L’art. 19, comma 2, del D.L. 12 settembre 2013, n. 104, ai fini dell’inserimento nelle graduatorie nazionali utili per l’attribuzione di incarichi a tempo determinato, fissa quale requisito il possesso di “almeno tre anni accademici di insegnamento”. La corretta interpretazione di tale previsione esclude qualsivoglia limitazione a particolari tipologie di corsi – accademici o pre-accademici, che risultano così equiparati – anche qualora il rapporto di lavoro del docente sia regolato da contratto di co.co.co. o similari, così da rendere illegittime le contrastanti previsioni contenute nell’art. 2, comma 3, d.m. 30 giugno 2014, n. 526.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 agosto 2016, n. 3768
Requisiti collocazione degli insegnanti nelle graduatorie nazionali-Contratti di collaborazione coordinata e continuativa-Nozione di anno accademico
N. 03768/2016REG.PROV.COLL.
N. 09215/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9215 del 2015, proposto da [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#] C.F. DLNFNC67L10A662P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Cola di [#OMISSIS#], n. 212;
contro
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti di
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III n. 08501/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 luglio 2016 il Cons. Italo Volpe e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] D’Avanzo dell’Avvocatura Generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Col ricorso in epigrafe parte appellante ha impugnato, per l’annullamento, la sentenza del Tar Lazio, sede di Roma, n. 8501/2015, depositata il 18.6.2015, con la quale è stato respinto il suo ricorso principale in primo grado, corredato da una coppia di motivi aggiunti recanti censure analoghe fra loro anche se mosse avverso atti differenti, tutti peraltro conseguenti a quello impugnato in principalità.
1.1. Premette la parte di essere Maestro di Flauto e Concertista e di avere svolto da molti anni attività di insegnamento nelle Istituzioni dell’alta formazione artistica musicale e coreutica-AFAM (i.e., i Conservatori e gli Istituti superiori di studi musicali trasformati, dopo la riforma di cui alla l.n. 508/1999, in enti di livello universitario) con contratti di lavoro di durata limitata nel tempo (di solito coincidente con l’anno accademico), di volta in volta stipulati con una o altra di dette Istituzioni.
Aggiunge che l’art. 19 del d.l. n. 104/2013, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 128/2013, dopo aver introdotto al co. 1 (per trasformazione delle precedenti, di diversa natura) le graduatorie nazionali a esaurimento, utili per l’attribuzione degli incarichi di insegnamento con contratto a tempo indeterminato e determinato, ha stabilito al co. 2 che in esse, fino all’emanazione del regolamento di cui all’art. 2, co. 7, lett. e), della l.n. 508/1999, fosse inserito – con modalità definite con successivo decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca – il personale docente che:
– non sia già titolare di contratto a tempo indeterminato nelle Istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica;
– abbia superato un concorso selettivo ai fini dell’inclusione nelle graduatorie d’istituto;
– e abbia maturato almeno tre anni accademici di insegnamento presso le suddette istituzioni alla data di entrata in vigore del citato decreto-legge.
Aggiunge ancora che il Ministro pro-tempore, con decreto 30.6.2014, n. 526 (un provvedimento che – giova qui puntualizzare – è stato di natura amministrativa e non regolamentare), dando attuazione alla predetta norma di rango primario, operando la costituzione delle graduatorie nazionali per l’attribuzione di incarichi a tempo determinato per il personale docente delle istituzioni AFAM, ha quindi introdotto all’art. 2 (soggetti ammessi) disposizioni applicative coerenti con la fonte legislativa, tranne che nel co. 3 di tale articolo ove è stato detto che, ai fini della valutazione dei requisiti utili (per l’inserimento in graduatoria) “per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e per altre tipologie contrattuali, si considera anno accademico l’aver svolto almeno 125 ore di insegnamento nei corsi accademici di primo o di secondo livello”.
