Le richieste risarcitorie possono essere ammesse, innanzi al giudice dell’ottemperanza, nei limiti di cui all’art. 112, III comma, c.p.a., ovvero per i danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione.
La pronuncia dell’illegittimità del provvedimento non comporta un automatico diritto al risarcimento del danno, atteso che questo non può direttamente identificarsi nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, perché queste comunque presuppongono l’avvenuto espletamento della prestazione lavorativa, trattandosi di emolumento che, sinallagmaticamente, presuppone l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio; inoltre, in liquidazione del risarcimento del danno da mancata assunzione, dovendosi risarcire il pregiudizio concretamente subito dal postulante, occorre tener conto dei vantaggi patrimoniali conseguiti nel periodo considerato (c.d. principio della compensatio lucri cum damno ), in forza del quale il datore di lavoro (o la Pubblica amministrazione), che contesti la domanda risarcitoria del lavoratore, è onerato, pur mediante presunzioni semplici, della prova dell’ aliunde perceptum o dell’ aliunde percipiendum (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 16 gennaio 2017, n. 100; ma, negli stessi termini, già Cons. Stato, Sez. VI, 29 ottobre 2008, n. 5413.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 20 novembre 2017, n. 2207
Procedura concorsuale posto ricercatore-Risarcimento del danno
N. 02207/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01187/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Nel giudizio ex art. 112 segg. c.p.a., introdotto con il ricorso 1187 del 2016, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Eustachi 7;
contro
l’Amministrazione dell’istruzione dell’università e della ricerca, in persona del ministro pro tempore,
l’Università degli studi di Milano, in persona del rettore pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, domiciliataria per legge;
nei confronti di
-OMISSIS-, non costituita in giudizio;
per l’ottemperanza
della sentenza 26 febbraio 2013, n. 526, del Tar Lombardia – Milano, Sezione IV, passata in giudicato, con cui sono stati annullati gli atti della procedura di valutazione comparativa indetta dall’Università degli studi di Milano per la copertura, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, di un posto di ricercatore universitario per il settore scientifico disciplinare “L-ART/05-discipline dello spettacolo”;
e per la declaratoria di nullità per elusione del giudicato,
del decreto rettorale 3 marzo 2016 n. 742/2016, comunicato in data 22 marzo 2016, con cui è stato annullato il decreto rettorale del 16 dicembre 2009, n. 4059, con il quale era stata indetta la procedura di valutazione comparativa a un posto da ricercatore universitario per il Settore scientifico-disciplinare L-ART/05 – Discipline dello Spettacolo presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Milano.
nonché per il risarcimento del danno subito, ovvero
in subordine, per il riconoscimento dell’indennizzo ex art. 21-quinquies l. 241/1990.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio l’Amministrazione dell’istruzione dell’università e della ricerca, e dell’Università degli studi di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2017 il pres. cons. Angelo [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. Con decreto rettorale 16 dicembre 2009, n. 4059, l’Università degli Studi di Milano indisse una procedura comparativa per la copertura di un posto di ricercatore universitario per il settore L-ART./05 – Disciplina dello Spettacolo, presso la Facoltà di lettere e filosofia, di cui fu dichiarata vincitrice -OMISSIS-, odierna controinteressata.
1.2. -OMISSIS-, unica altra candidata, impugnò tale esito, mediante il ricorso R.G. 270/2011, che fu accolto con la sentenza 31 gennaio 2012, n. 348, della Sezione, confermata in appello (C.d.S., VI, 18 maggio 2012, n. 2912).
1.3.1. L’Università nominò perciò una nuova commissione di concorso, la quale rivalutò i candidati e concluse ancora in favore della -OMISSIS-: la nuova determinazione fu parimenti impugnata dalla -OMISSIS- con il ricorso R.G. n. 2621/2012, definito con la sentenza 26 febbraio 2013, n. 526, di questa Sezione e passata in giudicato.
