Con sentenza del 17 giugno 2024, il Tribunale ordinario di Roma si è pronunciato sul ricorso presentato da diverse Università telematiche nei confronti della CRUI – Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, ente senza scopo di lucro che svolge attività nel campo della formazione superiore.
Il ricorso si fondava sulla previsione, contenuta all’art. del nuovo Statuto della CRUI, che impediva a qualsiasi Università telematica, anche quelle definite, riconosciute ed accreditate dal competente Ministero, di aderire all’associazione. Secondo i ricorrenti, infatti, tale disposizione aveva un contenuto discriminatorio che, in ragione del rilievo sostanzialmente pubblico della CRUI e dello svolgimento pressochè monopolistico della sua attività, avrebbe collocato le Università telematiche ai margini del complessivo percorso di formazione universitaria, comportandone un pregiudizio di fatto.
Il giudice adito ha, tuttavia, respinto nel merito il ricorso, affermando la non discriminatorietà della clausola statuaria e l’insindacabilità delle regole di adesione a una associazione non riconosciuta ex art. 36 e ss. cod. civ.
Quanto al primo aspetto, si è affermata la non discriminatorietà dello statuto, sottolineandosi le differenze sostanziali tra Università telematiche e tradizionali. Secondo la ricostruzione offerta dal Tribunale di Roma, le Università telematiche opererebbero con logiche diverse rispetto a quelle delle Università tradizionali, potendo ricevere finanziamenti da terzi e porre, a loro volta, in essere operazioni di finanziamento. Di qui, la diversità dello scopo perseguito che, nel caso di specie, non sarebbe corrispondente all’erogazione un servizio a presidio di un diritto fondamentale, quale quello alla fruizione della formazione culturale post-scolastica, ma sarebbe bensì di lucro.
Relativamente al secondo aspetto, è stato chiarito che la CRUI è un’associazione non riconosciuta disciplinata dall’art. 36 e ss. cod. civ., escludendosi la natura e la funzione pubblicistica. Non trattandosi di ente pubblico, per cui l’adesione deve essere garantita paritariamente a tutti gli aventi diritto, ma di un ente privato, ne discende l’insindacabilità dinnanzi al giudice delle disposizioni ordinamentali relative all’adesione partecipativa di intere categorie di terzi e perfino di singoli individui.