TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 15 maggio 2018, n. 997

Diniego borsa di studio-inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo

Data Documento: 2018-05-30
Area: Giurisprudenza
Massima

L’assegnazione della borsa di studio universitaria non si configura come un interesse legittimo dipendente da poteri discrezionali della Pubblica Amministrazione, costituendo un vero e proprio diritto soggettivo condizionato soltanto dalla sussistenza dei fondi all’uopo necessari ad assicurarne il pieno ed integrale soddisfacimento mediante l’erogazione della prestazione richiesta nel rispetto dei livelli essenziali prestabili dal legislatore statale. Pertanto, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.
Infatti, l’assegnazione di borse di studio agli studenti meno abbienti rientra nell’ambito delle attività di erogazione di pubblici finanziamenti che, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza consolidata (Cass. Sez.Un. 19 maggio 2008 n.12641 e Cons. di St. Ad.Plen. n.6/2014), va distinta dall’ampia categoria delle concessioni di beni pubblici strictu sensu intesa, non rientrando, pertanto, nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo ai sensi dell’art.133 co.1 lett.b) c.p.a. in ragione della fungibilità caratterizzante l’oggetto del rapporto concessorio di diritto pubblico in questione, ossia il denaro.

Contenuto sentenza

N. 00997/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00859/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 859 del 2017,
proposto da 
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], elettivamente domicilia in Catania, alla via [#OMISSIS#] Coviello, n.25 presso lo studio dell’avv. Giovanni [#OMISSIS#] che la rappresenta e difende giusta procura in atti; 
contro
Ersu – Ente Regionale per il Diritto Allo Studio Universitario di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149; 
per l’annullamento
della comunicazione di “avvio del procedimento amministrativo di revoca dei benefici A.A. 2015/2016”, ricevuta dalla ricorrente in data 27 marzo 2017;
e per il riconoscimento
del diritto della ricorrente a beneficiare delle agevolazioni economiche previste ai fini del diritto allo studio, relativamente agli anni accademici 2014/15, 2015/16 e 2016/17.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ersu – Ente Regionale per il Diritto Allo Studio Universitario di Catania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 maggio 2018 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Francola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, spedito via PEC per la notifica ai sensi della Legge 53/1994 dall’avv. Giovanni [#OMISSIS#] il 22 maggio 2017 ed in pari data notificato ai sensi dell’art.41 c.p.a. all’Università di Catania presso la sede dell’Avvocatura dello Stato in conformità al disposto dell’art.1 del D.Lgs. 2 marzo 1948 n.142 (che estende le funzioni dell’Avvocatura dello Stato esercitate in favore delle Amministrazioni statali anche nei riguardi dell’Amministrazione regionale siciliana, disponendo l’applicazione nei confronti di quest’ultima nel suo complesso considerata sia delle disposizioni del testo unico e del regolamento, approvati rispettivamente con i Regi Decreti 30 ottobre 1933, nn. 1611 e 1612, e, successive modificazioni, sia degli articoli 25 e 144 del Codice di procedura civile), nonché depositato in segreteria ai sensi dell’art.45 c.p.a. il 23 maggio 2017, unitamente all’istanza di fissazione d’udienza ai sensi e per gli effetti degli artt.55 co.4 e 71 c.p.a., [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] impugnava il provvedimento, comunicatole il 27 marzo 2017 dall’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario (in seguito “E.R.S.U.”), di avvio del procedimento di revoca dei benefici economici a lei concessi per l’anno accademico 2015/2016 con l’erogazione di una borsa di studio, domandandone l’annullamento, previa sospensione in via cautelare, unitamente ad ogni ulteriore atto presupposto e o successivo, e chiedendo, inoltre, al T.A.R. adito di dichiarare sussistente il reclamato diritto al godimento dei benefici economici a lei già concessi per gli anni accademici 2014/2015, 2015/2016 ed, invece, negati per l’anno accademico 2016/2017, con condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento dei danni cagionati con la sua condotta, quantificati in 10.000,00.
