Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 aprile 2018, n. 2442

Personale universitario non docente-Annullamento d'ufficio degli inquadramenti professionali, in categoria superiore, disposti a seguito all’avvenuto superamento delle procedure selettive interne di progressione economica verticale (PEV)

Data Documento: 2018-04-23
Area: Giurisprudenza
Massima

Il comma 136, dell’articolo 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124 – disposizione speciale e, comunque, “specificativa” del concetto generale di “termine ragionevole”, per una cerchia ben individuabile di casi – 4 ha inteso individuare un punto di equilibrio preciso tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico – finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra P. A. e privati, con riferimento a qualsiasi rapporto contrattuale, compresi quindi quelli attinenti ai rapporti di lavoro pubblico “privatizzato”, regolati da contratti individuali di lavoro, venendo così a essere precluso l’esercizio di qualsivoglia autotutela amministrativa finalizzata ad evitare un illegittimo esborso – attuale ma anche futuro – di denaro pubblico, ove siano trascorsi più di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento illegittimo da caducare, e finanche se la esecuzione del provvedimento medesimo sia perdurante e, quindi, se l’Amministrazione si trovi, così, costretta ad adempiere, per il futuro, a ulteriori obbligazioni pecuniarie già assunte.

Contenuto sentenza

N. 02442/2018REG.PROV.COLL.
N. 00632/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 632 del 2016, proposto da [#OMISSIS#] Linsalata, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio eletto presso lo Studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] in Roma, via Cosseria, 2; 
contro
l’Università degli Studi della Basilicata, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], non costituitosi in giudizio; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. BASILICATA – POTENZA, n. 425/2015, resa tra le parti, con la quale è stato respinto il ricorso diretto all’annullamento del provvedimento del Direttore generale dell’Università n. 73 del 28.2.2014, di annullamento in autotutela di inquadramenti professionali rivenienti da procedure di progressione economica verticale (PEV) – risarcimento del danno;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi della Basilicata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 12 aprile 2018 il cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]; udito l’avvocato dello Stato [#OMISSIS#] Stigliani [#OMISSIS#];
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Le circostanze per le quali è causa sono descritte nei termini che seguono nella sentenza impugnata.
I ricorrenti ([#OMISSIS#] Montanaro e [#OMISSIS#] Linsalata: l’unico appellante è il secondo) sono insorti avverso il provvedimento in epigrafe, con il quale è stato disposto “l’annullamento degli inquadramenti professionali rivenienti dalle procedure di progressione economica verticale perfezionatesi con pp. dd. aa. n. 145 del 4.3.2005, n. 195 del 31 marzo 2005 e n. 304 dell’11 maggio 2005”.
1.1. Hanno esposto, in fatto, i ricorrenti che:
– (quali) dipendenti dell’Università degli studi della Basilicata hanno partecipato alla procedura selettiva interna, per titoli ed esami, riservata ai dipendenti di ruolo a tempo indeterminato ed in servizio presso tale Ateneo, per la c.d. “progressione economica verticale”, dalla categoria C alla D, posizione economica D1, nell’area tecnica, per n. 1 posto, indetta con provvedimento del direttore amministrativo n. 458 del 12 Settembre 2003;
– in esito a tale procedura, si sono collocati tra gli idonei della graduatoria definitiva e, a seguito di scorrimento della graduatoria, con provvedimento del Direttore amministrativo n. 304/2005 sono stati inquadrati nella categoria D, posizione economica D1, con effetti giuridici dal 1° luglio 2003, ed economici dal 6 maggio 2005;
– con l’impugnato provvedimento n. 73 del 28 febbraio 2014, a circa dieci anni di distanza, è stato disposto annullamento di detti inquadramenti professionali…” .
1.2. In diritto, i ricorrenti, nell’impugnare il predetto provvedimento n. 73 del 28.2.2014 dinanzi al TAR Basilicata, hanno formulato svariati motivi, concernenti violazione di legge ed eccesso di potere. 
2. Con la sentenza in epigrafe il giudice di primo grado, nella resistenza dell’Università, dopo avere rilevato la estraneità al giudizio, e il conseguente difetto di legittimazione passiva, del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, ha respinto il ricorso, con compensazione delle spese, sulla base delle argomentazioni che seguono:
-preliminarmente il TAR ha rilevato la improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, sostenendo che i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare anche il PDG dell’Università n. 74/2014, anch’esso del 28.2.2014, con cui l’Amministrazione ha “nuovamente disposto l’annullamento degli inquadramenti professionali rivenienti dalle procedure di progressione economica verticale perfezionatesi con i PP.D.A. n. 145 del 4.3.2005, n. 195 del 31.3.2005 e n. 304 dell’11.5.2005”. Nella sentenza si legge che la mancata impugnazione di tale secondo provvedimento “rende improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse il ricorso, in quanto mediante esso l’Amministrazione resistente ha nuovamente definito l’assetto degli interessi in questione in chiave preclusiva delle aspirazioni degli istanti, sicché nessun effetto deriverebbe in capo ai ricorrenti dall’annullamento della determinazione n. 73/2015. Ciò nondimeno, il Collegio ritiene di poter prescindere dal rilievo d’ufficio di tale improcedibilità, risultando il ricorso infondato nel merito…”;
