La Corte Costituzionale ha rimarcato la diversità degli statuti professionali delle categorie appartenenti al lavoro pubblico e la specificità di taluni settori del pubblico impiego non contrattualizzato (Corte Costituzionale, 23 luglio 2015, n. 178), specificità che, nel caso dei docenti universitari, da un lato ha indotto il legislatore (con la legge 23 dicembre 2014, n. 190) a confermare il blocco degli scatti stipendiali e di anzianità anche per l’anno 2015, dall’altro (con la sopra citata legge n. 27 dicembre 2017, n. 205) ad attenuare in modo significativo gli effetti di tale misura di contenimento della spesa pubblica mediante la previsione di un assegno una tantum ad personam, il cui importo è parametrato alla classe stipendiale che il docente avrebbe potuto maturare nel quinquennio 2011/2015 e all’entità del blocco stipendiale subìto.
Né la contestata proroga disposta ex lege (relativa all’anno 2015) conferisce alla misura di contenimento delle spese pubbliche introdotta dall’art. 9, comma 21, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, una continuità senza limiti, trattandosi dell’ultimo anno al quale è stato esteso il blocco in questione ed essendo ragionevole un sacrificio economico pluriennale, ancorché frutto di reiterate proroghe, a tutela delle finanze pubbliche, le quali assumono necessariamente a riferimento un orizzonte temporale superiore al singolo esercizio finanziario; ciò nell’ambito di una valorizzazione, ai fini del bilanciamento degli interessi in gioco, del principio di equilibrio di bilancio sancito dall’art. 81 della Costituzione (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 22 dicembre 2017, n. 2138).
TAR Toscana, Firenze, Sez. I, 12 aprile 2018, n. 525
Professori universitari-Blocco stipendi
N. 00525/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00644/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 644 del 2017, proposto da:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Bambi, [#OMISSIS#] Barletta, [#OMISSIS#] Barletti, [#OMISSIS#] Becattini, [#OMISSIS#] Becucci, [#OMISSIS#] Camilla Bergonzi, [#OMISSIS#] Berti, [#OMISSIS#] Bianchi, [#OMISSIS#] Bosi, [#OMISSIS#] Brancasi, [#OMISSIS#] Brugnano, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Buzzigoli, [#OMISSIS#] Calzolari, [#OMISSIS#] Cerbai, [#OMISSIS#] Chisci, [#OMISSIS#] Conti, [#OMISSIS#] Fantechi, [#OMISSIS#] Gentili, Giovanni Giacomelli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Giovannetti, [#OMISSIS#] Governi, [#OMISSIS#] Heimler, [#OMISSIS#] Innocenti, [#OMISSIS#] Liverani, [#OMISSIS#] Magnanini, [#OMISSIS#] Manfrida, [#OMISSIS#] Martelli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Mascolo, Gloria Menchi, Chiara Nediani, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Parenti, [#OMISSIS#] Peru, [#OMISSIS#] Pettini, [#OMISSIS#] Romagnoli, [#OMISSIS#] Rosso, [#OMISSIS#] Ruschi, [#OMISSIS#] Sani, [#OMISSIS#] Scozzafava, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Segreto, [#OMISSIS#] Spugnoli, Massimo [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Taddei, [#OMISSIS#] Togni, Beatrix Katalin Tottossy, Barbara Valtancoli, [#OMISSIS#] Venturi, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Vincenzini, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e Diederik Sybolt Wiersma, rappresentati e difesi dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Chiti e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Chiti in Firenze, via [#OMISSIS#] il Magnifico, 83;
contro
Università degli Studi Firenze, Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato, e domiciliati per legge presso la stessa in Firenze, via degli Arazzieri, 4;
per l’accertamento ed il riconoscimento
A) del diritto dei ricorrenti al riconoscimento degli scatti legati all’anzianità di servizio maturati successivamente al quinquennio 2011 – 2015 e spettanti senza le previsioni di cui all’art. 9, co. 1 e 21. D.l. n. 78/2010, convertito in l.n. 122/2010 e successive proroghe, e quindi senza il “blocco” degli scatti di anzianità ivi previsto per gli anni dal 2011 al 2015, ed il conseguente diritto alla ricostruzione della carriera ed al pagamento delle differenze retributive maturate successivamente al blocco e non versate;
B) del diritto dei ricorrenti al riconoscimento del trattamento retributivo e di carriera spettante senza le previsioni di cui all’art. 9, co. 1 e 21. D.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010 e successive proroghe, e quindi senza il “blocco” degli scatti stipendiali e di anzianità ivi previsto per l’anno 2015, ed il conseguente diritto alla ricostruzione della carriera ed al pagamento delle differenze retributive maturate a decorrere dall’1.1.2015 e non versate;
nonché per la condanna
delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme dovute, oltre accessori di legge, previa declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme in epigrafe.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Firenze, del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2018 il dott. [#OMISSIS#] Bellucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’art. 9 del d.l. n. 78/2010 ha previsto il blocco degli stipendi (comma 1) e delle progressioni economiche (comma 21) del personale non contrattualizzato in relazione agli anni 2011, 2012 e 2013.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 310 del 2013, ha respinto la questione di costituzionalità della suddetta norma relativamente ai docenti universitari.
