Ai fini del riconoscimento del lavoro svolto, l’art. 7 della legge 28 novembre 1980, n. 28 servì al solo primo inquadramento dei ricercatori universitari, ossia come passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento del personale universitario e di ricerca ed alla cessazione di quel precariato. Sicché il beneficio di cui all’ art. 103, D.p.r. 11 luglio 1980, n. 382, continua a sussistere per tutti i ricercatori confermati, pure oltre la fase di transizione e, quindi, va letto in modo coordinato con la formula aperta (assegni e borse comunque denominate) del medesimo art. 7. Quest’ultimo, una volta esaurito il compito transitorio per cui fu pensato, assunse quello di complemento e di subordinazione logica ed ermeneutica del medesimo art. 103 e, grazie alla predetta formula, con ogni evidenza prefigurò anche per il nuovo sistema forme collaborative esterne e, come nel passato, preparatorie al lavoro istituzionale (cioè, di ruolo) per la ricerca e la didattica universitarie.
Il riferimento ex art. 7 a qualunque borsa o assegno di formazione consente, quindi, d’estendere, ai fini dell’art. 103, l’applicabilità delle richiamate disposizioni anche a figure non espressamente individuate al tempo in cui fu emanato il decreto n. 382, compresi, quindi, gli assegnisti di ricerca ex art. 51, c. 6, 27 dicembre 1997, n. 449.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 aprile 2018, n. 2243
Ricercatore-Assegno di ricerca-Riconoscimento attività pregressa
N. 02243/2018 REG.PROV.COLL.
N. 09478/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 9478/2013, proposto da [#OMISSIS#] Battistoni, rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] Biscotti e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto in Roma, via Frattina n. 81, presso lo studio dell’avv. Panella,
contro
l’Università degli studi di Perugia, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
per la riforma
della sentenza del TAR Umbria, n. 280/2013, resa tra le parti e relativa al diniego di riconoscimento del servizio prestato dall’ appellante quale assegnista di ricerca;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ateneo intimato;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 19 ottobre 2017 il Cons. Silvestro [#OMISSIS#] Russo e uditi altresì, per le parti, l’avv. Mochi Onori (per delega di Biscotti) e l’Avvocato dello Stato Figo;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – Il dott. [#OMISSIS#] Battistoni dichiara d’essere ricercatore universitario confermato, a decorrere dal 1° novembre 2009, e di prestare attualmente servizio nella facoltà d’Ingegneria dell’ Università degli studi di Perugia,
In data 3 dicembre 2010, il dott. Battistoni chiese al Rettore di tal Ateneo il riconoscimento, ai fini della progressione in carriera, del servizio da lui svolto quale assegnista di ricerca: a) dal 2 maggio 2001 al 30 aprile 2003 presso il Dipartimento d’ingegneria industriale; b) dal 1° maggio 2003 al 30 aprile 2005, per conferma del precedente assegno biennale di ricerca; c) dal 1° maggio 2005 al 31 ottobre 2006, per ulteriore conferma di tal assegno. Con la nota prot. n. 7144 del 1° marzo 2011, il Rettore di detto Ateneo respinse l’istanza de qua, in quanto «… per i ricercatori… confermati l’art. 103 del D.P.R. 382/1980 non prevede che il predetto servizio sia riconoscibile…».
2. – Contro tal statuizione, nonché per l’accertamento del suo diritto a veder riconosciuti i servizi in parola, il dott. Battistoni insorse allora innanzi al TAR Umbria, con il ricorso NRG 183/2011, colà deducendo l’equiparazione dei predetti servizi alle borse di studio ed agli assegni indicati dalla l. 21 febbraio 1980 n. 28, essendo anch’essi rivolti a sostenere la formazione e l’addestramento didattico e scientifico, come s’evince dal parere di questo Consiglio (sez. II) n. 8250 del 12 gennaio 2011.
