L’accesso ai documenti amministrativi non è strumento di esercizio di un potere esplorativo, sicché, in ordine alla specificazione dell’oggetto dell’istanza proposta, la domanda di accesso: a) deve avere un oggetto determinato o quanto meno determinabile; b) deve riferirsi a specifici documenti senza necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta; c) deve essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore; d) non può essere uno strumento di controllo generalizzato dell’operato della P.A. (TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 4 aprile 2016, n. 36; TAR Lazio, Roma, Sez. I quater, 18 marzo 2016, n. 3364).
TAR Lazio, Roma, Sez. I quater, 8 febbraio 2017, n. 2132
Accesso atti-Rigetto istanze di riesame, ex art. 25, comma 4, legge 7 agosto 1990, n. 241, avverso il diniego all’ istanza di accesso ai documenti amministrativi del MIUR
N. 02131/2017 REG.PROV.COLL.
N. 09106/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9106 del 2016, proposto da:
Sevitalia Sicurezza S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti [#OMISSIS#] Lupo, [#OMISSIS#] Tiribocchi e [#OMISSIS#] Scaramella, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via [#OMISSIS#] Gaurico, 257;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Securpol Group S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti [#OMISSIS#] Gentile e [#OMISSIS#] Cavina, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] Gentile in Roma, via [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], 19;
per l’annullamento
del provvedimento di aggiudicazione alla Securpol Group S.r.l. della gara relativa all’affidamento del servizio di vigilanza presso le sedi del dipartimento della Protezione civile in Roma, via Ulpiano 11, via Vitorchiano 4 e via Affile 142.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Securpol Group S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;
Relatrice la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Uditi, nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2017, i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato il 22 luglio 2016 e depositato il successivo 4 agosto la società Sevitalia Sicurezza S.r.l. ha impugnato il provvedimento del 24 giugno 2016 del Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con il quale è stata aggiudicata alla Securpol Group S.r.l. la gara relativa all’affidamento del servizio di vigilanza presso le sedi del Dipartimento della Protezione civile in Roma, unitamente agli atti di gara.
Ha chiesto la sospensione degli atti impugnati in via cautelare; nel merito ne ha chiesto l’annullamento dichiarandosi disponibile al subentro nel contratto, ove nelle more stipulato.
Si sono costituite in giudizio l’amministrazione intimata e la controinteressata per resistere al gravame.
Con ordinanza n. 4893 del 31 agosto 2016 la Sezione, in composizione feriale, ha respinto l’istanza cautelare per mancanza di fumus.
Con ordinanza n. 4707/2016 il Consiglio di Stato ha respinto l’appello cautelare stante l’assenza del periculum in mora, anche alla luce della già avvenuta fissazione dell’udienza di discussione.
In vista della trattazione del merito le parti hanno depositato memorie conclusive e all’udienza pubblica del 31 gennaio 2017, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. La ricorrente ha partecipato alla gara de qua, unitamente ad altri 10 concorrenti, e si è classificata al secondo posto dietro Securpol Group S.r.l. che, superata positivamente la verifica di anomalia dell’offerta, ha conseguito l’aggiudicazione.
2.1. Dopo aver descritto, nella narrativa, alcune “anomalie” della gara, la ricorrente censura soltanto l’aggiudicazione ritenendola illegittima per i motivi di seguito sintetizzati.
1) Violazione dell’art. 38 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163; della lex specialis: punto 111.2 del bando di gara e artt. 3, 7, 14 e 16 del disciplinare di gara.
Con tale motivo la ricorrente sostiene che la commissione di gara avrebbe dovuto escludere Securpol Group S.r.l.: per non aver reso la dichiarazione ex art. 38 comma 2 DLGS 163/06 del socio unico persona giuridica; per non essere in possesso degli attestati di idoneità tecnica nella prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione dell’emergenza, ai sensi del DPR 1 agosto 2011, n. 151; per non aver attestato il possesso della certificazione di qualità obbligatoria per gli istituti di vigilanza e relativi servizi UNI 10891.
2) Violazione degli artt. 86, 87, 88 del D. Lgs. 163/2006 e della lex specialis; eccesso di potere per errore sui presupposti di fatto, travisamento di fatti, insufficiente istruttoria, omessa, contraddittoria e illogica motivazione.