1.2. Precisa la parte che tale ultima puntualizzazione amministrativa, che non trovava simmetria soprattutto nella terza delle condizioni legislative sopra ricordate, aveva comportato nel suo caso (in cui si poteva vantare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato di I^ fascia con l’Istituto Superiore di Studi Musicali “G. Briccialdi” di Terni per l’a.a. 2012/2013, con decorrenza dal 7.12.2012 al 31.10.2013 (Flauto) [primo anno accademico di insegnamento], un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato di I^ fascia con l’Istituto Superiore di Studi Musicali “G. Briccialdi” di Terni per l’a.a. 2013/2014, con decorrenza dal 1.11.2013 al 31.10.2014 (Flauto) [secondo anno accademico di insegnamento] e un contratto di collaborazione coordinata e continuativa di n. 225 ore di docenza in corsi preaccademici con l’Istituto Superiore di Studi Musicali “P. Mascagni” di Livorno per l’a.a. 2010/2011, con decorrenza dal 22.11.2010 a130.6.2011 (Flauto) [terzo anno accademico di insegnamento]) la illegittima non inclusione nella novella graduatoria nazionale, con l’intuibile suo nocumento dato dall’estrema difficoltà di conseguire altri e successivi incarichi di insegnamento.
Per questo la parte era ricorsa in primo grado per ottenere l’annullamento del citato provvedimento ministeriale del 2014 nella parte in cui, in violazione di legge, ingiustificatamente e discriminatoriamente, le aveva impedito il conseguimento di un risultato (l’inserimento in graduatoria) altrimenti sicuro sulla base della norma primaria di riferimento.
2. La sentenza impugnata, dando atto della costituzione solo formale del Dicastero intimato, respingeva peraltro il ricorso sul centrale presupposto che il “DM n. 526 del 2014 risulta perfettamente aderente sul punto alla sopraordinata previsione legislativa” e ciò in coerenza con precedenti in termini di sezione (sentenze Tar Lazio, Roma, sez. III, nn. 6279, 6282 e 6285 del 2015).
3. Col ricorso in epigrafe la parte, a tale ultimo riguardo, segnalava che tuttavia questa Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanze nn. 3870, 3983 e 3871 del 2015 aveva sospeso l’esecutività proprio delle sentenze indicate dalla sentenza impugnata come precedenti da cui non deflettere.
Per il resto la parte ha censurato la decisione di primo grado ora in esame illustrando come, a suo avviso, la stessa non avesse adeguatamente dato rilievo alle censure articolate in primo grado.
4. Con ordinanza n. 5538/2015, in data 16.12.2015, questa Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata.
5. Con memoria del 20.6.2016 parte appellante, riepilogando altresì le proprie difese, ha segnatamente indicato i numerosi precedenti cautelari favorevoli alle proprie tesi, di sospensione dell’esecutività di altre opposte sentenze di primo grado, pronunciate in relazione a casi coincidenti col proprio.
Con successive note del 30.6.2016 la parte ha altresì citato i precedenti giurisprudenziali che ormai iniziano a susseguirsi nell’annullamento del censurato art. 2, co. 3, del decreto ministeriale n. 526/2014.
6. La causa, chiamata all’odierna udienza pubblica di discussione, è stata trattenuta in decisione.
7. Il ricorso è fondato, e merita per questo accoglimento. Del resto la questione qui dibattuta è già stata oggetto di delibazione da parte di questa Sezione del Consiglio di Stato in una serie di precedenti, con conclusioni dalle quali non v’è motivo per discostarsi (tra i diversi precedenti, v. CdS, VI, n. 2709/2016).
7.1. Come in altro caso, anche in questo l’appellante deduce, relativamente alla decisione gravata:
a) con un primo motivo, error in iudicando per errata e travisata interpretazione dell’art. 19, co. 2, del d.l. n. 104/2013, violazione del principio di ragionevolezza, eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti;
b) con un secondo, error in iudicando per erroneità ed insufficienza della motivazione della sentenza;
c) con un terzo, l’erroneità della condanna alle spese.