1.3.2. Tale sentenza rilevò, anzitutto, che la nuova commissione, nel ricostruire il curriculum della -OMISSIS-, non aveva considerato gli incarichi di insegnamento da essa svolti presso le Università di Genova e di Cagliari, ritenuti invece decisivi dal giudice per dimostrarne l’eclettica esperienza professionale.
1.3.3. La stessa sentenza affermò ancora che, in violazione di quanto statuito nella precedente decisione 348/2012, la commissione non aveva comunque valutato adeguatamente la rilevante attività di insegnamento istituzionale svolta dalla ricorrente, oltreché i numerosi titoli conseguiti dalla stessa (partecipazione a convegni internazionali, incarichi di direttore artistico e di produzione di vari spettacoli, di membro in giurie e comitati, e così via).
1.3.4. In complesso, la decisione 526/13 riscontrò la violazione del giudicato formatosi sulla precedente sentenza 348/2012, nella parte in cui questa aveva imposto alla commissione di considerare adeguatamente le pubblicazioni della ricorrente: pertanto, ex art. 34, I comma, lett. e) c.p.a., la stessa decisione ordinò all’Università di nominare una terza commissione, che, conformandosi alle nuove statuizioni, rivalutasse, in particolare, le competenze scientifiche, le attività didattiche e le pubblicazioni della ricorrente.
1.4.1. In effetti, con decreto rettorale 9 ottobre 2014 n. 5318, l’Università costituì tale organo collegiale, che, tuttavia, mai avviò i propri lavori: un primo componente rassegnò le dimissioni, il suo sostituto fu collocato in quiescenza, e, in seguito, tutti i membri si dimisero.
1.4.2. Infine, con l’ulteriore decreto rettorale 3 marzo 2016, n. 742, è stata revocata la procedura valutativa in questione, considerato che la stessa “è stata bandita nell’anno 2009, che il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato è un ruolo ad esaurimento, e che nel frattempo all’interno del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali e dei corsi di laurea ad esso afferenti sono intervenute nuove esigenze scientifiche e didattiche che impongono una diversa valutazione delle scelte finora operate, ed una diversa distribuzione delle competenze nei diversi settori, in funzione delle nuove esigenze dell’Ateneo”.
2.1. Ne è seguito un ulteriore ricorso – che è quello in esame – dove la -OMISSIS- ha dedotto l’elusione del giudicato, formatosi sulla sentenza n. 526/13; in subordine, ha richiesto una pronuncia che attesti l’illegittimità del predetto decreto rettorale 742/2016.
La difesa erariale si è costituita in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso, in [#OMISSIS#] e nel merito.
2.2.1. La conseguente sentenza non definitiva 19 dicembre 2016, n. 2393, ha intanto accolto la domanda principale, “essendo palese sia l’inerzia dell’Università nell’ottemperare alla sentenza oggetto del presente giudizio, non avendo la stessa neppure avviato il relativo procedimento valutativo, sia il carattere elusivo del D.R. n. 742/16, che ha revocato la procedura di che trattasi, anziché concluderla”.
2.2.2. Invero, “la sentenza n. 526/13, unitamente alla precedente n. 348/2012, hanno posto le basi per una rinnovazione della valutazione, scevra da ulteriori vizi di legittimità (pag. 10 memoria del 7.10.2016), essendo pertanto irrilevante che gli atti successivi alla stessa, e quindi la presa in servizio del vincitore, eventualmente, non possano avere esecuzione, come affermato nel D.R. n. 742/16 per giustificare la revoca in questa sede contestata”.
2.2.3. Questo giudice, cioè, non aveva “imposto all’Amministrazione di assumere il vincitore del concorso (fosse l’odierna ricorrente o la controinteressata), ciò che, in astratto, avrebbe potuto essere precluso dalle ragioni indicate nel citato D.R. n. 742/2016, qualora il Collegio ne avesse accertato la fondatezza, quanto invece, come detto, di concludere le operazioni valutative del concorso indetto con D.R. n. 4059/2009, dopo averne reiteratamente accertato l’illegittimità, nel corso di ben due giudizi”.
