TAR Lazio, Roma, Sez. III, 22 novembre 2016, n. 11630

Professore ordinario-Revoca assegno ad personam spettante quale ex membro C.S.M.

Data Documento: 2016-11-22
Area: Giurisprudenza
Massima

L’abrogazione dell’art. 202 T.U. 10 gennaio 1957, n. 3 rientra nel quadro complessivo disciplinato dall’art. 1, commi 458 e 459, l. 27 dicembre 2013, n. 147 che, in una condivisibile logica di contenimento delle spese e di ridimensionamento di pregressi trattamenti economici, ha inteso rivedere in modo più rigoroso e restrittivo la materia delle retribuzioni dei dipendenti rientrati nei ruoli di appartenenza dopo essere cessati da precedenti ruoli o incarichi di qualsiasi natura, con l’espressa intenzione di abrogare le previgenti norme contrarie, anche di natura speciale.

L’art. 1, comma 458, l. 27 dicembre 2013, n. 147 non si è limitata ad abrogare l’articolo 202 T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, e l’art. 3, commi 57 e 58, l. 24 dicembre 1993, n. 537, ma ha previsto, altresì, in linea ampia e generale, che “ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità”. La norma, dunque, impone un vincolo chiaro in ordine al trattamento da corrispondere ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto incarichi o ruoli, dopo la cessazione degli stessi, ed è sufficiente di per sé ad impedire che il beneficio dell’assegno ad personam, eventualmente riconosciuto da preesistenti disposizioni, possa continuare a produrre effetti per il futuro dopo l’entrata in vigore della legge n. 147/2013.

La nomina del commissario ad acta, per il caso di persistente inerzia dell’Amministrazione, esclude la possibilità di condannare quest’ultima anche al pagamento della astreinte: infatti, diversamente opinando, si correrebbe il rischio di far gravare, ingiustamente, sull’amministrazione le conseguenze sanzionatorie di eventuali ulteriori ritardi imputabili non ad essa, bensì all’ausiliario del giudice.

Contenuto sentenza

N. 11630/2016 REG.PROV.COLL.
N. 15772/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 15772 del 2015, proposto da: 
Giovanni Quadri, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] C.F. TDSFRC48A24H501P e [#OMISSIS#] Covino C.F. CVNGMR80S12H501O, ed elettivamente domiciliato presso lo Studio Legale [#OMISSIS#] in Roma, largo Messico, 7; 
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca e Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona dei rispettivi Ministri in carica, il Consiglio Superiore della Magistratura, l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” in persona del rettore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui sono domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’esecuzione
della sentenza n.5523/2012 emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sez. Terza sul ricorso r.g. n. 2296/2003;
e per la condanna
– delle Amministrazioni resistenti al pagamento, ex art. 112, comma 3, c.p.a. dell’ulteriore somma dovuta a titolo di rivalutazione monetaria e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza;
– delle Amministrazioni resistenti al pagamento, ex art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a. di una somma di denaro a titolo di penalità di mora (c.d. astreinte) da determinarsi in via equitativa per ogni ulteriore violazione e/o inosservanza;
nonché per la nomina
di un Commissario ad acta che provveda in luogo dell’Amministrazione.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’università e della Ricerca e del Consiglio Superiore della Magistratura;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2016 il dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori l’Avv. G. Covino e l’Avvocato dello Stato A. [#OMISSIS#];
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, professore ordinario di diritto pubblico presso l’Università Parthenope di Napoli, è stato componente elettivo del CSM dal 9 luglio 1981 al 9 marzo 1986, e in tale veste ha potuto beneficiare del trattamento economico di cui all’art. 40, della L. n. 195/1958, il quale prevede per i componenti del CSM eletti dal Parlamento la corresponsione di un assegno mensile lordo pari al trattamento complessivo spettante, per stipendio ed indennità di rappresentanza, ai magistrati indicati nell’art. 6, n. 3, della legge 24 maggio 1951, n. 392 (Presidente di Sezione di Cassazione).
