N. 00388/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00242/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 242 del 2017, proposto da:
[#OMISSIS#] Appignani, [#OMISSIS#] Appignani, [#OMISSIS#] Battistoni, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Bianchi, [#OMISSIS#] Binucci, Cristiano Boiti, [#OMISSIS#] Buccellato, [#OMISSIS#] Carbone, [#OMISSIS#] Cardinali, [#OMISSIS#] Cassetti, [#OMISSIS#] Castelli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Chirieleison, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cociani, [#OMISSIS#] Coletti, [#OMISSIS#] Corezzi, [#OMISSIS#] Corte, Vera [#OMISSIS#] De Oliveira, Giovanni De [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Di [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Farenga, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Margherita Giannoni, [#OMISSIS#] Grohmann, [#OMISSIS#] Gusella, [#OMISSIS#] Innocenti, [#OMISSIS#] Lanciotti, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Martelli, [#OMISSIS#] Mercati, [#OMISSIS#] Mercati, Letizia Mezzasoma, [#OMISSIS#] Migliorati, [#OMISSIS#] Monaci, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Russi, [#OMISSIS#] Scaringi, [#OMISSIS#] Servillo, [#OMISSIS#] Signorelli, [#OMISSIS#] Stella [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Tritto, [#OMISSIS#] Vallone, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Zanettin, rappresentati e difesi dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Chiti, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Perugia, via Cacciatori delle Alpi, 28;
contro
Università degli Studi Perugia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale, domiciliata in Perugia, via degli Offici, 14;
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ministero dell’Economia e delle Finanze, non costituiti in giudizio;
per l’accertamento ed il riconoscimento:
A) del diritto dei ricorrenti al riconoscimento degli scatti legati all’anzianità di servizio maturati successivamente al quinquennio 2011 – 2015 e spettanti senza le previsioni di cui all’art. 9, commi 1 e 21. d.l. n. 78 del 2010, convertito in l. n. 122 del 2010 e successive proroghe, e quindi senza il “blocco” degli scatti di anzianità ivi previsto per gli anni dal 2011 al 2015, ed il conseguente diritto alla ricostruzione della carriera ed al pagamento delle differenze retributive maturate successivamente al blocco e non versate;
B) del diritto dei ricorrenti al riconoscimento del trattamento retributivo e di carriera spettante senza le previsioni di cui all’art. 9, commi 1 e 21, d.l. n. 78 del 2010, convertito in l. n. 122 del 2010 e successive proroghe, e quindi senza il “blocco” degli scatti stipendiali e di anzianità ivi previsto per l’anno 2015, ed il conseguente diritto alla ricostruzione della carriera ed al pagamento delle differenze retributive maturate a decorrere dal 1°.1.2015 e non versate;
nonché per la condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme dovute, oltre accessori di legge previa declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme in epigrafe.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Perugia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2018 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I ricorrenti, tutti docenti e ricercatori universitari in servizio presso l’Università di Perugia, così come documentato in atti, chiedono, previa rimessione delle sottoposte questioni alla Corte costituzionale, ove non sia possibile una interpretazione costituzionalmente orientata:
a) di accertare il diritto degli stessi al riconoscimento degli scatti legati all’anzianità di servizio maturati successivamente al quinquennio 2011-2015 e spettanti senza le previsioni di cui all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, all’art. 16, l. n. 98 del 2011, all’art. 1, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 122 del 2013 e all’art. 1, comma 256, l. n. 190 del 2014, e quindi senza il blocco di anzianità ivi previsto; con richiesta di conseguente condanna degli Enti intimati a procedere alla ricostruzione di carriera tenendo conto degli anni dal 2011 al 2015, nonché ad aggiornare il trattamento retributivo dei ricorrenti in godimento dal 1° gennaio 2016 in ragione degli scatti maturati, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive maturate a decorrere da tale data e non versate, nella misura dovuta per ciascun ricorrente, corredate da interessi legali sino al dì del dovuto, nonché ulteriori accessori di legge e regolarizzazione contributiva;
b) di accertare il diritto dei ricorrenti a conseguire il trattamento retributivo e di carriera spettante senza le previsioni di cui all’art. 1, comma 256, l. n. 190 del 2014, e quindi senza la proroga del blocco degli scatti stipendiali e di anzianità ivi previsto per l’anno 2015; con richiesta di conseguente condanna degli Enti intimati alla corresponsione delle differenze retributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2015, nella misura dovuta per ciascuno dei ricorrenti, corredate da interessi legali sino al saldo, nonché ulteriori accessori di legge e regolarizzazione contributiva.