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] deduceva di essersi iscritta nell’anno accademico 2014/2015 al corso triennale di “Graphic Design – Comunicazione d’impresa”, previa immatricolazione presso l’Accademia delle Belle Arti di Catania, e di avere in quella sede ottenuto il riconoscimento nel proprio piano di studi di 22 crediti formativi dipendenti dal superamento con esito positivo di taluni esami (rispettivamente nelle materie di informatica di base, Storia dell’arte contemporanea 1 e Storia dell’arte contemporanea 2) che, sebbene sostenuti presso la facoltà di Storia dell’Arte e Archeologia dell’Università francese di Strasburgo precedentemente frequentata, erano stati ugualmente convalidati dall’Ateneo catanese.
La ricorrente deduceva, inoltre, di avere partecipato negli anni accademici 2014/2015, 2015/2016 e 2016/2017 ai concorsi indetti dall’E.R.S.U. per l’assegnazione, sulla base di prestabiliti criteri di merito e di reddito, di Borse e Servizi propedeutici a consentire l’esercizio del diritto allo studio universitario anche agli studenti meno abbienti.
Per l’anno accademico 2014/2015 la ricorrente conseguiva una positiva valutazione di idoneità, ottenendo, quindi, il diritto ad usufruite del rimborso delle tasse universitarie.
Per l’anno accademico 2015/2016 la ricorrente si collocava nella graduatoria in posizione utile quale “assegnataria”, così conseguendo l’ambita borsa di studio, oltre al diritto al rimborso delle tasse universitarie.
Per l’anno accademico 2016/2017 la ricorrente partecipava, come nei precedenti anni, al medesimo concorso bandito dall’E.R.S.U. senza, però, alcun esito favorevole, apprendendo in data 3 ottobre 2016, in seguito alla pubblicazione della graduatoria, della propria esclusione per mancato raggiungimento della soglia dei crediti formativi richiesti.
La ricorrente, allora, proponeva reclamo il 31 ottobre 2016, lamentando l’illegittimità della predetta decisione, ma l’Amministrazione Regionale ribadiva la correttezza del proprio operato, respingendo le censure di illegittimità dedotte non reputando computabili, ai fini del conseguimento della pretesa borsa di studio, i crediti formativi acquisiti all’esito positivo di “esami convalidati”.
L’E.R.S.U., quindi, comunicava il 27 marzo 2017 alla ricorrente l’avvio del procedimento di revoca dei benefici concessi per l’anno accademico 2015/2016, chiedendole all’uopo la restituzione della somma di € 4.455,00 a titolo di rimborso delle spese già sostenute.
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] impugnava quest’ultimo atto domandandone l’annullamento, previa sospensione in via cautelare, per illegittimità da:
Violazione di legge ed in particolare degli artt.2, 3, 34 Cost.; della lex specialis di concorso (art.6, 7, 13 del bando); degli artt.24 e 25 del Regolamento dell’Accademia di Belle Arti di Catania;
Eccesso di potere per disparità di trattamento e cadenza di motivazione;
Violazione dell’art.21 nonies L. 241/1990 per lesione del legittimo affidamento della ricorrente.
Inoltre, la ricorrente domandava il risarcimento del danno patito a causa del rallentamento della sua carriera universitaria dovuto al mancato riconoscimento delle agevolazioni economiche a lei spettanti e non riconosciutele per l’anno accademico 2016/2017.
Con memoria telematicamente depositata in data 14 giugno 2017, si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato Distrettuale di Catania per conto dell’E.R.S.U. chiedendo, in via preliminare, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, ed, in subordine, il rigetto per infondatezza in fatto e in diritto.
Con ordinanza n.744/2017 depositata il 23 ottobre 2017 il Collegio accoglieva l’istanza cautelare della ricorrente, sospendendo l’efficacia del provvedimento impugnato.
All’udienza del 10 maggio 2018, dopo avere udito i procuratori delle parti, la causa veniva trattenuta in decisione, dando avviso alle parti, ai sensi dell’art.73 co.3 c.p.a., della possibile definizione del giudizio con la pronuncia di una sentenza di inammissibilità per difetto di giurisdizione rilevato d’ufficio.
DIRITTO
Il Collegio osserva che il ricorso presentato da [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] è preordinato all’annullamento dell’avvio del procedimento amministrativo di revoca dei benefici economici previsti per l’anno accademico 2015/2016 in favore degli studenti meno abbienti, nonché all’accertamento del possesso dei requisiti per il conseguimento dei predetti benefici, oltre al risarcimento del danno patito a causa del presunto illegittimo agire della Pubblica Amministrazione. Pertanto, possono distinguersi 3 differenti tipologie di domande: a) la prima tipicamente cadutatoria; b) la seconda di natura dichiarativa, in quanto di mero accertamento; c) la terza di tipo risarcitorio.
