Le somme percepite in relazione allo svolgimento di incarichi esterni devono essere versate al netto delle imposte già corrisposte e così anche la richiesta di restituzione dei compensi illegittimamente percepiti non può che avere a oggetto le somme ricevute in eccesso (e cioè, effettivamente entrate nella sfera patrimoniale del dipendente medesimo), non potendosi pretendere la ripetizione di somme al lordo delle ritenute fiscali (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 614/2013).
TAR Umbria, Perugia, Sez. I, 17 febbraio 2020, n. 86
Professore ordinario a tempo pieno–Incompatibilità-Restituzione somme
N. 00086/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00455/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale -OMISSIS-, proposto dal prof. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] Tomassucci, con domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via Bonazzi, 9;
contro
Università degli Studi di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via degli Offici, 14;
nei confronti
Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – Luiss “Guido [#OMISSIS#]”, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
– della nota prot. n. -OMISSIS-con cui l’Università degli Studi di Perugia, in via definitiva, ha richiesto il versamento nelle proprie casse entro 15 gg. dal ricevimento delle stessa dell’importo complessivo di € -OMISSIS- a titolo di versamento ex art. 53, commi 7 e 7-bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165;
– della nota prot. n. -OMISSIS-, inviata in data -OMISSIS-nell’area riservata del docente con cui la Ripartizione del Personale dell’Università di Perugia ha invitato il prof. -OMISSIS-, in difetto di ulteriori chiarimenti in merito agli incarichi svolti dal -OMISSIS-, a versare nelle casse dell’Università, entro gg. 15 dal ricevimento della stessa, la cifra complessiva di € -OMISSIS-a titolo di versamento ex art. 53, commi 7 e 7 bis, d.lgs. n. 165 del 2001;
– della nota prot. n. -OMISSIS-con cui l’Università degli Studi di Perugia ha chiesto al prof. -OMISSIS- di fornire “elementi volti a chiarire la sussistenza o meno dei presupposti di legittimo espletamento” di alcuni incarichi svolti presso l’Università Luiss “Guido [#OMISSIS#]”;
– ove occorra del “Regolamento sugli incarichi esterni a professori e ricercatori universitari a tempo pieno” dell’Università di Perugia nella parte in cui (art. 4, 1° comma “Attività retribuite fuori dal regime di autorizzazione e attività gratuite”) non si è adeguato alla nuova formulazione dell’art. 53, 6° comma, lett. f-bis), d.lgs. n. 165 del 2001 (come modificato dalla l. n. 125 del 2013);
– ove occorra, del “Regolamento per la concessione di nulla osta allo svolgimento di attività di docenza esterna all’ateneo di appartenenza” dell’Università di Perugia;
– di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso, conseguente e/o collegato, tra cui, ove occorra e per quanto di ragione, la nota dell’Università degli Studi di Perugia prot. n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Perugia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno -OMISSIS- la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. La questione portata all’attenzione del Collegio attiene alla legittimità degli atti con i quali l’Università di Perugia, in applicazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, ha richiesto all’odierno ricorrente – docente di prima fascia in servizio di ruolo a tempo pieno presso il Dipartimento di Economia del medesimo Ateneo – il versamento delle somme ricevute a fronte di incarichi svolti presso la LUISS in assenza di previa autorizzazione.
Nel caso di specie, la peculiare disciplina di cui all’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 è stata applicata nei confronti del ricorrente in relazione all’incarico di docenza in “Energy Economics” dallo stesso svolto presso la LUISS “Guido [#OMISSIS#]” di Roma durante l’a.a. 2015/2016 a fronte di un corrispettivo di € -OMISSIS-, come da contratto versato in atti. Dell’esistenza di tale contratto l’Università di appartenenza ha acquisito contezza a seguito della nota assunta a prot. n. -OMISSIS-, con la quale la LUISS, in ossequio a quanto previsto dall’art. 53 citato, ha dato comunicazione del complesso degli incarichi di docenza conferiti a dipendenti dell’Università di Perugia remunerati al -OMISSIS-.