L’art. 16 della legge n. 98/2011, l’art. 1, comma 1 lettera a, del d.p.r. n. 122/2013 e l’art. 1, comma 256, della legge n. 190/2014 hanno prorogato agli anni 2014 e 2015 il blocco della retribuzione, della progressione economica e degli scatti stipendiali e d’anzianità, per il personale non contrattualizzato.
In relazione ai dipendenti contrattualizzati è stata invece prescritta la proroga, per il solo anno 2014, del blocco di incremento dei trattamenti economici e del blocco degli effetti economici delle progressioni in carriera, nonché la proroga al 2014 e 2015 del blocco della contrattazione collettiva per la parte economica.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 178 del 2015, in relazione al blocco relativo al trattamento economico dei dipendenti contrattualizzati ha respinto la questione di costituzionalità in base ai principi di cui alla precedente sentenza n. 310/2013, mentre ha invece dichiarato incostituzionale il blocco della contrattazione collettiva per gli anni 2014 e 2015.
Ciò premesso i ricorrenti, professori e ricercatori universitari presso l’Ateneo di Firenze, deducono quanto segue in relazione alla disciplina del proprio trattamento economico:
1) Sul diritto agli scatti da anzianità di servizio spettanti senza il blocco previsto per gli anni dal 2011 al 2015; incostituzionalità dell’art. 9, comma 20 (rectius: 21), del d.l. n. 78/2010, dell’art. 16 della legge n. 98/2011, dell’art. 1, comma 1 lett. a, del d.p.r. n. 122/2013, dell’art. 1, comma 256, della legge n. 190/2014, nella parte relativa al blocco degli scatti di anzianità, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 36 della Costituzione.
L’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010, laddove blocca gli scatti d’anzianità, non risponde a criteri di ragionevolezza, eccezionalità, non arbitrarietà, idoneità allo scopo, razionale ripartizione dei sacrifici. Per effetto di tale norma sono omessi dal computo degli scatti d’anzianità gli anni dal 2011 al 2015, cosicchè il blocco nel quinquennio si ripercuote sul periodo successivo, incidendo negativamente anche sulla successiva carriera dei docenti e sul trattamento pensionistico.
I ricorrenti lamentano di essere privati non solo della maggiore retribuzione maturata nel periodo di blocco 2011/2015, ma anche della maggiore retribuzione successiva a tale blocco e che sarebbe stata conseguita se il quinquennio 2011/2015 fosse stato utile agli scatti stipendiali; secondo loro è irragionevole una misura di contenimento della spesa pubblica che priva il servizio prestato in detto quinquennio di qualsiasi effetto giuridico futuro ed è auspicabile un’interpretazione costituzionalmente orientata alla cui stregua gli anni dal 2011 al 2015 tornano utili agli scatti stipendiali successivi al periodo di blocco.
Diversamente, secondo i ricorrenti si pone la questione di costituzionalità delle norme legislative di riferimento. Sotto tale profilo gli esponenti lamentano la disparità di trattamento, ai loro danni, in confronto a certe categorie del pubblico impiego non contrattualizzato (talune delle quali escluse dalla disciplina in questione) ed ai dipendenti contrattualizzati, che invece possono far valere le proprie ragioni in sede di contrattazione collettiva (mentre invece i docenti universitari, in quanto privi di potere negoziale, vedono rimessa la disciplina economica alle scelte unilaterali del legislatore).