A) La domanda di annullamento.
Con il primo motivo si lamenta l’erronea applicazione dell’art.7 del bando di gara che esclude, in sede di valutazione di merito, i crediti a qualsiasi titolo convalidati soltanto per lo studente rinunciatario o decaduto dagli studi presso qualunque Ateneo o Istituto di grado universitario, tale non potendosi certo ritenere l’interessata, non avendo la medesima rinunciato ad alcun corso di studi universitario, né essendone stata mai dichiarata decaduta da alcuna Università. L’E.R.S.U., pertanto, avrebbe erroneamente applicato l’art.7 del bando, rientrando la fattispecie in esame nel disposto dell’art.7 paragrafo B), secondo cui “i requisiti di merito sono valutati sulla base dei crediti/esami acquisiti complessivamente al momento dell’immatricolazione fino al 10 agosto 2015”, posto, altresì, che “nel calcolo dei crediti richiesti vanno considerati tutti quelli acquisiti, anche derivanti da prove superate con giudizio o idoneità, perché le prove risultino registrate nella carriera dello studente, con data non successiva al 10 agosto 2015”. E poiché a quella data la ricorrente aveva acquisito ben 40 c.f.u., il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo.
Si deducono, inoltre, ulteriori due profili di illegittimità nel primo motivo di ricorso, consistenti, uno, nella violazione dei principi costituzionali di cui agli artt.3 e 34 Cost. per disparità di trattamento tra candidati, a parità di crediti formativi acquisiti, con conseguente pregiudizio del diritto allo studio per gli studenti meno abbienti, ed, il secondo, nell’eccesso di potere desumibile dall’illogicità e contraddittorietà della condotta dell’Amministrazione, considerato che i crediti formativi acquisiti all’esito degli esami sostenuti e positivamente superati presso l’Università francese di Strasburgo sono stati, da un lato, convalidati dall’Ateneo Catanese e riconosciuti nel piano di studi e, dall’altro, ritenuti privi di qualsivoglia rilevanza in sede di assegnazione delle borse di studio, così incorrendosi, peraltro, anche in un vizio di motivazione per omessa specificazione nel provvedimento di revoca delle ragioni della decisione.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, infine, la violazione dell’art.21 nonies L. 241/1990 per mancata ponderazione degli interessi coinvolti e lesione del legittimo affidamento riposto dalla beneficiaria sulla stabilità del precedente atto con il quale le erano state riconosciute quelle medesime agevolazioni economiche di cui l’Amministrazione domanda la restituzione con il controverso provvedimento di rimborso.
Il Collegio osserva che l’assegnazione di borse di studio agli studenti meno abbienti rientra nell’ambito delle attività di erogazione di pubblici finanziamenti che, secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza consolidata (Cass. Sez.Un. 19 maggio 2008 n.12641 e Cons. di St. Ad.Plen. n.6/2014), va distinta dall’ampia categoria delle concessioni di beni pubblici strictu sensu intesa, non rientrando, pertanto, nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo ai sensi dell’art.133 co.1 lett.b) c.p.a. in ragione della fungibilità caratterizzante l’oggetto del rapporto concessorio di diritto pubblico in questione, ossia il denaro. Di conseguenza, la questione di giurisdizione va risolta e decisa secondo il criterio del petitum sostanziale concepito e seguito dalla giurisprudenza sin dal c.d. “concordato del 1930” tra Corte di Cassazione (Sezioni Unite del 15 luglio 1930 n.2680) e Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria 14 giugno 1930 n.1 e 28 giugno 1930 n.2). Ed, invero, tanto il Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. Plen., 29 gennaio 2014, n. 6; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 13), quanto la Corte Suprema di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776; Cass. Civ., Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710; Cass. Civ., Sez. Un., 7 gennaio 2013, n. 150; Cass. Civ., Sez. Un., 20 luglio 2011, n. 15867; Cass. Civ., Sez. Un., 18 luglio 2008, n. 19806; Cass. Civ., Sez. Un., 26 luglio 2006, n. 16896; Cass. Civ., Sez. Un., 10 aprile 2003, n. 5617), hanno affermato che il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere deciso ricorrendo al criterio della situazione soggettiva per la tutela della quale si agisce in giudizio, con la conseguenza, pertanto, che: a) sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, senza che alla Pubblica Amministrazione sia demandato compito diverso dalla mera verifica dell’effettiva esistenza dei relativi presupposti, non potendo l’Autorità amministrativa all’uopo deputata, dunque, esercitare alcuna discrezionalità in ordine all’an, al quid o al quomodo dell’erogazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 7 gennaio 2013, n. 150; Cass. Civ. Sez. un. 13 ottobre 2011, n. 21062; Cass. Sez. Un. 25 luglio 2006 n. 16896, 22 luglio 2002 n. 10689; Cass. Sez. Un. 28 ottobre 2005 n. 21000); b) sussiste ancora la giurisdizione del giudice ordinario allorché la controversia riguardi l’erogazione o la ripetizione del contributo e si discuta dell’inadempimento ad opera del beneficiario degli obblighi da costui assunti per la concessione della chiesta ed/od ottenuta sovvenzione pubblica, trattandosi di questioni attinenti alla fase di svolgimento ed esecuzione del rapporto pubblico di finanziamento, senza che all’uopo rilevi in modo alcuno la denominazione dell’atto controverso, ben potendo, infatti, in questi casi il Giudice Civile sindacare la legittimità dell’operato dell’Autorità amministrativa anche quando si traduca nell’adozione di provvedimenti formalmente qualificati di revoca, di decadenza o di risoluzione, purché fondati sull’asserito inadempimento delle obbligazioni assunte in sede di concessione del contributo da parte del beneficiario (Cass. Civ. Sez. Un. ord. 25 gennaio 2013, n. 1776); c) sussiste, invece, la giurisdizione del Giudice Amministrativo qualora la controversia attenga esclusivamente la fase procedimentale antecedente al provvedimento discrezionale di erogazione del contributo, ovvero quando quest’ultimo atto sia stato annullato per vizi di legittimità o revocato per contrasto con l’interesse pubblico in autotutela, senza che rilevino eventuali inadempimenti del beneficiario (Cass. Civ., Sez. Un., 24 gennaio 2013, n. 1710; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 17).
Onde comprendere, dunque, se con riguardo alla domanda proposta dalla ricorrente sussista la giurisdizione di legittimità del Giudice Amministrativo, occorre verificare se la situazione giuridica soggettiva per la cui tutela si agisce dinanzi al T.A.R. adito sia qualificabile come interesse legittimo o come diritto soggettivo.
La risposta necessita un esame della normativa di riferimento disciplinante la concessione delle borse di studio agli studenti economicamente meno abbienti.
Con il D.Lgs. 23 marzo 2012 n.68 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 maggio 2012 n.126) il legislatore delegato ha introdotto una disciplina organica del diritto allo studio, ispirandosi ed assicurando attuazione ai principi di cui agli artt.3 e 34 Cost. mediante la previsione di strumenti e servizi che, in quanto espressamente preordinati a favorire la più ampia partecipazione agli studi universitari su tutto il territorio nazionale, devono essere erogati in modo uniforme nel rispetto dei livelli essenziali prestabiliti ai sensi dell’art.117 co.2 lett.m) Cost.
Al riguardo, va precisato che la riforma del Titolo V della Costituzione, introdotta con l’entrata in vigore della Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, ha devoluto alla competenza legislativa residuale ed esclusiva delle Regioni la materia del diritto allo studio universitario, non rientrando, infatti, quest’ultima né tra quelle di potestà legislativa esclusiva dello Stato (art.117 co.2 Cost.), né tra quelle di potestà legislativa regionale di tipo concorrente (art.117 co.3 Cost.), residuando, tuttavia, un significativo margine di intervento del legislatore statale per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art.117 co.2 lett.m) Cost., tra cui, appunto, l’erogazione delle borse di studio in favore degli studenti meno abbienti, secondo quanto desumibile dall’art.5 co.1 lett. d) della Legge delega 30 dicembre 2010 n.340 nella parte in cui conferisce al Governo il potere di modificare, per renderla aderente proprio ai principi di cui al titolo V della parte II della Costituzione, la normativa di principio in materia di diritto allo studio, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’accesso all’istruzione superiore, e contestualmente definendo i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) erogate dalle università statali.
