N. 02193/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01620/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1620 del 2015, proposto da:
[#OMISSIS#] Vecchio, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] C.F. DLESNT79H09F158V, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Catania, Segreteria, in Catania, Via Milano 42a;
contro
Azienda Ospedaliero-Universitaria “Policlinico-[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]”, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] C.F. CRRCCT75L60A056G, con domicilio eletto presso il suo Studio in Catania, Via [#OMISSIS#] Pantano 87;
Universita’ degli Studi di Catania, non costituita in giudizio;
Ministero della Salute, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, Via Vecchia Ognina, 149;
per l’annullamento
della deliberazione n. 355 del 31 luglio 2013, adottata dal Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con la quale è stata disposta la cessazione del Prof. [#OMISSIS#] Vecchio dalle funzioni assistenziali;
della nota prot. 17702 del 29 aprile 2014 con la quale il Ministero della salute, Direzione Generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del servizio sanitario nazionale, ha espresso parere sulla specifica vicenda, affermando che “che la fattispecie rappresentata non consente di includere il docente in questione tra quelli per i quali è prevista l’obbligatorietà dell’esercizio delle funzioni assistenziali sulla base delle disposizioni vigenti in materia”;
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Policlinico-[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” e del Ministero della Salute;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016 il dott. [#OMISSIS#] Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Prof. [#OMISSIS#] Vecchio è docente medico presso l’Università di Catania ed intratteneva, fino all’adozione dei provvedimenti impugnati, anche un rapporto con l’Azienda Ospedaliera Universitaria [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per l’espletamento di attività assistenziale nel settore della neurologia.
Nell’anno 2010 il professor Vecchio ha mutato per effetto di mobilità interna il proprio settore scientifico disciplinare, passando dall’insegnamento universitario della “neurologia” (Med 26) a quello della “Storia della medicina e bioetica” (Med/02); in conseguenza di tale circostanza – che non costituisce oggetto di contestazione nell’odierna vicenda – l’Azienda Ospedaliera ha ritenuto (con determina n. 335 del data 31 luglio 2013) che fosse venuto meno il presupposto per lo svolgimento dell’attività assistenziale, ed ha pertanto escluso il Prof. Vecchio dall’esercizio di quest’ultima funzione, sospendendo la corresponsione del trattamento economico e provvedendo al recupero delle somme già corrisposte a tale titolo in precedenza. L’efficacia di tale provvedimento è stata temporaneamente sospesa in data 23 ottobre 2013, ma – dopo l’acquisizione del punto di vista dell’Ateneo, e di pareri ministeriali – la delibera n. 335 è stata confermata dalla stessa Azienda nel mese di dicembre 2013.
Il Prof. Vecchio ha allora adito nel mese di Maggio 2014 il Tribunale del lavoro di Catania, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., per ottenere la riassegnazione delle funzioni assistenziali presso l’Azienda Ospedaliera, ma il giudice (prima in composizione monocratica, poi in forma collegiale, a seguito di reclamo) ha respinto nel merito l’istanza cautelare.
Con ricorso notificato in data 14 luglio 2015, il Prof. Vecchio ha impugnato presso questo Tar la deliberazione dell’Azienda Ospedaliera n. 335/2013, ed il parere espresso dal Ministero della salute, che aveva ritenuto il docente non inquadrabile tra coloro per i quali è prevista l’obbligatorietà dell’esercizio delle funzioni assistenziali.
Queste le censure sollevate in ricorso:
I.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 18, della l. 230/05 – violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del D. Lgs. 517/99, dell’art. 22, co. 2, del L. 183/2010 e dell’art. 15 nonies del D. Lgs. 502/92 – violazione e falsa applicazione del D.M. 29 luglio 2011 n. 336 e dell’allegato B al DM 4 ottobre 2010 – difetto di motivazione e di istruttoria;
II.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 18, della l. 230/05 – violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del D. Lgs. 517/99, dell’art. 22, co. 2, del L. 183/2010 e dell’art. 15 nonies del D. Lgs. 502/92 – violazione e falsa applicazione del D.M. 29 luglio 2011 n. 336 e dell’allegato B al DM 4 ottobre 2010 – Violazione e falsa applicazione del protocollo d’intesa 12 agosto 2009 nel testo coordinato con D.A. 4 marzo 2010 – difetto di motivazione e di istruttoria – incompetenza.