2.2.4. Ora, “la sopravvenuta indisponibilità del posto relativo all’incarico cui aspira il ricorrente, non esime infatti l’Amministrazione dall’obbligo di ottemperare alla decisione di annullamento della selezione alla quale aveva partecipato il medesimo, non precludendo, di conseguenza, la proposizione del ricorso per l’ottemperanza, per conseguire l’utilità sostanziale riconosciuta dalla sentenza passata in giudicato, e cioè la definizione della procedura concorsuale impugnata, in conformità alle regole di azione irrevocabilmente stabilite dal T.A.R. (C.S., Sez. V, 29.4.2003, n. 2188)”.
2.2.5. In specie, “la ricorrente ha peraltro adeguatamente dimostrato di avere un interesse, personale concreto ed attuale, alla conclusione del concorso di che trattasi, potendo far valere il titolo eventualmente conseguito nell’ambito di altre procedure comparative, ciò che non permetteva all’Università di superare le disposizioni contenute nella sentenza n. 526/13, semplicemente ritirando il concorso indetto con D.R. n. 4059/2009”: ed è stata dunque “anzitutto dichiarata l’inottemperanza della sentenza T.A.R. Milano, IV, 26 febbraio 2013, n. 526, e la nullità del decreto rettorale 3 marzo 2016, n. 742”.
2.3. La sentenza prosegue poi osservando come la vicenda de qua, “avviatasi ormai otto anni fa, non ha trovato un qualsiasi esito affidando la rinnovazione della procedura all’Università di Milano: sicché, per assicurare una tutela piena ed effettiva alla ricorrente -OMISSIS-, s’impone, senza ulteriori indugi, la nomina di un commissario ad acta, nella persona del direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino. Questi svolgerà il compito già attribuito alla commissione di concorso, per cui, direttamente o avvalendosi di esperti da lui scelti all’interno dello stesso Ateneo, ovvero presso altra Istituzione, rinnoverà le operazioni valutative della stessa commissione e stabilirà, mediante una procedura comparativa, quale sia, tra i candidati, il più idoneo a ricoprire il posto di ricercatore universitario per il settore scientifico disciplinare L-ART./05 – Disciplina dello Spettacolo, indetto con decreto n. 4059/2009 del rettore dell’Università di Milano, al quale si è fatto sin qui riferimento”.
3.1. Il commissario nominato ha completato la sua attività, ed ha depositato il 22 marzo 2017 la propria relazione, in cui conclude che entrambe le candidate “interpretano con mestiere sufficiente le rispettive istanze culturali”, e se, in termini assoluti, in relazione alla posizione di ricercatore universitario da ricoprire, esse esibiscono titoli sufficienti per qualità della produzione scientifica, “in termini comparativi, la candidata -OMISSIS- risulta nettamente superiore alla candidata -OMISSIS- per la maggiore significatività dei titoli e per la più ricca esperienza didattica e professionale che da questi emerge, e di poco superiore per l’operosità scientifica”.
3.2. Nell’immediata prossimità della nuova udienza collegiale per la decisione definitiva è intervenuto il decreto rettorale 5 giugno 2017, n. 2146.
Tale provvedimento, compendiata l’intera vicenda, e accettate le conclusioni del commissario ad acta, ha stabilito, in esecuzione di queste, che “la Dott.ssa -OMISSIS- è dichiarata vincitrice della procedura di valutazione comparativa a n. 1 posto di ricercatore per il settore scientifico-disciplinare L-ART/05 – Discipline dello spettacolo presso il Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali di questo Ateneo”.
3.3. Si è così data ottemperanza alla sentenza 526/13, ed il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile in parte qua per cessazione della materia del contendere, ferma restando la soccombenza virtuale dell’Università, ulteriormente confermata dalla relazione del verificatore, a carico della quale vanno definitivamente poste le spese per il compenso a quegli dovuto, e liquidato con decreto presidenziale 19 luglio 2017, n. 696.
