TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 9 giugno 2016, n. 2959

Equivalenza diploma di massaggiatore massofisioterapista triennale e diploma universitario-Riconoscimento CFU-Test di ingresso

Data Documento: 2016-06-09
Area: Giurisprudenza
Massima

Il “diploma di massaggiatore massofisioterapista triennale” non può considerarsi automaticamente equivalente al diploma universitario di laurea in fisioterapia, atteso il disposto dell’art. 4, comma 1, l. 26 febbraio 1999, n. 42, che – nel dettare una specifica disciplina transitoria sulla validità dei titoli formativi acquisti (al di fuori di strutture universitarie) in base alla normativa precedente alla riforma attuativa dell’art. 6, comma 3, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 di riordino della disciplina in materia sanitaria – espressamente stabilisce come soltanto i diplomi ed attestati conseguiti anteriormente a detta riforma debbano essere riconosciuti dall’Università ai fini della “riconversione creditizia”, con conseguimento, per l’effetto, del relativo diploma triennale universitario (c.d. laurea breve).

La non equivalenza del diploma di massaggiatore massofisioterapista triennale al diploma universitario di laurea in fisioterapia non equivale ad affermare la totale irrilevanza del titolo in questione, considerata la possibilità per i singoli atenei di apprezzare, quali “conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia”, la relativa esperienza abilitante mediante l’attribuzione di taluni crediti formativi universitari, ai sensi dell’art. 5, comma 7, d.m. 22 ottobre 2004, n. 270.

La tesi per cui valutazione del titolo ai fini del riconoscimento di CFU sarebbe possibile solo a seguito di superamento della prova selettiva di accesso al numero chiuso non merita favorevole considerazione, in quanto presenta profili di contraddittorietà nella misura in cui, da un lato, sembra ammettere che, superati i test di ingresso, il ricorrente possa venire ammesso al terzo anno del corso di laurea in Fisioterapia, ma, dall’altro, nega ogni tipo di validità al diploma triennale di massofisioterapista nel caso di mancato superamento del test d’ingresso. Del resto, la ratio dei test di ingresso nelle facoltà a numero chiuso è, in primo luogo, quella di accertare la predisposizione del candidato per le discipline oggetto dei corsi alla cui iscrizione ambisce. Tale preliminare verifica nel caso di specie appare superflua, considerato che il conseguimento del titolo di studio di massofisioterapista assicura, già in sé, questa predisposizione.

Contenuto sentenza

N. 02959/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01999/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1999 del 2016, proposto da: 
-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avv. Benedetta Leone, con domicilio eletto presso Benedetta Leone in Napoli, viale Gramsci, 23; 
contro
Seconda Università degli Studi di Napoli, in persona del Rettore p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Napoli, Via Diaz, 11; 
per l’annullamento
della nota prot. n. 18656/2016 del 8.4.2016 con la quale è stata negata la domanda volta ad ottenere la riconversione creditizia del titolo di massofisioterapista triennale, la valutazione e la conversione dei crediti formativi e la consequenziale iscrizione al terzo anno del corso di laurea in fisioterapia dell’Ateneo
di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Seconda Università degli Studi di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2016 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
I ricorrenti hanno conseguito il diploma triennale di massofisioterapista in un periodo successivo al 1997, presso l’Istituto E. Fermi di Perugia ( come rispettivamente indicato a pag. 2 del ricorso).
Il 10.3.2016 hanno presentato domanda all’intimato Ateneo per ottenere la riconversione creditizia del titolo, la valutazione e la conversione dei crediti formativi e la consequenziale iscrizione al terzo anno del corso di laurea in fisioterapia dell’ateneo.
La domanda è stata respinta con il gravato provvedimento, sul presupposto che ,essendo il corso di laurea a numero chiuso, la valutazione dei crediti relativi avrebbe potuto essere effettuata dagli organi accademici solo dopo il superamento della prova di ammissione nel limite dei posti messi a concorso.
Il ricorso è affidato alle seguenti censure:
violazione art. 4 legge 42/1999, art 6 co 3 D. Lgs 502/92: ai sensi della normativa citata, dovrebbe ritenersi l’equipollenza del titolo di massofisioterapista triennale di cui alla legge 403/1971 rispetto al diploma di laurea in fisioterapia. Pertanto il diploma conseguito da parte ricorrente sarebbe idoneo a consentire la riconversione creditizia ai fini dell’iscrizione all’ultimo anno del corso di laurea in fisioterapia, secondo il nuovo ordinamento.
