Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 aprile 2018, n. 2437

Personale universitario non docente-Annullamento d'ufficio degli inquadramenti professionali, in categoria superiore, disposti a seguito all’avvenuto superamento delle procedure selettive interne di progressione economica verticale (PEV)

Data Documento: 2018-04-23
Area: Giurisprudenza
Massima

Il comma 136, dell’articolo 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124 – disposizione speciale e, comunque, “specificativa” del concetto generale di “termine ragionevole”, per una cerchia ben individuabile di casi – 4 ha inteso individuare un punto di equilibrio preciso tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico – finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra P. A. e privati, con riferimento a qualsiasi rapporto contrattuale, compresi quindi quelli attinenti ai rapporti di lavoro pubblico “privatizzato”, regolati da contratti individuali di lavoro, venendo così a essere precluso l’esercizio di qualsivoglia autotutela amministrativa finalizzata ad evitare un illegittimo esborso – attuale ma anche futuro – di denaro pubblico, ove siano trascorsi più di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento illegittimo da caducare, e finanche se la esecuzione del provvedimento medesimo sia perdurante e, quindi, se l’Amministrazione si trovi, così, costretta ad adempiere, per il futuro, a ulteriori obbligazioni pecuniarie già assunte.

Contenuto sentenza

N. 02437/2018REG.PROV.COLL.
N. 10771/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10771 del 2015, proposto da [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Iacullo, [#OMISSIS#] Ciarletta, Donato Zeccola, [#OMISSIS#] De Rosa, [#OMISSIS#] Santarelli, [#OMISSIS#] Martino, [#OMISSIS#] Verrastro, [#OMISSIS#] Romaniello, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Logiurato, [#OMISSIS#] Mazzillo, [#OMISSIS#] Pelliccia, rappresentati e difesi dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo Studio dello stesso in Roma, via Pavia, 30; 
contro
l’Università degli Studi della Basilicata, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], non costituitosi in giudizio; 
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 421/2015, resa tra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso n. r. g. 331 del 2014, proposto dagli appellanti per l’annullamento del provvedimento n. 73 del 28 febbraio 2014, con cui il Direttore generale dell’Università degli studi della Basilicata ha annullato gli inquadramenti in categoria immediatamente superiore disposti in esito alle procedure selettive interne di progressione economica verticale (PEV), perfezionatesi con i provvedimenti del Direttore amministrativo dell’Università (PDA) nn. 145, 195 e 304 del 2005 – passaggi dalla cat. B alla cat. C – posizione economica C1;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi della Basilicata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; 
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 12 aprile 2018 il cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti l’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Le circostanze per le quali è causa sono descritte nei termini che seguono, con talune integrazioni, nella sentenza impugnata.
In data 21.6.2002 l’Università degli Studi della Basilicata stipulava con le organizzazioni sindacali un contratto integrativo per l’indizione di concorsi interni di progressione verticale nella categoria di inquadramento superiore e in attuazione dell’art. 57 del CCNL del personale tecnico – amministrativo del comparto Università, sottoscritto il 9.8.2000, veniva stabilito di destinare € 178.755,00 alle procedure selettive per le progressioni verticali e altrettanti € 178.755,00 ai concorsi esterni. 
In data 30.1.2003 il Consiglio di Amministrazione dell’Università accertava che: 
1) risultavano vacanti: a) “11 posizioni di Categoria EP”, per il “coordinamento di Aree e funzioni nel settore sia dell’Amministrazione Centrale che delle Biblioteche e della gestione dei Servizi Informatici e Telematici (controllo e sicurezza delle reti, sviluppo software) che della gestione dei Centri di servizi di ricerca con attrezzature particolarmente complesse che richiedono elevata competenza tecnico-scientifica ed inoltre presso i Dipartimenti tecnico-scientifici”; b) “45 unità di personale di Categoria D”; c) valutando che, in seguito alle predette 45 assunzioni di Categoria D, sarebbero risultati scoperti “un numero equivalente di posizioni di Categoria C”; 
2) pertanto, concludeva che “sulla base dell’analisi delle esigenze su menzionate appare che le risorse di personale necessarie siano n. 27 progressioni verticali dalla Categoria B alla C, n. 45 progressioni verticali dalla Categoria C alla D e 5 progressioni verticali dalla Categoria D alla EP”. 