4.1. Resta quindi da decidere la domanda risarcitoria, ammissibile nei limiti di cui all’art. 112, III comma, c.p.a., secondo cui può essere proposta, innanzi al giudice dell’ottemperanza, azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione.
4.2.1. Nel ricorso introduttivo, la richiesta viene anzitutto riferita ad un danno patrimoniale da perdita di chance, anche quale danno curriculare: secondo la ricorrente, essa “avrebbe verosimilmente avuto una concreta probabilità di ottenere un giudizio di idoneità … anche nella procedura di abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di seconda fascia se l’Università avesse tempestivamente rinnovato la valutazione annullata, giudicando in modo imparziale i suoi titoli nel rispetto dei criteri dettati dalla sentenza” n. 526/2013 della Sezione.
4.2.2. Invero, seguita la ricorrente, il giudizio collegiale emesso dalla commissione della procedura di abilitazione scientifica nazionale, prodotto in giudizio, indica, quale unico elemento negativo del profilo della candidata, l’eccessiva specializzazione nella tecnologia dei nuovi media, valutazione già ritenuta manifestamente illogica dal giudice amministrativo, mentre, per il resto, la stessa commissione ha valutato il profilo complessivo della -OMISSIS- come positivo e “di piena rispondenza ai requisiti previsti dalla presente procedura di abilitazione”.
Pertanto, se l’Università avesse dato esecuzione alla sentenza, emendando la valutazione dai vizi riscontrati dal giudice, non vi sarebbero state ripercussioni negative sulla procedura di abilitazione scientifica nazionale, il cui giudizio è stato condizionato dalle valutazioni del concorso per ricercatore.
4.2.3. Il danno viene rimesso alla valutazione in via equitativa di questo giudice, al quale è altresì richiesto il rimborso delle spese legali sostenute per l’annullamento delle procedure concorsuali, nonché il risarcimento del danno esistenziale e all’immagine professionale.
4.3.1. Non vi sarebbe dubbio, quanto a quest’ultima richiesta, che l’inottemperanza abbia determinato “una lesione dei diritti essenziali della persona, costituzionalmente tutelati, in particolare il diritto ad esplicare la propria personalità attraverso il lavoro, nonché il diritto alla reputazione e all’immagine professionale”: e, sul piano probatorio, sarebbe ius receptum che l’immaterialità dei pregiudizi in questione (lesione di beni e valori inerenti alla persona) rende percorribile in via principale lo strumento della prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche anche basate su fatti notori o massime di comune esperienza.
4.3.2. La ricorrente non avrebbe conseguito una progressione nella carriera universitaria a causa dell’inerzia da parte dell’Università nel rinnovare la procedura di valutazione e ciò costituisce lesione della reputazione nella sfera professionale: dalla mancata rinnovazione della valutazione in modo conforme ai criteri dettati da questo giudice è scaturita la reiterazione degli elementi negativi di giudizio non emendati, e ciò avrebbe compromesso l’immagine professionale della ricorrente.
5.1. Il 23 maggio 2017, dopo il deposito della relazione del commissario ad acta, la ricorrente ha depositato una memoria, non notificata alla controparte, la quale contiene svariati approfondimenti relativi alla richiesta risarcitoria.
5.2. Anzitutto, la ricorrente si riferisce al danno emergente, che sarebbe “conseguenza dell’accertamento effettuato dal commissario ad acta”, avendo questi “acclarato che la ricorrente avrebbe avuto diritto alla nomina a ricercatore a tempo indeterminato”: e tale danno consiste “nella mancata percezione degli emolumenti dovuti, appunto, quale ricercatore a tempo indeterminato, trattandosi di procedura concorsuale bandita ancora nel vigore della disciplina ante “legge [#OMISSIS#]”.