In definitiva, i ricorrenti sostengono che il decreto ministeriale 27 luglio 2000 dichiari il titolo di massofisioterapista equipollente al diploma universitario di fisioterapista, di cui al decreto ministeriale 14 settembre 1994 n. 741, e che, perciò, esso rientri nel novero dei “diplomi, conseguiti in base alla normativa precedente… validi ai fini dell’accesso ai corsi di laurea specialistica, ai master e agli altri corsi di formazione post-base di cui al decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509 attivati nelle università”, come previsto dall’articolo 10, decimo comma, del decreto-legge n. 402/2001.
Da tale ricostruzione della normativa deriverebbe, secondo la tesi attorea, l’illegittimità del diniego, poiché la vigente normativa non prevede che per ottenere la riconversione dei crediti formativi non universitari sia necessario il superamento del test di ingresso.
Violazione art. 3 legge 241/90, difetto di motivazione e difetto di istruttoria, nonché incompetenza del dirigente servizio gestione carriere studenti, atteso che er necessaria una delibera del Consiglio di facoltà.
Si è costituita in giudizio la Seconda Università degli Studi di Napoli, chiedendo il rigetto del gravame.
Alla udienza in camera di consiglio del 25 maggio 2016 il ricorso è stato ritenuto in decisione.
Il Collegio ritiene che il ricorso possa essere deciso con sentenza in forma semplificata, in quanto lo stesso è manifestamente fondato e va accolto.
Per quanto riguarda la questione controversa, relativa alla valutabilità a fini creditizi del diploma triennale di massofisioterapista, essa è stata approfonditamente affrontata dal Consiglio di Stato (sesta Sezione) nella sentenza 30 maggio 2011 n. 3218.
La fattispecie ivi esaminata riguardava l’Università di Chieti, che aveva indetto un’apposita selezione indirizzata ai possessori di diploma di massofisioterapista per la riconversione del loro titolo, escludendo però coloro i quali avevano conseguito il diploma dopo il 1997.
La decisione, innanzi tutto, ha ricostruito il quadro normativo, che, per chiarezza espositiva, conviene riportare:
“2.1. Il dato da cui è necessario trarre le mosse riposa nell’art. 1, comma 1,l. 19 maggio 1971, n. 403 (nuove norme sulla professione e sul collocamento dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi), che – professionalizzando l’attività in questione – legittimava l’esercizio della “professione sanitaria ausiliaria” di massaggiatore e massofisioterapista soltanto per i massaggiatori e i massofisioterapisti diplomati da una scuola di massaggio e massofisioterapia statale o autorizzata con decreto del Ministro per la sanità. La giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 23 novembre 1985, n. 567) rilevò infatti che mercé detta disposizione l’attività di massaggiatore e di massofisioterapista aveva acquisito natura giuridica di libera professione. Occorreva dunque una previa abilitazione basata su un’apposita formazione tecnica dell’interessato. Quanto alla competenza amministrativa, dopo il passaggio delle competenze in materia di corsi professionali alle Regioni, competenti ad accreditare le scuole in questione erano quest’ultime.
2.2. Il successivo dato normativo di rilievo è quello dell’art. 6, comma 3, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, vale a dire la c.d. seconda riforma sanitaria, che, dopo aver posto disposizioni per la formazione universitaria del personale esercente le professioni sanitarie all’epoca chiamate “ausiliarie”, ha demandato al Ministro della sanità l’individuazione delle figure professionali da formare e dei relativi profili. Ciò in conformità alla previsione dell’art. 1, comma 1, lett. o) l. 23 ottobre 1992, n. 421 (delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) in base a cui dovevano essere previste nuove modalità di rapporto tra Servizio sanitario nazionale ed università, tra l’altro, per la formazione in ambito ospedaliero del personale sanitario e per le specializzazioni “post laurea”.
La disposizione di cui all’art. 6 (rapporti tra Servizio sanitario nazionale ed Università), comma 3,del conseguente d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 è stata poi modificata dall’art. 7 d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517.