Dopo aver emanato con Decreto Rettorale n. 431 del 10.9.2003 il Regolamento per la disciplina delle progressioni verticali riservate al personale interno, il Direttore Amministrativo dell’Università:
1) con provvedimento n. 458 del 12.9.2003 indiceva i seguenti concorsi interni: a) quello riservato al personale interno di Categoria B per 2 posti di Categoria C1 Area Amministrativa/Area Tecnica, Tecnico-scientifica ed Elaborazione dati/Area Biblioteche; b) quelli riservati al personale interno di Categoria C per: b1) 1 posto di Categoria D1 Area Amministrativa-gestionale; b2) 1 posto di Categoria D1 Area Tecnica, Tecnico scientifica ed Elaborazione dati; b3) 1 posto di Categoria D1 Area Biblioteche; 
2) con provvedimento n. 72 del 6.2.2004 indiceva i seguenti concorsi interni, riservati al personale interno di Categoria D: a) 1 posto di Categoria EP1 Area Amministrativa-gestionale; b) 1 posto di Categoria EP1 Area Tecnica, Tecnico scientifica ed Elaborazione Dati. 
Con provvedimento del Direttore Amministrativo n. 549 del 29.10.2004 veniva approvata la graduatoria del concorso interno, riservato ai dipendenti di Categoria B per 2 posto della Categoria C1 – Area Amministrativa, Tecnica, Tecnico Scientifica ed Elaborazione dati – Area Biblioteche. 
Il successivo provvedimento n. 145 del 4.3.2005 inquadrava nella predetta Categoria C1 Area Amministrativa con effetti giuridici dall’1.7.2003 ed economici dal 29.10.2004, oltre ai candidati collocatisi al 1° e al 2° posto, cioè le signore [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], anche tutti gli altri candidati idonei, classificatisi da 3° al 62° posto. 
…il Direttore Amministrativo dell’Università con provvedimenti nn. 625 e 626 del 30.11.2005 aveva indetto i concorsi esterni rispettivamente per l’assunzione di “3 unità di personale, da inquadrare nella Categoria C1 Area Tecnica, Tecnico scientifica ed Elaborazione Dati presso la Ripartizione Servizi Tecnici” e di “4 unità di personale, da inquadrare nella Categoria D1 Area Amministrativa-gestionale, destinate alle esigenze di coordinamento e gestione delle attività di ciascuna delle Facoltà esistenti (Agraria, Ingegneria, Lettere e Filosofia e Scienze MM.FF.NN.)”. 
Per i suddetti concorsi interni la Procura Regionale della Corte dei Conti, nel 2008, citava in giudizio per danno erariale il Direttore Amministrativo, il Rettore e tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione. 
Il giudizio di primo grado si concludeva con l’assoluzione per ravvisata assenza di colpa grave, in quanto all’epoca vi sarebbe stata un’incertezza del quadro normativo, regolamentare e di indirizzo amministrativo-operativo. 