5.3. Non vi sarebbero dubbi sulla colpa dell’Amministrazione, la quale avrebbe espresso due volte valutazioni illegittime in danno della -OMISSIS-; quanto al nesso di causalità, il mancato svolgimento delle funzioni di ricercatore da parte della ricorrente sarebbe “conseguenza immediata e diretta dell’adozione dei provvedimenti nel tempo impugnati, i quali hanno illegittimamente disconosciuto la sua vittoria nel concorso di che trattasi, impedendole conseguentemente di prendere servizio”.
5.4. Ancora, negli anni trascorsi la -OMISSIS- ha avuto alcuni incarichi di docenza affidati con contratti a tempo determinato da varie accademie di Belle Arti, anche distanti dalla sua città di residenza, o comunque disagiate, sostenendo lunghe e dispendiose spese di trasferta.
All’opposto, la ricorrente avrebbe potuto essere immessa nel ruolo di ricercatore a tempo indeterminato già nel 2010, quando il concorso fu definito per la prima volta; e, divenuta ricercatrice, “avrebbe ottenuto con ogni probabilità l’idoneità nella procedura di abilitazione scientifica nazionale al concorso da professore universitario di seconda fascia nell’anno 2012”, giacché, in tale concorso, come accennato, il profilo della candidata era stato ritenuto, con poche riserve, “di piena rispondenza ai requisiti previsti dalla presente procedura di abilitazione”.
5.5. In ogni caso, se pure non avesse conseguito tale idoneità, il trattamento economico cui la ricorrente avrebbe avuto diritto sarebbe stato quello previsto dall’art. 16 del d. lgs. 19/2012, secondo cui ai ricercatori universitari non confermati a tempo indeterminato “che si trovano nel primo anno di attività alla data di entrata in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240, è riconosciuto, fin dal primo anno di effettivo servizio, il trattamento economico di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43”; e l’art. 1, comma 2, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, stabilisce, a sua volta, che, dopo il primo anno di effettivo servizio e fino al giudizio di conferma, il trattamento economico dei ricercatori universitari è pari al 70 per cento dì quello previsto per il professore universitario di seconda fascia a tempo pieno di pari anzianità”.
5.6. In conclusione, sempre per la ricorrente, l’entità del risarcimento, per il danno emergente, andrà “commisurato agli emolumenti che la Dott.ssa -OMISSIS- avrebbe ricevuto ove fosse stata nominata ricercatore, che andranno computati dalla data di immissione in servizio in tale qualifica della Dott.ssa -OMISSIS- a quella di effettiva immissione in servizio della attuale ricorrente e il cui ammontare dovrà essere determinato tenuto conto dei criteri stabiliti dall’art. 16 del D.Lgs. n. 19/2012”.
5.7. Sempre secondo la memoria la ricorrente avrebbe diritto al risarcimento del danno da perdita di chances, vista l’impossibilità di conseguire una progressione nella carriera universitaria, per le ragioni già esposte nella precedente memoria 25 ottobre 2016.
5.8. Sarebbe stata comunque dimostrata l’incidenza negativa che la penalizzazione della ricorrente, nelle valutazioni annullate in sede giudiziale, ha avuto nella procedura per conseguire l’idoneità a professore associato, e di cui si è già detto: viene rimessa a questo giudice la liquidazione in via equitativa di tale voce di danno.
5.9. Andrebbero, altresì, rimborsate le spese sostenute per le azioni legali proposte innanzi agli organi della giustizia amministrativa, “che assommano ad € 18.999,99 [sic], come evidenziato a pag. 16 della memoria del 25.10.2016 alla quale si rimanda”.
5.10. La memoria considera a questo punto il danno non patrimoniale, poiché, a seguito dell’illegittimo comportamento tenuto dall’Università, la -OMISSIS- sarebbe “costretta a confrontarsi, ormai da lunghi anni, con lo stato di perdurante incertezza in cui versa come lavoratrice precaria”; conseguendo incarichi precari, di durata annuale, “senza alcuna garanzia in merito al rinnovo, con un compenso non fisso, ma commisurato al numero di ore di insegnamento”.