Perciò ad oggi la formulazione di questo art. 6, comma 3, per quanto interessa la vicenda in esame, risulta la seguente: “A norma dell’art. 1, lett. o), l. 23 ottobre 1992, n. 421, la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione avviene in sede ospedaliera ovvero presso altre strutture del Servizio sanitario nazionale e istituzioni private accreditate. I requisiti di idoneità e l’accreditamento delle strutture sono disciplinati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica d’intesa con il Ministro della sanità. Il Ministro della sanità individua con proprio decreto le figure professionali da formare ed i relativi profili. Il relativo ordinamento didattico è definito, ai sensi dell’art. 9 l. 19 novembre 1990, n. 341, con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica emanato di concerto con il Ministro della sanità. Per tali finalità le regioni e le università attivano appositi protocolli di intesa per l’espletamento dei corsi di cui all’art. 2 l. 19 novembre 1990, n. 341. […] I corsi di studio relativi alle figure professionali individuate ai sensi del presente articolo e previsti dal precedente ordinamento che non siano stati riordinati ai sensi del citato art. 9 della legge 19 novembre 1990, n. 341, sono soppressi entro due anni a decorrere dal 1° gennaio 1994, garantendo, comunque, il completamento degli studi agli studenti che si iscrivono entro il predetto termine al primo anno di corso”.
In attuazione di tale previsione, il Ministro della sanità, con d.m. 14 settembre 1994, n. 741 (regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista) ha individuato il profilo professionale e il percorso formativo del fisioterapista.
Dopo aver confermato che a regime solo il diploma universitario di fisioterapista poteva abilitare all’esercizio della relativa professione, al fine di regolare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento ha previsto che sia un decreto interministeriale ad individuare i diplomi in precedenza conseguiti che potessero considerarsi equipollenti al nuovo titolo universitario ai fini dell’esercizio dell’attività professionale e dell’ammissione ai pubblici concorsi.
Prima che tale decreto fosse adottato è però intervenuta la l. 26 febbraio 1999, n. 42 (disposizioni in materia di professioni sanitarie), che, nel quadro della c.d. terza riforma sanitaria, ha disciplinato innovativamente e nei confronti di tutte le professioni sanitarie il passaggio dal vecchio ordinamento al nuovo, fondato ormai sul previo conseguimento del diploma universitario.
In tal senso, in funzione transitoria, l’art. 4, comma 1, della stessa legge stabilì (riguardo ai diplomi conseguiti in base alla normativa precedente quella di attuazione dell’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, vale a dire antecedenti la seconda riforma sanitaria), l’equipollenza, per l’esercizio professionale, ai nuovi diplomi universitari dei diplomi e attestati conseguiti in base alla normativa precedente che avevano permesso l’iscrizione ai relativi albi professionali, l’esercizio di attività professionale in regime di lavoro dipendente a autonomo o che fossero previsti dalla normativa concorsuale per l’accesso al S.S.N. o ad altri comparti del settore pubblico.
In una tale cornice, l’art. 4, comma 2, demandò ad apposito decreto del Ministero della sanità, di concerto con il Ministero dell’università e della ricerca scientifica, la definizione dei criteri per il riconoscimento come equivalenti ai diplomi universitari di cui all’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base, degli ulteriori titoli acquisiti anteriormente all’emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali.
In attuazione dell’art. 4 l. 26 febbraio 1999, n. 42 è poi stato emanato il d.m. 27 luglio 2000 il quale – sulla base dell’esigenza di individuare i titoli equipollenti ai diplomi universitari a norma del citato art. 4, comma 1, per dare certezza alle situazioni ed uniformità di comportamento – ha stabilito, all’art. 1, che i diplomi e gli attestati conseguiti in base alla normativa precedente a quella attuativa dell’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992 (indicati nella sezione B della riportata tabella) sono equipollenti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, l. n. 42 del 1999, al diploma universitario di fisioterapista di cui al decreto 14 settembre 1994, n. 741 del Ministro della sanità indicato nella sezione A della stessa tabella, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base.
A questo punto, ai sensi dell’art. 7 d.lgs n. 7 dicembre 1993, n. 517, modificativo dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, il quale disciplina la formazione del personale della riabilitazione, il Ministro della sanità avrebbe dovuto individuare le figure professionali da formare e i relativi profili, con conseguente soppressione, entro due anni dal 1 gennaio 1994, dei corsi di studio relativi alle figure professionali così individuate e previsti dal precedente ordinamento, che non fossero stati già riordinati ai sensi dell’art. 9 l. 19 novembre 1990, n. 341.
Non essendo però intervenuto un atto di individuazione della figura del massofisioterapista come una di quelle da riordinare, né essendo intervenuti atti di riordinamento del relativo corso di formazione o di esplicita soppressione, quella professione (e relativa abilitazione) è in sostanza rimasta configurata nei termini del vecchio ordinamento, con conseguente conservazione dei relativi corsi di formazione”.