[Il giudice erariale territoriale (Sezione giurisdizionale per la Basilicata, sentenza n. 191 del 2009) sosteneva che nella materia della programmazione del fabbisogno di personale nel periodo compreso tra il 2002 e il 2003, la disciplina normativa era caratterizzata da scarsa chiarezza, ricavabile dall’apparente contrasto di disposizioni, il che non consentiva una interpretazione univoca e precisa circa la cogenza effettiva di un siffatto “obbligo programmatorio”; e rilevava che “l’adozione delle procedure di mobilità verticale, o di progressione verticale, da parte dell’Università degli Studi della Basilicata, pur non risultando essere stata inserita in un rigoroso e puntualissimo programma definitorio dell’effettivo fabbisogno di personale tecnico amministrativo, non appare completamente e risolutamente affrancata dalla esigenza di una previa, pur quanto approssimativa ed incompleta, ricognizione delle reali esigenze di personale correlate alla realtà “in essere” ed “in fieri” dei vari Dipartimenti e delle varie categorie di inquadramento (cat. B, C, D e EP) delle risorse umane in esse destinate ad operare; né dalla esigenza di garantire un adeguato accesso ai ruoli del personale “ab externo”, assicurato dal reclutamento di n.7 unità di personale, peraltro portato a termine con la [#OMISSIS#] preoccupazione del rispetto dei necessari livelli di copertura finanziaria riferibili esclusivamente al pur non florido bilancio universitario;
(e che) il mancato rispetto delle norme imponenti la preventiva programmazione del fabbisogno di personale, (programmazione suscettibile di costituire l’obbligatorio parametro di raffronto per la corretta e razionale definizione degli “accessi verticalizzati”) appare il frutto di una scelta operativa ed amministrativa “scusabile” ed in qualche modo, e per quanto “infra” precisato, comprensibile, attesa la coesistenza, nel tempo e nel periodo in cui le decisioni amministrative contestate nell’atto di citazione vennero assunte, di norme e di indirizzi amministrativi non univoci né limpidi nel senso dell’affermazione di siffatta attività programmatoria, che solo a far tempo dall’anno 2005, grazie ad una chiara ed indiscutibile previsione normativa, assume i tratti di inderogabile cogenza anche per le amministrazioni universitarie…
3) l’incertezza descritta del quadro normativo, regolamentare e di indirizzo amministrativo – operativo nel quale i convenuti odierni si sono trovati ad operare e, conseguentemente, a decidere le più opportune e satisfattive soluzioni di strategia e di gestione decolora in modo netto e reciso l’intensità e la gravità dell’elemento psicologico soggettivo da vagliare nel procedimento giudiziario di accertamento della responsabilità amministrativa, consentendone l’agevole inquadramento nel concetto di “culpa levis”…” : dal che, l’assoluzione dei convenuti dalle imputazioni di responsabilità amministrativa a loro ascritte, per assenza di colpa grave nella condotta serbata dagli stessi nelle procedure di mobilità verticale espletate”
Tale sentenza di primo grado veniva riformata dalla Corte dei conti, Sez. I giurisdizionale centrale, con la sentenza n. 52 del 3.2.2012 che, a fronte di un danno erariale annuo di € 178.755,00, condannava i responsabili al pagamento della somma complessiva di € 50.000,00, ripartita pro-quota tra gli stessi. 
La Sentenza del Giudice contabile di seconda istanza era basata sui seguenti due motivi:
1) l’Università aveva indetto i concorsi interni, senza aver prima effettuato la programmazione triennale del fabbisogno di personale, prevista dall’art. 1, comma 105, della Legge Finanziaria per l’anno 2005 n. 311/2004 e non tenendo conto di quanto statuito dall’art. 34, commi 1 e 2, della Legge Finanziaria per l’anno 2003 n. 289/2002;
2) mediante lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi interni in favore di tutti i candidati idonei era stata violata la quota minima del 50%, da riservare ai concorsi esterni, sancita dall’art. 57, comma 6, del CCNL del 9.8.2000. 
[Il giudice erariale d’appello da una parte riteneva sussistere, in capo all’Amministrazione universitaria, oneri di programmazione del fabbisogno di personale e, dall’altra, considerava non rispettata la quota del 50 % da riservare al reclutamento di personale dall’esterno, ex articoli 35, comma 1, del d. lgs. n. 165 del 2001, e 57, nn. 2) e 6), del CCNL del 9.8.2000, posto che l’Università si era limitata a garantire, con i citati concorsi indetti con i PAD nn. 625 e 626 del 30.11.2005, un accesso dall’esterno per sole sette posizioni]. 