Con ricorso al TAR del Lazio n. 2296/2003 il Prof. Quadri, riammesso nei ruoli dei professori universitari a far data dal 7 marzo 1986, ha contestato, sulla base di quanto affermato in materia dalla sentenza della Sezione Sesta del Consiglio di Stato n. 845/2002, la quantificazione dell’assegno corrispostogli ai sensi dell’art. 3, comma 1, della L. n. 312/1971, asserendo che in sede di calcolo dello stesso l’Amministrazione non aveva tenuto conto dell’indennità prevista dall’art. 3 della L. n. 27/1981.
Con sentenza n. 5523/2012, depositata il 15 giugno 2012, il TAR del Lazio ¬ Roma, Sezione Terza, ha accolto il ricorso, dichiarando il diritto dell’interessato alla quantificazione dell’assegno ad personam di cui all’art. 3 delle legge 19 febbraio 1981, n. 27 nella misura dovuta al Presidente di Sezione di Cassazione e alla corresponsione dei conseguenti arretrati dovutigli a seguito del computo di cui sopra, maturati successivamente al 19 febbraio 1993 e aumentati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, con decorrenza dalla maturazione di ciascun rateo.
La predetta sentenza è passata in giudicato, non essendo stata proposta impugnazione avverso la medesima entro i termini di legge.
L’istante ha, quindi, notificato, ai fini dell’esecuzione atto di diffida e messa in mora in data 27/28 gennaio 2015 alle Amministrazioni resistenti, che sono rimaste inerti.
Pertanto il prof. Quadri ha proposto il presente ricorso, chiedendo che all’Amministrazione soccombente venga ordinato di conformarsi al giudicato.
Il Consiglio Superiore della Magistratura si è costituito in giudizio con memoria depositata l’8 marzo 2016 con la quale svolge articolate eccezioni ed osservazioni.
In particolare il C.S.M. ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva assumendo che l’obbligo di provvedere alla corresponsione degli assegni in favore del ricorrente spetti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca attesa la qualifica di professore ordinario rivestita dal ricorrente, in applicazione dell’art. 4, comma 2, della legge n. 312 del 1971 (cfr. pag. 12 memoria avvocatura dello Stato).
Ha eccepito, altresì, l’effetto retroattivo che scaturirebbe dall’art. 1, comma 459, della legge 147/2013 (legge di stabilità 2014) che comporterebbe l’obbligo di respingere la domanda del prof. Quadri con effetto retroattivo (cfr. pag. 16 memoria avvocatura dello Stato).
Con ordinanza n. 3090 del 9 marzo 2016 sono stati disposti incombenti istruttori in relazione alla eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal C.S.M., invitando il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ad esprimere le proprie osservazioni in proposito.
In vista della camera di consiglio del 19 ottobre 2016 il ricorrente ha presentato memoria in cui ribadisce lapropria tesi.
Alla camera di consiglio del 19 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
In primo luogo, occorre soffermarsi sulla eccezione del CSM con la quale tale organo ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva ritenendo che l’obbligo di provvedere alla corresponsione degli assegni in favore del ricorrente incomba soltanto in capo al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, attesa la qualifica di professore ordinario rivestita dal ricorrente.
Tale eccezione deve essere considerata inammissibile in quanto in sede di ottemperanza il giudice dell’esecuzione e l’Amministrazione non possono incidere sulle statuizioni del giudice coperte dal giudicato.
Attesi gli effetti preclusivi e conformativi della sentenza di parziale accoglimento del TAR Lazio — Roma, Sezione Terza, n. 5523/2012, depositata il 15 giugno 2012, non può, in questa sede, essere rimessa in discussione quale delle parti soccombenti, nell’ambito della citata sentenza n. 5523/2012,dovrà, in sede di esercizio del potere, dare esecuzione al giudicato stesso.
