TAR Puglia, Bari, Sez. I, 7 marzo 2019, n. 367

Procedura concorsuale per copertura posto ricercatore-Incompatibilità-Convivenza more uxorio

Data Documento: 2019-03-07
Area: Giurisprudenza
Massima

I ricercatori, in quanto componenti del Consiglio di Dipartimento, partecipano attivamente all’assunzione di determinazioni inerenti lo svolgimento delle procedure selettive, esercitando il diritto di voto e contribuendo, pertanto, alla formazione delle decisioni degli organi deliberanti, sicché appare evidente che, al fine di evitare impropri condizionamenti, l’ambito di applicazione dell’art. 18 della legge 30 dicembre 2010, n. 240,  debba estendersi a tutti coloro i quali siano concretamente in grado di incidere sullo svolgimento delle procedure concorsuali.
Dall’interpretazione teleologicamente orientata delle predette disposizioni e dalla disciplina prevista per lo svolgimento di dette procedure, si comprende, inoltre, che tale incompatibilità non afferisce solo alla fase finale della procedura e, quindi, come sostenuto dal controinteressato, alla fase della stipula del contratto di lavoro, non essendo le fasi precedenti (dall’indizione della procedura, alla nomina della commissione etc..) esenti da, seppur potenziali, condizionamenti.
Dunque, sussiste l’incompatibilità laddove vi sia un rapporto di convivenza more uxorio tra un membro del Consiglio di Dipartimento e un candidato ad una procedura concorsuale.

Contenuto sentenza

N. 00367/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01508/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1508 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da 
[#OMISSIS#] Operamolla, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, via Dante, n.11; 
contro
Università degli Studi di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Sardone, con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] Sardone in Bari, p.zza Umberto I°, n.1 Palazzo Ateneo; 
nei confronti
[#OMISSIS#] Monopoli, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], domiciliato ex lege presso la Segreteria del T.A.R. Puglia in Bari, piazza Massari, n.6; 
Donato Colangiuli non costituito in giudizio; 
per l’annullamento,
chiesto con il ricorso principale:
– del decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Bari, n. 3916 del 6.12.2016, con il quale sono stati approvati gli atti della selezione pubblica, per titoli e discussione pubblica, per la copertura di n. 1 posto di Ricercatore Universitario a tempo determinato, mediante stipula di contratto di lavoro subordinato della durata di 36 mesi, non rinnovabile;
chiesto con i motivi aggiunti depositati il 20.6.2017
– del decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Bari n. 1322 del 20.4.2017, col quale è stato sospeso l’iter procedurale di chiamata per la predetta procedura selettiva, nella parte in cui è stata ritenuta configurabile una causa di incompatibilità prevista dall’art. 10 del Codice Etico nei confronti della ricorrente, unitamente all’art. 4 co. 1 del Regolamento approvato col D.R. n. 2819/2015;
chiesto con il ricorso incidentale:
-del medesimo decreto rettorale n° 1322 del 20.4.2017, col quale è stato sospeso l’iter procedurale di chiamata per la predetta procedura selettiva, nella parte in cui è stata ritenuta configurabile altra causa di incompatibilità prevista dall’art. 10 del Codice Etico nei confronti del controinteressato, ricorrente incidentale;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Bari e di [#OMISSIS#] Monopoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2019 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’Università degli Studi di Bari, con D.R. n. 1004 del 12.4.2016, ha indetto una procedura di selezione per titoli e discussione pubblica, per la copertura di n. 1 posto di ricercatore universitario a tempo determinato, mediante stipula di contratto di lavoro subordinato della durata di 36 mesi, non rinnovabile, ex art. 24, co. 3, lett. b), L. n. 240/2010, presso il Dipartimento di Chimica, settore concorsuale 03/C1 – Chimica Organica – SSD CHIM/06.
A detta procedura hanno partecipato diversi candidati, tra cui [#OMISSIS#] Operamolla, odierna ricorrente e [#OMISSIS#] Monopoli, risultato primo in graduatoria e dichiarato, con D.R. n. 3916 del 6.12.2016, vincitore della selezione, sotto condizione sospensiva dell’accertamento del possesso dei requisiti per la stipula del contratto.
Con l’atto introduttivo del presente giudizio, spedito per la notifica il 16.12.2016, la ricorrente, reclamando il proprio interesse a vincere la procedura, ha adito questo Tribunale, al fine di ottenere l’annullamento della graduatoria, previa concessione di misure cautelari, contestando, con un unico articolato motivo di doglianza, la carenza, in capo al primo classificato, dei requisiti di candidabilità.