Il Direttore Generale dell’Università comunicava ai ricorrenti l’avvio del procedimento finalizzato all’annullamento del suindicato provvedimento n. 145 del 4.3.2005, di inquadramento nella Categoria C1, richiamando la citata sentenza Corte dei Conti Sez. I giurisdizionale centrale n. 52 del 3.2.2012.
I destinatari con distinte memorie del 27.3.2013 contestavano l’avvio del procedimento. 
Con provvedimento n. 73 del 28.2.2014 (notificato con distinte note del 4.3.2014) il Direttore Generale dell’Università della Basilicata esercitava il potere di autotutela, disponendo “l’annullamento degli inquadramenti professionali rivenienti dalle procedure di progressione economica perfezionatesi con i provvedimenti Direttore Amministrativo n. 145 del 4.3.2005, n. 195 del 31.3.2005 e n. 304 dell’11.5.2005…”. 
[Il DDG di annullamento in autotutela degli inquadramenti professionali, pur prendendo atto che, anche in base a quanto rilevato dal TAR Basilicata, con la sentenza n. 95 del 2009, passata in giudicato, in ordine a un contenzioso legato agli esiti di procedure di progressione di carriera di cui al menzionato PDA n. 304 del 2005, era da ritenere che l’Amministrazione universitaria avesse previamente determinato il fabbisogno di personale, come richiesto dall’art. 57, comma 6, del CCNL del 9.8.2000, richiamava la citata sentenza della Corte dei conti – I sezione centrale, n. 52 del 2012, il parere dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Potenza del 21 gennaio 2013 e la nota della PCM – Dipartimento della Funzione pubblica, del 31 gennaio 2013, con cui si riconosceva un interesse pubblico “in re ipsa” all’annullamento d’ufficio degli inquadramenti illegittimi senza la necessità di una motivazione specifica, rientrandosi in un caso di “autotutela doverosa” e potendosi prescindere dall’avvenuto superamento del limite temporale triennale, per l’esercizio dell’autotutela, di cui all’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004. 
Nel provvedimento di annullamento in autotutela si faceva riferimento a un “interesse immanente” dell’Amministrazione universitaria a evitare il perpetuarsi del danno erariale legato alla indebita corresponsione dei maggiori emolumenti originati dalle citate progressioni in carriera. L’Università rilevava che nella vicenda è individuabile un danno permanente nel senso che in mancanza della rimozione degli atti illegittimi, il pregiudizio erariale continuerebbe a prodursi: di qui, in presenza di un illegittimo esborso di denaro pubblico, la prevalenza dell’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio degli inquadramenti professionali più favorevoli disposti nel 2005, salvo restando il trattamento economico superiore goduto dal 29.10.2004 fino all’intervenuto annullamento degli inquadramenti medesimi (ossia, a quanto consta, fino al febbraio del 2014)].
Con successivi provvedimenti del 20.3.2014 il medesimo Direttore Generale, in attuazione del predetto provvedimento n. 73 del 28.2.2014, revocava formalmente la Categoria C1 ai … (ricorrenti e odierni appellanti). 
2. I ricorrenti in epigrafe hanno impugnato il predetto provvedimento n. 73 del 28.2.2014 dinanzi al TAR Basilicata con svariati motivi.
