N. 00010/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00537/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 537 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati [#OMISSIS#] Andreozzi e [#OMISSIS#] Andreozzi, con domicilio eletto presso il loro studio, in Cagliari, via [#OMISSIS#] n. 4;
contro
Università degli Studi di Sassari, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, ivi domiciliataria in via Dante n. 23;
e con l’intervento di
– dal C.N.U. – Comitato Nazionale Universitario, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] Andreozzi e [#OMISSIS#] Andreozzi, con domicilio eletto presso il loro studio, in Cagliari, via [#OMISSIS#] n.4;
– del Bando Rep. 1350 – Titolo III – Classe 13 – Prot. 17458 del 9 maggio 2017 pubblicato dall’Università degli Studi di Sassari e avente ad oggetto “Bando competitivo Fondazione di Sardegna – 2016 per progetti di ricerca con revisione tra pari” nella parte in cui, all’art. 3, ultimo capoverso, stabilisce: “La presentazione dei progetti da parte dei proponenti di cui ai punti a) e b) è subordinata alla partecipazione all’esercizio della VQR 2011-2014”.
Visti il ricorso e i relativi allegati.
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Sassari.
Visto l’intervento ad adiuvandum del C.N.U. – Comitato Nazionale Universitario.
Viste le memorie difensive.
Visti tutti gli atti della causa.
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 novembre 2017 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Gli odierni ricorrenti, ricercatori o professori dell’Università di Sassari, impugnano il bando in epigrafe descritto -che la stessa Università ha pubblicato il 9 maggio 2017 in qualità di “Soggetto attuatore” secondo apposita convenzione stipulata con la Fondazione Banco di Sardegna- avente a oggetto l’assegnazione di fondi destinati a nuovi progetti di ricerca; contestano, in particolare, l’art. 3 del Bando, secondo cui “La presentazione dei progetti da parte dei proponenti di cui ai punti a) e b) è subordinata alla partecipazione all’esercizio della VQR 2011-2014”.
La vicenda trova origine nel fatto che gli odierni ricorrenti -in dichiarata adesione a una protesta della categoria indetta tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 contro i blocchi stipendiali introdotti per legge a carico del personale docente- si erano a suo tempo rifiutati di conferire all’Università le loro opere scientifiche affinché questa potesse sottoporli alla c.d. “Valutazione della qualità delle ricerche” (in particolare la V.Q.R. relativa al periodo 2011-2014), prevista dalla normativa vigente quale presupposto per la ripartizione tra i diversi atenei dei nuovi fondi destinati alla ricerca in proporzione ai risultati scientifici dagli stessi sino ad allora ottenuti; difatti è proprio per non aver messo a disposizione le loro opere in quella sede che gli stessi ricorrenti si sono poi trovati esclusi dalla procedura di riparto dei successivi fondi per effetto del citato art. 3 del Bando: in particolare, al momento dell’inserimento dei progetti di ricerca (in cui figuravano come “coordinatori scientifici”) nella piattaforma informatica dell’Università, gli interessati si sono trovati di fronte a un “blocco del sistema” accompagnato dalla dicitura “coordinatore scientifico non valido ai sensi dell’art. 3 del Bando, ultimo capoverso”.
Pertanto, con il ricorso ora all’esame del Collegio, impugnano quest’ultima clausola del bando sostenendo che abbia ingiustamente leso le loro prerogative sindacali, nella sostanza “punendoli” per l’adesione alla pregressa iniziativa di protesta.
L’Università di Sassari si è costituita nel presente giudizio, sollecitando la reiezione del ricorso ed eccependone, altresì, l’inammissibilità per difetto di impugnazione della presupposta deliberazione congiunta del Senato Accademico e del Consiglio di amministrazione in data 21 febbraio 2017, con cui detti organi avevano espresso parere favorevole sul testo del Bando poi definitivamente pubblicato dal Rettore.