In tesi, il candidato, poiché convivente more uxorio con una ricercatrice del Dipartimento di Chimica, verserebbe in una situazione di incompatibilità e, pertanto, non avrebbe potuto neanche partecipare alla selezione, coerentemente con quanto previsto dall’art. 18, co. 1, lett. b), L. n.240/2010 (“In ogni caso, ai procedimenti per la chiamata, di cui al presente articolo, non possono partecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinita’, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo”); dall’art. 10 del Codice etico dell’Università di Bari e, altresì, dall’art. 2, co. 3 n. 6, del D.R. 1004/2016 (recante il bando di concorso).
Si è costituito in giudizio il controinteressato, prendendo posizione sui fatti posti dalla ricorrente a fondamento della domanda e chiedendo la reiezione del ricorso.
Si è costituita, inoltre, l’Università degli Studi di Bari, la quale, in attesa della conclusione del presente giudizio, con successivo D.R. n. 1322, recante data 20.4.2017 (depositato telematicamente ed in copia cartacea il 3.5.2017), ha sospeso l’iter procedurale, ponendo a fondamento del provvedimento sia la proposizione del ricorso sia la rilevata sussistenza, in conformità al parere del Collegio dei Garanti, di due diverse cause incompatibilità di cui all’art. 10 del Codice etico (in conformità a quanto contemplato dalla normativa di settore ed alla giurisprudenza amministrativa), una in capo a ciascuno dei due partecipanti.
Segnatamente, ha ritenuto il controinteressato incompatibile, in quanto convivente con una componente del Consiglio di Dipartimento al momento della presentazione della domanda, nonché al momento dell’approvazione della proposta di istituzione del posto da ricercatore e, al contempo, ha, altresì, dichiarato la ricorrente incompatibile, poiché componente del predetto organo al momento della deliberazione di avvio della procedura selettiva e presente alla relativa seduta del giorno 8.2.2016.
Entrambi i candidati hanno, quindi, impugnato il provvedimento di sospensione e il relativo parere del Collegio dei Garanti, sostenendone l’illegittimità.
In particolare, la ricorrente ha proposto ricorso per motivi aggiunti (spedendolo per la notifica in data 13.6.2017), contestando l’assunto da cui muove l’impugnato decreto rettorale, in ordine alla ritenuta sua incompatibilità, deducendo undici motivi di censura, sui quali, tuttavia, per esigenze di sintesi e chiarezza espositiva, ci si soffermerà nel prosieguo motivazionale.
Sostiene – questi gli assunti fondamentali su cui si fonda il gravame – che l’incompatibilità di cui al succitato art. 10, anzitutto, non riguarderebbe i componenti del Consiglio di Dipartimento, ma esclusivamente i congiunti dei medesimi e che, inoltre, lei non avrebbe in alcun modo potuto incidere sullo svolgimento della procedura e trarne vantaggio, in quanto non avente diritto al voto e, comunque, al momento della deliberazione dipartimentale (8.2.2016), priva dei requisiti per partecipare a detta procedura (solo successivamente sopravvenuti), poiché ricercatrice di tipo A da meno di un triennio.
Il controinteressato, invece, con ricorso incidentale spedito per la notifica in data 23.6.2017, preliminarmente, ha contestato la sussistenza di cause di incompatibilità afferenti alla propria posizione, reclamando l’annullamento del provvedimento di sospensione e l’accertamento del proprio diritto alla stipula del contratto di lavoro per il posto di cui trattasi.
Contestualmente ha, inoltre, dedotto l’incompatibilità della ricorrente, aderendo alla tesi sostenuta dall’Università, mirando, con il gravame incidentale, a paralizzarne il ricorso.
L’Amministrazione, con successive memorie, ha eccepito il difetto di interesse in capo ad entrambi i partecipanti ad impugnare il provvedimento di sospensione, negandone la portata immediatamente lesiva e ha poi confutato, nel merito, le tesi da essi sostenute.
In seguito allo scambio delle memorie e delle relative repliche con le quali le parti hanno insistito per l’accoglimento delle proprie ragioni e con cui la ricorrente ha, altresì, eccepito la tardività del ricorso incidentale, all’udienza pubblica del 6.2.2019, la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.