Con la sentenza n. 421 del 2015 il giudice di primo grado, nella resistenza dell’Università, ha respinto il ricorso, con compensazione delle spese, sulla base delle argomentazioni che seguono:
-preliminarmente il TAR, dopo avere rilevato la estraneità del MIUR alla controversia, con conseguente difetto di legittimazione passiva del Ministero, ha statuito la improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, sostenendo che i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare anche il PDG dell’Università n. 74/2014, anch’esso del 28.2.2014, con cui l’Amministrazione ha “nuovamente disposto l’annullamento degli inquadramenti professionali rivenienti dalle procedure di progressione economica verticale perfezionatesi con i PP.D.A. n. 145 del 4.3.2005, n. 195 del 31.3.2005 e n. 304 dell’11.5.2005”. Nella sentenza si legge che la mancata impugnazione di tale secondo provvedimento “rende improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse il ricorso, in quanto mediante esso l’Amministrazione resistente ha nuovamente definito l’assetto degli interessi in questione in chiave preclusiva delle aspirazioni degli istanti, sicché nessun effetto deriverebbe in capo ai ricorrenti dall’annullamento della determinazione n. 73/2015. Ciò nondimeno, il Collegio ritiene di poter prescindere dal rilievo d’ufficio di tale improcedibilità, risultando il ricorso infondato nel merito…”;
-risulta violato il principio dell’accesso adeguato nelle P. A. dall’esterno per concorso (cfr. articoli 97, comma 3 Cost., 35, comma 1, del d. lgs. n. 165 del 2001 e 57, commi 2 e 6, del CCNL del 9 agosto 2000). Non è stata rispettata la quota minima del 50 % dei posti da riservare ai concorsi con accesso dall’esterno (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 90 del 2012 e altre);
-vi è un interesse pubblico “in re ipsa” all’annullamento di ufficio di un provvedimento di inquadramento illegittimo di un pubblico dipendente, anche a notevole distanza di tempo dalla emanazione del provvedimento favorevole illegittimo, tenuto conto dell’esigenza di evitare il protrarsi di un pregiudizio economico per l’Amministrazione universitaria sotto forma di esborsi ingiustificati e continuativi di denaro pubblico, vertendosi appunto in tema di inquadramento illegittimo di pubblici dipendenti nella categoria superiore; 
-il decorso di un lungo periodo di tempo (nella specie, circa nove anni) tra gli inquadramenti più favorevoli, a seguito delle procedure di progressione interna, e i provvedimenti di annullamento in autotutela, non impedisce l’esercizio del potere di autotutela, tenuto conto dell’esigenza di evitare un danno permanente per l’Amministrazione. In casi come questi l’interesse pubblico prevale sulle posizioni del dipendente, per quanto consolidate;
-il richiamo all’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, è irrilevante, in quanto quest’ultima disposizione “si riferisce espressamente ai “provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati” “ancora in corso” o la cui “esecuzione sia perdurante”, cioè i contratti di appalto e/o convenzionali a tempo determinato, per cui non può essere applicata ai contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nel pubblico impiego”;
-anche a voler ritenere acclarato che l’Università abbia effettuato in modo congruo la programmazione del fabbisogno di personale da assumere, è insuperabile il rilievo secondo cui le procedure attivate per le assunzioni sono illegittime, “non avendo l’Università rispettato il criterio di suddivisione tra concorsi interni e concorsi esterni”;
-anche le violazioni procedimentali ulteriormente dedotte non possono trovare accoglimento. 
3.1. La sentenza è stata impugnata con cinque motivi, concernenti violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili. In via preliminare, gli appellanti hanno dedotto “erronea declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado per asserita sopravvenuta carenza di interesse, in conseguenza della mancata impugnazione della determinazione dirigenziale n. 74/2014”.
3.2. L’Università si è costituita per resistere..
3.3. In prossimità dell’udienza di discussione nel merito, gli appellanti hanno depositato un’ampia memoria. 
All’udienza del 12 aprile 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
4. L’appello è fondato a va accolto.
4.1. In via preliminare e di [#OMISSIS#], è fondato e da accogliere anzitutto il motivo formulato dalla parte appellante a confutazione della statuizione di primo grado di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in considerazione della mancata impugnazione del PDG n. 74 del 28.2.2014.
4.1.1. Dall’esame degli atti risulta, infatti, che, diversamente da ciò che si afferma con la sentenza impugnata, con il citato PDG n. 74/2014 non è stata operata alcuna nuova definizione degli interessi degli odierni appellanti, essendo stata, invece, compiuta una valutazione specifica riferita alle posizioni di alcuni dipendenti. 
