N. 04135/2016 REG.PROV.COLL.
N. 04220/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4220 del 2012, proposto da [#OMISSIS#] Cioce, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Napoli, via Cuma,28;
contro
la Seconda Università degli Studi di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria per legge in Napoli alla via Diaz n. 11;
per
l’accertamento del diritto del Dott. [#OMISSIS#] Cioce a vedersi riconosciuta, ai sensi dell’art. 103 del d.P.R. 382/80 l’anzianità – sia ai fini economici che giuridici – maturata in qualità di funzionario tecnico dal 19/10/1988 al 08/08/2000, nonché quella relativa al periodo dal 09/08/2000 al 30/12/2000, nel quale il ricorrente è stato inquadrato nella categoria D3 – posizione economica D2 dell’area socio ¬ sanitaria ( ex VIII° livello – funzionario tecnico) ed infine l’anzianità relativa al periodo dal 31/12/2000 al 16/10/2003 in cui il Dott. Cioce risultava inquadrato nella categoria D posizione economica D3 dell’area socio sanitaria ( ex VIII° livello – funzionario tecnico) e, conseguentemente, per la condanna della Seconda Università degli Studi di Napoli a1 pagamento degli emolumenti arretrati compresi interessi e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze e sino al soddisfo.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Seconda Università degli Studi di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 luglio 2016 la dott.ssa [#OMISSIS#] Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, [#OMISSIS#] Cioce, ricercatore confermato a tempo pieno, ha agito per l’accertamento del diritto al riconoscimento, ai sensi dell’art. 103 del DPR 382/80, dell’anzianità di servizio – ai fini economici e giuridici – maturata in qualità di funzionario tecnico dal 19 ottobre 1988 all’ 8 agosto 2000, nonché dell’anzianità maturata nel periodo dal 9 agosto 2000 al 30 dicembre 2000, nel quale è stato inquadrato nella categoria D, posizione economica D2 dell’area socio-sanitaria; il Dott. Cioce, inoltre, ha agito per il riconoscimento dell’anzianità relativa al periodo dal 31 dicembre 2000 al 16 ottobre 2003, allorquando risultava inquadrato nella categoria D, posizione economica D3, della richiamata area socio-sanitaria, con conseguente condanna dell’ateneo al pagamento degli emolumenti arretrati compresi interessi e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze sino al soddisfo.
Il ricorrente ha esposto di aver richiesto, con istanza del 1 luglio 2008, il riconoscimento dei servizi prestati in qualità di tecnico – laureato, ai sensi dell’art. 103 del DPR 382/80, in ottemperanza alle statuizioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 191/08, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.103, comma 3, del d.P.R. 382/80, modificato dall’art. 23 della legge n.488/99, nella parte in cui non riconosceva ai ricercatori universitari – all’atto della loro immissione nella fascia dei ricercatori confermati – per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per i due terzi ai fini della carriera, l’attività effettivamente prestata nelle università in qualità di tecnici laureati con almeno tre anni di attività di ricerca.
Con nota n. 34449 del 23 ottobre 2008, l’ateneo ha rappresentato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, provvedendo successivamente, a seguito di sollecitazione da parte dell’interessato, all’adozione del provvedimento definitivo.
La Seconda Università degli Studi di Napoli si è costituita in giudizio, sollevando eccezioni preliminari e concludendo, nel merito, per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 5 luglio 2016 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
La vicenda dedotta in giudizio implica l’analisi dell’effettiva portata pratica della sentenza della Corte costituzionale 6 giugno 2008, n. 191, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art.103, terzo comma, D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 per la parte in cui non riconosceva ai ricercatori universitari, all’atto dell’immissione nella fascia dei ricercatori confermati, per intero ai fini del trattamento di previdenza e quiescenza e per i due terzi ai fini della carriera, l’attività di servizio effettivamente prestata nelle Università in qualità di tecnici laureati con almeno tre anni di attività di ricerca.
In via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dell’ateneo resistente in quanto, venendo in considerazione una situazione giudica di diritto soggettivo, alcun rilievo preclusivo può essere riconnesso, ai fini della produzione di effetti decadenziali ovvero ai fini della configurazione di una condotta acquiescente, all’omessa impugnazione nel termine generale di sessanta giorni della nota con la quale è stata rigettata la domanda presentata dal ricorrente per il riconoscimento della pretesa, assunta al prot. n. 21880 del 1° luglio 2008.