1.2. Il ricorso si articola in complessivi sei motivi di doglianza con i quali parte ricorrente ha dedotto i vizi come di seguito rubricati:
i. violazione e/o errata interpretazione e/o mancata applicazione dell’art. 6, commi 10 e 11, l. n. 240 del 2010; violazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001; eccesso di potere per difetto di istruttoria, errata valutazione dei presupposti, travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta;
ii. violazione e/o errata interpretazione e/o mancata applicazione dell’art. 53, comma 6, lett. f bis) e comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001; violazione dell’art. 6, commi 10 e 11, l. n. 240 del 2010; eccesso di potere per difetto di istruttoria, errata valutazione dei presupposti, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta;
iii. violazione e/o errata interpretazione e/o applicazione dell’art. 53, commi 7 e 7 bis, d.lgs. n. 165 del 2001; violazione dell’art. 2 e dell’art. 10 della l. n. 241 del 1990; violazione e/o errata interpretazione e/o applicazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione; violazione del principio del giusto procedimento; eccesso di potere per difetto di istruttoria, errata valutazione dei presupposti, irragionevolezza ed illogicità manifesta; violazione del principio di affidamento e buona fede oggettiva;
iv. violazione e/o errata applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990; violazione e/o errata applicazione dell’art. 53, commi 7 e 10, d.lgs. 30/1/2015; violazione e/o errata applicazione dell’art. 3, commi 2 e 3, del Regolamento universitario sugli incarichi esterni a professori e ricercatori universitari; violazione e/o errata interpretazione e/o applicazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione; violazione del principio del giusto procedimento e di leale collaborazione; violazione del principio di affidamento e buona fede oggettiva;
v. violazione dei principi costituzionali di imparzialità e ragionevolezza; violazione del principio di proporzionalità; violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990; eccesso di potere per illogicità della motivazione, manifesta ingiustizia ed iniquità dell’azione amministrativa;
vi. in subordine, illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 per contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 36 e 97 della Costituzione.
2. Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Perugia, che con successiva memoria ha esposto le difese dell’Amministrazione, ricostruendo preliminarmente il quadro normativo di riferimento. Quanto al primo motivo di ricorso, la difesa erariale ha affermato l’inconferenza del richiamo all’art. 6, comma 11, l. n. 240 del 2010 in quanto la convenzione invocata dal ricorrente è stata stipulata nel 2009 (prima dell’entrata in vigore della legge [#OMISSIS#], ed a pochi mesi dall’approvazione Regolamento dell’Università degli Studi di Perugia per la concessione di nulla osta allo svolgimento di attività di docenza esterna all’Ateneo di appartenenza) ed avrebbe natura e finalità del tutto distinte da quelle delle convenzioni di cui al citato art. 6, comma 11. Detta convenzione in essere tra l’Università di Perugia e la LUISS di Roma non prevede affatto che, in caso di affidamenti da parte di uno dei due atenei nei confronti di docenti appartenenti all’altro, venga meno la necessità della previa autorizzazione dell’ente di appartenenza ai fini del legittimo espletamento dell’incarico (come invece ex adverso sostenuto), limitandosi la convenzione a stabilire il reciproco impegno delle parti contraenti a rilasciare ai propri docenti il prescritto “nulla-osta”, del quale, pertanto, viene espressamente ribadita l’imprescindibilità. In riferimento al secondo motivo di doglianza, la difesa resistente ha affermato l’inapplicabilità ai docenti universitari dell’art. 53, comma 6, lett. f bis), d.lgs. 165 del 2001 (lettera introdotta nel 2013), che include tra le attività esenti da autorizzazione quelle di docenze e ricerca scientifica; data la specialità della disciplina dettata dalla c.d. legge [#OMISSIS#] riguardo ai professori e ricercatori universitari (giustificata dal fatto che queste categorie sono istituzionalmente impegnate in attività didattico-scientifica) tale normativa prevale rispetto alla norma generale sopravvenuta.
Sul terzo motivo, nel quale si lamenta il difetto di istruttoria, la difesa erariale, svolgendo una ricostruzione del contenuto delle tre domande presentate in raffronto con gli incarichi, evidenzia la non condivisibilità della ricostruzione di parte ricorrente, con la conseguenza che per l’incarico 2015-2016 non può ritenersi che sia mai stata richiesta alcun autorizzazione.
