Le Università telematiche insorgono contro la proposta di un’Università tradizionale di classificare, nel proprio Regolamento, come “attività concorrenziale” e “in conflitto di interessi” l’assunzione di incarichi di insegnamento presso le prime, impedendone così il loro svolgimento. Le ragioni addotte, secondo cui si tratterebbe di “un’illegittima barriera allo sbocco sul mercato frapposta in danno delle università telematiche” e in un trattamento discriminatorio, contrario agli artt. 3 e 33 della Costituzione, non convincono però il Collegio.
Secondo i giudici amministrativi, infatti, i dati relativi all’aumento degli iscritti alle Università telematiche giustificano e supportano la decisione di quelle tradizionali di ristringere i margini di discrezionalità nel rilascio delle singole autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni e di individuare, nell’attività di docenza presso le prime, un’attività ex ante idonea a determinare una situazione di incompatibilità e di conflitto di interessi.
Oltre che per ragioni di opportunità, sulla cui base si ricorda essere stata decisa l’esclusione delle telematiche di associarsi alla CRUI, la decisione dell’Ateneo viene ritenuta legittima a fronte della diversa allocazione dei costi del personale docente pubblico: sono difatti le Università tradizionali a sopportare i costi del suo reclutamento e crescita qualitativa, a differenza delle telematiche che adottano un modello organizzativo prevalentemente incentrato sulla docenza pubblica a contratto, già formata e/o reclutata dall’Università di provenienza.