Ragioni di ordine logico impongono il preliminare scrutinio del decreto rettorale (unitamente al prodromico parere del Collegio dei Garanti) con cui, in ragione della ritenuta incompatibilità “incrociata” di entrambi i partecipanti odierni ricorrenti (il primo e la seconda classificata), è stata sospesa la procedura selettiva.
Nella verifica della corretta sussistenza di tali cause di incompatibilità, infatti, risiede il punto nodale della decisione, idoneo a definire compiutamente la controversia.
Deve, pertanto, procedersi al vaglio del ricorso per motivi aggiunti e di quello incidentale che hanno entrambi, sia pure in modo speculare e reciproco, contestato la sussistenza delle ritenute cause di incompatibilità.
Ferma restando l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Università – attesa l’evidente portata lesiva del provvedimento gravato, in considerazione della sua idoneità a determinare un arresto procedimentale – il ricorso per motivi aggiunti è infondato e, pertanto, non meritevole di accoglimento.
La natura connessa delle censure, nonché la ripetitività di alcune di esse, ne rende opportuna la trattazione congiunta.
Anzitutto, parte ricorrente sostiene l’inapplicabilità alla propria situazione dell’art. 10 del Codice etico, il quale, richiamando l’art. 18, co 1, lett. b), L. n. 240/2010, prevede che non possano partecipare ai procedimenti per la chiamata di docenti e ricercatori “coloro che, al momento di presentazione della domanda, abbiano un grado di parentela o affinità entro il quarto grado compreso, o siano legati da vincoli di coniugio o stabile convivenza con effetti assimilabili a detto vincolo, con docenti in servizio nel dipartimento o nella struttura che ha indetto il procedimento di chiamata ovvero con il Rettore, il Direttore Generale o un componente del Consiglio di Amministrazione di Ateneo”.
In tesi di parte, tale causa di incompatibilità opererebbe esclusivamente per coloro i quali siano legati da un rapporto di “familiarità” con componenti dei suindicati organi universitari e non, invece, per i membri stessi dei predetti.
Asserisce parte ricorrente che tale prescrizione non solo non sarebbe prevista dalle succitate disposizioni, ma che l’interpretazione della norma fatta propria dall’Università condurrebbe alla irragionevole conseguenza di precludere a tutti i dipendenti di tutti i dipartimenti dell’Università la partecipazione ai concorsi indetti dall’Ente, paralizzandone, di fatto, ogni possibilità di carriera.
La censura non coglie nel segno.
Sul punto si rileva, anche alla luce dei recenti orientamenti del Consiglio di Stato (v. sentenza CdS n.2471/2018), che si impone, delle disposizioni de quibus, un’interpretazione razionale che abbia riguardo alla ratio delle medesime e ai valori costituzionalmente rilevanti da esse salvaguardati.
È pacifico che, attraverso la previsione di una clausola di incompatibilità, il Legislatore miri ad evitare, ab origine, ed anche solo potenzialmente che componenti degli organi accademici esercitino un’indebita influenza sulle decisioni dei medesimi, al fine di favorire i propri congiunti, in spregio ai principi di imparzialità e par condicio competitorum che governano le procedure selettive.
È, dunque, chiaro che se la “familiarità”, data dall’esistenza di un rapporto di parentela, affinità o coniugio, è potenzialmente in grado di condizionare l’organo della struttura che effettua la selezione, pregiudicandone l’imparzialità, a fortiori, la circostanza per cui il candidato sia componente dello stesso organo che indice la procedura e ne gestisce le fasi di propria competenza, partecipando alle relative sedute, determina una chiara ipotesi di conflitto di interessi, scongiurabile mediante l’applicazione dello status di incompatibilità.
Al contrario, un’interpretazione letterale e restrittiva delle predette disposizioni condurrebbe all’irragionevole risultato di non poter ovviare, se non ex post (mediante la decadenza o la successiva esclusione), all’ipotesi di maggior compromissione dell’imparzialità degli organi accademici.
Conseguentemente, non può trovare accoglimento la pur suggestiva tesi propugnata dalla ricorrente, in ordine alle ripercussioni professionali derivanti dall’applicazione della causa di incompatibilità agli stessi componenti degli organi universitari.