La difesa dell’Università ha, altresì, argomentato in merito all’infondatezza delle pretese avanzate con il quarto motivo di ricorso, nonché sulla manifesta infondatezza dell’eccezione di legittimità costituzionale formulata, in via subordinata, con riferimento all’art. 53, comma 7, d.lgs. 165 del 2001.
3. La difesa di parte ricorrente ha depositato memorie di replica ribadendo le posizioni già espresse nel ricorso.
4. All’udienza pubblica del -OMISSIS-, uditi per le parti i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Come ricordato, il ricorrente, professore di prima fascia in servizio di ruolo a tempo pieno presso il Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi di Perugia, censura l’applicazione, nei suoi confronti, della disciplina di cui al settimo comma dell’art. 53 d.lgs. n. 165 del 2001, in virtù del quale “[i] dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. … In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.
6. Non essendo state poste questioni in [#OMISSIS#], è possibile procedere con l’esame del primo motivo di ricorso, nel quale il ricorrente lamenta che l’Ateneo di appartenenza abbia errato nell’individuazione della normativa applicabile al caso di specie. In particolare, ad avviso di parte ricorrente, in virtù del combinato disposto dell’art. 6, commi 10 e 11, l. n. 240 del 2010, l’incarico contestato non sarebbe stato soggetto ad autorizzazione, in quanto svolto nell’ambito di una convenzione tra i due Atenei. L’Università perugina si sarebbe, quindi, determinata sulla base di un’istruttoria carente e travisando i fatti, non tenendo in debito conto l’esistenza di un’apposita convenzione stipulata con la LUISS. Il motivo è infondato per le considerazioni che seguono.
Giova rammentare che l’art. 6 della l. n. 240 del 2010, c.d. legge [#OMISSIS#], nel disciplinare lo stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo, al comma 10 prevede che “[i] professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, …, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza”. Pertanto, mentre le attività di carattere “occasionale” contemplate al primo periodo possono essere liberamente svolte fatto salvo il rispetto degli obblighi istituzionali, quelle elencate al secondo periodo, tra cui rientrano le funzioni didattiche e di ricerca, sono subordinate all’autorizzazione del rettore. Il successivo comma 11 disciplina ipotesi particolari, prevedendo che “[i] professori e i ricercatori a tempo pieno possono svolgere attività didattica e di ricerca anche presso un altro ateneo, sulla base di una convenzione tra i due atenei finalizzata al conseguimento di obiettivi di comune interesse. La convenzione stabilisce altresì, con l’accordo dell’interessato, le modalità di ripartizione tra i due atenei dell’impegno annuo dell’interessato, dei relativi oneri stipendiali e delle modalità di valutazione di cui al comma 7. … Con decreto del Ministro, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i criteri per l’attivazione delle convenzioni”.
La convenzione tra l’Ateneo perugino e la LUISS – dalla quale parte ricorrente vorrebbe far discendere l’applicabilità del disposto del citato comma 11 alla fattispecie per cui è causa – è stata stipulata dai due Atenei nel 2009 (pertanto antecedentemente all’entrata in vigore della disposizione citata) in attuazione dell’art. 2, comma 2, del “Regolamento dell’Università degli Studi di Perugia per la concessione di nulla osta allo svolgimento di attività di docenza esterna all’Ateneo di appartenenza” (di cui alla D.R. n. 18 del 2009). Tale disposizione prevede, infatti, per l’ipotesi di incarichi di insegnamento promananti da università private o telematiche, che il rilascio del relativo “nullaosta” sia preceduto dalla stipula di apposita convenzione con l’Università interessata (da approvarsi sia da parte del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione).
In disparte la questione temporale, la citata convenzione non appare comunque idonea ai fini dell’applicazione della richiamata disciplina derogatoria, in quanto formulata in termini assolutamente generici e priva, nel suo contenuto, degli elementi richiesti dall’art. 6, comma 11, l n. 240 del 2010; nella stessa convenzione non sono individuati puntualmente gli interessati e pertanto, posto che non può essere stata formulata “con l’accordo dell’interessato” come previsto dal comma 11 del citato art. 6, non era idonea a ripartire l’impegno annuo né gli oneri stipendiali e le modalità di valutazione, così come richiesto dalla disciplina sopra richiamata.
