E’ illlegittimo il diniego di scrizione ad anni successivi al primo nei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia basati sul presupposto del non superamento del test di ammissione. L’Adunanza Plenaria n. 1/2015, muovendo dall’interpretazione corretta dell’art. 4, L. n. 264/1999, ha statuito che esso, con riguardo ai trasferimenti tra università, non prevede nessuno specifico requisito di ammissione, mentre subordina l’ammissione ai corsi i cui accessi sono programmati a livello nazionale, art. 1, o dalle singole università, art. 2, al “previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi medesimi”.
Sebbene l’art. 4 non riferisca espressamente la locuzione “ammissione” al solo “primo accoglimento dell’aspirante nel sistema universitario”, tuttavia tale interpretazione è sicuramente quella preferibile e privilegiata, tenuto conto del corpus complessivo ordinamentale. Pertanto, “il superamento del test può essere richiesto per il solo accesso al primo anno di corso e non anche nel caso di domande d’accesso dall’esterno direttamente ad anni di corso successivi al primo (nel quale il principio regolante l’iscrizione è unicamente quello del riconoscimento dei crediti formativi, con la conseguenza, ch’è il caso di sottolineare, che gli studenti provenienti da altra università italiana o straniera, che presso la stessa non abbiano conseguito alcun credito, o che pur avendone conseguiti non se li siano poi visti riconoscere in assoluto dall’università italiana presso la quale aspirano a trasferirsi, ricadranno nella stessa situazione degli aspiranti al primo ingresso [omissis] salvo il potere/dovere dell’Università di concreta valutazione, sulla base dei parametri sopra indicati, del “periodo” di formazione svolto all’estero e salvo altresì il rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall’Università stessa per ogni accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso.”
TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 10 settembre 2018, n. 1328
Ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia-Test d'ingresso-Trasferimento da altra università
N. 01328/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00382/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce – Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 382 del 2017, proposto da
Presicce [#OMISSIS#] Chiara, rappresentata e difesa dall’avvocato Mariano [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#], in Lecce, Via [#OMISSIS#] Russi n. 3;
contro
Università del Salento, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, Via 95° Rgt. Fanteria n. 9;
per la condanna
dell’Università del Salento al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università del Salento;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2018 il dott. [#OMISSIS#] Vitucci e uditi per le parti i difensori avv. M. [#OMISSIS#] per la ricorrente e avv. E. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per la P.A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Parte ricorrente chiede a questo Tribunale il riconoscimento del risarcimento del danno conseguente ad illegittimo esercizio dell’attività amministrativa.
Dagli atti di causa emerge quanto segue.
La ricorrente partecipava a un concorso pubblico, bandito dall’Università del Salento, per la copertura, con contratto a tempo pieno e indeterminato, di 3 posti di categoria C, area amministrativa, collocandosi in posizione utile per essere dichiarata vincitrice. Evidenzia che, conclusesi le fasi della procedura (anche in connessione a complessa vicenda giurisdizionale conclusasi con pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 14 del 28 luglio 2011), il direttore amministrativo dell’Università non procedeva all’approvazione della graduatoria ma procedeva ad una verifica sugli elaborati concorsuali, riscontrando, nei medesimi, una serie di asserite irregolarità. Chiedeva quindi, con nota prot. 28496 del 5 settembre 2011, chiarimenti alla commissione esaminatrice; quest’ultima rispondeva, con nota dell’8 novembre 2011, eccependo, preliminarmente, l’incompetenza del direttore amministrativo allo svolgimento di un compito invece riservato alla commissione e confermando, nel merito, la legittimità del proprio operato. Nonostante anche il responsabile del procedimento, con nota del 28 dicembre 2011, avesse fornito parere negativo circa l’annullamento degli atti concorsuali, con decreto n. 676 del 30 dicembre 2011, si procedeva all’annullamento dei predetti atti e si decideva di nominare, con successivo provvedimento, una nuova commissione esaminatrice per l’espletamento della procedura selettiva di cui sopra.