Con tale motivo la ricorrente censura il subprocedimento di verifica della congruità dell’offerta della controinteressata sostenendo che questa non avrebbe giustificato le anomalie evidenziate nella seconda richiesta della commissione. L’offerta non sarebbe congrua: quanto alla ripartizione del monte ore complessivo del servizio tra nuovi assunti e personale da riassorbire; quanto alla turnazione proposta; quanto al computo degli scatti di anzianità e al calcolo dell’indennità diurna prevista dal CCNL.
2.2. La controinteressata, quanto al primo motivo, obietta che l’art. 38, comma 1, lett b) e c), del D.Lgs. 163/2006, nel testo modificato dalla legge di conversione del c.d. “decreto sviluppo” (D.L. 70/2011), circoscrive l’obbligo di verifica circa la sussistenza dei requisiti di moralità professionale al socio unico “persona fisica” restando il socio unico “persona giuridica” escluso dal novero dei soggetti tenuti a rendere le dichiarazioni in parola.
In ogni caso, essendo stato il bando di gara pubblicato il 17 agosto 2015, ossia sotto la vigenza della novella di cui all’art 39 del D.L. 90/2014, al più sarebbe stato applicabile il soccorso istruttorio “a pagamento”.
Quanto alla censura inerente la non veridicità delle dichiarazioni circa l’idoneità tecnica nella prevenzione degli incendi per attività a rischio di incendio elevato (punto 111.2.3 del bando), la controinteressata spiega di aver attestato un’idoneità professionale analoga a quella comprovata dagli attestati prodotti dalla ricorrente, ricalcando la dicitura del disciplinare che si è poi rivelata a-tecnica.
Quanto alla mancata produzione del certificato di qualità obbligatoria per gli istituti di vigilanza UNI 10891, la controinteressata fa presente di aver autodichiarato il requisito atteso che il disciplinare di gara, all’art. 16, punto 7, consentiva ai concorrenti di prender parte alla procedura autodichiarando il possesso della certificazione di qualità UNI 10891. Successivamente, essendo stata sorteggiata per la verifica, ai sensi dell’art. 48 del D.Lgs. n. 163 del 2006, ha prodotto il suddetto certificato (doc. 1 e 2 del fascicolo di Securpol).
In ordine al secondo motivo la controinteressata, oltre a contestare nel merito i singoli punti relativi alla pretesa insufficienza delle giustificazioni, obietta che comunque le censure sono generiche e che la ricorrente non ha allegato alcun elemento utile a dimostrare che, ove anche le censure specifiche fossero fondate, l’offerta di Securpol risulterebbe in perdita.
2.3. L’amministrazione ha innanzitutto rilevato la tardività della censura riguardante l’omessa indicazione nel bando dei costi per la sicurezza e ne ha dedotto, comunque, l’infondatezza atteso che, come ammesso dalla stessa ricorrente, il richiamato aspetto è stato esplicato anche in sede di chiarimenti.
Ha anche rilevato l’ininfluenza della seconda asserita “anomalia” relativa ad un presunto “smarrimento” delle buste contenenti le offerte di due concorrenti, le quali, come ammesso dalla ricorrente, sono state immediatamente ritrovate e correttamente aperte, previa verifica dell’integrità e della tempestività della consegna delle stesse.
Nel merito ha svolto difese analoghe a quelle della controinteressata.
3. Il ricorso non può essere accolto.
3.1. Nella memoria conclusiva la ricorrente si è soffermata lungamente (da pag. 5 a pag. 21) sulle ragioni per le quali, a suo dire, l’amministrazione avrebbe dovuto escludere la controinteressata per la mancata presentazione delle dichiarazioni ex art. 38 D.Lgs. 163/2006 da parte del socio unico persona giuridica; ha poi riproposto quasi pedissequamente le argomentazioni sviluppate nel secondo motivo di ricorso. Ha, invece, sostanzialmente abbandonato le ulteriori censure minoritarie, risultate peraltro smentite in punto di fatto.
Quanto al primo motivo, in particolare, la ricorrente assume come dato di partenza il fatto che il capitale sociale di Securpol Group S.r.l. è interamente in capo ad un unico soggetto, Securpol Services S.r.l., il cui capitale sociale, a sua volta, è ripartito, in quote uguali del 50%, ai Sigg.ri Margherita [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] Menghini (doc. 20 del fascicolo della ricorrente).
Tali soggetti sarebbero qualificabili “socio di maggioranza in caso di società con meno di 4 soci” per i quali la legge impone il possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38 D.Lgs. 163/06 e la relativa dichiarazione.