2. Si è costituita l’Università di Perugia chiedendo il rigetto del ricorso perché inammissibile e infondato; le difese sono state meglio specificate nelle successive memorie e repliche.
3. I controinteressati Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca e Ministero dell’Economia e delle Finanze, non si sono costituiti.
4. All’udienza pubblica del 22 maggio 2018, uditi i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La materia del contendere attiene alle misure di contenimento della spesa pubblica relative alla posizione dei docenti e ricercatori universitari, introdotte con l’art. 9, del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, come convertito in legge 30 luglio 2010 n. 122, per il triennio 2011-2013 e successivamente prorogate per gli anni 2014 e 2015.
Ripercorrendo brevemente la nota vicenda, si ricorda che l’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 ha previsto il blocco degli stipendi (comma 1) e delle progressioni economiche (comma 21) del personale non contrattualizzato in relazione agli anni 2011, 2012 e 2013.
Sulla legittimità di tale blocco stipendiale attuato nei confronti dei docenti universitari ha avuto modo di pronunciarsi la Corte costituzionale con la sentenza n. 310 del 2013, respingendo tutte le questioni poste dai giudici remittenti, tra cui lo stesso TAR Umbria (ordinanze 27 febbraio 2013 n. 107 e 13 marzo 2013, n. 156).
Nello specifico la Corte, con sentenza n. 310 del 2013 ha:
– dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, sollevate in relazione agli articoli 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97 della Costituzione; in particolare, è stato dichiarato infondato il motivo con cui, invocando il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., era stata chiesta l’estensione in favore dei docenti universitari della pronuncia di cui alla precedente sentenza n. 223 del 2012, riguardante il personale di magistratura, in considerazione delle specificità di detto personale (specificità ritenuta non sussistente nella fattispecie in esame) e del particolare statuto costituzionale di autonomia riconosciuto ai magistrati e non anche ai docenti universitari (la Corte ha altresì precisato che le altre categorie di dipendenti pubblici non contrattualizzati non rappresentano una platea omogenea);
– dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata con riguardo al parametro della ragionevolezza sul presupposto che il blocco avesse “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato” e fosse legittimato dalle esigenze di contenimento della spesa pubblica, escludendo, altresì, che le disposizioni in parola siano idonee a modificare in radice l’ordinario meccanismo di progressione economica, il quale continua a decorrere a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco;
– ritenuto le contestate misure di contenimento coerenti con i parametri costituzionali posti a salvaguardia dell’equilibrio di bilancio da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in ragione del più ampio contesto economico europeo di riferimento, il quale esige una proiezione che vada oltre il ciclo di bilancio annuale (artt. 81, 97, primo comma, e 119 Cost.), mirando, in una prospettiva pluriennale della situazione di crisi economica, a realizzare un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica.
L’art. 16 del d.l. 6 luglio 2011 n. 98 (convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111), l’art. 1, comma 1, lett. a), del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 e l’art. 1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, hanno prorogato agli anni 2014 e 2015 il blocco della retribuzione, della progressione economica e degli scatti stipendiali e d’anzianità, per il personale non contrattualizzato. In relazione ai dipendenti contrattualizzati è stata, invece, prescritta la proroga, per il solo anno 2014, del blocco di incremento dei trattamenti economici e del blocco degli effetti economici delle progressioni in carriera, nonché la proroga al 2014 e 2015 del blocco della contrattazione collettiva per la parte economica.
La Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla disciplina in esame. Con la sentenza n. 178 del 2015, richiamando ampiamente le argomentazioni già contenute nella precedente pronuncia del 2013, ha esaminato le disposizioni relative alla proroga del blocco, dichiarandole costituzionalmente illegittime, limitatamente ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, solo nella parte in cui si ponevano in violazione del principio della libertà sindacale riconducibile all’art. 39 Cost., stante la prolungata sospensione della contrattazione collettiva connessa al blocco stipendiale. Fatto salvo il profilo inerente la libertà sindacale – riferibile, pertanto, alle sole categorie di dipendenti pubblici privatizzati – la Corte ha specificato che risulta ragionevole il sacrificio di carattere economico imposto al pubblico impiego, anche se oggetto delle ulteriori proroghe (relative agli anni 2014 e 2015) essendo diretto alla tutela delle finanze pubbliche, la quale ha necessariamente un orizzonte pluriennale superiore ad un singolo esercizio finanziario, valorizzando in ottica di bilanciamento il principio di equilibrio di bilancio di cui all’art. 81 Cost.