2) Sul diritto alla progressione di carriera ed agli scatti stipendiali e di anzianità per il 2015 (per tale anno la pretesa dei ricorrenti è estesa al trattamento retributivo spettante se non fosse stato previsto il blocco); incostituzionalità della proroga del blocco ex art. 9 del d.l. n. 78/2010.
Sono violati i principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza, solidarietà, uguaglianza, in quanto per il 2015 le misure di contenimento della spesa pubblica hanno riguardato solo i docenti universitari, in forza di scelte legislative o dell’intervento della Corte Costituzionale a favore di altre categorie del pubblico impiego non contrattualizzato, mentre per i contrattualizzati l’art. 1, comma 254, della legge n. 190/2014 ha prorogato solo il blocco della contrattazione collettiva, poi dichiarato incostituzionale con sentenza n. 178/2015. I principi desumibili dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015 valgono anche a favore dei ricorrenti, i quali hanno il diritto, previa declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1, comma 256, della legge n. 190/2014, al trattamento retributivo e di carriera spettante per il 2015.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Università degli Studi di Firenze.
All’udienza del 14 febbraio 2018 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. Il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze eccepiscono il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedono perciò l’estromissione dal giudizio.
L’eccezione non può essere accolta.
Le questioni dedotte interessano i predetti Ministeri, in quanto l’accoglimento del ricorso inciderebbe sullo stato economico dei docenti universitari ed avrebbe evidenti effetti sul bilancio dello Stato.
L’Amministrazione eccepisce altresì l’inammissibilità del ricorso in quanto integrante una forma di impugnazione diretta di norme giuridiche.
L’eccezione non ha pregio.
I ricorrenti fondano innanzitutto le proprie rivendicazioni economiche su un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa di riferimento e sollevano, in via subordinata, questioni di costituzionalità relative alla normativa stessa. L’interesse a ricorrere è giustificato dal vantaggio economico che i deducenti riceverebbero nel caso in cui valesse l’interpretazione giuridica propugnata nel ricorso o nel caso in cui fossero dichiarate incostituzionali le norme legislative che hanno introdotto il contestato blocco del trattamento economico.
2. Con il primo motivo i ricorrenti deducono che gli effetti del blocco degli scatti di anzianità imposto ex lege per il quinquennio dal 2011 al 2015 incidono oltre tale termine, ripercuotendosi sulla successiva carriera e sul trattamento pensionistico. Su tale premessa gli esponenti lamentano l’irragionevolezza di una misura di contenimento della spesa pubblica che priva gli anni di servizio prestati nel quinquennio di ogni effetto giuridico futuro e che quindi si traduce in un pregiudizio economico a tempo indeterminato. Secondo gli interessati, una volta cessato il blocco degli scatti di anzianità (ovvero, a decorrere dal 1° gennaio 2016), il periodo di blocco 2011/2015 avrebbe dovuto avere effetti giuridici sulla ricostruzione della carriera così da consentire ai docenti universitari il conseguimento degli scatti stipendiali e la maggiore retribuzione che avrebbero potuto percepire in assenza del blocco e successivamente ad esso; a loro avviso, diversamente opinando le misure temporanee di contenimento della spesa pubblica diverrebbero strutturali, cosicché si imporrebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata alla cui stregua gli anni dal 2011 al 2015 ritornerebbero utili alla maturazione degli scatti stipendiali successivi al periodo di blocco. I ricorrenti sostengono che l’alternativa a tale lettura sarebbe l’incostituzionalità (per contrasto con gli artt. 2, 3 e 36 della Costituzione) dell’art. 9, comma 20 (rectius: 21), del d.l. n. 78/2010, dell’art. 16 della legge n. 98/2011, dell’art. 1, comma 1 lett. a, del d.p.r. n. 122/2013 e dell’art. 1, comma 256, della legge n. 190/2014, laddove hanno previsto e prorogato i blocchi degli scatti di anzianità.
In particolare, gli esponenti lamentano che il blocco degli scatti di anzianità, con impossibilità di computare gli anni dal 2011 al 2015 ai fini della maturazione degli scatti successivi al blocco, comporta una disparità di trattamento rispetto alle altre categorie di pubblici dipendenti non contrattualizzati (talune delle quali escluse dall’applicazione della disciplina in questione, per scelta legislativa o per intervento della Corte Costituzionale) e contrattualizzati (che possono far valere le proprie ragioni in sede di contrattazione collettiva).