Ciò posto, preso atto che i suddetti soggetti, che rappresentano il socio unico, e l’amministratore unico, Sig. Cellai, della società titolare dell’intero capitale sociale della aggiudicataria, non hanno presentato le dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b), c), m-ter) del richiamato codice dei contratti, la ricorrente sostiene che l’amministrazione avrebbe dovuto escludere Securpol Group S.r.l. in ossequio all’art. 38, comma 1, lett. b), c) e m-ter), che estende l’operatività delle cause di esclusione e quindi i relativi obblighi di attestazione, anche al socio unico persona fisica o al socio di maggioranza in caso di società con meno di 4 soci, nel caso il concorrente sia una società di capitali.
La questione, secondo la ricorrente, si incentra sul significato da attribuire alla locuzione “persona fisica”, con cui la norma definisce il socio unico del soggetto che partecipa alla gara, significato che non potrebbe essere quello fatto palese dalla lettura testuale della norma in discorso, come ritenuto dal Collegio in sede di delibazione sommaria, bensì dovrebbe essere inteso in modo più elastico ed estensivo sì da far ricadere tale obbligo anche sul socio unico “persona giuridica”.
Secondo la ricorrente l’interpretazione letterale della norma in commento, pur seguita dalla giurisprudenza prevalente, si porrebbe in contrasto con la stessa ratio ad essa sottesa, nel senso che consentirebbe l’elusione di principi comunitari e costituzionali.
Di conseguenza la ricorrente propugna una diversa interpretazione, fatta propria dal T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, con la sentenza 29 giugno 2015, n. 1507, e conclude che, seguendo tale diversa interpretazione, la controinteressata dovrebbe essere esclusa dalla gara.
3.2. La tesi della ricorrente non può essere condivisa.
Innanzitutto deve rilevarsi che l’art. 38, comma 1, lett. b) e c), D.Lgs. n. 163 del 2006, nel testo modificato dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, di conversione del D.L. 70/2011, laddove circoscrive l’obbligo di verifica della sussistenza dei requisiti di moralità professionale, al socio unico “persona fisica”, non offre alcuna ambiguità interpretativa; pertanto, il socio unico “persona giuridica” non può che ritenersi escluso dal novero dei soggetti tenuti a rendere le dichiarazioni in parola pur dovendosi dare atto che una previsione di tal fatta può consentire elusioni tramite la creazione di società prive di uno scopo reale o società-schermo (Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1593).
La giurisprudenza è pressochè unitariamente attestata su tale interpretazione (v. T.A.R. Friuli-Venezia [#OMISSIS#], 13 luglio 2016, n. 345; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 5 novembre 2015, n. 2849), che il Collegio ritiene doverosamente condivisibile in ossequio al principio per cui in claris non fit interpretatio.
D’altra parte la pronuncia del TAR lombardo, invocata dalla ricorrente, è rimasta un caso isolato atteso che lo stesso Tribunale, stessa sezione e stesso collegio, pochi giorni prima, si era espresso nel senso che l’obbligo dichiarativo posto dall’art. 38, D.Lgs. 163/2006, a carico del socio di maggioranza di società con meno di quattro soci deve ritenersi circoscritto ai soli soci persone fisiche e non anche al socio di maggioranza persona giuridica (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 1 giugno 2015, n. 1287).
In ogni caso il Collegio rileva che, stante il principio di tassatività delle cause di esclusione, giammai l’amministrazione avrebbe potuto, senza incorrere (in quel caso si) in violazione di legge, escludere una concorrente sulla base di una interpretazione normativa che sarebbe risultata quanto mai discutibile, data la richiamata inequivocabilità della norma in commento.
Invero, da una parte l’amministrazione non avrebbe avuto alcun appiglio normativo, atteso che la lex specialis non ha previsto alcuna deroga al disposto di legge, in ipotesi ampliandone lo spettro applicativo, dall’altra, anche qualora avesse inteso aderire all’interpretazione prospettata ed auspicata dalla ricorrente, avrebbe dovuto necessariamente attivare il c.d. soccorso istruttorio a pagamento di cui agli artt. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1 ter, D.Lgs. 163/2006.
3.3. Con il secondo motivo la ricorrente sostiene l’incongruità dell’offerta della controinteressata, soprattutto con riferimento al costo del lavoro indicato, che rappresenterebbe la voce prevalente nell’economia complessiva del servizio posto in gara.
In particolare la ricorrente si sofferma in prima battuta sul numero di ore annue (14.010), delle 44.460 previste dal bando, che Securpol ha dichiarato di voler far eseguire a personale di nuova assunzione, quindi beneficiando di costi orari ridotti e di sgravi fiscali e contributivi, e conclude che si tratterebbe di stima errata per difetto non essendo possibile destinare soltanto 30.450 ore annue al personale da riassorbire, ai sensi dell’art. 10 del disciplinare di gara.