L’art.3 D.Lgs. 23 marzo 2012 n.68, quindi, prevede un sistema di servizi contraddistinto da competenze legislative differenti, ed ossia: a) dello Stato (in via esclusiva) per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali; b) delle Regioni a statuto ordinario (in via esclusiva e residuale) per l’attuazione in concreto del diritto allo studio; c) delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano nell’ambito delle competenze previste nei rispettivi statuti, tenendo conto dei LEP; d) delle università e delle istituzioni AFAMC (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica), nei limiti delle proprie risorse.
In Sicilia, va precisato che quella dell’istruzione universitaria è materia rimessa alla potestà legislativa concorrente della Regione, secondo quanto stabilito dall’art.17 co.1 lett.d) dello Statuo Speciale approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455 (pubblicato nella G.U. del Regno d’Italia n. 133-3 del 10 giugno 1946), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (pubblicata nella GURI n. 58 del 9 marzo 1948), modificato dalle leggi costituzionali 23 febbraio 1972, n. 1 (pubblicata nella GURI n. 63 del 7 marzo 1972), 12 aprile 1989, n. 3 (pubblicata nella GURI n. 87 del 14 aprile 1989) e 31 gennaio 2001, n. 2 (pubblicata nella GURI n. 26 dell’1 febbraio 2001). Di conseguenza, gli interventi del legislatore regionale sarebbero in questo settore ammissibili soltanto entro «i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato» (art.17 co.1 Statuto Speciale Siciliano). Sennonché, con la riforma del titolo V parte II della Costituzione, alle Regioni a Statuto Ordinario è stata riconosciuta in materia di istruzione universitaria una potestà legislativa esclusiva di tipo residuale ai sensi dell’art.117 co.4 Cost. e, dunque, un’autonomia più ampia di quella prevista dallo Statuto Speciale Siciliano, configurandosi, così, proprio quel difetto di coordinamento tra riforma costituzionale e Statuto Speciale che l’art.10 della Legge costituzionale n.3/2001 ha provvisoriamente risolto con l’introduzione di una c.d. “clausola di maggior favore” secondo cui «sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». Pertanto, in ragione della richiamata disciplina costituzionale, anche alla Sicilia deve riconoscersi una potestà legislativa esclusiva in tema di istruzione universitaria.
Al riguardo, il Collegio osserva che la Regione siciliana è intervenuta per assicurare il diritto allo studio con la legge regionale 25 novembre 2002, n. 20 (pubblicata in G.U.R.S. 29 novembre 2002, n. 54), rinviando (all’art.3 co.3, come integrato e modificato dall’art.22 co.2 della legge regionale n.11/2004) per l’attuazione degli interventi previsti (dal comma 2 del medesimo art.3 citato), ivi inclusa l’erogazione di borse di studio (art.3 co.2 lett.a), alla legge statale 2 dicembre 1991 n.390, in seguito, abrogata e sostituita dal D.Lgs. 23 marzo 2012 n.68. L’esame complessivo delle disposizioni della richiamata legge regionale induce il Collegio a ritenere che quello ivi contemplato (all’art.3 co.3) in favore della legge statale 2 dicembre 1991 n.390 sia un rinvio materiale e non formale, ossia mobile e non fisso, desumendosi, infatti, la volontà del legislatore regionale di rinviare alla legislazione statale per la disciplina degli aspetti attuativi concernenti il diritto allo studio e, quindi, anche per l’erogazione della borsa di studio, dall’art.3 co.1 lett.b) della citata legge, nella parte in cui prevede che “La gratuità dei servizi e degli interventi indicati alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 2 o particolari agevolazioni nella loro fruizione sono disposti esclusivamente a favore di studenti capaci e meritevoli privi di mezzi, secondo i criteri stabiliti dalla normativa nazionale”. Di conseguenza, il suddetto rinvio rende applicabili in Sicilia anche le sopravvenute modifiche apportate in seguito dal legislatore statale alla normativa nazionale espressamente richiamata dalla citata legge regionale. Pertanto, il D.Lgs. 23 marzo 2012 n.68, avendo abrogato la legge 2 dicembre 1991 n.390 sostituendone integralmente la disciplina, deve ritenersi applicabile anche in Sicilia, secondo quanto previsto dalla legge regionale siciliana 25 novembre 2002 n.20.