-risulta violato il principio dell’accesso adeguato nelle P. A. dall’esterno per concorso (cfr. articoli 97, comma 3 Cost., 35, comma 1, del d. lgs. n. 165 del 2001 e 57, commi 2 e 6, del CCNL del 9 agosto 2000). Non è stata rispettata la quota minima del 50 % dei posti da riservare ai concorsi con accesso dall’esterno (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 90 del 2012 e altre);
-vi è un interesse pubblico “in re ipsa” all’annullamento di ufficio di un provvedimento di inquadramento illegittimo di un pubblico dipendente, anche a notevole distanza di tempo dalla emanazione del provvedimento favorevole illegittimo, tenuto conto dell’esigenza di evitare il protrarsi di un pregiudizio economico per l’Amministrazione universitaria sotto forma di esborsi ingiustificati e continuativi di denaro pubblico, vertendosi appunto in tema di inquadramento illegittimo di pubblici dipendenti nella categoria superiore; 
-il decorso di un lungo periodo di tempo (nella specie, più di nove anni) tra gli inquadramenti più favorevoli, a seguito delle procedure di progressione interna, e i provvedimenti di annullamento in autotutela, non impedisce l’esercizio del potere di autotutela, tenuto conto dell’esigenza di “evitareil perpetuarsi del danno erariale” derivante “dalla indebita corresponsione dei maggioriemolumenti rinvenienti dalle progressioni in carriera”. Il richiamo all’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, operato dai ricorrenti, è dunque irrilevante, posto che tale disposizione persegue la finalità di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le P. A. . In casi come questi l’interesse pubblico prevale sulle posizioni del dipendente, per quanto consolidate;
-è infondata e va respinta anche la censura di disparità di trattamento rispetto alla posizione di un singolo lavoratore, il signor [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], inquadrato in cat. D, posizione economica D1, in seguito al superamento di procedura selettiva di PEV. Infine, è stata respinta anche la domanda di risarcimento del danno. 
3. La sentenza è stata impugnata dal signor Linsalata con quattro motivi. 
In [#OMISSIS#], l’appellante ha rimarcato l’erronea statuizione del TAR di improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse.
Nel merito, è stata dedotta l’illogicità e l’erroneità della motivazione della decisione di primo grado, nonché violazione e falsa applicazione di legge sotto svariati profili.
E’ stata infine reiterata la domanda di risarcimenti dei danni, “nella misura determinata dalle differenze retributive tra quanto percepito prima del provvedimento impugnato e quanto corrisposto dall’Amministrazione dopo la revoca dell’inquadramento”.
L’Università si è costituita per resistere.
All’udienza del 12 aprile 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
4. L’appello è fondato a va accolto.
4.1. In via preliminare e di [#OMISSIS#], è fondato e da accogliere anzitutto il motivo formulato dalla parte appellante a confutazione della statuizione di primo grado di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in considerazione della mancata impugnazione del PDG n. 74 del 28.2.2014 .
4.1.1. Dall’esame degli atti risulta, infatti, che, diversamente da ciò che si afferma con la sentenza impugnata, con il citato PDG n. 74/2014 non è stata operata alcuna nuova definizione degli interessi dell’odierno appellante, essendo stata, invece, compiuta una valutazione specifica riferita alle posizioni di alcuni dipendenti. 
4.1.2. Si tratta delle sei unità di personale classificatesi nelle prime posizioni delle graduatorie delle procedure selettive per le progressioni economiche verticali nelle cat. C, D ed EP (signori [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Pace, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], a loro volta ricorrenti e appellanti con i n. di r. g. 10740/15, 1622/16, 10430/15, 10432/15, 10736/15 e 10739/15, decisi anch’essi all’udienza del 12.4.2018).
4.1.3. Con riguardo alle posizioni dei dipendenti appena menzionati, l’Amministrazione universitaria, come si ricava chiaramente dalla parte conclusiva del citato provvedimento n. 74/2014, ha rilevato una “non perfetta corrispondenza dei profili professionali (in termini di aree) oggetto delle progressioni di carriera del personale in indirizzo rispetto a quelli di cui” ai PP.D.A. nn. 626 e 625 del 2005, “ferma restando la rispondenza in termini numerici e budgetari tra i medesimi”
4.1.4. In base a tali considerazioni, l’Università ha escluso la conferma degli inquadramenti anche nei riguardi dei sei dipendenti primi classificatisi nelle procedure di PEV (contrariamente a quanto disposto a favore del signor D. [#OMISSIS#]).
