N. 00285/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00803/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 803 del 2009, proposto da [#OMISSIS#] Bandini, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] Macri e Bruno Mercurio, con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi in Napoli, via R. De [#OMISSIS#], n. 7;
contro
l’Università degli Studi “[#OMISSIS#] II” di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria per legge alla via Diaz, n.11;
per
l’annullamento della nota rettorale del 28 novembre 2008, n. prot. 0138792, con cui l’amministrazione ha definitivamente rigettato l’istanza della ricorrente, inoltrata ai sensi dell’art. 103, comma 3, del d.P.R. n. 382/1980, avente ad oggetto il riconoscimento di tutti i servizi prestati antecedentemente in qualità di funzionario tecnico sino all’inserimento nel ruolo dei ricercatori confermati e di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero consequenziale, nonché per l’accertamento del diritto della Dott.ssa [#OMISSIS#] Bandini a vedersi riconosciuti, ai fini della ricostruzione della carriera, i servizi preruolo prestati con la qualifica di funzionario tecnico e per la conseguente condanna dell’Ateneo resistente a provvedere al riconoscimento dei servizi stessi in favore della ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi “[#OMISSIS#] II” di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2017 la dott.ssa [#OMISSIS#] Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, la Dott.ssa [#OMISSIS#] Bandini, ricercatore confermato dell’Università degli Studi “[#OMISSIS#] II” di Napoli, ha agito nei confronti di quest’ultima per l’accertamento del diritto al riconoscimento, ai sensi dell’art. 103 del D.P.R. 382/80, dell’anzianità di servizio maturata in qualità di funzionario tecnico sino all’inserimento nel ruolo dei ricercatori confermati, con conseguente condanna dell’amministrazione intimata al pagamento delle differenze stipendiali.
La ricorrente si duole, infatti, che con nota prot. 0138792 del 28 novembre 2008, previo preavviso di diniego di cui alla nota rettorale del 13 agosto 2008, l’Ateneo ha respinto la sua richiesta (presentata in data 9 luglio 2008) di riconoscimento della anzianità di servizio svolta nella qualità di funzionario tecnico, per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenziale, e per i due terzi ai fini dello svolgimento della carriera, e di pagamento di tutte le differenze stipendiali derivanti dagli incrementi previsti. Avverso la predetta nota, parte ricorrente ha articolato censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Ha resistito in giudizio l’Università degli Studi “[#OMISSIS#] II” di Napoli.
Alla pubblica udienza del 21 novembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio reputa necessario premettere che la vicenda dedotta in giudizio involge situazioni giuridiche di diritto soggettivo ed implica l’analisi dell’effettiva portata pratica della sentenza della Corte costituzionale 6 giugno 2008, n. 191, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art.103, terzo comma, D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 per la parte in cui non riconosceva ai ricercatori universitari, all’atto dell’immissione nella fascia dei ricercatori confermati, per intero ai fini del trattamento di previdenza e quiescenza e per i due terzi ai fini della carriera, l’attività di servizio effettivamente prestata nelle Università in qualità di tecnici laureati con almeno tre anni di attività di ricerca.
2. Al fine di un inquadramento generale della fattispecie, il Collegio evidenzia che per giurisprudenza ormai consolidata, anche di questa Sezione (ex multis, nn. 331/2017; 3221/2014; 705/2013), la figura del funzionario tecnico è equiparabile a quella del tecnico laureato, trattandosi di una mera riformulazione formale della medesima qualifica precedentemente denominata “tecnico laureato”; pertanto, anche il funzionario tecnico rientra nell’elencazione delle qualifiche contenuta nell’art. 103 del D.P.R. n. 382/1980, la quale deve ritenersi tassativa ai fini del riconoscimento del servizio utile, ma è suscettibile di un’interpretazione logica (così C.d.S., sez. VI, n. 5668/2011 cit.; ex ceteris, cfr. anche C.d.S., sez. VI, n. 2412/2013).