Ciò premesso, il Collegio osserva quanto segue.
3. La domanda dei ricorrenti dedotta nel primo motivo di gravame, volta ad ottenere il trattamento economico che sarebbe maturato dopo il quinquennio di blocco se nella ricostruzione di carriera si tenesse conto degli anni di servizio prestati nel quinquennio stesso, deve essere respinta per le seguenti ragioni.
Il tenore letterale delle norme oggetto di cognizione in questo giudizio è tale da escludere una interpretazione diversa da quella che ha orientato l’amministrazione resistente: l’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 prevede espressamente che “gli anni 2011, 2012, 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti stipendiali previsti dai rispettivi ordinamenti”, non distinguendo dal punto di vista del “blocco” tra trattamento a fine giuridico o economico, a differenza di quanto indicato nel medesimo art. 9 comma 21 ultima parte laddove, nel riferirsi alle “progressioni di carriera” comunque disposte fa salvi gli effetti per i predetti anni “ai fini esclusivamente giuridici”.
Invero, con l’espressa previsione contenuta nella prima parte del comma 21 dell’art. 9, secondo cui “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi”, il legislatore ha inteso proprio evitare che il risparmio della spesa pubblica, derivante dal temporaneo blocco, potesse essere vanificato in una proiezione futura computando tali elementi retributivi nel complessivo trattamento economico successivo. Parimenti, per la progressione automatica di stipendi di cui al secondo periodo del comma 21 dell’art. 9 del d.l. n. 78/2010, la norma esclude qualsiasi riflesso degli anni di servizio svolto dal 2011 al 2015 sulla maturazione degli scatti successivi al blocco. Invero, mentre il terzo periodo del menzionato comma 21 ascrive alle progressioni di carriera disposte nel periodo di blocco la produzione di effetti (esclusivamente) giuridici, cosicché esse determinano benefici economici dopo la cessazione del blocco, per le progressioni automatiche degli stipendi disapplicate nel quinquennio 2011/2015 il secondo periodo del comma 21 non prevede nemmeno effetti giuridici.
La proiezione strutturale del contenimento è stata peraltro già presa in considerazione dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 310/2013, con cui è stato comunque escluso ogni profilo di irragionevolezza, nonostante l’idoneità dell’intervento legislativo a determinare effetti permanenti sotto il profilo economico (cfr. punto 13.3 della motivazione), fermo restando, come specificato dalla Corte stessa, che restava immodificato il complessivo meccanismo della progressione economica “sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco” (Corte Costituzionale, 17.12.2013, n. 310, punto 13.3; TAR Calabria, Catanzaro, I, 22.12.2017, n. 2138).
Non si vede pertanto su quali basi normative gli scatti stipendiali (non riconosciuti al dipendente) relativi al quinquennio 2011/2015 possano essere utili per la maturazione degli scatti successivi al periodo di blocco, né come la maggiore retribuzione corrispondente alla invocata rilevanza, nel periodo successivo al 2015, degli scatti congelati nel quinquennio, possa essere considerata ai fini previdenziali e pensionistici. Il trattamento economico corrispondente agli scatti stipendiali che avrebbero dovuto maturare nel periodo 2011/2015 e che invece sono stati bloccati ex lege, non essendo entrato a far parte della base retributiva e contributiva dei ricorrenti, non può, in assenza di un’espressa statuizione legislativa, entrare nel calcolo della base pensionabile o rilevare ai fini della maturazione degli scatti successivi al blocco.
In definitiva, l’erogazione del trattamento economico voluto dai ricorrenti non può derivare da una interpretazione forzata dell’ordito normativo, ma da una specifica previsione positiva, allo stato insussistente (TAR Calabria, Catanzaro, I, 22.12.2017, n. 2138).
4. Appare manifestamente infondata l’altra parte del motivo di ricorso, incentrata sull’incostituzionalità per violazione degli artt. 2, 3 e 36 della Costituzione.