A differente conclusione non potrebbe, comunque, prevenirsi anche laddove non si condividesse la natura materiale e non formale del suddetto rinvio contemplato dalla richiamata dalla legge regionale siciliana alla legge 2 dicembre 1991 n.390, considerato, infatti, che la disciplina introdotta con il D.Lgs. 23 marzo 2012 n.68 costituisce esplicazione di una potestà legislativa esclusiva statale preordinata ad assicurare livelli essenziali uniformi sull’intero territorio nazionale alle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, come tale applicabile anche in Sicilia, ai sensi dell’art.117 co.2 lett.m) Cost. Al riguardo, basti pensare che secondo la giurisprudenza costituzionale «questo titolo di legittimazione dell’intervento statale è invocabile “in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione” […], nonché “quando la normativa al riguardo fissi, appunto, livelli di prestazioni da assicurare ai fruitori dei vari servizi” […], attribuendo “al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto” […]. Si tratta, pertanto, “non tanto di una «materia» in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle”» (sentenza n. 207 del 2012 e n.111/2014).
Trattandosi, dunque, di materia disciplinata dal legislatore nazionale ai sensi dell’art.117 co.2 lett.m) Cost., appare evidente che il diritto allo studio in generale, al pari di quello (costituente sua proiezione applicativa) al percepimento della borsa di studio, assurge al rango di vero e proprio diritto soggettivo, rientrando nel novero dei diritti civili e sociali che lo Stato intende assicurare e garantire con l’erogazione di apposite prestazioni all’uopo preordinate e contraddistinte dal necessario rispetto di predefiniti livelli qualititativi e quantitativi reputati essenziali.
Sul punto va osservato che il contenuto minimo essenziale di un diritto coincide con quelle libertà e facoltà di esercizio dello stesso non suscettibili da parte del legislatore di compressione o elusione sulla base di alcun principio fondamentale, come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.1146 del 1988 nella parte in cui ha affermato che «la Costituzione italiana contiene alcun principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». Il contenuto minimo essenziale dei diritti coincide, in sostanza, con quella parte inviolabile dei diritti dell’uomo che l’art.2 Cost. riconosce e garantisce a tutti gli individui, sia come singoli sia nelle formazioni sociali ove si svolge la loro personalità, richiedendo l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L’individuazione e la funzione del contenuto minimo essenziale di un diritto varia a seconda della natura “civile” o “sociale” del diritto stesso. Ed invero, come osservato da un parte della dottrina, se nei diritti civili garantisce l’ambito di operatività del diritto medesimo, poiché costituente limite invalicabile per il legislatore animato dall’intento di intervenire in senso restrittivo, nei diritti sociali coincide con le facoltà e modalità di esercizio dal legislatore espressamente riconosciute, presupponendo sempre un apposito intervento legislativo all’uopo necessario per l’erogazione delle prestazioni idonee ad assicurare il soddisfacimento del diritto sociale. Una volta, dunque, prevista una prestazione preordinata al superamento degli ostacoli di ordine economico e sociale limitativi di fatto della libertà ed eguaglianza dei cittadini ai sensi dell’art.3 co.2 Cost., il titolare del diritto sociale vanta nei confronti delle Autorità Amministrative all’uopo preposte un diritto soggettivo all’erogazione del servizio previsto in suo favore, come ad esempio nel caso della borsa di studio e, più in generale, del diritto allo studio.
Essendo, dunque, un diritto sociale garantito dall’art.34 Cost., quello allo studio va considerato un diritto soggettivo che legittima il titolare a pretenderne l’erogazione delle prestazioni essenziali previste in suo favore dal legislatore, come, appunto, il percepimento della borsa di studio, sussistendone i presupposti di legge.
Qualora, tuttavia, non si ritenga possibile desumere indicazioni all’uopo specifiche direttamente dal testo della Costituzione per la qualificazione come diritto soggettivo del diritto allo studio in ragione della [#OMISSIS#] necessariamente a-tecnica caratterizzante il linguaggio adoperato dal legislatore costituzionale nella enunciazione di norme di principio, come ad esempio ma non soltanto quella di cui all’art.34 Cost. e più in generale quelle fondamentali del nostro ordinamento, secondo quanto affermato ad esempio dal Consiglio di Stato nell’Adunanza Plenaria n.16/1999, depone a sostegno della predetta conclusione la disciplina in concreto introdotta dal legislatore ordinario nazionale applicabile, come già detto, anche in Sicilia.
