Con sentenza n. 513 del 26 febbraio 2024, il TAR Lombardia ha affermato che vige lo stesso trattamento giuridico, economico e di quiescenza per i professori/ricercatori universitari in servizio presso le università statali e quelli in servizio presso gli atenei non statali.
Nel caso di specie, un professore chiedeva l’accertamento del suo diritto a rimanere in servizio, ricoprendo il ruolo di professore universitario di II fascia presso il Dipartimento di diritto privato dell’Università Telematica E-Campus, domandando, così, l’annullamento della delibera con la quale il rettore dell’Ateneo ne aveva disposto la cessazione dalla carica recedendo dal rapporto contrattuale in quanto il periodo di prova non era stato ritenuto soddisfacente.
Qualificato il suo rapporto di lavoro come di “pubblico impiego”, il ricorrente deduceva che la disciplina del periodo di prova sarebbe da rinvenire negli artt. 70, comma 13, D.Lgs. n. 165/2001 e 28 d.P.R. n. 487/1994, come pure nell’art. 438 del D.lgs. n. 297/1994 (T.U. Istruzione), non trovando quindi applicazione l’art. 2096 c.c. Inoltre, lamentava che l’Ateneo resistente avrebbe omesso di comunicare l’avvio del procedimento, privandolo così della “possibilità di presentare osservazioni che avrebbero apportato ulteriori elementi utili e idonei a condurre ad una diversa conclusione”.
L’Università eccepiva l’incompetenza territoriale del TAR della Lombardia sostenendo che la causa andasse incardinata presso il TAR del Lazio.
Il Collegio, in via preliminare, ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal controinteressato succeduto nella cattedra prima occupata dal ricorrente, escludendo che la natura privata dell’ente datore di lavoro determinerebbe necessariamente che il rapporto di lavoro successivamente instaurato dai docenti selezionati abbia carattere privatistico, e sia correlativamente assoggettato alla giurisdizione del giudice ordinario. In particolare, posto che le università (non statali) “telematiche” sono in rapporto di species rispetto al più ampio genus “università libere” o private o non statali, il rapporto di lavoro del corpo docente dell’università telematica eCampus è soggetto alla stessa disciplina vigente, in generale, per le università non statali ed è disciplinato dall’art. 62, comma 2, del testo unico del 1933 e dell’art. 4 L. n. 243/1991: secondo queste disposizioni, i docenti delle Università non statali hanno la medesima “condizione giuridica” dei docenti delle Università statali, i quali, a mente dell’art. 3, comma 2, D.lgs. n. 165/2001, sono in regime di diritto pubblico.
Nella consapevolezza dell’astratta difficoltà teorica della tesi che afferma la sussistenza di un rapporto di lavoro in regime di diritto pubblico alle dipendenze di un ente privato, financo con (eventualmente possibile) scopo di lucro, il TAR Lombardia ha osservato che tale affermazione non costituisce un ossimoro giuridico.
Come chiarito dal parere del Consiglio di Stato n. 1433/2019, la circostanza che tali soggetti giuridici siano ampiamente condizionati “da penetranti poteri pubblicistici, che ne eterodeterminano forme e contenuti, in deroga all’autonomia privata e al regime previsto dal libro V del codice civile” con una “spiccata specialità di regime”, non è incompatibile con l’autonomia privata.
Inoltre, si deve considerare che l’art. 199 del Testo Unico prevede che “Alle università e agli istituti superiori liberi si applicano le norme contenute nel titolo I, sezione I, II e III” e tra queste, quindi, l’art. 62 del medesimo TU, in forza del quale “L’insegnamento ufficiale è impartito da professori di ruolo e da professori incaricati. I professori delle università e degli istituti di cui alle tabelle A e B sono professori di Stato; la condizione giuridica dei professori delle università e istituti di cui alla tabella B è uguale a quella dei professori delle università e istituti di cui alla tabella A”.
Dal combinato disposto di tali norme contenute nel TU del 1933 emerge, secondo il Tribunale Meneghino, che è identica la disciplina della “condizione giuridica” dei professori delle “regie università”, dei “Regi istituti superiori”, indicati nelle annesse tabelle A e B, nonché delle “università” e degli “istituti superiori liberi”.
Tale conclusione è rafforzata, per il TAR Lombardia, dalla circostanza che ai docenti delle università non statali, dovrebbero applicarsi le corrispondenti norme della contrattazione collettiva.
Il regime di diritto pubblico e l’equiparazione tra professori e ricercatori delle università statali e non statali non postula, ad avviso dei Giudici, una equiparazione dello stato giuridico tra “dipendenti” di un “ente pubblico” e “dipendenti” di un “ente privato”, quanto, più precisamente, tra professori e ricercatori a servizio di un ente autonomo (statale) e docenti e ricercatori a servizio di un corrispondente e analogo ente autonomo (non statale).
Dato atto di tali premesse, il TAR Lombardia ha dichiarato la propria incompetenza sul ricorso, atteso che, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza, non potrebbe trovare applicazione il criterio di cui all’articolo 13, comma 2, c.p.a., tenuto anche conto che il rapporto di lavoro era cessato all’atto del radicamento del giudizio, sicché opera l’ordinario criterio generale dell’estensione territoriale della res controversa, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, c.p.a.