Ciò comporta che in sede di esecuzione come precisato nell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 2/2013 “l’accertamento definitivo del giudice relativo alla sussistenza di determinati presupposti relativi alla pretesa del ricorrente non potrà non essere vincolante per la pubblica amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 giugno 2012, n. 3569 ha affermato che l’ampiezzadell’accertamento sostanziale contenuto nella sentenza passata in giudicato condiziona gli spazi di applicabilità anche della normativa sopravvenuta).
Venendo al merito del ricorso si osserva che con sentenza n. 5523/201 del 15 giugno 2012 questo Tribunale ha accolto il ricorso del Prof. Quadri, dichiarando il diritto dello stesso alla quantificazione dell’assegno ad personam di cui all’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 nella misura dovuta al Presidente di Sezione di Cassazione e alla corresponsione dei conseguenti arretrati dovutigli a seguito del computo di cui sopra, maturati successivamente al 19 febbraio 1993 e aumentati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, con decorrenza dalla maturazione di ciascun rateo.
Tale sentenza è passata in giudicato, non essendo stata proposta impugnazione avverso la medesima entro i termini di legge.
Sebbene il ricorrente abbia invitato formalmente le amministrazioni ad eseguire la decisione con atto di diffida in data 27/28 gennaio 2015 le stesse sono rimaste inerti.
Venendo all’esame della impugnazione in esame l’Avvocatura dello Stato ha eccepito, in primo luogo, che in virtù di recenti modifiche normative la domanda del ricorrente debba essere respinta con effetto retroattivo.
La tesi non convince, in virtù del principio dell’irretroattività dell’art. 1 commi 458-459 della legge n. 147 del 2013, la cui entrata in vigore ha comportato l’abrogazione dell’art. 202 del T.U. n. 3 del 1957 e, quindi, degli assegni ad personam.
Invero, il principio di irretroattività della legge previsto dall’articolo 11 delle preleggi al codice civile comporta, in aderenza a consolidati principi giurisprudenziali (cfr. ex plurimis, sentenze della Corte Costituzionale n. 24 del 2009; n. 11 del 2007; n. 409 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999 e n. 390 del 1995; Cassazione civile sez. I, 3/7/2013, n. 16620), condivisi dal Collegio, che“una volta che si sia verificato il fatto generatore della pretesa (sia esso una norma di legge, un contratto, oppure un provvedimento amministrativo per le categorie non contrattualizzate), ed in assenza di una norma che espressamente disponga la retroattività della norma sopravvenuta, il principio dell’irretroattività della legge previsto dall’art. 11 preleggi fa sì che la norma di abrogazione dell’art. 202 T.U. n. 3 del 1957 non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, anche a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ove, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso; mentre la medesima nuova disposizione potrà incidere sui rapporti successivamente instauratisi, o nei quali non vi sia collegamento con il fatto che li ha generati (Cassazione civile sez. lav. 9/1/2014 n. 301)”.
Nella memoria depositata per la camera di consiglio del 19.10.2016 il ricorrente deduce, altresì, l’infondatezza della ulteriore eccezione sollevata dalla difesa dell’Amministrazione nella memoria di costituzione, in ordine alla applicabilità, al caso di specie, dell’art. 1, commi 458 e 459, della l. 147/2013, in modo che gli effetti peggiorativi della abrogazione dell’art. 202 (disposta dall’art. 1, comma 458), in termini di adeguamento della posizione stipendiale dell’assegno ad personam, inizino a decorrere dalla prima mensilità successiva all’entrata in vigore della legge 147/2013.
Ciò premesso, nel caso di specie va considerato che la sentenza di cui si chiede l’esecuzione ha accolto la domanda del docente, in quanto al Prof. Quadri non era stata riconosciuta la somma dovuta a decorrere dal 19 febbraio 1993; pertanto in sede di esecuzione è chiesto che venga elargito il trattamento economico spettante al ricorrente sin da quella data, fino a quella della presente decisione.