Ciò perché, nell’ordine:
a.1) diversamente da quanto ritenuto in primo grado, tra le disposizioni del d.l. n. 104/2013 e del provvedimento ministeriale n. 526/2014 non v’è sovrapponibilità, perché la legge non pone limiti alle tipologie di corsi (accademici o preaccademici) quando menziona il possesso di “almeno tre anni accademici di insegnamento” mentre l’atto ministeriale, per il caso di insegnamenti regolati da contratti di co.co.co. o simili, ha invece ritenuto fruibili solo i periodi svolti “nei corsi accademici di primo e di secondo livello”.
Quindi in primo grado si è confuso tra la nozione legislativa di “anno accademico” (ancorata al parametro temporale e risultante dal regolamento generale universitario di cui all’art. 1 del r.d. n. 674/1924, secondo il quale è anno accademico l’arco temporale annuale fra il 16.10 e il 31.7, specificato poi in 1.11-31.10 per i Conservatori di musica dal d.m. MIUR 26.9.2002) e quella di “corso accademico”.
Inoltre, l’atto ministeriale ha illegittimamente introdotto due diverse nozioni di anno accademico a seconda della tipologia di contratto che regola il rapporto di docenza, ossia quella dei contratti a tempo determinato e di collaborazione di cui all’art. 273 del d.lgs. n. 297/1994, che darebbe luogo ad anzianità spendibile, indifferentemente, sia se maturata nei corsi accademici di primo o di secondo livello sia nei corsi preaccademici, e quella riferita invece ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa e altre tipologie contrattuali, utilizzabile solo se svolta in corsi accademici di primo e di secondo livello. Col che uno stesso periodo di docenza si valorizzerebbe, ai fini dell’inclusione in graduatoria, solo sulla base del contratto di lavoro che lo ha regolato, in funzione d’un fattore che dipende però esclusivamente da una scelta delle istituzioni AFAM;
a.2) in primo grado non si è esaminata l’ulteriore censura, di cui al ricorso introduttivo, con la quale s’era dedotta la disparità di trattamento, ad opera del citato provvedimento ministeriale, tra docenti che avevano prestato anni di insegnamento in corsi preaccademici con co.co.co. (non valutabili) e docenti che li avessero prestati, negli stessi corsi, con un contratto a tempo determinato (anni invece valutabili);
a.3) in particolare la novità della questione e l’assenza di precedenti giurisprudenziali avrebbero dovuto piuttosto indurre, anche in caso di rigetto, ad una pronuncia di compensazione delle spese.
7.2. Le ragioni anche dell’odierno accoglimento possono così ribadirsi:
– l’art. 19, co. 2, del citato d.l. n. 104/2013 trova applicazione, letteralmente, a fini di inclusione nelle predette graduatorie, nei riguardi del “personale docente”;
– la dizione lata usata dalla legge legittima la disposizione dell’art. 2, co. 1, dell’impugnato provvedimento ministeriale lì dove essa indica, quale requisito di ammissione, che si tratti di “personale docente (…)che, alla data del presente decreto, abbia maturato, a decorrere dall’anno accademico 2001-2002, almeno tre anni accademici di insegnamento, con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o con contratto di collaborazione, ai sensi dell’art. 273 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ovvero con contratto di collaborazione coordinata e continuativa o altra tipologia contrattuale nelle medesime istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica”. La dizione legislativa (“personale docente”) consente di esplicitare le diverse categorie contrattuali rilevanti attraverso le quali l’attività di insegnamento è stata prestata;
– l’art. 19, co. 2, citato (come del resto l’art. 2, primo comma, dell’atto ministeriale n. 526 del 2014) richiede la maturazione di “almeno tre anni accademici di insegnamento presso le suddette istituzioni”;
– nella disposizione v’è dunque menzione di un requisito esclusivamente temporale (“tre anni accademici di insegnamento”);
– la parola “accademico” è riferita all’anno, mentre quella “insegnamento” esprime un termine generico, non riferito ad alcuna specifica tipologia di “corso”. E’perciò ragionevole ritenere che, in presenza di un dato meramente temporale (anno accademico), riferito all’istituzione presso la quale l’“insegnamento” è svolto, il requisito non sconti una distinzione rilevante in relazione alla tipologia dei corsi (accademico o preaccademico) comunque organizzati da e tenuti presso l’istituzione, per i quali l’insegnamento sia stato comunque esercitato;