Sulla scorta di tali premesse il Consiglio di Stato ha ritenuto fondate le argomentazioni tese a dimostrare che i diplomi di massofisioterapista conseguiti in data successiva al 1997 (epoca finale quest’ultima stabilita per la dichiarazione di equipollenza, ai sensi del testo dell’articolo 4, comma primo, della legge. n. 42 del 1999, dove si richiama l’articolo 6, comma terzo, del decreto legislativo n. 502 del 1992, come modificato dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 517 del 1993) possano essere riconosciuti dall’Università ai fini della “riconversione creditizia” per il conseguimento della laurea triennale.
Al riguardo, il Consiglio di Stato ha rilevato:
“3.2. A tal proposito, il richiamato articolo 4 l. n. 42 del 1999 non va considerato come norma “a regime”, applicabile estensivamente anche ai titoli conseguiti successivamente (sulla scorta della precedente normativa: l. 10 maggio 1971, n. 403, in relazione al diploma di massofioterapista). La norma ha invece finalità transitoria, essendo finalizzata a consentire che i (soli) titoli rilasciati dalle scuole regionali nel previgente sistema potessero essere equipararti a quelli di nuova istituzione (qualificati da un diverso e più impegnativo iter di conseguimento). L’utilizzo del participio passato (“conseguiti”) e qualificazione dei “vecchi” diplomi come ormai appartenenti alla “precedente normativa”, escludono che questi ultimi siano stati conservati a regime mediante un mero affiancamento al nuovo sistema ivi introdotto.
Pur nell’esclusività del nuovo sistema basato sulla formazione universitaria, la legge ha insomma consentito ai possessori dei diplomi regionali già conseguiti nel vigore della precedente disciplina di poter continuare ad operare in campo professionale.
Di converso, in materia di riconoscimento di crediti formativi universitari, l’art. 5, ultimo comma, d.m. 3 novembre 1999, n. 509 disponeva che “leuniversità possono riconoscere come crediti formativi universitari, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello postsecondario alla cui progettazione e realizzazione l’università abbia concorso”.
Simile previsione è contenuta all’art. 5, comma 7, d.m. 22 ottobre 2004, n. 270 integralmente sostitutivo del precedente e cui si è già fatto riferimento.
In sintesi, mediante il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (di riordino della disciplina in materia sanitaria) è stato ridefinito il profilo di fisioterapista, quale operatore sanitario in possesso del diploma universitario abilitante (cfr. d.m. 14 settembre 1994, n. 741, art. 1, recante regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista).
Il d.m. 27 luglio 2000,sull’equipollenza di diplomi e di attestati al diploma universitario di fisioterapista, di attuazione dell’art. 4, comma 1, l. 26 febbraio 1999, n. 42 – ha stabilito la sola equipollenza tra i diplomi e gli attestati conseguiti prima della riforma (al di fuori di strutture universitarie) e il diploma universitario di fisioterapista di cui al d.m. 14 settembre 1994 n. 741.
Nel caso in esame, tuttavia non viene in rilievo la questione dell’equipollenza fra i due titoli, ma quella, diversa, della valutabilità del diploma triennale conseguito dopo il 1997 ai fini della riconversione creditizia.
Al riguardo il giudice di appello, nella citata pronuncia, sulla scorta del rilievo che : “. In questo complesso sistema, i corsi formativi organizzati dalle regioni non risultano essere stati interrotti”, ha affermato che il venir meno dell’equipollenza dei diplomi di formazione professionale successivi al 1997 con le attuali lauree universitarie in materia sanitaria non implica – come aveva reputato l’Università – che tali diplomi regionali siano da considerare inefficaci.
“Questo Consiglio di Stato ha ritenuto che le regioni potevano continuare a svolgere anche successivamente al riassetto dell’intero sistema (di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 6) le attività di formazione professionale, stante la diversità della “tipologia di formazione delle finalità dei corsi, del valore dei titoli rilasciati” rispetto a quella di livello universitario, così che – ferma restando la differenza fra la formazione professionale regionale e quella statale (la quale sola è direttamente connessa all’attività di formazione culturale e scientifica realizzata in sede di istruzione superiore ed universitaria) – i corsi e i diplomi regionali continuano ad avere efficacia per le professioni sanitarie (aggettivate come “ausiliarie”), sia pure con utilità minori e diverse dall’abilitazione diretta alla professione stessa (Cons. Stato, IV, 5 agosto 2003, n. 4476).