È intervenuto ad adiuvandum il Comitato Nazionale Universitario (C.N.U.), confermando di avere promosso, nel biennio 2015-2016, la protesta sindacale contro il blocco degli scatti stipendiali cui gli odierni ricorrenti (alcuni dei quali iscritti al C.N.U.) avevano partecipato e sostenendo che la decisione dell’Ateneo sassarese di precludere la partecipazione a coloro che quella protesta avevano condiviso sia illegittimamente lesiva delle loro prerogative sindacali.
Alla camera di consiglio del 2 agosto 2018, fissata per l’esame dell’istanza cautelare proposta dai ricorrenti, la trattazione della causa è stata rinviata al merito.
È seguito lo scambio di memorie con le quali le parti hanno ulteriormente argomentato le proprie tesi.
Alla pubblica udienza dell’8 novembre 2017 la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.
DIRITTO
Benché nessuna delle parti abbia sollevato tale questione, il Collegio ritiene opportuno preliminarmente evidenziare -per esigenze di certezza processuale- le ragioni per le quali la presente controversia rientra nella propria giurisdizione ancorché la causa petendi fatta valere dai ricorrenti riguardi una pretesa condotta antisindacale della resistente Università.
Si evidenzia, infatti, come ai sensi dell’art. 28, comma 1, della legge della legge 20 maggio 1970, n. 300 e s.m.i., appartengano alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario le sole controversie per condotte antisindacali instaurate “su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse”, questo, peraltro, anche laddove l’azione delle associazioni di tutela si appunti su situazioni soggettive -sindacalmente rilevanti, ma- direttamente riconducibili alla sfera giuridica di uno o più specifici dipendenti.
Viceversa le controversie -ancorché vertenti su condotte antisindacali- introdotte per iniziativa processuale “personale” degli stessi dipendenti lesi sono da ricondurre alla materia generale del pubblico impiego e, come tali, si ripartiscono tra il giudice ordinario e quello amministrativo a seconda che il rapporto di volta in volta implicato rientri fra quelli “privatizzati” oppure fra quelli rimasti in regime di diritto pubblico: in quest’ottica deve essere, dunque, interpretata la previsione di cui all’art. 63, comma 3, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, secondo cui “Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni…” (cfr. Cassazione civile, Sez. Un., 9 febbraio 2015, n. 2359).
Nel caso specifico ora all’esame del Collegio il rapporto di lavoro dei docenti universitari è tuttora sottoposto a regime di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, del d.lgs. n. 165/2001, e perciò la controversia in esame appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63, comma 4, dello stesso T.U. sul pubblico impiego.
Ciò premesso, non merita accoglimento l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla difesa erariale, giacché la deliberazione congiunta del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione dell’Università in data 21 febbraio 2017 -che effettivamente i ricorrenti non hanno impugnato- aveva però carattere di mero parere endoprocedimentale non vincolante, dunque non direttamente lesivo, come emerge chiaramente dal suo contenuto testuale (vedi doc. 10 di parte ricorrente) e come, inoltre, gli stessi ricorrenti hanno rilevato nella propria memoria difensiva finale senza incontrare alcuna specifica smentita di controparte.
Passando all’esame del merito, parte ricorrente deduce un’unica, ma articolata, censura a sostegno del ritenuto carattere antisindacale e ingiustamente punitivo nei loro confronti dell’impugnata clausola del Bando, carattere che -oltre a emergere dal suo tenore testuale- troverebbe conferma in alcuni dati documentali precedenti alla pubblicazione del Bando, in particolare:
la nota 3 maggio 2017, prot. 16741, con cui il Rettore dell’Università degli Studi di Sassari, nel rispondere alla sollecitazione di un docente interessato, aveva confermato che “la dizione usata nel bando…non può che fare riferimento soltanto a coloro che, in sede di pur legittima protesta…hanno espressamente manifestato la volontà di non partecipare alla VQR, non contribuendo in tal modo ai risultati complessivi”;
il parere reso in data 11 maggio 2017 dal Comitato Unico di Garanzia, che aveva sostanzialmente confermato l’assunto del Rettore, sia pur esprimendo perplessità sul rischio che la portata onnicomprensivo della clausola escludente potesse ricadere anche su quanti non avessero potuto conferire le loro opere alla V.Q.R. per maternità, malattia o altri impedimenti oggettivi.