2. Le censure mosse dagli odierni ricorrenti non riguardano la mancata maturazione degli scatti stipendiali nel quinquennio del blocco e la perdita del relativo trattamento retributivo, bensì la perdita in termini di scatti stipendiali e relativo trattamento retributivo che sarebbe stato maturato successivamente ai cinque anni di blocco se, nella ricostruzione di carriera effettuata una volta venuto meno il blocco, si fosse tenuto conto dell’anzianità di servizio dal 2011 al 2015.
3. Con il primo motivo in diritto, i ricorrenti chiedono il riconoscimento degli scatti legati all’anzianità di servizio spettanti senza il “blocco” previsto per gli anni dal 2011 al 2015 dalla normativa sopra richiamata, affermando che l’esclusione dal computo della ricostruzione di carriera di detto quinquennio comporterebbe il protrarsi di fatto degli effetti economici del blocco oltre il limite temporale individuato dal legislatore, incidendo negativamente sulla retribuzione e sul trattamento pensionistico del singolo docente.
I ricorrenti postulano una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa richiamata o, in subordine, che venga sollevata la questione di legittimità costituzionale relativamente alle stesse per violazione artt. 2, 3, e 36 Cost. I ricorrenti lamentano la disparità di trattamento, ai loro danni, in confronto ad altre categorie del pubblico impiego non contrattualizzato (talune delle quali escluse dalla disciplina in questione) ed ai dipendenti contrattualizzati, che invece possono far valere le proprie ragioni in sede di contrattazione collettiva, mentre i docenti universitari, in quanto privi di potere negoziale, vedono rimessa la disciplina economica alle scelte unilaterali del legislatore.
3.1. Osserva, in primo luogo, il Collegio che il tenore letterale delle disposizioni oggetto di cognizione in questo giudizio è tale da escludere una interpretazione nel senso richiesto dai ricorrenti. L’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 prevede espressamente che “gli anni 2011, 2012, 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti stipendiali previsti dai rispettivi ordinamenti”, non distinguendo dal punto di vista del blocco tra trattamento a fine giuridico o economico, a differenza di quanto indicato nel medesimo art. 9, comma 21, ultima parte, laddove, nel riferirsi alle “progressioni di carriera” comunque disposte, fa salvi gli effetti per i predetti anni “ai fini esclusivamente giuridici”. Con l’espressa previsione contenuta nella prima parte del comma 21 dell’art. 9, secondo cui “[i] meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi”, si è inteso evitare che il risparmio della spesa pubblica, derivante dal temporaneo blocco, potesse essere vanificato in una proiezione futura computando tali elementi retributivi nel complessivo trattamento economico successivo. Allo stesso modo, per la progressione automatica di stipendi di cui all’art. 9, comma 21, secondo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, la previsione normativa esclude qualsiasi riflesso degli anni di servizio svolto nel quinquennio in esame sulla maturazione degli scatti successivi al blocco (in senso conforme, TAR Toscana, 12 aprile 2018, nn. 525 e 526).
Pertanto, mentre ai sensi del terzo periodo del citato comma 21 dalle progressioni di carriera disposte nel quinquennio 2011-2015 deriva la produzione di effetti esclusivamente giuridici – di modo che esse determinano benefici economici dopo la cessazione del blocco –il secondo periodo del comma 21, relativo alle progressioni automatiche degli stipendi disapplicate nel periodo di blocco, non prevede nemmeno la produzione di effetti giuridici.
Del resto, come la più recente giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di evidenziare, il trattamento economico corrispondente agli scatti stipendiali che avrebbero dovuto maturare nel periodo 2011-2015 e che invece sono stati bloccati in virtù delle citate disposizioni, non essendo entrato a far parte della base retributiva e contributiva dei ricorrenti, non può, in assenza di un’espressa statuizione legislativa, essere considerato ai fini della maturazione degli scatti successivi al blocco né rilevare a fini previdenziali o pensionistici (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 22 dicembre 2017, n. 2138; TAR Toscana, 12 aprile 2018, n. 525).