5.11. La memoria si diffonde quindi dapprima sugli spostamenti per raggiungere le diverse e successive sedi d’insegnamento presso Università e Accademie (da ultimo, Torino e Macerata) dalla propria residenza a La Spezia, e sulle conseguenti difficoltà di allevare il figlio minore, pur con l’aiuto della madre.
Si tratterebbe di un pregiudizio che non si sarebbe verificato se la ricorrente fosse stata immessa tempestivamente in servizio, poiché avrebbe potuto “fare affidamento sul contratto da ricercatore a tempo indeterminato e quindi trasferirsi con il figlio a Milano, contando su una stabile occupazione lavorativa”.
5.12. Tutto ciò avrebbe avuto cospicue ripercussioni psicologiche – che sono state evidenziate in una perizia psicologica di parte, in atti – derivate altresì dai giudizi negativi espressi delle commissioni e dall’ampia risonanza della vicenda, con lesione della reputazione e dell’immagine professionale.
6.1. Ebbene, è anzitutto da ribadire come le richieste risarcitorie possono essere ammesse, innanzi al giudice dell’ottemperanza, nei limiti di cui all’art. 112, III comma, c.p.a., ovvero per i danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione: e, dunque, con riferimento all’illegittima condotta tenuta dall’Università rispetto alle prescrizioni contenute nella sentenza 526/2013 della Sezione, e non con riguardo ad avvenimenti precedenti.
6.2.1 Ciò posto, per quanto riguarda la domanda di risarcimento, riferita alla percezione degli emolumenti che la -OMISSIS- avrebbe ottenuto quale ricercatore a tempo indeterminato, se fosse stata tempestivamente assunta, il Collegio, d’ufficio dubitando che la stessa fosse stata introdotta soltanto nella memoria depositata il 23 maggio 2017, non notificata, con l’ordinanza 11 luglio 2017, n. 1585 – emessa ex art. 73, III comma, c.p.a. – ha chiesto alle parti di pronunciarsi sulla questione della novità, e, così, dell’ammissibilità della domanda stessa.
6.2.2. Sul punto, con memoria depositata il 29 agosto 2017, la ricorrente ha rilevato che, nel ricorso in ottemperanza, si era richiesta la condanna dell’Università “a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla ricorrente in conseguenza della mancata esecuzione del giudicato”.
Non si tratterebbe, dunque, di una domanda nuova, in quanto il contraddittorio su tale aspetto sarebbe già stato correttamente instaurato con la notifica, appunto, del ricorso in ottemperanza; la domanda sarebbe stata articolata in seguito al deposito della relazione del commissario ad acta, quando sarebbe emersa la concretezza e l’attualità della lesione, che ha reso possibile argomentare in merito alla sussistenza di tale voce di danno.
6.2.3. La conclusione non è condivisibile, ché la richiesta di risarcimento, per essere ammissibile, deve essere contenuta in un atto, ritualmente notificato giusta art. 41, II comma, c.p.a., il quale ne deve puntualmente specificare il titolo ed l’oggetto, così da per consentire un adeguato esercizio del diritto di difesa alle altre parti in causa .
6.2.4. Invero, una tale puntualizzazione manca in una generica richiesta di liquidazione di danni patrimoniali e non patrimoniali: se viene fatto un raffronto con il contenuto del ricorso introduttivo, è evidente che con la memoria viene introdotto nel processo, sia per titolo (la mancata assunzione), sia per oggetto (gli emolumenti non corrisposti), un nuovo tema di indagine e di decisione, così da porre in essere una pretesa risarcitoria ulteriore rispetto a quella fatta valere in precedenza, rispetto alla quale deve essere assicurata alla parte convenuta un’adeguata facoltà difensiva (a partire da quella compensazione tra danno e profitto).