In sostanza, sempre secondo i ricorrenti, l’Università avrebbe “modulato” il Bando per l’assegnazione dei nuovi fondi in modo tale da “punire” i docenti e ricercatori che avevano aderito alla precedente protesta sindacale, impedendo loro di accedere ai nuovi fondi per la ricerca sulla base di un criterio escludente avulso dal merito scientifico, in tal modo violando -oltre che le prerogative sindacali degli interessati- il principio di buon andamento dell’azione amministrativa.
Inoltre la clausola contestata sarebbe immotivata e illogica perché l’Università neppure sarebbe stata concretamente danneggiata dalla scelta dei ricorrenti di non mettere a disposizione le loro opere ai fini della V.Q.R. 2011-2014, questo per due distinte ragioni:
perché l’adesione alla protesta -da parte, peraltro, di numerosi membri del corpo docente- ha comportato l’applicazione, in favore dell’Ateneo sassarese, di un “fattore correttivo” dal quale sarebbe scaturito il riconoscimento di fondi in misura addirittura maggiore di quella che gli sarebbe spettata se tutti avessero partecipato alla VQR 2011-2014:
perché la normativa di settore individua come competenti al conferimento delle opere “direttamente gli atenei”, per cui la mancata partecipazione dei docenti avrebbe potuto essere efficacemente superata -oltre che, se del caso, mediante un ordine di servizio del Rettore- attraverso il “conferimento diretto” delle opere alla V.Q.R. da parte dello stesso Ateneo, il che non è concretamente avvenuto.
Infine la contestata clausola escludente sarebbe viziata da contraddittorietà per avere lo stesso Rettore -prima di introdurla nel Bando- definito “legittima” la protesta cui i docenti avevano precedentemente aderito, salvo poi “sanzionarla surrettiziamente” e a distanza di oltre un anno: tale comportamento configurerebbe, nella sostanza, una sanzione disciplinare indiretta, applicata senza previa attivazione delle forme procedimentali all’uopo previste dalla normativa vigente (in particolare dall’art. 10 della legge n. 240/2010) in materia di procedimento disciplinare, dunque impedendo agli interessati di presentare controdeduzioni difensive, che avrebbero dovuto essere valutate in modo imparziale da apposito collegio di disciplina.
A tali doglianze l’Avvocatura erariale, nella propria memoria difensiva, contrappone un’articolata prospettazione difensiva che può riassumersi nei termini seguenti:
la contestata clausola del Bando avrebbe impedito la partecipazione dei ricorrenti -non già in termini assoluti, bensì unicamente- nella veste di coordinatori scientifici dei nuovi progetti di ricerca;
la medesima clausola, comunque, corrisponderebbe a un interesse meritevole di tutela dell’Ateneo, giacché il mancato conferimento delle opere alla V.Q.R. avrebbe negativamente inciso sulla possibilità dello stesso di ottenere nuovi fondi per la ricerca; ciò troverebbe conferma nel parere espresso in data 12 maggio 2017 dal Comitato Unico di Garanzia, ove si legge che “il conferimento di prodotti per la VQR è strumentale alla ripartizione di una quota del FFO. Chi partecipa, allora, pone il suo Ateneo nella condizione di concorrere a tale ripartizione; chi non partecipa impedisce già di per sé al proprio Ateneo di conseguire una certa misura del FFO” e che “La preclusione nei confronti di chi non abbia conferito alcun prodotto si spiega in base al fatto che chi non ha coadiuvato il proprio Ateneo per il conseguimento di fondi non può concorrere, unitamente a chi invece ha conferito, alla ripartizione di fondi ulteriori e diversi”;