Per sostenere la sua tesi la ricorrente si affida ad una serie di calcoli basati sul coefficiente dettato dalla contrattazione collettiva, per concludere che, per i 19 addetti al servizio che dovrà assumere, la aggiudicataria non potrà beneficiare di alcuno sgravio fiscale contributivo, né li potrà inquadrare ad un livello inferiore a quello che già posseggono in base al trattamento normativo ed economico goduto con l’impresa uscente.
Da tale calcolo risulterebbe che le ore da far eseguire necessariamente al personale riassorbito ammontano a 32.205 annue (1695 x 19) e non alle 30.450 annue dichiarate da Securpol, con la conseguenza che le ore potenzialmente attribuibili al personale di nuova assunzione, dunque avvalendosi di sgravi fiscali e contributivi, ammontano a 12.255 e non a 14.010, come rappresentato dalla controinteressata.
Un secondo profilo di insostenibilità dell’offerta riguarderebbe il costo orario indicato, con riferimento alla turnazione e alla gestione degli scatti di anzianità.
Anche in questo caso la ricorrente si affida ad una serie di calcoli dai quali alla fine desume che risulterebbe un totale di ore da attribuire al personale riassorbito pari a 34.856, dato superiore a quello di 30.450 dichiarato da Securpol, per cui l’incidenza del costo orario dichiarata a giustificazione della propria offerta sarebbe fuorviante.
Dalle argomentazioni fin qui sintetizzate la ricorrente ricava l’incongruità dell’offerta della controinteressata che, nella memoria conclusiva, sostiene risiedere non nell’abbattimento dell’utile ma nel mancato rispetto dei trattamenti minimi salariali.
3.4. Il motivo, così come prospettato, è infondato.
La tesi della ricorrente secondo cui, in sostanza, l’affidabilità complessiva dell’offerta non andrebbe riguardata con riferimento al permanere dell’utile di impresa ma valutando aspetti singolarmente considerati, quali il costo del lavoro in rapporto alle ore lavorate ovvero agli scatti di anzianità e alle turnazioni, non può essere condivisa.
Segnatamente, nel richiamare l’ormai granitico principio per cui la sostenibilità dell’offerta va valutata nel suo complesso e non parcellizzandola nelle singole componenti, il Collegio rileva che è proprio la sussistenza di un utile di impresa, anche esiguo, a rendere, in definitiva, congrua l’offerta.
E’ necessario, infatti, che all’esito dell’analisi delle voci di costo il margine rimanga comunque positivo atteso che neanche l’esiguità dell’utile (comunque positivo) può essere ex se assunta quale ragione dirimente per affermare il carattere incongruo dell’offerta, laddove non si alleghino circostanze puntuali atte a dimostrare che il ridotto margine di utile costituisca comunque, e in base a specifici elementi, un indice univoco del carattere inattendibile dell’offerta (Cons. Stato, sez. V, 31 ottobre 2016, n. 4562; id. 20 luglio 2016, n. 3271).
Nel caso di specie la ricorrente si sofferma ad analizzare solo singole voci dell’offerta della controinteressata, in rapporto alle giustificazioni addotte, ma non offre elementi utili a dimostrare che l’utile della stessa ne risulti azzerato o talmente esiguo da rendere inverosimile l’offerta, né tanto meno allega macroscopiche illegittimità commesse dall’amministrazione in termini di gravi errori di valutazione o di oggettivi errori di fatto.
Il Collegio deve ricordare che il giudizio di anomalia dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica di esclusiva pertinenza dell’amministrazione ed esula dalla competenza del giudice amministrativo, che può sindacare le valutazioni della P.A. solo in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi errori di valutazione, ovvero valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto; in tal caso, il giudice di legittimità esercita il proprio sindacato, ferma restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’amministrazione e di procedere ad una autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, che costituirebbe un’inammissibile invasione della sfera della P.A..
La valutazione, inoltre, deve essere globale e sintetica e non concentrata esclusivamente e in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento dell’affidabilità dell’offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che lo compongono (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 novembre 2016, n. 4755; T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 6 ottobre 2016, n. 4619; Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2016, n. 3855).
Conclusivamente, per quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Prima Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo respinge.
Condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio che liquida in € 1.000,00 (mille) per parte costituita, oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
[#OMISSIS#] Scala, Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
Pubblicato il 08/02/2017