3.2. A fronte dell’impossibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, i ricorrenti sollevano l’eccezione di legittimità costituzionale delle disposizioni citate per violazione artt. 2, 3, e 36 Cost. Nel merito, il Collegio ritiene non sussistente il presupposto della non manifesta infondatezza per la questione di legittimità costituzionale prospettata.
Come già ricordato, la proiezione strutturale delle misure di contenimento della spesa è già stata considerata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 310 del 2013; in questa sede la Corte ha escluso ogni profilo di irragionevolezza, nonostante l’idoneità dell’intervento legislativo a determinare effetti permanenti sotto il profilo economico, posto che restava immodificato il complessivo meccanismo della progressione economica “sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco”.
Dalle critiche mosse dai ricorrenti non emergono, pertanto, profili di censura che presentino elementi di novità rispetto al quadro già sottoposto al vaglio della Corte costituzionale; sulla base dei principi evincibili dalle decisioni della stessa Corte, pertanto, il Collegio ritiene di escludere la non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità, prospettate in questo giudizio.
In particolare:
– nella sentenza n. 178 del 2015 è stata ribadita la ragionevolezza del sacrificio di carattere economico imposto al pubblico impiego, anche se oggetto delle ulteriori proroghe (relative agli anni 2014 e 2015) essendo diretto alla tutela delle finanze pubbliche, la quale ha necessariamente un orizzonte pluriennale superiore ad un singolo esercizio finanziario. La citata pronuncia affronta una analoga questione di irragionevolezza per superamento della soglia di “eccezionalità” circoscritta, secondo il giudice a quo, solo al periodo di efficacia originario. Sul punto la Corte ha richiamato il precedente già citato di cui alla sentenza n. 310 del 2013, ed ha, da un lato, ribadito, anche sotto il profilo della estensione temporale del sacrificio economico, la dimensione solidaristica della “cristallizzazione” dei trattamenti retributivi e la gravità della situazione economica e finanziaria sussistente in concomitanza con gli interventi legislativi; dall’altro, sottolineato le prospettive necessariamente pluriennali del ciclo di bilancio che non consentono analogie con assetti normativi risalenti nel tempo, in cui le manovre economiche si ponevano obiettivi temporalmente ben più limitati. L’esclusione, da parte dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 di successivi recuperi si pone nell’ottica di realizzare un’economia di spesa piena, che non deve essere vanificata, nemmeno in parte, da successivi interventi;
– non appare rilevante l’ordinanza 13.1.2017 n. 1, pur richiamata dalla difesa dei ricorrenti, con cui la Corte dei Conti – sezione giurisdizionale della Liguria ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, in quanto relativa alla diversa fattispecie di personale militare promosso al grado superiore e cessato dal servizio durante il periodo di blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera;
– quanto alle censure incentrate sulla disparità di trattamento rispetto al pubblico impiego contrattualizzato, non appare ravvisabile nessuna violazione del principio di uguaglianza, stanti le profonde differenze di stato giuridico e di trattamento economico che, secondo il consolidato indirizzo della Corte costituzionale, escludono ogni confronto utile allo scrutinio imposto dall’art. 3 Cost. (Corte cost. 10 dicembre 2013, n. 310; Id. 24 giugno 2015, n. 178; Id., 21 maggio 2014, n. 154; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 22 dicembre 2017, n. 2138; TAR Toscana, 12 aprile 2018, n. 525).
– allo stesso modo, per quanto attiene alle censure relative sulla disparità di trattamento rispetto alle altre categorie di pubblico impiego non contrattualizzato, non è stato individuato – né è individuabile d’ufficio – un idoneo tertium comparationis che supporti il sospetto di irragionevole disparità di trattamento. Non appare, infatti, idoneo il riferimento alle altre categorie di dipendenti in regime pubblicistico, in quanto, anche nell’ambito del comparto pubblicistico dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, non è delineabile né sotto il profilo giuridico né sotto quello economico una “platea omogenea” nell’ambito della quale operare la comparazione.