sarebbe, dunque, in un’ottica “di premialità”, e non di illegittima repressione antisindacale, che l’Ateneo avrebbe privilegiato la posizione di coloro che avevano contribuito alla V.Q.R. (cioè al conseguimento dei nuovi fondi per la ricerca) rispetto a coloro che, invece, si erano rifiutati di mettere le loro opere a disposizione dell’Ateneo;
in ogni caso la “vertenza” cui i ricorrenti avevano aderito -riguardando “possibili azioni di dissuasione che gli Atenei avrebbero potuto attivare, durante il processo di elaborazione della VQR, nei confronti dei singoli docenti”– sarebbe in realtà priva di “carattere sindacale”;
non corrisponderebbe al vero l’assunto dei ricorrenti circa la non concreta incidenza della loro astensione sulla possibilità dell’Ateneo di concorrere fruttuosamente alla V.Q.R.: difatti in base a quanto disposto dall’art. 1 del d.m. 29 dicembre 2016, n. 998 -recante “Criteri di ripartizione della quota premiale e dell’intervento perequativo del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle Università statali per l’anno 2016”– il 20% delle risorse disponibili sul Fondo di Finanziamento Ordinario destinato agli Atenei viene assegnato con criteri premiali, tra i quali, nella misura del 65%, i risultati ottenuti sulla “Qualità della ricerca”; d’altro canto, pur essendo stato effettivamente previsto un meccanismo “compensatore” al fine di non svantaggiare eccessivamente gli Atenei colpiti dall’adesione dei loro docenti alla “protesta sindacale” (poi concretamente applicato alla stessa Università di Sassari nella misura massima), ciò non avrebbe però del tutto eliso gli effetti negativi del mancato conferimento dei prodotti della ricerca, nel senso che se questi fossero stati messi a disposizione l’Amministrazione avrebbe, comunque, ottenuto un finanziamento maggiore;
non sarebbe condivisibile l’assunto dei ricorrenti secondo cui la partecipazione diretta dei docenti alla V.Q.R. sarebbe da considerarsi solo “eventuale” (potendo, comunque, l’Università superare gli effetti del loro rifiuto mediante conferimento diretto delle loro opere alla V.Q.R.): sarebbe questa, infatti, una possibilità preclusa all’Amministrazione, anche perché gli stessi interessati avevano formalmente diffidato il Rettore dall’utilizzare le loro pubblicazioni a fini V.Q.R.
Il Collegio ritiene condivisibile la prospettazione dei ricorrenti e perciò meritevole di accoglimento la loro domanda impugnatoria.
In apice si evidenzia l’infondatezza dell’assunto difensivo erariale relativo al fatto che l’impugnata clausola escludente avrebbe impedito la loro partecipazione -non già tout court, bensì- nella sola veste di coordinatori scientifici: a prescindere dall’esattezza in fatto o meno di tale profilo, invero non ben chiarito dalle risultanze processuali, è comunque sufficiente rimarcarne l’irrilevanza ai fini del decidere, giacché anche un’eventuale esclusione limitata alla veste di coordinatore scientifico risulterebbe, comunque, lesiva per i ricorrenti, i quali avevano presentato domanda proprio in tale veste e sono stati, infatti, tutti esclusi dall’assegnazione dei nuovi finanziamenti.
Ciò posto, ai fini di un corretto inquadramento della vicenda occorre partire dalla natura della “protesta sindacale” nei confronti dei blocchi degli scatti stipendiali, nell’ambito della quale i ricorrenti si erano rifiutati di conferire le loro opere all’Università ai fini della V.Q.R.: si è trattato, con tutta evidenza, di una forma di manifestazione del diritto di sciopero, come noto strumento costituzionalmente garantito dall’art. 40 della Carta, finalizzato alla rivendicazione sindacale e comprendente qualunque forma di astensione organizzata dal lavoro -da parte di un gruppo di lavoratori dipendenti- per la tutela di comuni interessi di carattere politico o sindacale (cfr. Cassazione civile, Sez. Lav., 3 dicembre 2015, n. 24653).