4.1.2. Si tratta delle sei unità di personale classificatesi nelle prime posizioni delle graduatorie delle procedure selettive per le progressioni economiche verticali nelle cat. C, D ed EP (signori [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Pace, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], a loro volta ricorrenti e appellanti con i n. di r. g. 10740/15, 1622/16, 10430/15, 10432/15, 10736/15 e 10739/15, decisi anch’essi all’udienza del 12.4.2018).
4.1.3. Con riguardo alle posizioni dei dipendenti appena menzionati, l’Amministrazione universitaria, come si ricava chiaramente dalla parte conclusiva del citato provvedimento n. 74/2014, ha rilevato una “non perfetta corrispondenza dei profili professionali (in termini di aree) oggetto delle progressioni di carriera del personale in indirizzo rispetto a quelli di cui ai PP.D.A. nn. 626 e 625 del 2005, “ferma restando la rispondenza in termini numerici e budgetari tra i medesimi”.
4.1.4. In base a tali considerazioni, l’Università ha escluso la conferma degli inquadramenti anche nei riguardi dei sei dipendenti primi classificatisi nelle procedure di PEV (contrariamente a quanto disposto a favore del signor D. [#OMISSIS#]).
4.1.5. Pertanto, occorre considerare che con il PDG n. 74/2014, l’Università non ha “nuovamente definito l’assetto degli interessi in questione in chiave preclusiva delle aspirazioni” degli odierni appellanti, ma ha semplicemente riservato una valutazione particolare per alcuni dipendenti, vale a dire i sei menzionati sopra, non pervenendo alla convalida dei rispettivi inquadramenti, convalida disposta invece in favore del signor [#OMISSIS#].
4.1.6. Da ciò discende l’interesse concreto e attuale degli appellanti odierni a vedere annullato proprio il PDG n. 73/2014 e, di contro, il difetto di legittimazione e interesse degli appellanti medesimi nei confronti del PDG n. 74/2014. 
4.2. Per accogliere l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado, e annullare il provvedimento n. 73 del 28 febbraio del 2014 di annullamento d’ufficio in via di autotutela degli inquadramenti professionali, in categoria superiore, disposti nel 2005 dall’Università, in seguito all’avvenuto superamento delle procedure selettive interne di progressione economica verticale (PEV), tra cui in particolare gli inquadramenti degli appellanti odierni dalla cat. B alla C – posizione economica C1, il Collegio considera decisivo rilevare anzitutto la fondatezza della dedotta violazione dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, disposizione abrogata dall’art. 6, comma 2, della l. n. 124 del 2015, ma vigente e applicabile al momento della adozione del provvedimento impugnato in primo grado, e secondo la quale “Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.
4.2.1. Sempre preliminarmente, è opportuno rammentare, con la parte appellante, che la sentenza n. 52 del 2012 della Corte dei conti, Sezione I giurisdizionale centrale, richiamata nel provvedimento impugnato in primo grado, non è in alcun modo idonea a ripercuotere i propri effetti sul presente giudizio, posto che le giurisdizioni contabile e amministrativa divergono per presupposti e finalità. Infatti, come osservato in dottrina, “mentre la prima è di diritto oggettivo, tutela gli interessi delle varie collettività, è ad impulso necessario o comunque ufficiale, ha un’impostazione inquisitoria, ha come parte processuale necessaria un organo del pubblico Ministero, ha finalità essenzialmente risarcitorie di danni patrimoniali e in generale di accertamento di illiceità finanziarie, la seconda è di diritto soggettivo, tutela diritti ed interessi legittimi essenzialmente individuali, è ad impulso eventuale dell’interessato, ha carattere dispositivo, ha come controparte una pubblica amministrazione, ha finalità demolitorie di atti amministrativi e di accertamento di illegittimità di essi”.
