Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 febbraio 2016, n. 470

Abilitazione scientifica nazionale–Composizione commissioni esaminatrici

Data Documento: 2016-02-05
Area: Giurisprudenza
Massima

L’art. 8, comma 5, del d.p.r. 14 settembre 2011, n. 222, che, con evidente riferimento all’attribuzione dell’abilitazione di cui al precedente comma 4, stabilisce che “la commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti”, non trova copertura alcuna nei “criteri” fissati alla potestà regolamentare governativa dall’art. 16, comma 3, della legge di delegificazione.

A differenza delle ipotesi di organi collegiali muniti di poteri discrezionali amministrativi, in cui la maggioranza qualificata è, sovente, richiesta in relazione a determinate materie o in ragione della natura degli interessi rappresentati dai vari componenti dell’organo, la previsione di una maggioranza qualificata, attributiva di un sostanziale potere di veto alla minoranza dissenziente in seno all’organo collegiale chiamato a formulare un giudizio prettamente tecnico sull’idoneità dei candidati (sotto il profilo della loro qualificazione scientifica, per l’accesso alla prima e seconda fascia dei professori, sulla base della valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche), non appare sorretta da un’adeguata ratio giustificatrice.

Contenuto sentenza

N. 00470/2016 REG.PROV.COLL.
N. 10132/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 10132 del 2015, proposto da: 
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, Anvur – Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge, in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
contro
Navone [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] Nucci, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Lutezia, 8; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III BIS, n. 13121/2015, resa tra le parti e concernente: mancata idoneità per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di II fascia nel settore concorsuale 12/A1 – Diritto privato;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2016, il Consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato Pluchino e l’avvocato Nucci;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
1. Giusta segnalazione alle parti all’odierna udienza cautelare, sussistono i presupposti per decidere la controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm..
2. Il T.a.r. per il Lazio, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso n. 10978 del 2015, con il quale l’odierno appellato Navone [#OMISSIS#] aveva impugnato gli atti della procedura di abilitazione nazionale alle funzioni di professore universitario di seconda fascia per il settore concorsuale 12/A1 – Diritto privato, non superata con esito positivo per il mancato raggiungimento del prescritto quorum di quattro quinti dei componenti della commissione giudicatrice (infatti, a favore dell’abilitazione del ricorrente avevano espresso un giudizio positivo solo tre su cinque commissari), nonché il regolamento emanato con d.P.R. 14 settembre 2011, n. 222 (Regolamento concernente il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso al ruolo dei professori universitari, a norma dell’articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240), nella parte in cui, all’art. 8, comma 5, prevede la maggioranza qualificata di quattro quinti. L’adìto T.a.r. accoglieva, in particolare, il quarto motivo di ricorso, con cui era stata dedotta l’illegittimità della menzionata previsione regolamentare (ricalcata dal bando emanato con decreto direttoriale n. 222 del 20 luglio 2012) per violazione dei criteri di delegazione/delegificazione posti dall’art. 16 l. n. 240 del 2010, annullando di conseguenza gli atti impugnati.
3. In reiezione dell’appello interposto dalle Amministrazioni originarie resistenti avverso tale sentenza ed in conformità all’orientamento sul punto recentemente espresso da questa Sezione, seppure in sede cautelare (v. le articolate argomentazioni in punto di fumus, svolte nell’ordinanza cautelare n. 5696/2015 del 21 dicembre 2015), s’impongono le seguenti considerazioni:
– il regolamento di cui al d.P.R. n. 222 del 2011 è stato adottato ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. 23 agosto 1988, n. 400, sulla base della disposizione di rango primario contenuta nell’art. 16, comma 2, l. n. 240 del 2010 che testualmente recita: «Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più regolamenti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sono disciplinate le modalità di espletamento delle procedure finalizzate al conseguimento dell’abilitazione, in conformità ai criteri di cui al comma 3»;