Avverso tali determinazioni, la ricorrente, unitamente ad altri soggetti partecipanti al concorso di che trattasi, adiva il T.A.R. Puglia di Lecce, che, con sentenza n. 1366/2012 del 25 luglio 2012, accoglieva l’impugnazione, dichiarando l’incompetenza del direttore amministrativo a svolgere un controllo di merito sull’operato della commissione esaminatrice e rilevando che, nelle prove concorsuali, non erano riscontrabili i vizi che erano stati invece posti a base dell’annullamento degli atti di concorso. L’Università proponeva appello avverso tale sentenza, mentre la ricorrente, unitamente agli altri soggetti che avevano adito il T.A.R. nel giudizio esitato con sentenza n. 1366/2012, incardinavano il ricorso per l’ottemperanza alla predetta decisione. In pendenza di quest’ultimo, l’Università adottava i decreti n. 238 e n. 87, entrambi del 13 marzo 2013 (v. docc. 4 e 5 produzione della resistente). In particolare, il decreto n. 87 approvava la graduatoria di merito, fatti salvi gli esiti dell’appello, ma rinviava ogni ulteriore determinazione circa la costituzione del rapporto di lavoro alla verifica della “effettiva utilizzabilità dei punti organico, sulla base delle disposizioni contenute nel d.lgs. 29 marzo 2012, n. 49 nonché dell’art. 66 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133”. Con successiva deliberazione n. 140 del 25 giugno 2013, il consiglio di amministrazione dell’Università rinviava l’assunzione dei tre vincitori alla “avvenuta definizione dei nuovi rapporti con gli Enti locali di Brindisi e/o all’esito della revisione di eventuali atti di ricognizione e riallocazione dei posti, con conseguente impegno di P.O. pari a 0.75 nell’anno 2012 o, nel caso di mancata adozione dell’atto normativo di proroga entro il 30/06/2013, a valersi sul contingente 2013”, come da art. 1, lett. b, della predetta deliberazione (doc. 6 produzione della resistente). Nella sede dell’ottemperanza, il T.A.R. Puglia di Lecce, con sentenza n. 1907/2013 del 13 settembre 2013, dichiarava la citata deliberazione n. 140 del 25 giugno 2013 elusiva di quanto stabilito dalla sentenza del medesimo T.A.R. n. 1366/2012, limitatamente alla già citata lettera “b” del deliberato.
Venivano quindi adottati dall’Università gli atti necessari per la stipula del contratto di lavoro, che veniva sottoscritto dalla ricorrente il giorno 8 novembre 2013.
Successivamente, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4517/2016 del 27 ottobre 2016, pronunciando sull’appello a suo tempo proposto dall’Università avverso la sentenza del T.A.R. n. 1366/2012, lo dichiarava improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse e, ai fini della regolamentazione delle spese ed in applicazione del criterio della soccombenza virtuale, confermava, sostanzialmente, il ragionamento del Giudice di prime cure: l’Università veniva quindi condannata al pagamento delle spese del grado di giudizio.
Tanto premesso, la ricorrente, con l’odierno ricorso, domanda il risarcimento del danno patito per l’attività provvedimentale illegittima, già stigmatizzata dal T.A.R. con le predette sentenze n. 1366/2012 e n. 1907/2013.
Si è costituita in giudizio l’Università del Salento, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo in favore di quello Ordinario, nonché l’inammissibilità della domanda risarcitoria perché quest’ultima avrebbe dovuto essere introdotta nell’ambito del ricorso per l’ottemperanza. Nel merito, ha sostenuto l’infondatezza delle pretese della ricorrente.
All’udienza pubblica dell’11 luglio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1) Va preliminarmente esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dell’Università. Secondo la resistente, il caso di specie integrerebbe un’ipotesi di danno da ritardata assunzione, con conseguente radicamento della giurisdizione in capo al Giudice Ordinario. L’eccezione è infondata, in quanto, nel caso di specie, la richiesta di risarcimento del danno è connessa ad una attività provvedimentale della P.A., concretantesi nell’annullamento – poi dichiarato illegittimo – degli atti della procedura concorsuale e nell’ulteriore procrastinazione, da parte dell’Amministrazione, dell’assunzione della ricorrente, anche sulla base di profili – poi dichiarati illegittimi dal Giudice dell’ottemperanza – di carattere macro-organizzativo, quali il rinvio dell’assunzione della ricorrente in ragione della definizione di nuovi rapporti con gli Enti Locali di Brindisi e/o all’esito della revisione di eventuali atti di ricognizione e riallocazione dei posti (come da deliberazione n. 140 del 25 giugno 2013, poi caducata, in parte qua, da T.A.R. Puglia, Lecce, n. 1907/2013).