Orbene, se è vero, per un verso, che la decisione dei ricorrenti di non conferire le loro opere all’Università ha certamente rappresentato una deminutio rispetto al normale “apporto collaborativo” assicurato dai docenti al proprio datore di lavoro pubblico, tuttavia questo è, dunque, avvenuto nell’ambito di una scelta coordinata “a monte” -in ottica tipicamente sindacale- da un numero rilevante di docenti e ricercatori, il che è riferito puntualmente nel ricorso, trova, altresì, conferma in quanto esposto dal Comitato Nazionale Universitario nel proprio atto di intervento ad adiuvandum, nonchénello stesso “carteggio” precedente alla pubblicazione del Bando oggetto di causa, avente a oggetto, in particolare, le comunicazioni inoltrate al Rettore da alcuni docenti, il parere reso dal Comitato Unico di Garanzia e alcune note dello stesso Rettore, il quale espressamente qualificava quella di cui si parla proprio come “protesta sindacale” (si vedano, al riguardo, i documenti nn. 4, 5, 6, 7, 13, 14 prodotti dalla difesa dei ricorrenti); l’esattezza di tale inquadramento trova, poi, indiretta conferma nelle stesse difese processuali dall’Amministrazione, essendosi l’Avvocatura erariale limitata a contestare genericamente (e, peraltro, in poche righe: vedi la relativa memoria difensiva) la natura sindacale della decisione dei ricorrenti di non conferire le proprie opere scientifiche ai fini della V.Q.R., senza però argomentare adeguatamente tale assunto e neppure contestando le sopra descritte circostanze di fatto.
Orbene, una volta ricollegata la condotta degli odierni ricorrenti a una “protesta sindacale” -espressione, dunque, del diritto di sciopero- l’illegittimità dell’impugnata clausola di Bando appare piuttosto evidente.
Difatti escludere indistintamente dal finanziamento dei nuovi progetti tutti coloro che a suo tempo non avevano conferito le proprie opere scientifiche per la V.Q.R. ha significato colpire (in primo luogo) tutti coloro che tale rifiuto avevano concepito proprio in termini di adesione alla descritta iniziativa sindacale, penalizzandoli, per questo, nella loro attività successiva attività di ricerca.
Né può condividersi la principale argomentazione difensiva erariale, incentrata sul fatto che la mancata partecipazione alla V.Q.R. ha leso interessi oggettivi dell’Università -legati alla possibilità di conseguire in tale sede una valutazione positiva e, dunque, di ottenere i finanziamenti necessari alla stessa attività di ricerca- il che consentirebbe di ricondurre la contestata clausola del Bando a ragioni di carattere oggettivo e perciò di escluderne la portata illegittimamente antisindacale.
Al riguardo può agevolmente ribattersi che tale assunto -benché condivisibile nella parte in cui rimarca il danno potenzialmente arrecato agli interessi dell’Ateneo- non è però sufficiente a smentire la portata illegittimamente antisindacale della conseguente scelta dell’Amministrazione: è, infatti, insito nelle stessa nozione di sciopero la possibilità che il suo esercizio arrechi un vulnus agli interessi datoriali, vulnus che deve ritenersi perciò giuridicamente “scriminato” proprio in quanto rientrante nella causa di giustificazione dell’esercizio del diritto (artt. 51 c.p.), nel caso di specie il “diritto di sciopero”; del resto è evidente come lo sciopero, per avere efficacia, debba in qualche modo incidere sulla sfera giuridica della controparte sindacale.
Al riguardo sussiste, invero, un limite di carattere generale, rappresentato dalla necessità di mantenere un’adeguata proporzione tra la situazione soggettiva rivendicata dagli scioperanti e il danno arrecato alla parte datoriale: ove tale danno risultasse sproporzionato rispetto all’interesse perseguito dai lavoratori con lo sciopero, quest’ultimo potrebbe rivelarsi illegittimo (vedi, al riguardo la già citata sentenza della Cassazione n. 24653/2015, nonché Cassazione civile, Sez. lav., 16 dicembre 2009, n. 26368).