Permane dunque il cd. doppio canale di formazione. Ciò – come rilevato nella detta decisione- ai sensi dell’art. 141 d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che i prevede che i titoli rilasciati in sede di formazione professionale devono ritenersi tutt’oggi volti al conseguimento di una qualifica (attestato di qualifica o patente di mestiere), di un diploma di qualifica superiore o di un credito formativo, escludendosi così effetti irrilevanti o di inefficacia assoluta .
La mancanza di equipollenza alla laurea e l’inidoneità all’esercizio della professione, non implicano l’inutilità del titolo conseguibile (ed effettivamente conseguito), come sostenuto dall’Università .
Tali principi sono pienamente condivisi dal Collegio e possono trovare applicazione nella controversia in esame, essendo peraltro già stati recepiti in numerosi precedenti della Sezione (cfr. da ultimo sentenza n.1118 del 1.3.2016).
Invero,la ragione del riconoscimento mediante crediti formativi universitari della carriera pregressa è finalizzata ad abbreviare il percorso di studi dello studente nel corso di laurea, e concerne l’apprezzamento – da parte del singolo ateneo, in relazione all’attinenza con la disciplina di laurea – del curriculum dello studente riguardo a corsi, diplomi, ed attività di settore perfezionati e certificati (art. 7, comma 5, d.m. 22 ottobre 2004, n. 270). Sarebbe perciò non logico considerare che da un siffatto riconoscimento siano escluse esperienze che sono state certificate come conformi a quelle richieste dall’ateneo procedente, e solo perché prive di formale equipollenza con il diploma di laurea conseguire cui è orientato il percorso formativo.
L’espressione “conoscenze ed abilità certificate” implica invece un curriculum composto di corsi e titoli privi ancora di utilità professionale ed abilitativa rispetto all’obiettivo universitario da raggiungere, ma comunque in sé utilizzabili per abbreviarne il percorso. All’Ateneo peraltro non è sottratta la discrezionalità di apprezzare con maggiori crediti un’esperienza abilitante rispetto ad una meramente formativa: ciò che risulta illegittimo, invece, è il negare ex ante qualsiasi rilievo nei confronti di diplomi espressamente considerati fra quelli chiamati al riconoscimento, solo perché sprovvisti di equipollenza.
Sostiene inoltre l’Ateneo nel gravato provvedimento che la valutazione del titolo sarebbe possibile solo a seguito di superamento della prova selettiva di accesso al numero chiuso. In altri termini, secondo l’Università, i ricorrenti per potere accedere al Corso di Laurea in Fisioterapia sarebbero tenuti a superare il test d’ingresso alla Facoltà , al pari dei neo-diplomati presso Istituti scolastici di istruzione secondaria, e soltanto successivamente all’atto dell’immatricolazione potrebbero ottenere la valutazione del proprio titolo da parte dei competenti organi accademici.
La tesi dell’Università non merita favorevole considerazione, in quanto presenta profili di contraddittorietà nella misura in cui, da un lato, sembra ammettere che, superati i test di ingresso, i ricorrenti possano venire ammessi al terzo anno del corso di laurea in Fisioterapia, ma, dall’altro, nega ogni tipo di validità al diploma triennale di massofisioterapista nel caso di mancato superamento del test d’ingresso.
Come ritenuto dal giudice di appello:” Si finisce in tal modo per subordinare la piena operatività dell’equipollenza tra i titoli ad una condizione (il superamento, appunto, dei test di ingresso) che né la legge n. 42 del 1999 né d.m. 27 luglio 2000) prendono in alcun modo in considerazione.
Del resto, la ratio dei test di ingresso nelle Facoltà a numero chiuso di cui alla legge 2 agosto 1999, n. 264 è, in primo luogo, quella di accertare la predisposizione del candidato per le discipline oggetto dei corsi alla cui iscrizione ambisce. Tale preliminare verifica nel caso di specie appare superflua, considerato che il conseguimento del titolo di studio di massofisioterapista (in virtù soprattutto della prevista equipollenza con il diploma universitario triennale) assicura, già in sé, questa predisposizione. “(CdS sentenza n. 1105/2015).
Il ricorso va conclusivamente accolto, con annullamento del gravato diniego, e salvo gli ulteriori provvedimenti dell’Ateneo per la valutazione del percorso formativo di ciascun ricorrente.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la nota in epigrafe della Seconda Universita’ degli studi di Napoli,salvo gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Condanna il resistente Ateneo alla rifusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente, liquidate in complessivi Euro 2500,00 oltre che alla rifusione del contributo unificato,se ed in quanto dovuto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Vista la richiesta dell’interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte interessata.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Di Napoli, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)