmente all’art. 10, comma 3, D.Lgs. 68/2012, per ribadire come le due sanzioni applicate all’istante siano da considerarsi autonome e dunque cumulabili.
L’una, quella di cui all’art. 10, comma 3, D.Lgs. 68/2012, avrebbe natura ripristinatoria e sarebbe strettamente ancorata al valore del danno cagionato, avendo di mira la riparazione dell’interesse pubblico leso dall’infrazione accertata. Per tale ragione, la stessa sarebbe prestabilita dal legislatore nella misura del triplo, senza previsione di minimi e massimi edittali, e non sarebbe irrogabile ove non fosse erogato alcun beneficio (se l’importo corrisposto fosse pari a zero, non vi sarebbe sanzione perché il triplo di zero è zero).
Detta sanzione, poi, essendo riconducibile alle sanzioni cd. in senso lato, a cui si ascrivono tradizionalmente quelle ripristinatorie ed interdittive, sarebbe disciplinata in base alle regole tipiche dell’attività amministrativa, dettate dalla legge generale sul procedimento amministrativo.
La sanzione di cui all’art. 38, comma 3 del D.L. 78/2010, irrogabile in misura variabile, da € 500,00 ad € 5.000,00 in presenza di un’attestazione ISEE non veritiera, invece, avrebbe natura afflittiva, predominando per essa la punizione del disvalore dell’infrazione, con l’irrogazione di una sanzione che potrebbe essere anche inferiore al danno causato. Non vi sarebbe qui, dunque, la funzione ripristinatoria propria dell’altra sanzione, non essendo la sanzione ex art. 38 finalizzata a sanare il danno procurato.
Da tali premesse si ricaverebbe, sempre ad avviso del patrocinio dell’Università, che la sanzione del triplo dovrebbe essere considerata alla stregua di un unicum, non avente natura afflittiva e sul quale non inciderebbe l’elemento soggettivo, mentre, la sanzione variabile da € 500,00 a € 5.000,00 dovrebbe essere considerata come una sanzione pecuniaria con [#OMISSIS#] meramente punitiva, da determinarsi tenendo ben presente il coefficiente soggettivo di colpevolezza.
Da tutto ciò si trarrebbe, ancora, che, conclude il medesimo patrocino, la disciplina di cui alla L. n. 689/81 sarebbe inapplicabile alla sanzione prevista dall’art.10, comma 3, D.Lgs. 68/2012, posto che la richiamata legge nascerebbe come normativa di depenalizzazione e si riferirebbe solo a sanzioni di natura afflittiva.
Diversamente opinando, si giungerebbe all’assurda conclusione che il Legislatore avrebbe previsto la coesistenza di due sanzioni afflittive consecutive (il triplo e quella variabile da € 500,00 a € 5.000,00) in presenza della stessa violazione.
7) All’udienza pubblica del 3 dicembre 2019, presenti gli avvocati L. De Censi in sostituzione, con delega verbale, di [#OMISSIS#], per la parte ricorrente, e C. [#OMISSIS#] per il Ministero – che, alle chiamate preliminari, si sono riportati ai rispettivi scritti difensivi – la causa è stata trattenuta in decisione.
8) In via pregiudiziale, osserva il Collegio come, al fine del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, sia necessario distinguere tra sanzioni punitive e ripristinatorie: solo nel secondo caso, infatti, la giurisprudenza riconosce la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto, nel caso delle sanzioni punitive, il carattere meramente afflittivo e il ricollegarsi delle sanzioni al verificarsi in concreto della fattispecie legale, esclude ogni discrezionalità in ordine alla loro irrogazione (cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2012, n. 3786).
Ne consegue che, mentre per le sanzioni punitive la contestazione dell’intimato si risolve nel dedurre il proprio diritto soggettivo a non subire l’imposizione di prestazioni patrimoniali fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, «al contrario, nel caso di misure ripristinatorie, queste ultime tendono a realizzare direttamente l’interesse pubblico di settore leso dall’atto illecito, e all’amministrazione è data, di regola, la scelta della misura repressiva più idonea a soddisfare quell’interesse, con la conseguenza che, in tal caso, sussistono in capo al privato soltanto posizioni soggettive di interesse legittimo;…» (così, ancora, Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2012, n. 3786, che poi aggiunge: «i provvedimenti sanzionatori sono di norma estranei all’ambito della giurisdizione esclusiva, sulla base della loro disomogeneità funzionale rispetto agli altri atti dell’amministrazione e dell’assenza di un intreccio inestricabile fra diritti soggettivi ed interessi legittimi»).
Sul piano normativo, va osservato che la L. n. 689 del 1981, mentre affida al giudice ordinario la cognizione delle sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (cfr. artt. 12 e 22), fa salvo all’art. 22, comma 1, quanto previsto dall’art. 133 del codice del processo amministrativo, che, come noto, devolve «alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: … c) le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità».