La preclusione per i componenti del Consiglio di Dipartimento di partecipare a procedure selettive indette dal medesimo, infatti, non comporta un’automatica e generica preclusione alla partecipazione ai concorsi banditi da altri dipartimenti della stessa Università (ovvero a quelli banditi da omologi dipartimenti di altre Università), non risultando, quindi, la carriera dei docenti irrimediabilmente pregiudicata, ma solo limitata, in considerazione della rilevata preminenza del valore tutelato dalle disposizioni che dettano le cause di incompatibilità.
Né, peraltro, è escluso che, venuta meno la causa di incompatibilità, un ex componente del Consiglio di Dipartimento possa partecipare a procedure da esso indette.
Analogamente, deve ritenersi fuori mira il richiamo alla pronuncia n. 874/2016 di questo Tribunale che, facendo applicazione della predetta interpretazione razionale, ha ritenuto la causa di incompatibilità applicabile ai membri del Consiglio di Amministrazione.
A detta della ricorrente la pronuncia appena indicata non riguarderebbe anche i componenti dell’ “Organo che ha deliberato l’indizione della procedura”, includendo quindi anche i componenti dei Consigli di Dipartimento.
Diversamente da quanto ritenuto, la pronuncia appena citata, affermando il principio generale posto in premessa non esclude affatto che esso valga anche per i componenti del Consiglio di Dipartimento.
Ciò premesso, occorre evidenziare che, nel caso in esame, la candidata ha concretamente potuto incidere sulle decisioni dell’organo deliberante, in quanto, oltre ad essere componente del Consiglio di Dipartimento e ad aver partecipato alle relative sedute, ha, altresì, esercitato il diritto di voto (stante l’unanimità delle deliberazioni), sia nella seduta dell’8.2.2016 (v. doc. 17 allegato al ricorso per motivi aggiunti), nella quale, come già precisato, è stata indetta la procedura di cui trattasi, sia nelle sedute in cui il Consiglio di Dipartimento ha individuato i nominativi dei componenti della Commissione (v. verbali 9.6.2016 e 20.7.2016, doc. 2 e 3 depositati dall’Università il 30.6.2017).
Di talché, è smentita in punto di fatto l’allegazione con cui la ricorrente nega la sussistenza della causa di incompatibilità contestatale, sostenendo di non aver potuto esercitare alcuna influenza sull’organo collegiale, in quanto priva di voto alla seduta dell’8.2.2016, coerentemente, a suo dire, con quanto previsto dall’art. 24, co. 2, lett. d), L. n. 240/2010 (“d) formulazione della proposta di chiamata da parte del dipartimento con voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima e di seconda fascia e approvazione della stessa con delibera del consiglio di amministrazione.”).
Il richiamo a detta disposizione, da cui la ricorrente deduce l’esclusione dei ricercatori dalla facoltà di voto, riservata solo ai professori, è, infatti, inconferente, essendo essa tesa a disciplinare la “chiamata del ricercatore”: attività che, logicamente, si colloca in un momento temporale e procedimentale successivo rispetto a quello di indizione della procedura selettiva.
Neppure coglie nel segno quanto sostenuto nella censura sub 4) del ricorso per motivi aggiunti, secondo cui la ricorrente, all’atto dell’indizione della procedura, sarebbe stata priva dei requisiti di partecipazione, per essere questi sopravvenuti in seguito all’entrata in vigore della L. n. 21 del 25.2.2016, di conversione del D.l. n.210 del 30.12.2015, sicchè non sarebbe incorsa nella causa di incompatibilità non potendo, in ragione di ciò, determinare alcun condizionamento dell’organo della struttura che effettua la selezione.
A prescindere dall’effettiva sussistenza o meno dei requisiti di partecipazione alla data di deliberazione della procedura (8.2.2016), la disposizione di cui all’art. 10 del Codice Etico dell’Università di Bari (in aderenza all’art. 18 L. n. 240/2010) àncora la previsione preclusiva al momento di presentazione della domanda (ipotesi ricorrente nel caso di specie, poiché la ricorrente, alla data di presentazione dell’istanza di partecipazione, componeva il Consiglio di Dipartimento).
Deve, poi, aggiungersi che ella risulta aver partecipato alle successive sedute del Consiglio di Dipartimento del 9.6.2016 e 20.7.2016, in cui sono stati deliberati i componenti della Commissione esaminatrice da proporre per la nomina, avendo a tale data non solo maturato i requisiti di partecipazione, ma già presentato la relativa domanda.