6.2.5. Né può essere accolta la giustificazione addotta dalla ricorrente, poiché qui non si fa questione se la domanda fosse in assoluto tardiva, ma soltanto se essa sia stata ritualmente introdotta: in altre parole, conosciuta la relazione del commissario, nulla avrebbe impedito alla -OMISSIS- di notificare ritualmente le sua nuova richiesta di riconoscimento di arretrati, affatto nuova anche per importo e decorrenza.
6.2.6. La domanda va pertanto dichiarata inammissibile. È comunque da aggiungere, per completezza, che “la pronuncia dell’illegittimità del provvedimento non comporta un automatico diritto al risarcimento del danno, atteso che questo non può direttamente identificarsi nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione, perché queste comunque presuppongono l’avvenuto espletamento della prestazione lavorativa, trattandosi di emolumento che, sinallagmaticamente, presuppone l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio; inoltre, in liquidazione del risarcimento del danno da mancata assunzione, dovendosi risarcire il pregiudizio concretamente subito dal postulante, occorre tener conto dei vantaggi patrimoniali conseguiti nel periodo considerato (c.d. principio della compensatio lucri cum damno ), in forza del quale il datore di lavoro (o la Pubblica amministrazione), che contesti la domanda risarcitoria del lavoratore, è onerato, pur mediante presunzioni semplici, della prova dell’ aliunde perceptum o dell’ aliunde percipiendum” (così, da ultimo, C.d.S., V, 16 gennaio 2017, n. 100; ma, negli stessi termini, già C.d.S., VI, 29 ottobre 2008, n. 5413); ed è la stessa ricorrente ad aver ammesso di aver costantemente percepito, negli anni d’interesse, compensi per attività professionali.
7.1. Stabilito questo, per quanto concerne le ulteriori richieste risarcitorie, va intanto esclusa quella di rimborso delle spese legali, per le quali gli importi, ritenuti congrui, sono stati liquidati dal giudice con le sentenze emesse.
7.2. Ancora, con riferimento alle richieste risarcitorie connesse all’attività d’insegnamento presso Università e Accademie anche lontane dalla città di residenza, e alle relative lamentate conseguenze personali, il Collegio deve osservare come nulla dimostri che non si sia trattato di scelte collegate al perseguimento di obiettivi personali di carriera: non è d’altronde irragionevole affermare che la ricorrente, negli anni d’interesse, con le esperienze lavorative cumulate, avrebbe potuto probabilmente svolgere un’attività lavorativa forse meno gratificante, ma più vicina alla residenza familiare e al figlio.
7.3. Per quanto riguarda invece lo sviluppo di carriera e l’immagine professionale in generale, il danno da perdita della chance di ottenere l’idoneità, nella procedura 2012 di abilitazione scientifica nazionale al concorso da professore universitario di seconda fascia, basterà qui osservare che questa è precedente al periodo qui d’interesse, individuato sub 6.1; mentre nessuna specifica indicazione per il periodo seguente è stata offerta dalla -OMISSIS- a questo giudice.
7.4.1. Per quanto poi concerne la richiesta di ristoro del danno che la ricorrente qualifica come esistenziale, e che è preferibile individuare come componente non patrimoniale del pregiudizio asseritamente sofferto per effetto della violazione del giudicato, bisogna intanto ricordare la condivisibile giurisprudenza (da ultimo Cass. 14 luglio 2017, n. 17557), per cui il risarcimento del danno non patrimoniale presuppone:
“a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile);
b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza);
c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità. E tale risarcibilità è estesa sia quando il pregiudizio all’interesse di rango costituzionale derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008);
d) anche quando il danno non patrimoniale sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, non può mai ritenersi in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10527 del 13/05/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 13614 del 21/06/2011; id. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21865 del 24/09/2013)”.