7. Parimenti infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la violazione di legge in quanto l’attività di docenza sarebbe comunque liberalizzata in virtù dell’attuale formulazione dell’art. 53, comma 6, lett. f bis, d.lgs. n. 165 del 2001 (come modificata da ultimo dall’articolo 2, comma 13-quinquies, lettera b), del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 ottobre 2013, n. 125); pertanto, ad avviso di parte ricorrente, sarebbe stata superata la necessità di autorizzazione di cui all’art. 6, comma 10, della l. n. 240 del 2010.
Va ricordato che la disciplina posta dall’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 ha [#OMISSIS#] per tutto il personale dipendente della Pubblica Amministrazione, inclusi pertanto i soggetti con rapporto di lavoro non privatizzato di cui all’art. 3 del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001 e pertanto, per gli stessi professori e ricercatori universitari (ex art. 3, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001). I professori e i ricercatori universitari rappresentano, tuttavia, una categoria particolare di dipendenti pubblici, che svolge l’attività di ricerca e didattica come attività principale.
Prima dell’entrata in vigore della c.d. legge [#OMISSIS#], la normativa generale, facente riferimento a tutti i dipendenti pubblici, riservava ai docenti universitari un regime speciale, operando, altresì, un rinvio a statuti e regolamenti di Ateneo; la l. n. 240 del 2010, intervenuta in tale frastagliato quadro normativo, ha stabilito specifiche previsioni concernenti l’ambito universitario.
Il già richiamato art. 6 della legge n. 240 del 2010, in particolare, ha sì previsto, nell’ambito del comma 9, l’incompatibilità della posizione di professore o ricercatore universitario con l’esercizio del commercio e dell’industria, oltre che l’incompatibilità dell’esercizio dell’attività libero-professionale con il regime di tempo pieno, ma ha, altresì, introdotto previsioni più favorevoli per i docenti a tempo pieno nell’ambito del citato successivo comma 10.
Nel 2013 il Legislatore è intervenuto ad integrare l’elencazione, contenuta all’art. 53, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, delle attività che possono essere liberamente svolte dai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, introducendo la nuova lettera f bis) riferita alle “attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica”.
Il Collegio ritiene che sia meritevole di condivisione la prospettazione dell’Avvocatura distrettuale per la quale, proprio in ragione della specialità della previsione contenuta all’art. 6 della 240 del 2010, questa deve essere ritenuta comunque a prevalere sulla norma di carattere generale – seppur cronologicamente successiva – introdotta alla lett. f bis del comma 6 dell’art. 53 d.lgs. n. 165 del 2001.
L’incarico per cui è causa, conseguentemente, non poteva essere svolto dal ricorrente senza previa autorizzazione dell’Ateneo di appartenenza (cfr. TAR Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 14 marzo 2017, n. 195).
Né assumono alcun rilievo in senso contrario le considerazioni svolte dalla LUISS nella comunicazione all’Ateneo resistente.
Giova evidenziare che in attuazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, l’Università di Perugia si è dotata, con D.R. n. 1768 del 10 settembre 2009, di un “Regolamento sugli incarichi esterni a professori e ricercatori universitari a tempo pieno” dell’Università di Perugia, ove espressamente per incarichi si intendono “tutti gli incarichi di lavoro retribuiti, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio” (art. 1, comma 1). Oltre a disciplinare le modalità per il rilascio dell’autorizzazione, il regolamento, all’art. 4, individua le attività che non necessitano autorizzazione; tuttavia, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, tale disposizione non effettua un rinvio al comma 6 dell’art. 53 d.lgs. n. 165 del 2001, bensì riporta il testo del medesimo comma nella formulazione all’epoca vigente. Non sussiste pertanto nel testo, come invece sostenuto dal ricorrente, alcun rinvio mobile al testo dell’art. 53, passibile di aprire alla disposizione successivamente introdotta nel corpo del sesto comma.