Si ritiene altresì di ribadire quanto già esplicitato da questa Sezione nella sentenza n. 27666 del 20 dicembre 2010 (confermata dal Consiglio di Stato, se. VI, con sentenza n. 4494 del 27/07/2011).
A norma dell’art. 136 della Costituzione, quando viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di una legge, questa “cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. In linea con la statuizione costituzionale, l’art. 30 della legge n. 87 del 1953, dopo aver disposto in ordine alla pubblicazione della decisione ed alla conseguente comunicazione alle Camere “affinché, ove lo ritengano necessario, adottino i provvedimenti di loro competenza”, stabilisce a sua volta che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Dalle citate disposizioni si è tratto il pacifico principio – estensibile, sia pure con gli opportuni adattamenti, anche alle sentenze cosiddette additive, cioè integrative della previsione normativa – in base al quale la declaratoria di illegittimità costituzionale è applicabile a tutti i rapporti non ancora “esauriti”, operando tale declaratoria in modo diverso dall’abrogazione, dalla quale si differenzia per presupposti, natura ed effetti. La dichiarazione di illegittimità costituzionale, infatti, a differenza dall’abrogazione, ha per presupposto l’invalidità della legge, in quanto viziata dall’essere in contrasto con un precetto costituzionale e rende la norma dichiarata incostituzionale non più applicabile ai rapporti ancora sub iudice, mentre deve essere applicata per i rapporti esauriti, intendendosi per tali quelli che, sorti precedentemente alla pronuncia di incostituzionalità, abbiano dato luogo a situazioni ormai consolidate ed inderogabili per effetto del passaggio in giudicato di decisioni giurisdizionali, della definitività di provvedimenti amministrativi divenuti inoppugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale (ibidem).
Il vizio di illegittimità non ancora dichiarato dalla Consulta non determina, invero, un impedimento legale all’esercizio del diritto disconosciuto da atti aventi forza di legge contro il dettato della Costituzione. Il soggetto interessato è posto, invece, in una situazione di mera difficoltà di fatto, cui può reagire attivando gli ordinari mezzi di tutela e sollevando in tale sede l’incidente di costituzionalità. Ne consegue che la retroattività della pronuncia che accerta l’incostituzionalità della norma non può incidere né recupera le situazioni giuridiche ormai esaurite o consolidatesi, alle quali l’interessato non abbia ritenuto di porre rimedio con gli strumenti che l’ordinamento gli offre, ovverosia con la proposizione dell’azione giurisdizionale attraverso cui sottoporre la norma viziata alla verifica del Giudice delle leggi.
Nel caso che occupa, però, al momento della presentazione dell’istanza il rapporto non poteva considerarsi esaurito alla stregua dei richiamati principi.
Venendo al merito delle questioni, per giurisprudenza ormai consolidata, anche di questa Sezione (ex multis, nn. 3221/2014; 705/2013; 27663/2010 citt.), la figura del funzionario tecnico è equiparabile a quella del tecnico laureato, trattandosi di una mera riformulazione formale della medesima qualifica precedentemente denominata “tecnico laureato”; pertanto, anche il funzionario tecnico rientra nell’elencazione delle qualifiche contenuta nell’art. 103 del D.P.R. n. 382/1980, la quale deve ritenersi tassativa ai fini del riconoscimento del servizio utile, ma è suscettibile di un’interpretazione logica (così C.d.S., sez. VI, n. 5668/2011 cit.; ex ceteris, cfr. anche C.d.S., sez. VI, n. 2412/2013 cit.).
La giurisprudenza ha, inoltre, chiarito che la domanda di riconoscimento dei servizi pre-ruolo avanzata ai sensi del citato art. 103, in difetto di espressa previsione contraria, è assoggettata al termine di prescrizione ordinario di dieci anni di cui all’art. 2946 c.c., a differenza delle azioni dirette a ottenere le differenze retributive derivanti dal riconoscimento della nuova qualifica, che si prescrivono nel termine quinquennale previsto dall’art. 2948 n. 4 c.c. (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 27663/2010 cit.)