Si sono costituiti in giudizio al fin di resistere:
1) l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di Catania, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per: a) difetto di giurisdizione del giudice amministrativo; b) decadenza dell’azione, in ragione dell’ampio lasso di tempo intercorso tra la conoscenza dei provvedimenti impugnati e la presentazione del ricorso; c) omessa impugnazione della nota prot. 135322 del 30 ottobre 2014 dell’Università degli Studi di Catania, con la quale l’Ateneo ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per mantenere la posizione assistenziale del prof. Vecchio, quale docente inquadrato nel settore Med/02. Nel merito, ha dedotto l’infondatezza del ricorso;
2) il Ministero della salute, che ha chiesto il rigetto del ricorso riportandosi al proprio parere espresso sulla vicenda.
Non si è invece costituita, sebbene intimata, l’Università degli studi di Catania.
Con ordinanza n. 1002/2015 questa Sezione – in diversa composizione – ha concesso l’invocata misura cautelare sospensiva, ritenendo ad un primo esame fondato il ricorso.
La statuizione cautelare è stata tuttavia ribaltata in sede di appello dal CGA con ordinanza n. 147/2016.
Di seguito le parti hanno prodotto memorie difensive e repliche, ed all’udienza del 26 maggio 2016 la causa è stata posta in decisione.
L’oggetto della presente controversia si snoda tutto sul quesito se l’insegnamento universitario di una particolare tipologia di materia da parte del docente – nella fattispecie, “Storia della medicina e bioetica” (Med/02) – implichi necessariamente anche l’esercizio di attività assistenziale presso le aziende e le strutture di cui all’articolo 2 del D. Lgs. 517/99 (recante Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università), ovvero se tale attività ulteriore sia da riconoscere solo a favore dei docenti delle materie cd. “cliniche”.
Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate col ricorso, tuttavia, vanno esaminate le questioni di natura preliminare sollevate dall’Azienda resistente con riguardo alla giurisdizione del giudice amministrativo, alla tempestività del ricorso ed alla mancata impugnazione di atti amministrativi rilevanti e lesivi.
1.- Sotto il primo profilo, considerato che viene in rilievo la pretesa di un docente universitario all’espletamento di una attività accessoria al suo status, ossia l’espletamento di funzioni che accedono ad un rapporto di lavoro pubblicistico tuttora affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi degli artt. 3 e 63 del D. Lgs. 165/2001, e considerato che la giurisdizione è stata ritenuta implicitamente sussistente già nella fase cautelare dei giudizi sia di primo che di secondo grado, il Collegio ritiene di dover respingere l’eccezione di difetto di giurisdizione.
2.- Sotto il secondo aspetto, concernente l’irricevibilità del ricorso per mancato rispetto del termine di sessanta giorni dalla conoscenza degli atti lesivi, l’eccezione risulta fondata.
Va premesso che il Consiglio di Stato ha chiarito più volte – con condivisibili argomentazioni – che la pretesa all’esercizio di attività assistenziale da parte dei docenti universitari ha consistenza di interesse legittimo:
“La pretesa allo svolgimento dell’attività assistenziale in posizione strutturata, con le connesse corrispondenze funzionali di cui al comma 4 dell’art. 102, d.P.R. n. 382 del 1980 e correlata indennità, è tutelabile in capo al docente universitario medico, ma non può dirsi che essa si fondi su una posizione di incondizionato diritto, non potendo l’ente ospedaliero adempiere obbligatoriamente se vi sia l’impedimento obiettivo della non disponibilità della struttura o del correlato posto di organico. La posizione suddetta si individua, di conseguenza, come tutelabile a titolo di interesse legittimo, poiché corrispondente all’esercizio di un potere che, pur se attribuito anche al fine di assicurare al meglio l’interesse pubblico specifico all’integrazione della funzione assistenziale nell’esercizio della docenza medica, si esprime attraverso un atto organizzativo e non di gestione del personale, anche se con effetto riflesso sulla posizione soggettiva degli interessati. Tale atto di organizzazione, invero, è indefettibile, poiché per la concreta istituzione delle strutture e del correlato posto in organico è necessario ponderare più fattori, quali la disponibilità delle necessarie risorse umane e materiali, la coerenza con gli obiettivi di programmazione generale e settoriale del servizio sanitario nel territorio, la compatibilità con le risorse finanziarie date, la dimensione ottimale di efficienza. In questo quadro, l’Amministrazione dovrà, naturalmente, motivare e dimostrare l’effettiva insussistenza di modalità idonee a soddisfare in concreto la pretesa avanzata dal docente universitario.” (C.d.S., VI, 2779/2011 e 6141/2014);