La menzionata sentenza n. 5523/2012, tuttavia, non impedisce che il trattamento economico complessivo del ricorrente possa essere ricondotto a quello dei colleghi di pari anzianità, a decorrere dalla prima mensilità successiva all’entrata in vigore della legge 147/2013, in quanto, nel caso di specie, non è messo in discussione l’accertamento contenuto in tale decisione, ma occorre applicare una norma sopravvenuta, quale è il ripetuto art. 1, comma 459, della legge 147/2013 alla posizione economica del ricorrente.
A tal riguardo il collegio, re melius perpensa, ritiene di dover rivedere l’orientamento manifestato in precedenti decisioni (tra cui quella richiamata dal ricorrente n. 8985/2016) alla luce delle analitiche e persuasive eccezioni proposte dalla difesa dell’Amministrazione.
In tal senso occorre considerare che l’abrogazione dell’art. 202 TU n. 3/1957 rientra nel quadro complessivo disciplinatodall’art. 1, commi 458 e 459,della legge 147/2013 che, in una condivisibile logica di contenimento delle spese e di ridimensionamento di pregressi trattamenti economici, ha inteso rivedere in modo più rigoroso e restrittivo la materia delle retribuzioni dei dipendenti rientrati nei ruoli di appartenenza dopo essere cessati da precedenti ruoli o incarichi di qualsiasi natura (come è avvenuto nella situazione in esame), con l’espressa intenzione di abrogare le previgenti norme contrarie, anche di natura speciale.
In tale quadro, occorre osservare che la legge 147/2013 con il comma 458 non si è limitata ad abrogare l’articolo 202 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e l’articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ma ha previsto, altresì, in linea ampia e generale, che “ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità”.
La norma appena richiamata impone un vincolo chiaro in ordine al trattamento da corrispondere ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto incarichi o ruoli, dopo la cessazione degli stessi ed è sufficiente di per sé ad impedire che il beneficio dell’assegno ad personam, eventualmente riconosciuto da preesistenti disposizioni, possa continuare a produrre effetti per il futuro dopo l’entrata in vigore della legge n. 147/2013 (cfr. comma 459 dell’art. 1).
In senso contrario (come accennato in precedenza) non vale la giurisprudenza richiamata dal ricorrente, secondo cui l’abrogazione del solo art. 202 cit. non sarebbe sufficiente ad eliminare dall’ordinamento anche gli effetti dell’art. 3 della l. 312/1971, in virtù della diversa natura dell’incarico in relazione al quale quest’ultima norma riconosce l’assegno ad personam e alla funzione svolta da quest’ultimo.
L’art. 3 della legge n. 312/1971, invero,dispone che “ai componenti che fruiscono del trattamento previsto dall’articolo 40, comma terzo, della legge 24 marzo 1958, n. 195, l’assegno mensile a carico del Consiglio superiore della magistratura verrà tramutato, all’atto della cessazione dalla carica per decorso del quadriennio, in assegno personale agli effetti e nei limiti stabiliti dall’articolo 202 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3”.
La norma equipara chiaramente l’assegno ad personam “agli effetti e nei limiti stabiliti” dall’art. 202 del T.U. 3/1957, il quale è stato espressamente abrogato dall’art. 1, commi 458 e 459, della legge 147/2013.
Siffatta considerazione,insieme alla sopra richiamata portata generale dell’intervento contenutivo della spesa pubblica, delineato dall’art. 1, commi 458 e 459, della legge 147/2013, non può che indurre a condividere la tesi sostenuta dall’Amministrazione in ordine alla impossibilità di continuare a concedere l’assegno ad personam a decorrere dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della legge n. 147/2013.
Del resto a tale tesi sembra accedere lo stesso interessato nella memoria depositata il 3.10.2016 (cfr. pag. 4), che in subordine chiede di conservare il trattamento economico quanto meno per il perdio pregresso fino all’entrata in vigore della richiamate legge n. 147/2013.