– in riferimento, infine, all’eccezione sollevata con riferimento all’art. 36 Cost., a prescindere dall’assorbente rilievo della carenza di argomentazioni a supporto della relativa censura, va ricordato che la Corte costituzionale è ferma nel sostenere che il giudizio sulla conformità a tale parametro non vada effettuato con riferimento alle singole componenti del trattamento economico ma la retribuzione nel suo complesso, mentre le contestate disposizioni legislative non incidono sulla struttura della retribuzione dei docenti universitari nel suo insieme, né emerge una situazione tale da ledere le tutele socio assistenziali degli interessati e dunque l’art. 2 della Costituzione (Corte cost., 17 dicembre 2013, n. 310; id., 6 maggio 2016, n. 96).
3.3. Per quanto sopra esposto, il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
4. Con il secondo motivo in diritto i ricorrenti chiedono che venga riconosciuto il loro diritto alla progressione di carriera ed agli scatti stipendiali e di anzianità per l’anno 2015, eccependo l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che hanno previsto la proroga del meccanismo di blocco, per violazione artt. 2, 3 e 36 Cost., con conseguente condanna degli Enti intimati alla ricostruzione della carriera dei ricorrenti ed alla corresponsione delle somme non versate in ragione dell’entrata in vigore delle norme sopra indicate, nella misura dovuta per ciascuno dei ricorrenti.
Il motivo di doglianza è incentrato sulla illegittimità del trattamento deteriore previsto per i soli docenti universitari; sarebbero violati i principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza, solidarietà, uguaglianza, in quanto per il 2015 le misure di contenimento della spesa pubblica hanno riguardato solo i docenti universitari, in forza di scelte legislative o dell’intervento della Corte costituzionale a favore di altre categorie del pubblico impiego non contrattualizzato, mentre per i contrattualizzati l’art. 1, comma 254, della legge n. 190 del 2014 ha prorogato solo il blocco della contrattazione collettiva, poi dichiarato incostituzionale con sentenza n. 178 del 2015. Ad avviso dei ricorrenti andrebbero a loro estesi i principi desumibili dalla citata sentenza n. 178 del 2015, con conseguente il diritto, previa declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1, comma 256, della legge n. 190 del 2014, al trattamento retributivo e di carriera spettante per il 2015.
4.1. Anche relativamente a tali profili la questione di legittimità costituzionale non appare assistita dal necessario presupposto della non manifesta infondatezza.
Come già ricordato la sentenza n. 178 del 2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni relative alla proroga del blocco per i rapporti di pubblico impiego contrattualizzato solo nella parte in cui si ponevano in violazione del principio della libertà sindacale riconducibile all’art. 39 Cost., ribadendo, per contro, le argomentazioni già contenute nella precedente pronuncia n. 310 del 2013 circa la ragionevolezza del sacrificio di carattere economico imposto al pubblico impiego, seppur oggetto di proroghe.
Inoltre la Corte, in entrambe le pronunce richiamate, in merito alla pretesa violazione del principio di eguaglianza rispetto alle altre categorie non contrattualizzate, ha evidenziato che “[i] giudici rimettenti non tengono conto della diversità degli statuti professionali delle categorie appartenenti al lavoro pubblico e comparano fattispecie dissimili, che non possono fungere da utile termine di raffronto”. La specificità della singola categoria professionale si pone alla base delle scelte del legislatore che se da un lato, con la citata legge n. 190 del 2014, ha confermato il blocco degli scatti stipendiali e di anzianità anche per l’anno 2015, dall’altro è intervenuto recentemente (art. 1, comma 629, l. n. 205 del 2017) ad attenuare in modo significativo gli effetti di tale misura di contenimento della spesa pubblica, trasformando la progressione stipendiale triennale in progressione biennale, e prevedendo la corresponsione di un importo una tantum ad personam, il cui importo è parametrato alla classe stipendiale che il docente avrebbe potuto maturare nel quinquennio 2011/2015 e all’entità del blocco stipendiale subito.
4.2. Per quanto sopra esposto, anche il secondo motivo di ricorso deve essere respinto.
5. Per i suesposti motivi il ricorso va respinto.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, stante la peculiarità e la parziale novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Potenza, Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario, Estensore
Pubblicato il 19/06/2018