Il Collegio deve, dunque, soffermarsi sulla natura del termine di cui all’art. 103, comma 4 del d.P.R. n. 382 del 1980 e sulle conseguenze correlate alla relativa decorrenza.
Se è vero che il quarto comma dell’art. 103 cit. stabilisce che «il riconoscimento dei servizi di cui ai precedenti commi può essere chiesto entro un anno dalla conferma in ruolo», per un consolidato indirizzo interpretativo, condiviso dalla Sezione (cfr. 11.6.2014, n. 3221; 4.2.2013, n.705; 20.12.2010, n. 27663) e da cui non vi è ragione per discostarsi, il termine previsto dalla norma non ha natura perentoria, «essendo in contrario senso decisivo considerare che il legislatore delegato non ha ripetuto l’espressione “a pena di decadenza”, contenuta nella precedente normativa, che è stata abrogata per incompatibilità» (cfr. C.d.S., sez. VI, 21 ottobre 2011, n. 5668; sez. VI, 27 luglio 2011, n. 4494; sez. VI, 3 febbraio 2004, n. 328; il riferimento è all’abrogato art. 17 della legge 18 marzo 1958, n. 311).
Ed invero, la giurisprudenza ha osservato, in relazione al rilievo da attribuire al termine annuale previsto dall’art. 103, quarto comma, che «in ragione della eterogeneità dei servizi valutabili e delle Amministrazioni con cui i docenti hanno intrattenuto i rapporti di lavoro, in deroga ai principi generali il legislatore delegato ha previsto l’onere per il professore di curare l’esibizione all’Università della relativa documentazione. Fin quando il professore non presenta la domanda con la relativa documentazione, non è configurabile un suo credito, né può sussistere un inadempimento dell’Università che, a titolo provvisorio, non può che corrispondere il solo trattamento economico predeterminato dalla normativa e inerente alla qualifica.
A seguito della acquisizione della documentazione, l’Università deve poi rideterminare lo stipendio spettante per la valutazione dei servizi pre-ruolo e deve corrispondere le differenze retributive, integrando gli emolumenti nel frattempo erogati a titolo provvisorio, con la prescritta decorrenza.
Ciò comporta che, finché non adempia l’onere previsto dal quarto comma dell’art. 103, per il professore si producono le seguenti conseguenze sfavorevoli:
– per il periodo che precede la domanda e per gli emolumenti arretrati non prescritti, l’inconfigurabilità di un credito rimasto insoddisfatto comporta che non è ravvisabile un inadempimento o un ritardo imputabile, sicché non vanno liquidati anche la rivalutazione o gli interessi (Cfr. Sez. V, 9 maggio 2000, n. 2647; Sez. V, 30 ottobre 1997, n. 1224; Sez. IV, 1° ottobre 1991, n. 756) » (così C.d.S., sez. VI, n. 328/2004 cit.; nei medesimi termini, C.d.S., sez. VI, n. 4494/2011 cit.; C.d.S., sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2412);
– comincia a decorrere il termine quinquennale di prescrizione, per i singoli ratei mensili.
Da quanto sopra esposto consegue che, in parziale accoglimento dell’eccezione sollevata dall’ateneo resistente, la pretesa del ricorrente relativa al periodo precedente al 1° luglio 1998 va rigettata per intervenuta prescrizione, come pure deve escludersi la spettanza delle differenze retributive derivanti dal riconoscimento della nuova qualifica in applicazione del termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c. per il periodo precedente al 1° luglio 2003. Non spettano, infine, né interessi né rivalutazione monetaria per il periodo precedente alla domanda e per gli emolumenti non prescritti.
E’, dunque, nei termini e nei limiti sopra esposti che la domanda formulata dal ricorrente in applicazione dell’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1990 deve trovare accoglimento.
In considerazione della risalenza della vicenda, delle incertezze interpretative sussistenti all’epoca della proposizione del ricorso ed anche degli esiti complessivi del giudizio, il Collegio valuta sussistenti i presupposti per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie nei limiti e nei termini di cui in motivazione.
Spese compensate.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Rovis, Presidente
[#OMISSIS#] Guarracino, Consigliere
[#OMISSIS#] Bruno, Primo Referendario, Estensore
Pubblicato il 01/09/2016