Tali circostanze in fatto consentono di ritenere inverato quanto la disposizione del Codice etico mira ad evitare: il verificarsi di potenziali situazioni di condizionamento dell’organo della struttura che effettua la selezione, a causa del conflitto di interessi dei suoi componenti.
Dalle considerazioni svolte deve, dunque, desumersi la doverosità del provvedimento adottato dall’Università degli Studi di Bari, non potendo l’Amministrazione non estromettere dalla procedura concorsuale la candidata che versi in ipotesi di conflitto di interessi come quello che vede protagonista l’odierna ricorrente.
Le suesposte considerazioni rendono superfluo l’esame degli ulteriori profili di censura, in quanto inidonei a caducare la scelta dell’Amministrazione, anche in ossequio al principio di dequotazione dei vizi formali.
Conclusivamente, il ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto, essendo stata correttamente ritenuta sussistente la causa di incompatibilità in capo alla ricorrente principale.
Precipitato logico dell’infondatezza del ricorso per motivi aggiunti è l’inammissibilità del ricorso principale, in quanto proposto da soggetto che non poteva legittimamente partecipare alla procedura selettiva e ne doveva, pertanto, essere estromesso.
Ne consegue, inoltre, l’improcedibilità del ricorso incidentale, nella parte in cui contesta la partecipazione della ricorrente alla procedura selettiva, in quanto, ormai, definitivamente esclusa.
Deve, peraltro, rilevarsi che il ricorso incidentale, in tale parte, si presenta ancor prima irricevibile per tardività, essendo fondata la relativa eccezione proposta dalla ricorrente.
Infatti, l’odierno controinteressato ha proposto il ricorso incidentale – spedito per la notifica in data 23.6.2017- ben oltre il termine di 60 giorni di cui all’art. 42, co 2, c.p.a. (decorrente dalla data di ricezione del ricorso principale, certamente conosciuto al 9.1.2017, giorno in cui si è costituito in giudizio), contestando solo con tale atto (e per ciò tardivamente) la sussistenza di ragioni di incompatibilità afferenti alla posizione della candidata ricorrente principale.
Si impone a questo punto, l’esame del ricorso incidentale nella parte in cui il controinteressato contesta la legittimità del provvedimento di sospensione adottato dall’Università e la sussistenza di una causa di incompatibilità inerente alla propria posizione.
A sostegno delle proprie ragioni, il candidato deduce diversi motivi di ricorso, asserendo, che la causa di incompatibilità (rappresentata dall’essere il vincitore della selezione convivente more uxoriodi un componente del Consiglio di Dipartimento al momento della presentazione della domanda) rilevata dall’Amministrazione non troverebbe applicazione al caso di specie, in quanto rivolta a coloro i quali abbiano un rapporto di “familiarità” con un professore del dipartimento ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del CdA dell’Ateneo e non, invece, con una ricercatrice, quale appunto la sua compagna.
Sostiene, inoltre, che detta incompatibilità, ove esistente, opererebbe solo nella fase finale della procedura, non potendo precludere tout-court la partecipazione del concorrente alla medesima.
Afferma, poi, che al momento di presentazione della domanda non solo non vi sarebbe stato alcun rapporto di stabile convivenza tra sé e la ricercatrice, essendo i due rispettivamente residenti nel Comune Bari e in quello di Andria, ma, altresì, che la sua compagna, non essendo in servizio presso il Dipartimento, poiché in congedo per maternità, non avrebbe potuto in alcun modo intervenire, condizionandola, nella selezione pubblica.
Con ulteriori sub-censure, infine, deduce l’inapplicabilità del Codice etico al caso di specie, in quanto, da un lato, non espressamente richiamato nel bando e, comunque, rivolto ai soli soggetti già in servizio presso l’Università.
Le censure sono, complessivamente, infondate.
Rinviando a quanto già evidenziato in ordine alla ratiodell’art. 18, L. n. 240/10 e dell’art. 10 del Codice etico e, dunque, all’ esigenza di assicurare che le procedure selettive si svolgano nel più assoluto rispetto del principio di imparzialità – al fine di garantire che le decisioni degli organi universitari siano scevre da qualsiasi interferenza anche solo potenziale – occorre, anche in questo caso, procedere ad un’interpretazione razionale delle richiamate disposizioni, dovendo ritenersi la figura del ricercatore equiparabile a quella del professore universitario.