L’adito TAR, con sentenza n. 280 del 10 maggio 2013, ha respinto la pretesa così azionata, non essendo possibile riconoscere, quale servizio pre-ruolo, l’attività svolta dagli assegnisti di ricerca ex art. 51, c. 6 della l. 27 dicembre 1997 n. 449: 1) per la tassatività dell’elenco dei servizi equiparabili e riconoscibili contenuto nell’art. 103 del DPR 11 luglio 1980 n. 382 (il quale fissa i servizi che son riconosciuti a favore dei ricercatori confermati in esito alla loro immissione in servizio); 2) per l’oggettiva non assimilabilità tra le borse di studio e gli assegni di cui all’art. 7, VIII c., lett. e) della l. 28/1980 e gli assegni ex l. 449/1997; 3) perché, a differenza delle vicende relative ai titolari di questi ultimi, il precariato creato con gli assegni e le borse del vecchio ordinamento fi risolto in via definitiva con la creazione del ruolo unico dei ricercatori universitari, donde il riconoscimento ai loro titolari, in tutto o in parte, del servizio pregresso.
Ha appellato quindi il dott. Battistoni col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per: A) – la sostanziale assimilabilità tra il vecchio sistema e quello degli assegni ex art. 51 della l. 449/1997; B) – la necessità di leggere l’art. 103, III c. del DPR 382/1980, ai fini della sua estensione alla vicenda dell’appellante, in combinato disposto con l’art. 7, VIII c., lett. e) della l. 28/1980. Resiste in giudizio l’Ateneo intimato, che conclude per il rigetto dell’appello, stante sia la natura di beneficio (di stretta interpretazione) che il citato art. 103 stabilisce, sia l’evidente diversità funzionale tra gli assegni ante-riforma del 1980 e quelli di cui all’art. 51 della legge n. 447.
Alla pubblica udienza del 19 ottobre 2017, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
3. – L’appello è fondato e va accolto, per le considerazioni di cui appresso.
È corretto il richiamo dell’appellante ad uno specifico precedente in termini della Sezione (cfr. Cons. St., VI, 11 gennaio 2012 n. 102; ma cfr. pure id., II, 22 ottobre 2015 n. 142), che conclude nel senso da questi propugnato e dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, non conducenti appalesandosi talune critiche fuori tiro dell’Ateneo intimato verso la citata sentenza.
Per vero, l’appellante, oggidì ricercatore confermato in servizio presso tal Università, ha chiesto il riconoscimento, quale servizio pre-ruolo, della lunga attività da lui svolta quale assegnista di ricerca di cui all’allora vigente art. 51, c. 6 della l. 449/1997. A suo tempo, tal disposizione aveva previsto che «…le università, gli osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano, gli enti pubblici e le istituzioni di ricerca di cui all’art. 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 dicembre 1993, n. 593…, l’ENEA e l’ASI, nonché il Corpo forestale dello Stato,… possono conferire assegni per la collaborazione ad attività di ricerca. Possono essere titolari degli assegni dottori di ricerca o laureati in possesso di curriculum scientifico professionale idoneo per lo svolgimento di attività di ricerca…».
L’istanza attorea, nel tener presente la peculiare funzione di detto assegno di ricerca, compie un percorso argomentativo che prende le mosse dall’art. 103, III c. del DPR 382/1980, in virtù del quale «… Ai ricercatori universitari all’atto della loro immissione nella fascia dei ricercatori confermati, è riconosciuta per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per i due terzi ai fini della carriera l’attività effettivamente prestata nelle università in una delle figure previste dall’art. 7 della legge 21 febbraio 1980, n. 28…». Da quest’ultimo, che costituisce norma a regime per i servizi pre-ruolo di tutti i ricercatori confermati, l’istanza ne afferma la necessità della lettura congiunta con l’art. 7, VIII c., lett. e) della l. 28/1980 secondo cui, tra le figure rilevanti richiamate dal citato art. 103, III c. vi sono i «… titolari di borse o assegni, di formazione o addestramento scientifico e didattico o comunque denominati, purché finalizzati agli scopi predetti, istituiti sui fondi destinati dai consigli di amministrazione sui bilanci universitari, anche se provenienti da donazioni o da contratti o da convenzioni con enti o con privati, ed assegnati con decreto rettorale a seguito di pubblico concorso…». Sicché l’istanza predica la sostanziale identità tra gli assegni ex art. 51, c. 6 della legge n. 449 e tali borse ed assegni del vecchio ordinamento, che l’Ateneo intimato e il TAR invece escludono per la “tassatività” dell’elencazione indicata nell’art. 7 della legge n. 382.