Inoltre, come evidenziato dalla difesa erariale, l’Università di Perugia si era già munita dell’ulteriore e più specifico Regolamento per la concessione di nulla osta allo svolgimento di attività di docenza esterna all’Ateneo di appartenenza (modificato con D.R. n. 6 del 9 gennaio 2009), già citato; tale regolamento all’art. 2, commi 1 e 2, effettua una distinzione tra incarichi presso Università statali o non statali, prevedendo nel secondo caso che sia necessaria anche una previa convenzione (quella citata dal ricorrente), alla quale però deve comunque seguite il nulla osta.
8. Possono trovare trattazione congiunta il terzo ed il quarto motivo di ricorso; entrambi non meritevoli di accoglimento per le ragioni di seguito esposte. Parte ricorrente lamenta il difetto di istruttoria da parte dell’Università che non avrebbe correttamente valutato le tre istanze di autorizzazione – tutte per incarichi di docenza da svolgere presso la LUISS – presentate dallo stesso, mediante l’apposito sistema on line, a partire dal 2013. In particolare, il ricorrente afferma di aver presentato le richieste di autorizzazione per nulla osta del -OMISSIS-, nell’intento di ottenere l’autorizzazione allo svolgimento di alcuni incarichi di docenza ed insegnamento presso la LUISS per gli anni accademici 2013/2014, 2014/2015 e 2015/2016, e che le diverse indicazioni contenute nelle istanze medesime sono state causate da un mero e ripetuto errore materiale. Di tale errore, sempre ad avviso di parte ricorrente, si sarebbe dovuta fare carico l’Amministrazione, chiedendo chiarimenti e rettifiche. Inoltre, sempre secondo la prospettazione attorea, sulle richieste si sarebbe formato il silenzio assenso, con conseguente piena regolarità della posizione del docente.
Emerge dagli atti di causa che l’odierno ricorrente ha presentato all’Ateneo le seguenti domande di autorizzazione:
a) domanda del -OMISSIS-, nella quale vi è una doppia indicazione del periodo di riferimento dell’incarico da autorizzare: nella prima pagina è indicato il periodo -OMISSIS-, per 36 ore, 18 gg, per l’insegnamento di “Economia dell’energia”, mentre nella seconda pagina è indicato il diverso periodo -OMISSIS-, per 40 ore, 20 gg.;
b) domanda del-OMISSIS-(ossia a distanza di sei giorni dalla domanda sub a)) nella quale è indicato il periodo -OMISSIS- (il medesimo della domanda precedente), per 40 ore, 20 gg, “Economia dell’energia” (come nella domanda precedente);
c) domanda del -OMISSIS-, nella quale è indicato il periodo -OMISSIS-, per 60 ore, 20 gg, “Energy economics – corso in lingua inglese”.
A fronte di tali istanze sono state rilasciate solo due autorizzazioni rettorali; in particolare, l’Ateneo ha considerato la domanda sub b) come sostitutiva della domanda sub a), autorizzando – atto prot. -OMISSIS– l’incarico per “Economia dell’energia”, dal -OMISSIS-.
Dall’esame delle domande versate in atti non è possibile dedurre (né poteva, quindi, farlo l’Università) che la domanda sub b) fosse nell’intenzione dell’istante riferita all’annualità del 2014/2015; inoltre, il corso svolto nel 2014 era quello in lingua inglese correttamente indicato nella domanda del -OMISSIS- e collocato nel primo semestre, in coerenza con le date indicate. Allo stesso non emerge dagli atti alcun elemento che consenta di ricostruire l’intenzione del ricorrente, con la richiesta del 2014 di essere autorizzato allo svolgimento del medesimo corso dell’annualità 2015/2016 (il cui contratto relativo al secondo semestre, risulta, inoltre, incompatibile con le date ivi indicate). Non appare, pertanto, censurabile la condotta dell’Ateneo che, anche alla luce del breve lasso di tempo tra le due istanze, ha ritenuto la domanda sub b) coma sostitutiva di quella sub a), recante un evidente refuso, essendo uno dei due periodi indicati riferito alla pregressa annualità 2011. Anche a prescindere dalla plausibilità della ricostruzione dei fatti proposta dal ricorrente, d’altro canto, non sarebbe comunque possibile imputare all’Amministrazione le conseguenze del presunto “errore a cascata” che il ricorrente avrebbe compiuto nella compilazione delle domande di cui sopra; tale disattenzione reiterata appare imputabile al solo ricorrente.