– la censurata disposizione regolamentare, di cui all’art. 8, comma 5, d.P.R. n. 222 del 2011 – che, con evidente riferimento all’attribuzione dell’abilitazione di cui al precedente comma 4, stabilisce che «la commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti» –, non trova copertura alcuna nei «criteri» fissati alla potestà regolamentare governativa dall’art. 16, comma 3, della legge di delegificazione («criteri», da qualificare, con una più appropriata terminologia, come «norme generali regolatrici» ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. n. 400 del 1988, le quali, secondo la giurisprudenza costituzionale, assolvono ad una funzione delimitativa stringente della potestà regolamentare governativa nelle materie delegificate: v. sent. Corte Cost. n. 303/2005), non risultandovi stabilito alcunché con riguardo ad un’eventuale maggioranza qualificata che debba assistere la deliberazione di abilitazione;
– come correttamente rilevato nell’impugnata sentenza, l’introduzione di una deroga talmente significativa alle regole generali che presiedono al funzionamento degli organi collegiali – infatti, generalmente ed in assenza di un’espressa previsione normativa, la volontà dell’organo collegiale si identifica con quella della maggioranza dei votanti (coincidente, negli organi collegiali perfetti, con la maggioranza dei componenti), corrispondente alla metà più uno dei votanti – necessitava di una previsione espressa nella legge autorizzativa, pena la violazione dell’art. 17, comma 2, l. n. 400 del 1988;
– quanto sopra vale, a maggior ragione, per le commissioni giudicatrici di procedure di abilitazione o concorsuali – quale la commissione nazionale di abilitazione delle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia, nominata secondo una complessa procedura per ciascun settore concorsuale, composta da cinque membri [v. artt. 3, lett. f), l. n. 240 del 2010 e 6 d.P.R. n. 22 del 2011] –, le cui valutazioni sono improntate esclusivamente a criteri di discrezionalità tecnica;
– nella fattispecie in esame – a differenza dalle ipotesi di organi collegiali muniti di poteri discrezionali amministrativi, in cui la maggioranza qualificata è, sovente, richiesta in relazione a determinate materie o in ragione della natura degli interessi rappresentati dai vari componenti dell’organo –, la previsione di una maggioranza qualificata, attributiva di un sostanziale potere di veto alla minoranza dissenziente in seno all’organo collegiale chiamato a formulare un giudizio prettamente tecnico sull’idoneità dei candidati (sotto il profilo della loro qualificazione scientifica, per l’accesso alla prima e seconda fascia dei professori, sulla base della valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche), non appare, comunque, sorretta da un’adeguata ratio giustificatrice;
– peraltro, anche nella disciplina pregressa del settore dei concorsi universitari era richiesta la maggioranza semplice delle commissioni giudicatrici per l’indicazione dei candidati ritenuti meritevoli dell’idoneità scientifica nazionale (v., da ultimo, l’art. 9, comma 9, d.lgs. 6 aprile 2006, n. 164 – abrogato dall’art. 29, comma 12, l. n. 240 del 2010 –, secondo cui «Al termine dei lavori la commissione, previa valutazione comparativa, con deliberazione assunta a maggioranza dei componenti, indica i candidati ritenuti meritevoli dell’idoneità scientifica nazionale nei limiti numerici fissati dal bando»), ad ulteriore rafforzamento della sopra enunciata esigenza di una disposizione derogatoria espressa di rango primario;
– la disposizione regolamentare qui impugnata appare, altresì, tendenzialmente incompatibile con la previsione di cui all’art. 16, comma 3, lett. a), l. n. 240 del 2010, secondo cui l’attribuzione dell’abilitazione deve essere sorretto da un «motivato giudizio fondato sulla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche», poiché nei casi, quale quello sub iudice, nei quali sia raggiunta la maggioranza semplice, la motivazione della mancata abilitazione espressa nell’atto collegiale conclusivo si risolve nella mera constatazione del mancato raggiungimento del prescritto quorum, la quale assorbe (e contrasta con) il motivato giudizio positivo formatosi in seno alla commissione con la maggioranza semplice dei componenti [v., a conferma, le conclusioni del giudizio collegiale espresso dalla commissione sul candidato Navone: « (…) la Commissione, richiamati e fatti propri tutti i giudizi individuali – che qui si intendono integralmente riportati –, rilevato che i voti favorevoli sono 3 e che, pertanto, non si è raggiunta la maggioranza prevista (4/5), non attribuisce al candidato l’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso al ruolo di professore universitario di seconda fascia nel settore concorsuale 12/A1 Diritto Privato»].
Per le esposte ragioni, s’impone la conferma dell’impugnata sentenza, non intaccata sul piano argomentativo dalle deduzioni svolte nell’atto d’appello, incentrate sull’assunto apodittico della conformità della disposizione regolamentare con la norma primaria.
5. Considerata ogni circostanza connotante la presente controversia, sussistano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe (ricorso n. 10132 del 2015), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2016, con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] Barra [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Mele, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/02/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)