Ed invero, l’art.7 del D.Lgs. 23 marzo 2012 n.68 assicura la concessione delle borse di studio a tutti gli studenti aventi i requisiti di eleggibilità di cui all’articolo 8, nei limiti delle risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero a legislazione vigente (co.1), demandando al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari, la determinazione, con decreto, dell’importo della borsa di studio e l’individuazione dei criteri di eleggibilità per beneficiarne (co.7) che il successivo art.8 individua, genericamente, nel “merito” e nelle “condizioni economiche” degli studenti, precisando (al co.5) che fino all’adozione del predetto decreto di cui all’articolo 7, comma 7, resteranno in vigore le disposizioni già vigenti per l’uniformità di trattamento sul diritto allo studio universitario relative ai requisiti di merito e di condizione economica emanate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, nell’esercizio ad interim delle funzioni di Ministro dell’Università e della Riserva Scientifica e Tecnologica, con il decreto del 9 aprile 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 172 del 26 luglio 2001.
Il D.P.C.M. del 9 aprile 2001, prevede i criteri di determinazione del merito e delle condizioni economiche degli studenti, le modalità di erogazione delle borse di studio, senza significativi margini di discrezionalità residui per le Università.
Il riconoscimento della borsa di studio, secondo quanto previsto dall’art.7 co.1 D.Lgs. 23 marzo 2012 n.68, è assicurata a tutti gli studenti aventi i requisiti di eleggibilità di cui all’articolo 8 (concernenti il merito e le condizioni economiche) nei limiti delle risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero a legislazione vigente. Il che, dunque, induce il Collegio a ritenere che quello al conseguimento della borsa di studio sia qualificabile come un vero e proprio diritto soggettivo dello studente in possesso dei requisiti di merito ed economici previsti dal D.P.C.M. 9 aprile 2001.
Al riguardo va precisato che il Collegio non ignora l’orientamento giurisprudenziale volto a rivalutare la differenza tra i finanziamenti concessi indistintamente a tutti i beneficiari di una certa disposizione normativa, erogati, quindi, soltanto su domanda dell’interessato, e quelli, invece, presupponenti la partecipazione ad una procedura di tipo concorsuale e il collocamento in graduatoria in posizione utile. Più precisamente, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato nell’Adunanza Plenaria del 5.7.1999 n.18 «la posizione di interesse legittimo si collega all’esercizio di una potestà amministrativa rivolta, secondo il suo modello legale, alla cura diretta ed immediata di un interesse della collettività; il diritto soggettivo nei confronti della pubblica amministrazione trova, invece, fondamento in norme che, nella prospettiva della regolazione di interessi sostanziali contrapposti, aventi di regola natura patrimoniale, pongono a carico dall’amministrazione obblighi a garanzia diretta ed immediata di un interesse individuale. Donde il principio che, la distinzione fra interessi legittimi e diritti soggettivi va fatta con riferimento alla finalità perseguita dalla norma alla quale l’atto si collega (Cons. Stato, Ad.plen., 26 ottobre 1979, n.25; e, di recente, Cons. Stato, Sez.V, 20 marzo 1999, n.284; Cons. giust. reg. sic. 18 novembre 1998, n.670; Cons. Stato, Sez.VI, 18 marzo 1998, n.312; Sez.IV, 10 marzo 1998, n.394), giacchè quando risulti, attraverso i consueti processi interpretativi, che l’ordinamento abbia inteso tutelare l’interesse pubblico, alle contrapposte posizioni sostanziali dei privati non può che essere riconosciuta una protezione indiretta, che, da un lato, passa necessariamente attraverso la potestà provvedimentale dell’amministrazione e, dall’altro, si traduce nella possibilità di promuovere, davanti al giudice amministrativo, il controllo sulla legittimità dell’atto». Donde, l’orientamento sostenuto da una parte della giurisprudenza secondo cui “nella fattispecie dei procedimenti selettivi, finalizzati all’erogazione di somme di denaro pubblico nell’ambito di un determinato stanziamento, gli aspiranti vantano una posizione giuridica di interesse legittimo, in quanto in tali procedimenti prevale l’interesse pubblico, di impiegare in modo più giusto ed efficace l’erogazione del pubblico denaro, come nella specie in favore degli studenti più meritevoli e bisognosi; mentre nella seconda tipologia delle fattispecie, relative all’erogazione di sovvenzioni a tutti gli istanti, in possesso di specifici requisiti, tali persone sono titolari di una posizione giuridica di diritto soggetti