Allo stesso modo non può ritenersi formato alcun silenzio assenso in riferimento alla domanda sub a) – e poi a cascata sulle altre – in quanto tale istituto non opera nella fattispecie in esame, proprio in virtù del disposto dell’art. 53, comma 10, d.lgs. n. 165 del 2001, per cui: “[l]’autorizzazione, di cui ai commi precedenti, deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l’incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente interessato. L’amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l’autorizzazione è subordinata all’intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere è per l’amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall’intesa se l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla ricezione della richiesta di intesa da parte dell’amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l’autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, si intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata”. Analoga previsione è contenuta all’art. 3, comma 3, del “Regolamento sugli incarichi esterni a professori e ricercatori universitari a tempo pieno” dell’Università di Perugia.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, infatti, la LUISS – Libera università internazionale degli studi sociali “Guido [#OMISSIS#]” – università non statale – non può essere qualificata come una amministrazione pubblica ai fini di cui sopra. Il Collegio ritiene, infatti, applicabile al caso in esame quanto già rilevato dalla giurisprudenza, per cui «le Università c.d. libere non rientrano nella nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 33 del 2013 (che, a sua volta, rinvia alla nozione di “amministrazioni pubbliche” di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165). “…Non rilevano in senso contrario neanche gli orientamenti giurisprudenziali che, in alcune occasioni (in particolare ai fini del riparto della giurisdizione sulle controversie concernenti il rapporto di impiego o della sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti per le controversie aventi ad oggetto la responsabilità di amministratori e dipendenti), hanno affermato la loro equiparazione agli enti pubblici, dando rilevanza gli scopi, alla struttura organizzativa e ai poteri amministrativi ritenuti del tutto analoghi a quelli delle Università statali (così testualmente, ad esempio, Cass., Sez. Un., 11 marzo 2004, n. 5054, riferita alla L.U.I.S.S.). Come già rilevato nella citata sentenza Cons. Stato, sez. VI, n. 2660/2014, tali arresti giurisprudenziali non possono essere invocati per sostenere, sic et simpliciter, una completa equiparazione, ad ogni fine, tra Università private ed enti pubblici. La nozione cangiante di ente pubblico, ampiamente esaminata in precedenza, impedisce, infatti, di estendere automaticamente la qualifica pubblicistica riconosciuta a un ente in determinati ambiti, al fine di giustificare automaticamente la sua integrale soggezione alla disciplina di diritto pubblico» (TAR Lazio, Roma, sez. III, 15 giugno 2015 n. 8375; cfr. anche C.d.S., sez. VI, 11 luglio 2016 n. 3041).
Da quanto sopra deriva che, ai sensi dell’art. 53, comma 10, d.lgs. n. 165 del 2001 non operava il silenzio assenso – che, anche volendo diversamente opinare, avrebbe potuto astrattamente formarsi solo su quanto effettivamente chiesto e non su ciò che il ricorrente riteneva, nel suo foro interiore, di aver richiesto – bensì il silenzio diniego, gravando in ogni caso sull’odierno ricorrente l’onere di verificare che l’autorizzazione fosse stata rilasciata, non potendosi giovare di un affidamento basato sul silenzio assenso.
9. E’ meritevole di accoglimento il quinto motivo in diritto, nel quale il ricorrente si duole della circostanza che l’Ateneo abbia chiesto il versamento dell’intero importo liquidato dalla LUISS come corrispettivo dell’incarico non autorizzato, al lordo degli oneri fiscali già versati.
In materia il Collegio non ritiene di discostarsi dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui “[1]e somme percepite in relazione allo svolgimento di incarichi esterni devono … essere versate al netto delle imposte già corrisposte e così anche la richiesta di restituzione dei compensi illegittimamente percepiti non può che avere a oggetto le somme ricevute in eccesso (e cioè, effettivamente entrate nella sfera patrimoniale del dipendente medesimo), non potendosi pretendere la ripetizione di somme al lordo delle ritenute fiscali (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 614/2013)” (C.d.S., sez. I, parere 671/2019 del 5 marzo 2019; TAR Lazio, Roma, sez. I bis, 24 marzo 2016 n. 3753).