In virtù di quanto osservato il ricorso in epigrafe deve quindi essere accolto nei limiti sopra indicati, ordinando alle Amministrazioni resistenti di dare esecuzione, entro 90 giorni, alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio — Roma, Sezione Terza, n. 5523/2012, nella parte in cui ha dichiarato il diritto del Prof. Giovanni Quadri alla quantificazione dell’assegno ad personam, tenendo conto dell’indennità giudiziaria di cui all’art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27 nella misura dovuta al Presidente di Sezione di Cassazione e alla corresponsione dei conseguenti arretrati maturati a decorrere dal 19 febbraio 1993 fino alla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della legge n. 147/2013.
In proposito, quanto al cumulo di interessi e rivalutazione riconosciuto dalla sentenza n. 5523/2012, è opportuno precisare che nella fattispecie trova applicazione il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi per gli inadempimenti successivi al 1.1.1995, secondo quanto previsto dall’art. 22, comma 36, della legge 23.12.1994, n. 724.
Di conseguenza sui crediti retributivi maturati fino al 31.12.1994 va corrisposto, oltre agli interessi legali, il danno da svalutazione, mentre per quelli maturati dopo tale data (dal 1.1.2015) competono solo gli interessi legali.
In caso di persistente inerzia oltre il termine massimo assegnato decorrente dalla comunicazione o notificazione della presente decisione provvederà, quale Commissario ad acta ed organo ausiliario del giudice, il nella persona del Prefetto della provincia di Roma o un dirigente dallo stesso delegato, perché provveda nel termine ulteriore di giorni sessanta.
Infine non può trovare accoglimento la richiesta di applicazione delle penalità previste dall’art. 114, comma 4, lett. e) del c.p.a.-.
Innanzi tutto occorre rammentare che, secondo il giudice d’appello (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 4 settembre 2012, n. 4685), l’astreinte (detta anche penalità di mora) può trovare applicazione se sussistono tutti i tre presupposti stabiliti dall’art. 114 comma 4, lettera e), cod. proc. amm., ossia quello positivo, costituito dalla richiesta di parte, e quelli negativi, costituiti dall’insussistenza di profili di manifesta iniquità e dall’insussistenza di altre ragioni ostative.
A tali argomenti si deve poi aggiungere che, nel caso in esame, la domanda di applicazione della misura prevista dalla disposizione dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. è stata proposta unitamente alla domanda di nomina di un Commissario ad acta ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera d), cod. proc. amm.-.
Ebbene, a tal riguardo la giurisprudenza (cfr. T.A.R. Piemonte Torino, Sez. I, 21 dicembre 2012, n. 1386) ha già avuto modo di evidenziare che la nomina del commissario ad acta, per il caso di persistente inerzia dell’Amministrazione esclude la possibilità di condannare quest’ultima anche al pagamento della astreinte: infatti, diversamente opinando, si correrebbe il rischio di far gravare, ingiustamente, sull’amministrazione le conseguenze sanzionatorie di eventuali ulteriori ritardi imputabili non ad essa, bensì all’ausiliario del giudice.
Per cui la misura della misura sanzionatoria potrebbe essere applicata solo nel periodo intercorrente fino all’eventuale insediamento del commissario ad acta.
Tenuto conto delle suesposte considerazioni il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per accedere alla richiesta di applicazione della misura prevista dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., in aggiunta alla nomina del Commissario ad acta.
Le spese del giudizio devono essere poste a carico dell’Amministrazione intimata nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Ordina al Commissario ad acta, come sopra designato, nell’ipotesi di perdurante inadempienza da parte delle suddette amministrazioni a provvedere all’esecuzione della detta sentenza, nell’ulteriore termine di giorni novanta;
Condanna le Amministrazioni intimate alla rifusione delle spese di lite in favore del ricorrente, che liquida in complessivi € 1000,00 (mille/00), oltre al rimborso del contributo unificato e delle spese di notifica, e con l’aggiunta degli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] De [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 22/11/2016