L’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 statuisce che i meccanismi di adeguamento retributivo bloccati negli anni 2011, 2012 e 2013 (e, per effetto di proroghe ex lege, 2014 e 2015) non danno luogo a successivi recuperi; l’intento del legislatore è stato quello di evitare che il risparmio della spesa pubblica derivante dal blocco temporaneo potesse essere vanificato in futuro computando gli elementi retributivi, che sarebbero spettati nel quinquennio, nel trattamento economico successivo.
Sotto tale profilo rileva una proiezione legislativa strutturale di contenimento delle spese pubbliche, la quale è stata vagliata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 310 del 17.12.2013, “con cui è stato comunque escluso ogni profilo di irragionevolezza, nonostante l’idoneità dell’intervento legislativo a determinare effetti permanenti sotto il profilo economico” (TAR Calabria, Catanzaro, I, 22.12.2017, n. 2138).
D’altronde, occorre considerare che le politiche di bilancio hanno una programmazione pluriennale (si veda la direttiva 8.11.2011, n. 2011/85/UE) e che l’esclusione, da parte del citato art. 9, di successivi recuperi si pone nell’ottica di realizzare un’economia di spesa piena, che non deve essere vanificata, nemmeno in parte, da successivi recuperi.
5. In tal senso si pone la pronuncia della Corte Costituzionale n. 178 del 23.7.2015, la quale ha specificato che (salvo che per il profilo inerente la libertà sindacale, riferibile come tale solo alle categorie di dipendenti pubblici privatizzati) risultava ragionevole il “sacrificio” di carattere economico imposto al pubblico impiego, anche se oggetto delle ulteriori proroghe, essendo diretto alla tutela delle finanze pubbliche, avente necessariamente un orizzonte pluriennale superiore ad un singolo esercizio finanziario, valorizzando in ottica di bilanciamento (e quindi nell’ambito del sindacato sulla ragionevolezza della scelta legislativa) il principio di “equilibrio di bilancio” ex art. 81 della Costituzione, inaugurato dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2015.
Anche sotto tale profilo va escluso che gli scatti stipendiali bloccati possano rilevare ai fini della maturazione delle spettanze successive al blocco.
Alle stesse conclusioni si perviene in base alla sopra citata pronuncia della Corte Costituzionale n. 310/2013, laddove la valutazione positiva di ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure viene ancorata all’evoluzione del quadro giuridico economico nazionale ed europeo, facente capo ai novellati artt. 87, 97, comma 1, e 119, comma 1, della Costituzione ed alla direttiva n. 2011/85/UE, secondo cui una prospettiva annuale non è adeguata a politiche di bilancio solide, tenuto conto che vi è l’esigenza che misure strutturali di risparmio di spesa non prescindano dalle politiche economiche europee.
6. Non depone in senso contrario la pronuncia n. 1 del 13.1.2017, richiamata dalla difesa dei ricorrenti nell’odierna udienza pubblica, con cui la Corte dei Conti ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78/2010.
Invero, in quel caso si trattava di controversia non assimilabile a quella adesso in esame, ovvero si trattava di un Ufficiale militare promosso al grado superiore e cessato dal servizio durante il periodo di blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera (cioè, rispettivamente, nel 2012 e nel 2014), il quale non poteva usufruire della valorizzazione, nella base pensionabile, del trattamento economico conseguito con la predetta promozione (avente soli effetti giuridici), a differenza (e qui stava la disparità di trattamento) dell’Ufficiale cessato dal servizio subito dopo il blocco.
Nella vicenda in esame, invece, rileva un blocco degli scatti stipendiali e di anzianità che, per statuizione del richiamato comma 21 dell’art. 9, non ha effetti giuridici, e comunque non è stato dedotto che almeno uno dei ricorrenti abbia conseguito la promozione e sia cessato dal servizio durante il periodo di blocco.
7. Sempre in relazione al primo motivo di ricorso, appare manifestamente infondato lo specifico aspetto di incostituzionalità incentrato sulla disparità di trattamento rispetto al pubblico impiego contrattualizzato e non contrattualizzato.
Non è stato individuato (né è individuabile d’ufficio) un idoneo termine di comparazione che supporti la censura relativa alla disparità di trattamento.
Nessuna violazione del principio di uguaglianza è ravvisabile rispetto ai dipendenti pubblici contrattualizzati, giacché, secondo il consolidato indirizzo della Corte Costituzionale, le profonde differenze di stato giuridico e di trattamento economico escludono ogni confronto utile allo scrutinio imposto dall’art. 3 della Costituzione (Corte Costituzionale n. 310/2013, n. 178/2015 e n. 154/2014; TAR Calabria, Catanzaro, I, 22.12.2017, n. 2138).