2) Anche l’eccezione d’inammissibilità della domanda risarcitoria in questa sede (perché, a detta della resistente, la ricorrente avrebbe dovuto proporla nella sede dell’ottemperanza) è infondata, atteso che – in disparte ogni considerazione sul rapporto tra gli art. 112 e 30 c.p.a. in tema di proponibilità dell’azione risarcitoria e precisato che, comunque, nel caso di specie, il ricorso per l’ottemperanza aveva ad oggetto una sentenza esecutiva appellata, su cui, quindi, non si era ancora formato il giudicato (con conseguente impossibilità di applicazione dell’art. 112, comma 3, c.p.a.) – l’odierna pretesa della ricorrente, a ben guardare, riguarda non già il danno per ritardata o mancata esecuzione del giudicato, ma quello connesso a tutto l’arco dell’attività provvedimentale dell’Amministrazione, già scrutinata, nel senso della illegittimità, dal Giudice Amministrativo, con conseguente applicazione dell’art. 30, comma 5, c.p.a..
3) Ciò posto, va osservato quanto segue in relazione ai profili di risarcitori articolati in ricorso.
Con primo profilo di ricorso, la ricorrente ritiene sussistenti il danno ingiusto e il nesso di causalità in ragione dell’illegittimità e ingiustizia del provvedimento di annullamento delle prove concorsuali (e degli atti ad esso presupposti), nonché dalla prolungata inerzia dell’Amministrazione a dare esecuzione alla sentenza T.A.R. Puglia, Lecce, n. 1366/2012. Sostiene la ricorrente che, sin dall’agosto 2011, non soltanto l’Università era tenuta ad approvare definitivamente la graduatoria – cosa che, invece, non ha fatto, perché ha proceduto a un inammissibile sindacato di merito sugli atti della commissione d’esame – ma sussistevano tutti i presupposti per l’assunzione della ricorrente, che è invece avvenuta a novembre 2013.
Con secondo profilo di ricorso, la ricorrente deduce la sussistenza della colpa dell’Amministrazione in ragione dalla manifesta illegittimità degli atti poi caducati dal Giudice Amministrativo e dell’assenza di qualsivoglia errore scusabile nel caso di specie.
3.1) Le predette doglianze sono fondate per quanto di seguito di osserva.
L’illegittimità dell’agere dell’Università, come descritto dalla ricorrente, è conclamato dalle sentenze del T.A.R. Puglia, Lecce, n. 1366/2012 e n. 1907/2013.
Va infatti rilevato che la predetta sentenza n. 1366/2012 (rispetto alla quale il Consiglio di Stato ha dichiarato l’improcedibilità dell’appello spiegato dall’Università, giusta sentenza C.d.S. n. 4517/2016), ha evidenziato l’incompetenza del direttore amministrativo (che adottò il decreto di annullamento n. 676 del 30 dicembre 2011) ad impingere nelle valutazioni di merito della commissione esaminatrice, rilevando anche che i presunti profili di illegittimità evidenziati dal direttore amministrativo erano del tutto privi di fondatezza. Tali rilevi sono stati confermati dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4517/16 del 27 ottobre 2016, che, pur dichiarando improcedibile l’appello dell’Università, ai fini della regolamentazione delle spese ed in applicazione del criterio della soccombenza virtuale, ha rilevato che “dall’esame degli atti non risultano in maniera evidente e immediata indici rivelatori di plagio, o segni di riconoscimento manifesti tali da consentire l’individuazione del soggetto che li aveva apposti, sicché – con questa precisazione – in modo corretto la sentenza del Tar ha posto in risalto l’incompetenza funzionale del Direttore amministrativo non essendosi questo limitato … a una mera verifica della regolarità formale degli atti del concorso avendo invece effettuato un inammissibile sindacato di merito sulle valutazioni della commissione giudicatrice”. Ebbene, ai fini che qui rilevano, l’annullamento d’ufficio degli atti concorsuali – poi annullato nelle predetta sede giurisdizionale – si palesa come l’unico ostacolo all’approvazione della graduatoria, non risultando, in atti, ulteriori impedimenti di carattere amministrativo a che si procedesse tempestivamente alla predetta approvazione.