Ma nel caso di specie tale eventualità è da escludersi, se non altro perché la stessa procedura di V.Q.R. contemplava un “fattore correttivo” in favore delle Università colpite dall’adesione del proprio corpo docente alla descritta protesta sindacale, così da compensare l’inevitabile riduzione dei risultati scientifici che le stesse avrebbero potuto, a quel punto, esibire all’organo valutatore: sull’esistenza (e sulla concreta operatività nel caso specifico) di tale fattore correttivo tutte le parti del giudizio sostanzialmente concordano, dibattendo soltanto sulla sua incidenza quantitativa (che secondo i ricorrenti sarebbe stata tale da compensare interamente la deminutio subita dall’Università, mentre secondo quest’ultima avrebbe solo “limitato i danni”); ma a prescindere dall’esattezza della prima o della seconda prospettazione, resta pacifica e incontestata tra le parti la previsione, a livello normativo secondario, del sopra descritto “fattore correttivo”, parametrato proprio alle conseguenze dell’adesione all’iniziativa sindacale, il che indirettamente conferma la giuridica rilevanza e la “non abusività” della stessa.
Vi è, infine, un argomento “di chiusura” che, a giudizio del Collegio, conferma l’illegittimità della scelta operata dall’Università e perciò depone in modo conclusivo per la fondatezza del ricorso.
Si fa riferimento al fatto che -anche laddove, in ipotesi puramente teorica (e, come detto, non condivisa dal Collegio), la protesta sindacale fosse da considerarsi illegittima e perciò non adeguatamente scriminata dal diritto di sciopero- la reazione della parte datoriale pubblica avrebbe dovuto essere, comunque, diversa, in specie l’avvio di una vertenza sindacale preventiva, nonché, se del caso, l’apertura di un procedimento disciplinare a carico degli interessati, nelle forme e con le garanzie previste dalla normativa vigente e con l’intervento degli organi terzi preposti a questo genere di decisioni; viceversa l’Università ha scelto di colpire gli scioperanti in modo indiretto e a notevole distanza di tempo, escludendoli tout court dall’assegnazione dei nuovi fondi per la ricerca e in tal modo arrecando loro un vulnus di carattere professionale, oltre che penalizzando lo stesso interesse pubblico alla promozione della ricerca scientifica, giacché tale esclusione è intervenuta al di fuori di qualunque valutazione sulla meritevolezza o meno dei loro progetti di ricerca; il tutto, per giunta, nell’ambito di una condotta che appare, nel complesso, contraddittoria, posto che lo stesso Rettore, in alcune note precedenti alla pubblicazione del Bando, pareva riconoscere la legittimità della protesta sindacale di cui ora si discute (vedi supra quanto già osservato sul punto e la relativa documentazione prodotta dalla difesa dei ricorrenti).
Con ciò, ben inteso, non si vuole ovviamente negare all’Università la possibilità di tutelare la propria partecipazione -con l’intero bagaglio di opere scientifiche nel frattempo redatte dai suoi professori- alla V.Q.R. e alla conseguente distribuzione dei fondi destinati alla successiva attività di ricerca; si vuole, semmai, evidenziare come tale condivisibile obiettivo debba essere perseguito nel rispetto delle prerogative sindacali del corpo docente e delle forme legalmente previste per l’eventuale irrogazione di sanzioni; il che, tradotto in termini più concreti, significa che l’esclusione dai nuovi fondi avrebbe potuto considerarsi, per ipotesi, giustificata se congegnata in modo da colpire (solo) coloro che senza giustificazione si fossero rifiutati di conferire le proprie opere ai fini della V.Q.R., mentre nel caso ora in esame la clausola escludente è risultata indistintamente applicabile -in termini automatici, onnicomprensivi e senza alcuna eccezione- a tutti coloro che non avevano conferito le proprie opere, dunque senza tenere conto, tra le altre, dell’eventualità che il mancato conferimento fosse avvenuto nel legittimo esercizio del diritto di sciopero.
Per quanto premesso il ricorso merita accoglimento, con il conseguente annullamento dell’atto impugnato.
Sussistono, comunque, giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese di lite, considerata l’obiettiva delicatezza delle questioni giuridiche implicate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe proposto e, per l’effetto, annulla l’art. 3, ultimo capoverso, del Bando in epigrafe descritto.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Caro [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] Manca, Consigliere
Pubblicato il 10/01/2018
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.