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 178/2015 (nota per avere dichiarato incostituzionale il blocco della contrattazione collettiva nel settore del pubblico impiego privatizzato), dopo avere richiamato i propri precedenti per escludere profili di diseguaglianza rispetto ad altre categorie di pubblici impiegati (sentenza n. 304 del 2013 per i diplomatici, ecc.), ha ribadito che il d. l. n. 78/2010 persegue l’obiettivo di un risparmio di spesa, che “opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono” (sentenza n. 310 del 2013, punto 13.5. del considerato in diritto), e sul piano dell’asserita disparità di trattamento ha ripetuto la necessità di tener conto della diversità degli statuti professionali delle categorie appartenenti al lavoro pubblico, con la conseguenza di non poter comparare fattispecie dissimili, che non possono fungere da utile termine di raffronto. Così come lavoro pubblico e lavoro privato non possono essere in tutto e per tutto assimilati (Corte Cost., n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008), analoga eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale; eterogeneità che preclude ogni plausibile valutazione comparativa sul versante dell’art. 3, primo comma, della Costituzione e risalta ancor più netta in ragione dell’irriducibile specificità di taluni settori (forze armate, personale della magistratura), non governati dalla logica del contratto. Si valorizza in tal modo una funzione solidaristica delle misure adottate, strettamente collegata all’eccezionalità della situazione economica generale, in armonia con il dettato dell’art. 2 della Costituzione (TAR Lombardia, I, 14.12.2015, n. 1711).
Tali considerazioni valgono anche in relazione alla censura di disparità di trattamento avente ad oggetto gli effetti giuridici delle progressioni di carriera (estranee ai docenti universitari) disposte nel periodo 2011/2015, previsti dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 e su cui i ricorrenti si soffermano alla pagina 9 della memoria di replica.
8. Invero, anche relativamente al comparto pubblicistico dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, non è delineabile né sotto il profilo giuridico né sotto quello economico una “platea omogenea” nell’ambito della quale operare la comparazione; con riferimento, in particolare, ai magistrati, l’illegittimità dell’art. 9, comma 22, del D. L. 78/2010, riguardo agli artt. 3, 100, 101, 104, 108 della Costituzione, è stata fondata sulla specificità dell’ordinamento della magistratura, quale ordine autonomo ed indipendente, eccedendo il rapporto tra la magistratura e lo Stato un ordinario rapporto di lavoro tra datore di lavoro/pubblica amministrazione e dipendenti in regime pubblicistico e venendo invece in rilievo uno dei cardini dell’assetto costituzionale di ripartizione dei poteri statuali (cfr. Corte Cost. 223/2012; ma anche le sentenze Corte Cost. 236/2017; 192/2016; 178/2015).
Manifestamente infondato è anche il riferimento all’art. 36 della Costituzione, in quanto, secondo il consolidato orientamento del giudice delle leggi, rilevano ai fini del giudizio di conformità a tale norma non le singole componenti del trattamento economico ma la retribuzione nel suo complesso, mentre le contestate disposizioni legislative non incidono sulla struttura della retribuzione dei docenti universitari nel suo insieme, né emerge una situazione tale da ledere le tutele socio assistenziali degli interessati e dunque l’art. 2 della Costituzione (Corte Cost., 17.12.2013, n. 310; idem, 6.5.2016, n. 96).