Considerazioni simili valgono in relazione a quanto stabilito dalla sentenza del T.A.R. Puglia, Lecce, n. 1907/2013 – che non risulta appellata –, con riferimento alla circostanza del rinvio dell’assunzione della ricorrente in ragione della definizione di nuovi rapporti con gli Enti Locali di Brindisi e/o all’esito della revisione di eventuali atti di ricognizione e riallocazione dei posti (v. delibera del consiglio di amministrazione n. 140 del 25 giugno 2013). Tale statuizione è stata ritenuta del tutto illegittima ed elusiva del dictum di cui a T.A.R. Puglia, Lecce, sentenza n. 1366/2012. Infatti, la sentenza del T.A.R. Puglia, Lecce, n. 1907/2013 rileva, con riferimento all’asserita necessità di “definizione dei nuovi rapporti con gli Enti Locali di Brindisi”, che “detta presunta necessità non compare in alcuno degli atti della procedura concorsuale intervenuti a far data dal bando e sino al D.D. n. 87/13. Inoltre, si legge nel bando di gara (cfr. art. 1) che soltanto le unità ad assumersi presso le Segreterie della Facoltà di Ingegneria Industriale e dei Corsi di laurea Magistrale ed Interfacoltà avrebbero dovuto essere utilizzate presso la sede decentrata di Brindisi, e non anche quella/e da impiegarsi presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, da utilizzarsi invece direttamente presso la sede centrale (…). Alla luce di tali considerazioni, è allora evidente la natura elusiva dell’obbligo di esecuzione scaturente dalla sentenza ottemperanda, atteso che l’Università ha negato ai ricorrenti il bene della vita da essa stessa riconosciuto (sia pure subordinatamente all’esito del giudizio di appello), e segnatamente il diritto all’assunzione, sulla base di motivazioni diverse da quelle scaturenti dalla necessità di equilibrio economico-finanziario, le sole idonee (…) a costituire un valido vincolo normativo alla concreta assunzione dei medesimi ricorrenti. Il tutto senza sottacere che, come si è sopra detto, tale “motivazione” non sarebbe comunque valida per la/le unità da assumersi presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, posto che, per espressa previsione del bando, detta/e unità avrebbe(ro) dovuto operare all’interno del polo leccese, e non già di quello brindisino”.
Con riferimento, poi, all’ulteriore passaggio riferito alla “revisione di eventuali atti di ricognizione e riallocazione dei posti”, quella sentenza ne rileva l’abnormità, che “emerge in tutta la sua portata, sol che si consideri che, come emerge dalla cennata delibera assunta nella seduta del 25.6.2013, la stessa Università ha deliberato di utilizzare tutti i PO a sua disposizione, ivi inclusi quelli relativi alle n. 3 unità di personale di categoria C di cui alla graduatoria approvata con D.D n. 87/13, id est gli odierni ricorrenti”.
3.2) Da quanto sopra emerge come, in assenza di altre circostanze – che, infatti, non vengono dedotte in giudizio – la suddetta attività amministrativa, già stigmatizzata in sede giurisdizionale, si ponga, secondo l’id quod plerumque accidit, come fonte del danno ingiusto lamentato dalla ricorrente. Né, con riferimento all’elemento soggettivo della responsabilità, risultano dedotte dall’Università circostanze tali da integrare un errore scusabile. Rileva, in proposito, la giurisprudenza che, “in caso di acclarata illegittimità di un atto amministrativo asseritamente foriero di danno, al privato non è richiesto un particolare sforzo probatorio, per ciò che attiene al profilo dell’elemento soggettivo della fattispecie; egli può infatti limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, dovendosi fare rinvio, al fine della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità, alle regole della comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 c.c., mentre spetta all’amministrazione dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile. Peraltro, la presunzione di colpa dell’amministrazione può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale tale da palesarne la negligenza e l’imperizia, cioè l’aver agito intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell’assunzione del provvedimento viziato, mentre deve essere negata la responsabilità quando l’indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto (così, da ultimo, Cons.St., sez. IV, sentenza n. 3439 del 13.7.2017)” (C.d.S., 12 aprile 2018, n. 2197).