4.2.2. Ancora in via preliminare, va chiarito poi che con l’atto di gravame non risulta sottoposta a critica specifica l’illegittimità, rilevata nel provvedimento impugnato in primo grado, e confermata in sentenza, delle procedure selettive interne di PEV, con riferimento al mancato rispetto della “quota minima del 50%” dei posti da riservare ai concorsi con accesso dall’esterno (salvo che per le posizioni degli appellanti [#OMISSIS#], [#OMISSIS#], [#OMISSIS#], [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] e Pace – appelli nn. r. g. 10430/15, 10432/15, 10736/15, 10739/15, 10740/15 e 1622/16, dipendenti dell’Università classificatisi ai primi posti nelle procedure selettive interne di PEV, con riferimento ai quali, nei giudizi di appello sopra specificati, si insiste sull’avvenuto rispetto della quota minima del 50 % di accesso dall’esterno, il che, nella prospettazione degli appellanti medesimi, eliminerebbe in radice l’illegittimità riscontrata dall’Università nell’esercizio del potere di autotutela: ma la motivazione degli accoglimenti degli appelli è tale da consentire l’assorbimento della censura fatta valere specificatamente nei sei ricorsi suindicati).
4.2.3. Ciò posto, diversamente da quanto affermato dal giudice di primo grado, per il quale, nella fattispecie, non trova applicazione la norma di cui al citato comma 136, abrogata dall’art. 6, comma 2, della l. n. 124 del 2015 ma indubbiamente vigente e applicabile al momento della adozione del provvedimento impugnato in primo grado, questo Collegio di appello condivide argomentazioni e conclusioni della parte appellante con riguardo sia all’ambito oggettivo di applicazione della disposizione suindicata, e sia al rapporto di “species” a “genus” tra la disposizione di cui al comma 136 e l’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, norma introdotta, poco tempo dopo la l. n. 311 del 2004, con la l. n. 15 del 2005, sicché è da ritenere che il menzionato comma 136 sia stato abrogato solo per dichiarazione espressa dal citato art. 6, comma 2, della l. n. 124 del 2015. 
4.2.4. Per converso, come si dirà anche più avanti, non può parlarsi di abrogazione tacita della disposizione di cui al comma 136 per effetto della entrata in vigore, a distanza di pochissimo tempo, della disciplina generale dell’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, contenente il riferimento al “termine ragionevole” entro il quale la P. A. può annullare d’ufficio l’atto amministrativo illegittimo. 
4.2.5. Argomentazioni e conclusioni dell’appello vanno condivise anche con riferimento alle conseguenze, in punto di non conformità a legge, del disposto annullamento in autotutela, derivanti dall’avvenuto superamento del limite temporale triennale di cui al citato comma 136. 
4.2.6. Sul primo aspetto, quello relativo all’ambito oggettivo di applicazione del citato comma 136, se, come è stato affermato in giurisprudenza (TAR Campania – Napoli, sez. V, n. 21106 del 2008), “è probabile che il legislatore della legge finanziaria per l’anno 2005 avesse in mente altro, nell’atto dell’introduzione della citata previsione normativa (di cui al citato comma 136) verosimilmente riferita soprattutto alla tutela degli interessi delle imprese appaltatrici nei rapporti contrattuali scaturenti da procedure di evidenza pubblica della p.a.”, pare corretto rilevare inoltre (v. sent. TAR cit.) che “la volontà del legislatore storico, o l’occasio legis, non rilevano agli effetti della definizione interpretativa della portata oggettiva che la disposizione normativa acquista nel sistema vigente. E non v’è dubbio che la norma risulta appieno riferibile ai rapporti di lavoro pubblico “privatizzato”, regolati, come è noto, da contratti individuali di lavoro, di talché, nel caso in esame, ci si trova senz’altro di fronte a un’ipotesi di annullamenti d’ufficio incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati…”.