4. – Ora, già il mero dato formale del nomen della qualifica rivestita non era dirimente di per sé solo per individuare quali servizi fossero riconoscibili ai fini dell’immissione nella fascia dei ricercatori confermati (cfr. Cons. St., VI, 21 ottobre 2011 n. 5669).
A più forte ragione non si può prescindere da quel che sul punto dice l’istanza dell’appellante, non essendo invero possibile ravvisare, tra i due rapporti precari indicati, alcuna seria differenza sostanziale e funzionale. Non è chi non veda come l’assegno del 1997, in quanto preordinato alla collaborazione all’attività di ricerca, sia in pratica sinonimo di quello del 1980, concesso per la formazione e l’addestramento scientifico, dei quali la predetta collaborazione alla ricerca è uno dei possibili aspetti. Né va sottaciuto come in entrambi i casi, in esito ai quali per legge non vi fu e non v’è continuità logica e di servizio tra la posizione di assegnista e transito di questi nell’impiego di ruolo presso le Università (donde l’errore in cui incappa sul punto l’Ateneo intimato), siano stati proprio queste ultime le più importanti finanziatrici delle due categorie di assegni. Al più si può dire, ribadendo quel che notò la Sezione nel 2012, che la disciplina posta nel 1997 sia stata più precisa ed analitica di quella del 1980 o che abbia concesso assegni pure ad attività di ricerca svolta presso enti diversi dalle Università, ma si tratta di dati sì veri, ma irrilevanti in sé e con riguardo alla vicenda personale dell’appellante, che fu assegnista nell’Ateneo intimato.
Non nega il Collegio il carattere di vero e proprio beneficio riconoscibile nel citato art. 103, ma si tratta d’una regola a regime che rinvia ad una disposizione, l’art. 7 della l. 28/1980, che essa servì al solo primo inquadramento dei ricercatori universitari, ossia come passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento del personale universitario e di ricerca ed alla cessazione di quel precariato. Sicché il beneficio di cui al ripetuto art. 103 continua a sussistere per tutti i ricercatori confermati, pure oltre la fase di transizione e, quindi, va letto in modo coordinato con la formula aperta (assegni e borse comunque denominate) del medesimo art. 7. Quest’ultimo, una volta esaurito il compito transitorio per cui fu pensato, assunse quello di complemento e di subordinazione logica ed ermeneutica del medesimo art. 103 e, grazie alla predetta formula, con ogni evidenza prefigurò anche per il nuovo sistema forme collaborative esterne e, come nel passato, preparatorie al lavoro istituzionale (cioè, di ruolo) per la ricerca e la didattica universitarie.
Il riferimento ex art. 7 a qualunque borsa o assegno di formazione consente, quindi, d’estendere, ai fini dell’art. 103, l’applicabilità delle richiamate disposizioni anche a figure non espressamente individuate al tempo in cui fu emanato il decreto n. 382, compresi, quindi, gli assegnisti di ricerca ex art. 51, c. 6 della l. 449/1997.
Ecco perché s’appalesa spurio ed erroneo il tentativo di cristallizzare l’interpretazione dell’art. 7 al suo scopo originario, poiché ciò sarebbe, oltre che illogico e forzato, discriminatorio nei confronti dei “nuovi” ricercatori perché non terrebbe conto dell’evoluzione del sistema. Per contro, la categoria degli assegnisti di ricerca è un’evoluzione delle categorie di collaborazione precaria con le Università e le Istituzioni di ricerca vigenti all’epoca dell’entrata in vigore del DPR 382/1980, onde sussiste in capo al ricercatore confermato il diritto a veder riconosciuta l’attività da lui svolta come assegnista, con ogni conseguenza di legge, di carattere giuridico e retributivo.
5. – L’appello è dunque da accogliere nei sensi fin qui visti, ma la complessità della vicenda e giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 9478/2013 in epigrafe), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione,
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 19 ottobre 2017, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
[#OMISSIS#] Barra [#OMISSIS#], Presidente
Silvestro [#OMISSIS#] Russo, Consigliere, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
Giordano [#OMISSIS#], Consigliere
Pubblicato il 16/04/2018