– non è condivisibile – giacchè priva di base legislativa – l’affermazione di primo grado secondo cui la dizione legislativa “tre anni accademici di insegnamento” indicherebbe “tre anni di insegnamento in corsi accademici”;
– neppure può ricondursi per altra via il termine “accademico” al tipo di insegnamento, affermandosi che l’insegnamento svolto nell’anno accademico è necessariamente di tipo “accademico”. Invero, la disposizione non ha utilizzato l’inciso “tre anni di insegnamento accademico”, che avrebbe potuto utilizzare ove avesse voluto indiscutibilmente attribuire [#OMISSIS#] alla sola attività prestata su corsi accademici. Riferendo l’aggettivo “accademico” all’anno, la disposizione ha inteso unicamente operare un’indicazione dell’anno di riferimento in relazione alla Istituzione interessata, la quale è di tipo universitario e, dunque, “accademica”. Con ciò, peraltro, non ha escluso certamente che dalla attività di insegnamento rilevante presso la stessa espletata andassero esclusi i c.d. corsi “preaccademici”, rientrando comunque gli stessi nell’offerta formativa del Conservatorio e costituendo, pertanto, a pieno titolo, attività di insegnamento svolta presso l’Istituzione;
– neppure può trovare considerazione l’argomentazione per cui la norma di legge (art. 19 cit.) non contiene un’espressa indicazione dei co.co.co. e di altre tipologie contrattuali, con la conseguenza che la loro inclusione è stata frutto di una scelta dell’Amministrazione che, per ampliare la platea degli aspiranti, ha voluto ammettere alla partecipazione anche i co.co.co. ed altre tipologie contrattuali, limitando, peraltro, il periodo utile solo a quello svolto in corsi accademici di primo e di secondo livello;
– va piuttosto considerato che anche in ipotesi di scelta discrezionale, non obbligata dalla legge, la detta limitazione non troverebbe ragionevole giustificazione – anche sotto il profilo della parità di trattamento con le altre categorie di docenti – considerandosi che il futuro assetto delle Istituzioni non giustificherebbe comunque, una volta ammessa la categoria alla selezione, una limitazione relativa ad una attività di insegnamento che comunque è stata prestata presso di essa e ciò operando, altresì, un diverso trattamento rispetto ad altra categoria ammessa. La norma di legge, invero, si riferisce al “personale docente”, opera riferimento alla attività di insegnamento e non contiene una espressa specificazione delle tipologie contrattuali con cui si instaura il rapporto di lavoro. Ammesse, pertanto, alcune categorie, non può applicarsi alle stesse un trattamento differenziato relativamente ai corsi nei quali è stata prestata l’attività di insegnamento.
8. Per le ragioni che precedono deve ritenersi la fondatezza del proposto appello, con conseguente riforma della sentenza di primo grado, accoglimento del ricorso introduttivo ed annullamento dell’art. 2, co. 3, del decreto ministeriale n. 526/2014 nella parte in cui, per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e per altre tipologie contrattuali, limita la nozione di anno accademico alle sole ore di insegnamento prestate nei corsi accademici di primo e secondo livello e non anche nei corsi preaccademici.
Trattati così gli aspetti rilevanti della questione, comunque in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati vengono dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a conclusione diversa.
9. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti del giudizio in considerazione della novità della questione trattata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla l’art. 2, co. 3, del decreto ministeriale n. 526 del 2014, nella parte in cui, per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e per altre tipologie contrattuali, limita la nozione di anno accademico alle sole ore prestate nei corsi accademici di primo e di secondo livello.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Italo Volpe, Consigliere, Estensore
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 31/08/2016