2.1. In linea con l’orientamento espresso anche dal Giudice di Appello, il Collegio deve anche specificare che le considerazioni valide per la figura professionale del funzionario tecnico non sono estensibili con riferimento alla figura professionale del collaboratore tecnico, per la quale il D.P.C.M. 24 settembre 1981 prevede una diversa qualifica (la settima). La giurisprudenza (ex multis, C.d.S., sez. VI, 6.5.2013, n. 2412) ha evidenziato, infatti, che in relazione a questa diversa qualifica funzionale di collaboratore tecnico (al di là del mero dato formale dell’iscrizione nell’ambito dei cc.dd. ‘ruoli tecnici’), non sussistono quelle ragioni di sostanziale continuità e contiguità con le attività di insegnamento e di ricerca che sono a base della richiamata sentenza costituzionale e, poi, dell’avvio di procedure di reclutamento a carattere riservato, nell’ambito delle quali l’iscrizione nei ruoli tecnici e lo svolgimento per un certo tempo di attività di ricerca giustificava la previsione di forme agevolate di transito nei ruoli dei ricercatori universitari. In particolare ha rilevanza la considerazione che, al di là del nomen e del diverso livello di inquadramento, il D.P.C.M. 24 settembre 1981 enuclea un insieme di mansioni e compiti che sono propri dei diversi profili, dai quali è dato riscontrare la differenza del contenuto e del grado di professionalità delle mansioni proprie, rispettivamente, del tecnico laureato e del collaboratore tecnico. Così, se si ha riguardo ai profili professionali, stando a questo decreto sulle “declaratorie”, per l’VIII qualifica, al profilo di funzionario tecnico, accessibile solo mediante laurea specifica, appartengono, tra l’altro, astronomi, tecnici laureati, conservatori di musei, curatori di orti botanici, agronomi, ricercatori degli osservatori e tecnici che siano addetti a programmi di ricerca di base o finalizzata in grado di utilizzare con autonomia strumenti, tecniche e procedure, compiti di addetto a programmi di ricerca di base o finalizzata, nonché compiti organizzativi in rapporto a programmi sperimentali o a programmi di produzioni con responsabilità su operatori di qualifiche inferiori. Invece, per la VII qualifica, è proprio del profilo di collaboratore tecnico lo svolgimento di funzioni tecniche di collaborazione, in particolare nei programmi di didattica e di ricerca; a tale diversità di attività tipiche – che specificano, per il collaboratore tecnico, il ruolo appunto di collaborazione tecnica nella ricerca proprio della VII qualifica, di contro all’autonomia che è propria per la VIII qualifica del tecnico laureato – va riferita la riconoscibilità o meno dei servizi prestati nel ruolo tecnico.
3. Da quanto sopra esposto consegue che il servizio reso nella qualifica di tecnico laureato (ora funzionario tecnico) può essere considerato equivalente a quello del ricercatore, poiché in base alla declaratoria sopra riportata per questa figura è evidente – a differenza di quanto succede per il collaboratore tecnico – l’attinenza specifica allo svolgimento autonomo di compiti di ricerca e di sperimentazione, tale da giustificare una continuità di carriera nella nuova veste professionale assunta in esito al concorso riservato (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 971/2016).
3.1. Il Collegio deve, dunque, soffermarsi sulle deduzioni di parte ricorrente, alla luce dei riscontri forniti dall’amministrazione e, segnatamente, sugli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale n.191 del 2008 e sulla natura del termine di cui all’art. 103, comma 4 del d.P.R. n. 382 del 1980.
3.2. In relazione al primo profilo, si ritiene di ribadire quanto già esplicitato da questa Sezione nella sentenza n. 27666 del 20 dicembre 2010 (confermata dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 4494 del 27/07/2011).
3.3. A norma dell’art.136 della Costituzione, quando viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di una legge, questa “cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. In linea con la statuizione costituzionale, l’art.30 della legge n.87 del 1953, dopo aver disposto in ordine alla pubblicazione della decisione ed alla conseguente comunicazione alle Camere “affinché, ove lo ritengano necessario, adottino i provvedimenti di loro competenza”, stabilisce a sua volta che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”.
3.4. Dalle citate disposizioni si è tratto il pacifico principio – estensibile, sia pure con gli opportuni adattamenti, anche alle sentenze cosiddette additive, cioè integrative della previsione normativa – in base al quale la declaratoria di illegittimità costituzionale è applicabile a tutti i rapporti non ancora “esauriti”, operando tale declaratoria in modo diverso dall’abrogazione, dalla quale si differenzia per presupposti, natura ed effetti. La dichiarazione di illegittimità costituzionale, infatti, a differenza dall’abrogazione, ha per presupposto l’invalidità della legge, in quanto viziata dall’essere in contrasto con un precetto costituzionale e rende la norma dichiarata incostituzionale non più applicabile ai rapporti ancora sub iudice, mentre deve essere applicata per i rapporti esauriti, intendendosi per tali quelli che, sorti precedentemente alla pronuncia di incostituzionalità, abbiano dato luogo a situazioni ormai consolidate ed inderogabili per effetto del passaggio in giudicato di decisioni giurisdizionali, della definitività di provvedimenti amministrativi divenuti inoppugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, del decorso dei termini di prescrizione o decadenza ovvero del compimento di altri atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale (ibidem).