“La posizione giuridica soggettiva del docente universitario che, in forza di un rapporto di convenzionamento instaurato con Organismi ospedalieri del Servizio sanitario, pretenda di svolgere nell’ambito dei reparti o delle strutture dell’Azienda ospedaliera collegata all’Università la c.d. attività assistenziale, costituente il necessario complemento di quella prettamente didattica, secondo determinate modalità, si connota come posizione di interesse legittimo; ciò in quanto si tratta di una posizione che si risolve in una pretesa comunque connessa all’esercizio, da parte dell’Amministrazione, di poteri organizzatori, conferiti alla stessa in funzione del conseguimento di un interesse pubblico di preminente rilevanza, a fronte del quale quello del privato non può che connotarsi recessivo; si tratta, cioè, di una posizione soggettiva estrinsecantesi in una pretesa che trova un fisiologico limite nella potestà intesa come funzione pubblicistica e, dunque, come potere-dovere dell’Amministrazione di organizzare il Servizio sanitario in modo da renderlo massimamente efficiente ed efficace, al fine prioritario di farlo rispondere alle reali e concrete esigenze degli utenti e di salvaguardare il preminente diritto alla salute di questi ultimi; e, poiché le scelte relative all’organizzazione amministrativa costituiscono di regola la più qualificata espressione dell’ampia discrezionalità tecnica riservata alle Amministrazioni istituzionalmente e specificamente competenti ad assumerle, in vista della efficace custodia degli interessi di settore ad esse affidati, e si caratterizzano, conseguentemente, per la loro tendenziale insindacabilità anche in sede di giurisdizione generale di legittimità, la pretesa del Professore universitario, unicamente volta alla tutela delle sue personali aspettative di carriera e delle prerogative di status che, a suo parere, rivestono il suo ruolo, non può certamente assumere la connotazione di un vero proprio diritto soggettivo perfetto.” (C.d.S., III, 4987/2015).
Pertanto, in presenza di una posizione soggettiva di interesse legittimo quale è quella riconoscibile in capo all’odierno ricorrente, pur nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la parte che assume essere stata lesa è onerata di chiedere tutela giurisdizionale attraverso un ricorso che deve essere proposto necessariamente entro il termine di decadenza di 60 giorni dalla conoscenza degli atti.
Nel caso di specie, il termine legale di sessanta giorni non risulta essere stato evidentemente rispettato posto che – come documentato in atti – il ricorrente ha avuto conoscenza nel mese di agosto 2013 della delibera dell’Azienda n. 355/2013, e nel mese di marzo 2014 ha ricevuto notifica del provvedimento con il quale l’Azienda ha ritirato l’atto di sospensione temporanea dell’efficacia della delibera n. 355/2013 precedentemente adottato. Tali atti – conosciuti e giudicati lesivi – hanno indotto il ricorrente ad adìre ex art. 700 c.p.c. nel mese di maggio 2014 il Tribunale del lavoro. Si deve quindi concludere che l’odierno ricorso, presentato solo nel mese di luglio 2015, ad oltre un anno di distanza dalla conoscenza degli atti, sia irricevibile.
Le appena eccepite argomentazioni che sostengono la tardività dell’impugnazione sono state contestate dal ricorrente con memoria, nella quale – in sintesi – si sostiene che: (i) in materia di rapporti di lavoro non privatizzati, soggetti alla giurisdizione esclusiva del g.a., il termine di proposizione dei ricorsi è quinquennale, venendo in rilievo diritti soggettivi; (ii) la nota dell’Azienda comunicata nel mese di marzo 2014 era indirizzata non al ricorrente, ma al difensore; con la conseguenza che da tale comunicazione non è iniziato comunque a decorrere il termine di impugnativa, che presuppone la conoscenza dell’atto in capo alla parte; (iii) i principi in tema di translatio iudicii introdotti, prima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 77/2007, e poi, dal legislatore con la L. 69/2009, fanno sì che la domanda rivolta al giudice ritenuto (solo successivamente) munito di giurisdizione possa essere ritenuta correttamente incardinata, essendo essa intervenuta entro il termine di novanta giorni dal passaggio in giudicato della decisione cautelare collegiale emessa dal Tribunale del lavoro.