Ebbene, come la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di evidenziare, quando il potere di irrogazione di sanzioni pecuniarie si ricolleghi ad una funzione di vigilanza sullo svolgimento di un servizio pubblico, il suo esercizio non costituisce esplicazione di un’astratta potestà punitiva, rispetto alla quale si configurano esclusivamente diritti soggettivi, ma si inserisce in una più complessa attività di controllo, attraverso la quale la Pubblica Amministrazione cura, in veste autoritativa, un interesse pubblico concreto correlato al buon andamento ed al corretto svolgimento del settore affidato alle sue cure (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 luglio 2015, n. 3321; T.A.R. Friuli Venezia [#OMISSIS#], Trieste, sez. I, 29 ottobre 2009, n. 721; e, più di recente, T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, Sent., 04-10-2019, n. 1033).
La correlazione fra potere di vigilanza e potere sanzionatorio rende, da un lato, ascrivibile l’atto sanzionatorio alla materia dei servizi pubblici, essendo la sanzione direttamente funzionale alla tutela dell’interesse pubblico al corretto espletamento del servizio (e non già al semplice ripristino della legalità violata); e, da altro lato, dal punto di vista del soggetto passivo della sanzione, determina un intreccio di posizioni soggettive di diritto e di interesse legittimo che rende compatibile l’attribuzione della giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo con il quadro delineato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/2004 (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 18 settembre 2012, n. 2306).
8.1) Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso in esame, se ne ricava agevolmente che la sanzione amministrativa che l’Università ha irrogato alla ricorrente, ai sensi dell’art. 10, comma 3, D. Lgs. 68/2012, non svolge affatto una funzione punitiva.
La norma da ultimo citata prevede testualmente che:
«Chiunque, senza trovarsi nelle condizioni stabilite dalle disposizioni statali e regionali, presenti dichiarazioni non veritiere, proprie o dei membri del nucleo familiare, al fine di fruire dei relativi interventi, è soggetto ad una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma di importo triplo rispetto a quella percepita, o al valore dei servizi indebitamente fruiti, e perde il diritto ad ottenere altre erogazioni per la durata del corso degli studi, fatta salva in ogni caso l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122».
Reputa il Collegio che, una sanzione così strutturata svolge, almeno in via prevalente, una funzione ripristinatoria o risarcitoria del danno che l’Amministrazione è deputata ad accertare e monetizzare, nell’esplicazione del potere ispettivo ad essa attribuito in materia di servizi pubblici.
La determinazione della sanzione, lungi dall’essere ancorata a dei minimi e massimi edittali, presenta stretti collegamenti con la fruizione del servizio pubblico, comportando, a seconda dei casi, una valutazione inerente la necessità di una valorizzazione in termini economici dei servizi indebitamente fruiti che richiede, in capo all’organo accertatore, delle valutazioni che vanno al di là di un mero giudizio di colpevolezza.
La giurisdizione del Giudice Amministrativo in ordine a questa tipologia di sanzioni pecuniarie non risulta contrastare con le coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 204/2004, 191/06 e 35/2010, venendo in considerazione atti che incidono, al contempo, su diritti soggettivi e interessi legittimi, in una materia specifica e devoluta alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.
Deve allora concludersi, sul punto, nel senso che la controversia vertente sull’applicabilità ad una sanzione ripristinatoria, qual è quella di cui all’art.10, comma 3, D. Lgs. n. 68/2012, dell’istituto del pagamento in misura ridotta, di cui all’art. 16 della legge n. 689/1981, rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di cui all’art. 133, comma 1, lett. c) c.p.a., trattandosi di sanzione strumentale all’esercizio della vigilanza sul servizio pubblico.
9) Nel merito, nondimeno, il motivo è infondato.
Alla sanzione come sopra strutturata, in quanto non avente funzione punitiva ma ripristinatoria, risulta inapplicabile la legge n. 689/81 e, in particolare, l’art. 16 in precedenza richiamato, essendo ad essa applicabili i principi dell’attività amministrativa dettati dalla legge generale sul procedimento amministrativo (così, Cons. Stato, sez. IV, 22.11.2017, n. 5420, che richiama a sostegno della distinzione fra sanzioni punitive e ripristinatorie anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, per la quale non si configurano come ‘penali’, nel significato convenzionale del termine, quelle misure che soddisfano pretese risarcitorie o che sono essenzialmente dirette a ripristinare la situazione di legalità, restaurando l’interesse pubblico leso).
10) Conclusivamente, quindi, il ricorso in epigrafe specificato va respinto.
11) La novità della questione e la particolarità della fattispecie concreta giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la ricorrente.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Di Benedetto, Presidente
[#OMISSIS#] Celeste Cozzi, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 09/01/2020
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.