7.4.2. Invero, per comprovare tale danno, la -OMISSIS- ha depositato anche una perizia psicologica, la quale le attribuisce bensì una condizione complessiva di sofferenza (forte stress emotivo con espressioni ascrivibili ad atteggiamenti mentali sia depressivi che ansiosi), ma pare insieme ricondurla solo parzialmente alla vicenda in esame, segnalando insieme caratteristiche preesistenti e costanti della personalità della ricorrente (il soggetto “mostra livelli elevati di ansia, tensione, difficoltà di concentrazione ed agitazione… Manifesta pensieri atipici ed idee strane. Ha difficoltà nel pensare con chiarezza e ha problemi di concentrazione e memoria. Riferisce di avere difficoltà ad affrontare la vita quotidiana. Percepisce il proprio ambiente di vita come minaccioso”, e così via).
7.5.1. Orbene, volendo ricondurre ad unità i diversi profili di pregiudizio sin qui compendiati, bisogna anzitutto sottolineare l’eccezionalità della fattispecie, in cui solo al termine di uno spossante iter, processuale e procedimentale, la -OMISSIS- ha ottenuto un riconoscimento, soprattutto morale, della propria idoneità professionale a svolgere la funzione di ricercatore, che l’Amministrazione avrebbe potuto assegnarle, quanto meno, a pochi mesi dal 26 febbraio 2013, quando la sentenza 526 fu pubblicata, preferendo invece affidarsi a modelli di resistenza ormai anacronistici
7.5.2. Non vi è dubbio che, da quel momento, e per un intervallo di ben altri quattro anni almeno, la ricorrente ha dovuto ricorrere a soluzioni professionali precarie, affrontandone le spese (sebbene altre certamente ne avrebbe affrontate, se si fosse trasferita a Milano); ha ragionevolmente perduto occasioni di visibilità professionale all’interno di una prestigiosa università; inoltre, il suo disagio psicofisico, legato ad una vicenda ormai annosa, e sicuramente notoria nell’ambiente è stato certamente accresciuto dal lungo iter, avviato nel 2014 e conclusosi, in pratica, per quanto è dato comprendere con la soppressione del posto: sicché lo stesso decreto rettorale 5 giugno 2017, n. 2146, che l’ha dichiarata vincitrice del concorso, e questa sentenza non sono certamente adeguata riparazione al pregiudizio sofferto.
7.5.3. In complesso si può affermare che, in questo particolare caso, è ragionevole concludere (secondo la regola del più probabile che non”) che, alla condotta palesemente e consapevolmente dilatoria e omissiva, tenuta dall’Università di Milano almeno dopo il 2013 (ma anche in precedenza, per la verità) vada ricondotto, come conseguenza, per la -OMISSIS- un danno, patrimoniale e non patrimoniale, risarcibile; danno di cui è peraltro estremamente difficile determinare l’entità, con la relativa liquidazione: anche perché, ex art. 30, III comma, c.p.a., va escluso il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, e il Collegio ritiene che i pregiudizi lamentati siano, almeno in parte, riconducibili a scelte personali della -OMISSIS-.
7.6.1 Tanto stabilito, appare ineluttabile liquidare il danno secondo un criterio equitativo, riferendosi all’evento da cui è scaturita l’intera vicenda.
7.6.2. Si ritiene dunque di stabilire il risarcimento onnicomprensivo, in una somma pari alla metà dello stipendio netto annuo onnicomprensivo, riconosciuto dall’Università di Milano a un ricercatore, secondo la previsione dell’art. 16 del d. lgs. 19/2012, dopo il primo anno di effettivo servizio e fino al giudizio di conferma (senza con ciò riconoscere fondamento alla domanda proposta sub § 5.5, e già dichiarata inammissibile): tale somma dovrà essere offerta ex art. 34, IV comma, c.p.a. dall’Università di Milano alla ricorrente -OMISSIS- entro sessanta giorni dalla comunicazione della presente decisione.
8. Le spese di lite, incluse quelle per l’attività svolta dal commissario ad acta, e già liquidate con separato decreto, seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando:
a) dichiara improcedibile il ricorso per ottemperanza;
b) condanna l’Università degli studi di Milano al risarcimento del danno in favore della ri