9. Inoltre, la disciplina relativa al contestato blocco degli scatti stipendiali e di anzianità è mutata, in senso favorevole ai ricorrenti, in pendenza del gravame, in quanto gli effetti negativi del blocco medesimo sono stati attenuati, con specifico riferimento ai professori e ai ricercatori universitari, dal sopravvenuto art. 1, comma 629, della legge n. 205 del 27.12.2017, che da un lato ha trasformato la progressione stipendiale triennale in progressione biennale, dall’altro ha previsto la corresponsione di un importo una tantum ad personamproporzionato all’entità del blocco stipendiale subito (“Con decorrenza dalla classe stipendiale successiva a quella triennale in corso di maturazione al 31 dicembre 2017 e conseguente effetto economico a decorrere dall’anno 2020, il regime della progressione stipendiale triennale per classi dei professori e ricercatori universitari previsto dagli articoli 6, comma 14, e 8 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e disciplinato dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, è trasformato in regime di progressione biennale per classi, utilizzando gli stessi importi definiti per ciascuna classe dallo stesso decreto. A titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il quinquennio 2011-2015 dall’articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ai professori e ricercatori universitari di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge e che lo erano alla data del 1° gennaio 2011, o che hanno preso servizio tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2015, è attribuito una tantum un importo ad personam in relazione alla classe stipendiale che avrebbero potuto maturare nel predetto quinquennio e in proporzione all’entità del blocco stipendiale che hanno subìto, calcolato, nei limiti delle risorse di cui al presente comma, sulla base di criteri e modalità definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. La corresponsione dell’importo di cui al periodo precedente cessa al 31 dicembre 2019 e non produce effetti ai fini della successiva progressione di carriera; l’importo è corrisposto in due rate da erogare entro il 28 febbraio 2018 ed entro il 28 febbraio 2019. Al fine di sostenere i bilanci delle università per la corresponsione dei predetti importi, il fondo per il finanziamento ordinario delle università di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è incrementato di 50 milioni di euro per l’anno 2018 e di 40 milioni di euro per l’anno 2019”).
I ricorrenti, alla pagina 5 della memoria di replica, lamentano la disparità di trattamento determinata dal citato art. 1 comma 629 ai danni di coloro che sono usciti dal ruolo prima della parziale riforma, ma non specificano chi di loro sarebbe rimasto estromesso dalla neo introdotta parziale compensazione economica del blocco degli scatti stipendiali, talché tale questione non supera il giudizio di rilevanza e non può costituire motivo di rimessione al giudice delle leggi (Cons. Stato, IV, 23.7.2009, n. 4623).
10. Con il secondo motivo i deducenti contestano, in particolare, la proroga al 2015 del blocco degli scatti, la quale sarebbe incompatibile con gli artt. 2, 3 e 36 della Costituzione. Gli interessati sostengono che tale proroga riguarda solo la categoria dei docenti universitari e ritengono che le ragioni di economia di spesa valorizzate dal legislatore devono essere relegate a periodi certi e predefiniti, mentre invece le proroghe di anno in anno connotano le misure di contenimento della spesa pubblica della caratteristica della continuità senza limiti, in violazione dei canoni costituzionali.
La questione dedotta è manifestamente infondata.
La Corte Costituzionale, anche recentemente, ha rimarcato la diversità degli statuti professionali delle categorie appartenenti al lavoro pubblico e la specificità di taluni settori del pubblico impiego non contrattualizzato (Corte Costituzionale, 23.7.2015, n. 178), specificità che, nel caso dei docenti universitari, da un lato ha indotto il legislatore (con la sopra citata legge n. 190/2014) a confermare il blocco degli scatti stipendiali e di anzianità anche per l’anno 2015, dall’altro (con la sopra citata legge n. 205/2017) ad attenuare in modo significativo gli effetti di tale misura di contenimento della spesa pubblica mediante la previsione di un assegno una tantum ad personam, il cui importo è parametrato alla classe stipendiale che il docente avrebbe potuto maturare nel quinquennio 2011/2015 e all’entità del blocco stipendiale subìto.
Né la contestata proroga disposta ex lege (relativa all’anno 2015) conferisce alla misura di contenimento delle spese pubbliche introdotta dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 una continuità senza limiti, trattandosi dell’ultimo anno al quale è stato esteso il blocco in questione ed essendo ragionevole un sacrificio economico pluriennale, ancorché frutto di reiterate proroghe, a tutela delle finanze pubbliche, le quali assumono necessariamente a riferimento un orizzonte temporale superiore al singolo esercizio finanziario; ciò nell’ambito di una valorizzazione, ai fini del bilanciamento degli interessi in gioco, del principio di equilibrio di bilancio sancito dall’art. 81 della Costituzione (TAR Calabria, Catanzaro, I, 22.12.2017, n. 2138).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, stante la parziale novità delle questioni dedotte.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio dei giorni 14 febbraio 2018 e 28 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Bellucci, Presidente FF, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Giovanni [#OMISSIS#], Primo Referendario
Pubblicato il 12/04/2018