Nel caso di specie si è verificata un’illegittima attività amministrativa, sicuramente imputabile all’amministrazione sotto il profilo della responsabilità civile, in quanto caratterizzata, ai fini che qui rilevano, dalle seguenti circostanze:
– il decreto n. 676 del 30 dicembre 2011, poi annullato in sede giurisdizionale, è stato adottato nonostante la commissione esaminatrice avesse puntualmente risposto alla iniziale richiesta di chiarimenti del 5 settembre 2011 e nonostante il responsabile del procedimento avesse espresso, con nota del 28 dicembre 2011, il proprio avviso contrario all’adozione del predetto decreto: nessuna specifica motivazione si legge nel decreto n. 676 in ordine al superamento dei rilievi della commissione e del responsabile del procedimento;
– nonostante l’annullamento giurisdizionale del predetto decreto e la successiva approvazione della graduatoria, sono stati posti in essere, dall’amministrazione, ulteriori atti, elusivi della sentenza T.A.R. Puglia, Lecce n. 1366/2012, aventi, in definitiva, carattere dilatorio, giusta quanto stabilito da T.A.R. Puglia, Lecce, sentenza n. 1907/2013.
4) Posto quanto sopra sull’an del risarcimento, occorre rilevare quanto segue in ordine alla sua quantificazione.
4.1) La ricorrente domanda le somme corrispondenti alle mensilità non percepite da settembre 2011 fino alla vigilia della sua assunzione. Tale pretesa va ridimensionata, alla luce della consolidata giurisprudenza sul punto, che afferma che non può trovare accoglimento una richiesta di commisurare il danno all’intero ammontare delle retribuzioni non percepite, a partire dalla data della mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio. Infatti, “in sede di quantificazione per equivalente del danno in ipotesi di omessa o ritardata assunzione, questo non si identifica nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, elementi che comporterebbero una vera e propria restitutio in integrum e che possono rilevare soltanto sotto il profilo, estraneo al presente giudizio, della responsabilità contrattuale, occorrendo invece, caso per caso, individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. V 10 maggio, n.2750; sez. IV, 6 luglio 2009, n. 4325; Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2007, n. 62282; id., 21 dicembre 2000, n. 1324). (…) Tanto premesso, in relazione al grave pregiudizio materiale per effetto della mancata assunzione, e alla colpa riferibile alla amministrazione, il danno risarcibile può essere quantificato equitativamente, in applicazione del combinato disposto degli atti artt. 2056, co. 1 e 2, e 1226 c.c., in una somma pari all’50 % delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte al ricorrente nel periodo decorrente dalla data della mancata assunzione a quella dell’effettivo collocamento in servizio, con esclusione della parte variabile della retribuzione relativa alle funzioni (…) e con esclusione di quanto, a qualsiasi titolo, percepito dall’interessato nel medesimo periodo per attività lavorative, che andrà appositamente accertato dalla amministrazione; al riconoscimento delle spettanze retributive si ricollega l’obbligo dell’amministrazione di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale nei limiti appena precisati” (C.d.S., 30 luglio 2013, n. 4020).
Nel caso di specie, quindi, l’arco temporale da considerare è quello che va dal momento in cui è stato adottato il decreto n. 676 del 30 dicembre 2011 (di annullamento degli atti concorsuali), in luogo del quale avrebbe ragionevolmente trovato spazio la tempestiva approvazione della graduatoria, fino al giorno precedente la stipula del contratto di lavoro (intervenuta l’8 novembre 2013), cioè il 7 novembre 2013. Su tale arco temporale (cioè: dal 30 dicembre 2011 al 7 novembre 2013) va calcolato il 50% delle retribuzioni, con le detrazioni indicate dalla giurisprudenza sopra richiamata. Nei medesimi termini indicati dalla giurisprudenza qui richiamata, l’amministrazione va condannata alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale della ricorrente.
Sulle somme così computate, andranno riconosciuti la rivalutazione e gli interessi secondo quanto precisato dalle sentenze del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 18/2011 e n. 18/2012.
4.2) Nulla va invece riconosciuto alla ricorrente per danno non patrimoniale, atteso che nessuna prova viene fornita in tal senso.
5) Alla luce di tutto quanto sopra, il ricorso va accolto e, per l’effetto, l’amministrazione resistente va condannata al risarcimento del danno in favore della ricorrente e, quindi, al pagamento delle somme risultanti dall’applicazione dei criteri sopra indicati.
6) Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia di Lecce, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini e per gli effetti di cui in motivazione.
Condanna la resistente amministrazione al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese di lite, che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato, da distrarsi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Di Santo, Presidente
[#OMISSIS#] Manca, Consigliere
[#OMISSIS#] Vitucci, Referendario, Estensore
Pubblicato il 10/09/2018