Va, dunque, accolto il motivo relativo all’errato calcolo della somma, dovendo il ricorrente versare le somme al netto delle imposte già corrisposte, non potendosi pretendere la ripetizione di somme al lordo delle ritenute fiscali.
10. In via subordinata, la parte ricorrente ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, laddove prevede che per i dipendenti pubblici che abbiano svolto incarichi retribuiti non conferiti o previamente autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza, “…il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”. Ad avviso di parte ricorrente, le norme denunciate contrasterebbero: con i canoni di proporzionalità, ragionevolezza ed adeguatezza di cui all’art. 3 Cost. e con i principi di cui all’art. 36, 1° comma Cost.; con i canoni di buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97, 2° comma, Cost., anche in relazione ai canoni di proporzionalità ed adeguatezza di cui all’art. 3 Cost.; con i canoni di proporzionalità ed adeguatezza di cui all’art. 3 Cost. e con i principi di cui agli artt. 23, 24 e 97, 2° comma, Cost.
Va rilevato che la Corte Costituzionale ha dichiarato con ordinanza n. 41/2015 inammissibile l’analoga questione prospettata con ordinanza del TAR Lecce n. 1532/2013 (in senso analogo cfr. anche ordinanza Corte Costituzionale n. 90/2015).
La questione, ancorché rilevante, non supera il vaglio della non manifesta infondatezza.
L’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 trova, infatti, il suo fondamento direttamente nel dettato costituzionale, in virtù della previsione, contenuta nell’art. 98 Cost., secondo cui i pubblici impiegati sono a servizio esclusivo della Nazione ed ha il chiaro scopo di garantire l’imparzialità, l’efficienza ed il buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost. “Dall’impianto normativo emerge, quindi, una presunzione legale di carattere generale in relazione all’incompatibilità degli incarichi esterni con i doveri d’ufficio (in termini, T.A.R. Lombardia, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 614). La situazione di incompatibilità deve, quindi, essere valutata in astratto, sul presupposto che la norma mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente al fine del [#OMISSIS#] rendimento, indipendentemente anche dalla circostanza che questi abbia sempre regolarmente svolto la propria attività impiegatizia (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, 13 gennaio 1999, n. 29)” (TAR Calabria, Reggio Calabria, 14 marzo 2017, n. 195).
La disposizione della cui costituzionalità il ricorrente dubita, risponde proprio all’esigenza di garantire il buon andamento della p.a., di cui all’art. 97 comma 2, Cost., né, ad avviso del Collegio, la stessa si presenta irragionevole o inadeguata all’intento di evitare lo svolgimento di incarichi non preventivamente autorizzati. Ove viceversa fosse necessaria, ai fini dell’applicazione della stessa, una valutazione ex post della sussistenza di un conflitto di interesse o del mancato assolvimento dei compiti istituzionali propri del dipendente con correlato effettivo pregiudizio arrecato all’Amministrazione di appartenenza, risulterebbe di fatto frustrato il chiaro intento deterrente del Legislatore; la sterilizzazione di ogni possibile vantaggio economico che potrebbe derivare al dipendente dallo svolgimento di incarichi non autorizzati si pone, infatti, come reale disincentivo alla violazione del divieto, proprio a tutela dell’efficienza ed il buon andamento dell’organizzazione della pubblica amministrazione. Non emerge, pertanto, il lamentato contrasto con gli articoli 3 e 97, secondo comma, della Costituzione. Parte ricorrente in realtà non argomenta sulla violazione dell’art. 36, comma 1, Cost., che prevede la proporzionalità della retribuzione; il richiamo dell’art. 36 Cost. appare, tuttavia, comunque improprio, dal momento che la norma censurata non inciderebbe sul diritto del pubblico dipendente alla propria retribuzione, bensì sulla spettanza del compenso a fronte di incarichi estranei ai doveri d’ufficio, svolti in assenza della n