Le obiezioni del ricorrente – secondo il Collegio – non colgono nel segno: a) la prima, in ragione della già illustrata natura di interesse legittimo attribuibile alla sua posizione soggettiva, cui consegue l’onere di proporre impugnativa entro sessanta giorni: come è noto, l’ che induce il legislatore a devolvere alla giurisdizione esclusiva del g.a. alcune materie, non impedisce di distinguere all’interno di tali materie le suddette posizioni e di sottoporle a regimi impugnatori differenti; b) la seconda, è infondata in punto di fatto, in quanto la nota dell’Azienda del 14 marzo 2014 è sì indirizzata al “Dott. [#OMISSIS#] Vecchio c/o Studio Legale [#OMISSIS#]”, tuttavia va osservato come in quel frangente temporale non vi fosse ancora un giudizio innanzi all’a.g. pendente sulla questione (il ricorso al giudice del lavoro ex art. 700 sorgerà solo alla fine di Maggio 2014), sicchè – come correttamente deduce la difesa dall’Azienda ospedaliera – quella nota è stata inviata allo Studio legale come sede nella quale il dott. Vecchio aveva semplicemente eletto domicilio ai fini della definizione in via non giudiziaria della questione; ne consegue che il ricevimento della nota il 19 marzo 2014 ha determinato la legale conoscenza utile a far decorrere il termine di impugnazione; c) con riguardo ai richiamati principi in tema di translatio iudicii non si ravvisano i presupposti per la loro applicazione; invero, in primo luogo, il ricorrente ha proposto l’azione cautelare innanzi al giudice del lavoro in data 25 maggio 2014, e dunque al di là del termine di sessanta giorni dalla conoscenza della nota ricevuta il 19 Marzo, incorrendo quindi già ab origine in una decadenza rispetto ai termini del giudizio amministrativo che la invocata translatio non può sanare; in secondo luogo, poi, va rilevato come il ricorrente non abbia ottenuto un responso giudiziario che declinava la giurisdizione da parte del giudice del lavoro a suo tempo adìto, e che gli avrebbe riaperto la possibilità di rivolgersi con salvezza degli effetti della domanda al giudice munito di giurisdizione.
Per quanto esposto, dunque, il ricorso è inammissibile perché tardivo.
3.- Infine, risulta fondata anche la terza eccezione sollevata dalla difesa dell’Azienda resistente, con la quale si eccepisce la mancata impugnazione della nota prot. 135322 del 30 ottobre 2014 -e dell’allegato verbale del Coordinamento della Scuola Facoltà di Medicina del 20/10/14- con la quale l’Università degli Studi di Catania ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per mantenere la posizione assistenziale del prof. Vecchio, quale docente inquadrato nel settore Med/02.
Infatti, la citata nota è intervenuta dopo l’adozione della delibera n. 355/2013, e non costituisce dunque un parere endoprocedimentale interno al percorso che ha determinato la formazione della volontà dell’Azienda consacrata nella delibera n. 355/2013. Al contrario, la predetta nota dell’Università contiene il punto di vista (sfavorevole rispetto alle aspettative del ricorrente) espresso da un soggetto che a termini di legge avrebbe dovuto esprimere il proprio consenso nella fattispecie procedimentale complessa volta ad individuare i docenti universitari di Medicina ai quali le aziende sanitarie possono conferire funzioni assistenziali. Infatti, l’articolo 5 del D. Lgs. 517/99 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università) stabilisce che “I professori e i ricercatori universitari, che svolgono attività assistenziale presso le aziende e le strutture di cui all’articolo 2 sono individuate con apposito atto del direttore generale dell’azienda di riferimento d’intesa con il rettore, in conformità ai criteri stabiliti nel protocollo d’intesa tra la regione e l’università relativi anche al collegamento della programmazione della facoltà di medicina e chirurgia con la programmazione aziendale”. Ebbene, l’omessa impugnazione del parere negativo dell’Università impedirebbe – come si ammette a pag. 30 del ricorso – il perfezionarsi di quella fattispecie autorizzatoria avente ad oggetto le prestazioni assistenziali che il ricorrente vorrebbe ripristinare col ricorso in epigrafe.
In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni esposte supra; le spese processuali possono essere eccezionalmente compensate tra le parti costituite, in ragione del differente esito della fase cautelare rispetto a quella di merito.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile e inammissibile per le ragioni di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] Bruno, Consigliere, Estensore
Gustavo Giovanni [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Primo Referendario
Pubblicato il 30/08/2016