Come già rilevato, infatti, anche i ricercatori, in quanto componenti del Consiglio di Dipartimento, partecipano attivamente all’assunzione di determinazioni inerenti lo svolgimento delle procedure selettive, esercitando il diritto di voto e contribuendo, pertanto, alla formazione delle decisioni degli organi deliberanti, sicché appare evidente che, al fine di evitare impropri condizionamenti, l’ambito di applicazione delle predette norme debba estendersi a tutti coloro i quali siano concretamente in grado di incidere sullo svolgimento delle procedure concorsuali.
Dall’interpretazione teleologicamente orientata delle predette disposizioni e dalla disciplina prevista per lo svolgimento di dette procedure, si comprende, inoltre, che tale incompatibilità non afferisce solo alla fase finale della procedura e, quindi, come sostenuto dal controinteressato, alla fase della stipula del contratto di lavoro, non essendo le fasi precedenti (dall’indizione della procedura, alla nomina della commissione etc..) esenti da, seppur potenziali, condizionamenti.
Parimenti infondate sono le ulteriori censure dedotte dal controinteressato.
Anzitutto, nel caso di specie, la circostanza per cui il candidato e la sua compagna, al momento di presentazione della domanda, avessero fissato la propria residenza in diversi Comuni, non appare sufficiente a negare la sussistenza di una convivenza more uxorio.
Tanto è desumibile dalla domanda di mobilità dal Dipartimento di Chimica a quello di Farmacia – Scienze del Farmaco avanzata (in data 15.11.2016) all’Università dalla compagna del controinteressato “per possibili motivi assimilabili al coniugio (convivenza)” (sul punto, v. all. 11 ricorso incidentale).
Detta circostanza può ritenersi ex se sufficiente a dimostrare la sussistenza di uno stabile rapporto di convivenza e, pertanto, della contestata causa di incompatibilità.
Non può poi ritenersi apprezzabile l’ulteriore tesi addotta dalla difesa del candidato, secondo cui, essendo la ricercatrice in congedo per maternità, in alcun modo avrebbe potuto incidere sullo svolgimento della procedura.
Deve, in primo luogo, evidenziarsi la partecipazione della ricercatrice in questione alla seduta del Consiglio di Dipartimento del 30.9.2015 in cui, nell’elenco delle priorità per l’utilizzo dei P.O. disponibili, è stata indicata proprio l’individuazione di un ricercatore di tipo B per il settore scientifico disciplinare di cui trattasi.
Deve, poi aggiungersi che la ricercatrice, di rientro dal periodo astensione per maternità (decorso dal 29.1.2016 al 29.6.2016), ha preso parte, votando, alla riunione del Consiglio di Dipartimento del 20.7.2016, in cui è stata individuata la rosa dei candidati da proporre per la nomina della Commissione della procedura selettiva in esame.
Pertanto, operando la più volte richiamata interpretazione razionale delle disposizioni che disciplinano le cause di incompatibilità, deve rilevarsi che, nel caso di specie, si è verificata la possibile compromissione del valore di imparzialità dell’organo deliberante la procedura.
In merito, poi, deve aggiungersi che, nonostante la sospensione dell’attività lavorativa determinata dalla maternità, il rapporto di servizio permane, sicché non è possibile, per ciò solo, escludere a priori una eventuale influenza sulle decisioni degli organi accademici.
Infondate sono, infine, le ulteriori sub-censure.
Anzitutto, infatti, l’applicabilità del Codice etico alla procedura de qua è pacifica sia perché espressamente prevista dal bando sia perché, per definizione, posta a governo di qualsiasi attività espletata dall’Amministrazione universitaria.
L’applicabilità del predetto Codice al controinteressato deve, inoltre, ritenersi inequivocabile, in quanto, pur non essendo egli un dipendente universitario, non solo è titolare di un dottorato di ricerca, ma, logicamente, avendo partecipato ad una procedura selettiva indetta dall’Università, si è autonomamente e consapevolmente assoggettato alle regole di condotta da essa previste.
Conclusivamente, il ricorso incidentale in parte qua è infondato, dovendosi ritenere sussistente la appena indagata causa di incompatibilità in capo al controinteressato vincitore della procedura.
Attesa la reciproca soccombenza le spese vengono integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo per la Puglia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, dichiara:
– il ricorso per motivi aggiunti infondato;
– il ricorso principale inammissibile;
– il ricorso incidentale parzialmente irricevibile e parzialmente infondato;
Spese integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Angelo [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Angelo [#OMISSIS#], Primo Referendario
 Pubblicato il 07/03/2019