3.5. Il vizio di illegittimità non ancora dichiarato dalla Consulta non determina, invero, un impedimento legale all’esercizio del diritto disconosciuto da atti aventi forza di legge contro il dettato della Costituzione. Il soggetto interessato è posto, invece, in una situazione di mera difficoltà di fatto, cui può reagire attivando gli ordinari mezzi di tutela e sollevando in tale sede l’incidente di costituzionalità. Ne consegue che la retroattività della pronuncia che accerta l’incostituzionalità della norma non può incidere né recupera le situazioni giuridiche ormai esaurite o consolidatesi, alle quali l’interessato non abbia ritenuto di porre rimedio con gli strumenti che l’ordinamento gli offre, ovverosia con la proposizione dell’azione giurisdizionale attraverso cui sottoporre la norma viziata alla verifica del Giudice delle leggi.
3.6. Nel caso che occupa, però, al momento della presentazione dell’istanza da parte dell’interessata (9 luglio 2008) il rapporto non poteva considerarsi esaurito alla stregua dei richiamati principi.
4. Ai fini del decidere è, inoltre, necessario chiarire la natura del termine di cui all’art. 103, comma 4 del d.P.R. n. 382 del 1980 e le conseguenze correlate alla relativa decorrenza.
4.1. Se è vero che il quarto comma dell’art. 103 cit. stabilisce che «il riconoscimento dei servizi di cui ai precedenti commi può essere chiesto entro un anno dalla conferma in ruolo», per un consolidato indirizzo interpretativo, condiviso dalla Sezione (cfr. 11.6.2014, n. 3221; 4.2.2013, n.705; 20.12.2010, n. 27663) e da cui non vi è ragione per discostarsi, il termine previsto dalla norma non ha natura perentoria, «essendo in contrario senso decisivo considerare che il legislatore delegato non ha ripetuto l’espressione “a pena di decadenza”, contenuta nella precedente normativa, che è stata abrogata per incompatibilità» (cfr. C.d.S., sez. VI, 21 ottobre 2011, n. 5668; sez. VI, 27 luglio 2011, n. 4494; sez. VI, 3 febbraio 2004, n. 328; il riferimento è all’abrogato art. 17 della legge 18 marzo 1958, n. 311).
4.2. Il riconoscimento dei servizi pregressi spetta, inoltre, ai ricercatori universitari solo all’atto della loro immissione nella fascia dei ricercatori confermati (cfr. art. 103, comma 3) e la domanda di riconoscimento dei servizi in argomento, avanzata ai sensi della sopra indicata disposizione, in difetto di espressa previsione contraria, è assoggettata al termine di prescrizione ordinario di dieci anni di cui all’art. 2946 c.c. (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, II, n. 1812 del 2017).
4.3. Ed invero, la giurisprudenza ha chiarito il rilievo da attribuire al termine annuale previsto dall’art. 103, quarto comma, osservando che «in ragione della eterogeneità dei servizi valutabili e delle Amministrazioni con cui i docenti hanno intrattenuto i rapporti di lavoro, in deroga ai principi generali il legislatore delegato ha previsto l’onere per il professore di curare l’esibizione all’Università della relativa documentazione.
4.4. Fin quando il professore non presenta la domanda con la relativa documentazione, non è configurabile un suo credito, né può sussistere un inadempimento dell’Università che, a titolo provvisorio, non può che corrispondere il solo trattamento economico predeterminato dalla normativa e inerente alla qualifica.
4.5. A seguito della acquisizione della documentazione, l’Università deve poi rideterminare lo stipendio spettante per la valutazione dei servizi pre-ruolo e deve corrispondere le differenze retributive, integrando gli emolumenti nel frattempo erogati a titolo provvisorio, con la prescritta decorrenza.
4.6. Ciò comporta che, finché non adempia l’onere previsto dal quarto comma dell’art. 103, per il professore si producono le seguenti conseguenze sfavorevoli:
– comincia a decorrere il termine quinquennale di prescrizione, per i singoli ratei mensili;
– per il periodo che precede la domanda e per gli emolumenti arretrati non prescritti, l’inconfigurabilità di un credito rimasto insoddisfatto comporta che non è ravvisabile un inadempimento o un ritardo imputabile, sicché non vanno liquidati anche la rivalutazione o gli interessi (Cfr. Sez. V, 9 maggio 2000, n. 2647; Sez. V, 30 ottobre 1997, n. 1224; Sez. IV, 1° ottobre 1991, n. 756) » (così C.d.S., sez. VI, n. 328/2004 cit.; nei medesimi termini, C.d.S., sez. VI, n. 4494/2011 cit.; C.d.S., sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2412).
5. E’, dunque, nei termini e nei limiti sopra esposti che la domanda formulata dalla ricorrente in applicazione dell’art. 103 del d.P.R. n. 382 del 1990 deve trovare accoglimento.
6. L’esito complessivo del giudizio e le incertezze interpretative sussistenti all’epoca della sua instaurazione giustificano, nondimeno, l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato lo accoglie, nei limiti e nei termini di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Bruno, Consigliere, Estensore
Pubblicato il 15/01/2018