4.2.7. Sulla scia della giurisprudenza amministrativa, anche di questo Consiglio (Sez. V, sent. n. 342 del 2001; Sez. VI, n. 7742 del 2009, nel senso dell’applicabilità del limite temporale triennale di cui al comma 136 anche ai rapporti di impiego pubblico, in tema, rispettivamente, di annullamento in autotutela di ammissione a procedura concorsuale per progressione verticale, e approvazione della relativa graduatoria, per riscontrata carenza dei requisiti prescritti, e di decadenza da graduatoria per personale ATA per carenza di un requisito indispensabile), questo Collegio ritiene corretto considerare, con la parte appellante, che la disposizione di cui al citato comma 136 non opera alcuna distinzione tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato, né tra rapporti convenzionali di appalto e rapporti di lavoro pubblico. 
4.2.8. Più in generale, con il citato comma 136 è stato introdotto un limite temporale specifico e invalicabile al potere di annullamento in autotutela spettante alla P. A. , attribuendo a quest’ultima la possibilità di agire in autotutela, in presenza di determinate situazioni, descritte nella disposizione, entro il termine di tre anni dalla acquisizione di efficacia del provvedimento amministrativo illegittimo del cui annullamento si tratta.
4.2.9. La norma “de qua”, nel porre la barriera temporale triennale, individua un criterio di equilibrio tra interesse del privato e interesse dell’erario, stabilendo che l’annullamento d’ufficio possa intervenire per questa specifica finalità, purché entro il triennio dall’adozione dell’atto.
4.2.10. Quanto poi alla “ratio” della disposizione – conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le P. A. -, la finalità stessa, considerata nella sua ampiezza, ben si presta a ricomprendere anche ipotesi nelle quali vengano in questione inquadramenti illegittimi, della conformità a legge dell’annullamento in autotutela dei quali si controverta, che abbiano comportato esborsi di denaro pubblico, anche in relazione alla prospettiva di non corrispondere, in futuro, somme ulteriori derivanti dagli inquadramenti illegittimi anzidetti: fermo restando tuttavia il divieto per legge di esercitare il potere di annullamento in autotutela oltre il limite temporale triennale dalla acquisizione di efficacia del provvedimento amministrativo ampliativo illegittimo.
4.2.11. Non potrebbe, cioè, utilmente sostenersi che il citato comma 136 si applichi soltanto nei casi in cui l’atto di annullamento ritrovi il suo fondamento nella finalità di “conseguire risparmi o minorioneri finanziari” per le P. A. , mentre, come sostiene la parte pubblica, nella specie il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe motivato non da finalità di risparmio di risorse pubbliche, ma dallo scopo di evitare il protrarsi di un danno erariale, connesso alla indebita corresponsione dei maggiori emolumenti correlati alle progressioni in carriera. 
4.2.12. Questo Collegio ritiene che il conseguimento di “risparmi o minori oneri finanziari” per le P. A. si verifichi anche quando l’atto amministrativo illegittimo che si pretende di annullare in via di autotutela comporti un illegittimo esborso di denaro pubblico (o una mancata entrata). A quest’ultimo proposito, va condiviso il rilievo, svolto con l’appello, in base al quale, attraverso il comma 136 – disposizione speciale e, comunque, “specificativa”, come tra breve si dirà, del concetto generale di “termine ragionevole”, per una cerchia ben individuabile di casi – la legge del 2004 ha inteso individuare un punto di equilibrio preciso tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico – finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra P. A. e privati, con riferimento a qualsiasi rapporto contrattuale, compresi quindi quelli attinenti ai rapporti di lavoro pubblico “privatizzato”, regolati da contratti individuali di lavoro, venendo così a essere precluso l’esercizio di qualsivoglia autotutela amministrativa finalizzata ad evitare un illegittimo esborso – attuale ma anche futuro – di denaro pubblico, ove siano trascorsi più di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento illegittimo da caducare, e finanche se la esecuzione del provvedimento medesimo sia perdurante e, quindi, se l’Amministrazione si trovi, così, costretta ad adempiere, per il futuro, a ulteriori o