4.1.5. Pertanto, con il PDG n. 74/2014, l’Università non ha “nuovamente definito l’assetto degli interessi in questione in chiave preclusiva delle aspirazioni” delle appellanti odierne, ma ha semplicemente riservato una valutazione particolare per alcuni dipendenti, vale a dire i sei menzionati sopra, non pervenendo alla convalida dei rispettivi inquadramenti, convalida disposta invece in favore del signor [#OMISSIS#].
4.1.6. Da ciò discende l’interesse concreto e attuale dell’attuale appellante a vedere annullato proprio il PDG n. 73/2014 e, di contro, il difetto di legittimazione e interesse dell’appellante stesso nei confronti del PDG n. 74/2014. 
4.2. Per accogliere l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado, e annullare il provvedimento n. 73 del 28 febbraio del 2014 di annullamento d’ufficio in via di autotutela degli inquadramenti professionali, in categoria superiore, disposti nel 2005 dall’Università, in seguito all’avvenuto superamento delle procedure selettive interne di progressione economica verticale (PEV), tra cui in particolare gli inquadramenti dell’appellante signor Linsalata dalla cat. C alla D, il Collegio considera sussistente anzitutto la violazione dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, disposizione abrogata dall’art. 6, comma 2, della l. n. 124 del 2015, ma vigente e applicabile al momento della adozione del provvedimento impugnato in primo grado, e secondo la quale “Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.
4.2.1. Sempre preliminarmente, è opportuno rammentare che la sentenza n. 52 del 2012 della Corte dei conti, Sezione I giurisdizionale centrale, richiamata nel provvedimento impugnato in primo grado, non è in alcun modo idonea a ripercuotere i propri effetti sul presente giudizio, posto che le giurisdizioni contabile e amministrativa divergono per presupposti e finalità. Infatti, come osservato in dottrina, “mentre la prima è di diritto oggettivo, tutela gli interessi delle varie collettività, è ad impulso necessario o comunque ufficiale, ha un’impostazione inquisitoria, ha come parte processuale necessaria un organo del pubblico Ministero, ha finalità essenzialmente risarcitorie di danni patrimoniali e in generale di accertamento di illiceità finanziarie, la seconda è di diritto soggettivo, tutela diritti ed interessi legittimi essenzialmente individuali, è ad impulso eventuale dell’interessato, ha carattere dispositivo, ha come controparte una pubblica amministrazione, ha finalità demolitorie di atti amministrativi e di accertamento di illegittimità di essi”.
4.2.2. Ancora in via preliminare, va chiarito poi che con l’atto di gravame non risulta sottoposta a critica specifica l’illegittimità, rilevata nel provvedimento impugnato in primo grado, e confermata in sentenza, delle procedure selettive interne di PEV, con riferimento al mancato rispetto della “quota minima del 50%” dei posti da riservare ai concorsi con accesso dall’esterno (salvo che per le posizioni degli appellanti [#OMISSIS#], [#OMISSIS#], [#OMISSIS#], [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] e Pace – appelli nn. r. g. 10430/15, 10432/15, 10736/15, 10739/15, 10740/15 e 1622/16, dipendenti dell’Università classificatisi ai primi posti nelle procedure selettive interne di PEV, con riferimento ai quali, nei giudizi di appello sopra specificati, si insiste sull’avvenuto rispetto della quota minima del 50 % di accesso dall’esterno, il che, nella prospettazione degli appellanti medesimi, eliminerebbe in radice l’illegittimità riscontrata dall’Università nell’esercizio del potere di autotutela: ma la motivazione degli accoglimenti degli appelli è tale da consentire l’assorbimento della censura fatta valere specificatamente nei sei ricorsi suindicati).
4.2.3. Ciò posto, diversamente da quanto affermato dal giudice di primo grado, per il quale, nella fattispecie, non trova applicazione la norma di cui al citato comma 136, abrogata dall’art. 6, comma 2, della l. n. 124 del 2015 ma indubbiamente vigente e applicabile al momento della adozione del provvedimento impugnato in primo grado, questo Collegio di appello condivide argomentazioni e conclusioni della parte appellante con riguardo sia all’ambito oggettivo di applicazione della disposizione suindicata, e sia al rapporto di “species” a “genus” tra la disposizione di cui al comma 136 e l’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, norma introdotta, poco tempo dopo la l. n. 311 del 2004, con la l. n. 15 del 2005, sicché è da ritenere che il menzionato comma 136 sia stato abrogato solo per dichiarazione espressa dal citato art. 6, comma 2, della l. n. 124 del 2015. 
4.2.4. Per converso, come si dirà anche più avanti, non può parlarsi di abrogazione tacita della disposizione di cui al comma 136 per effetto della entrata in vigore, a distanza di pochissimo tempo, della disciplina generale dell’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, contenente il riferimento al “termine ragionevole” entro il quale la P. A. può annullare d’ufficio l’atto amministrativo illegittimo. 
4.2.5. Argomentazioni e conclusioni dell’appello vanno condivise anche con riferimento alle conseguenze, in punto di non conformità a legge, del disposto annullamento in autotutela, derivanti dall’avvenuto superamento del limite temporale triennale di cui al citato comma 136. 
4.2.6. Sul primo aspetto, quello relativo all’ambito oggettivo di applicazione del citato comma 136, se, come è stato affermato in giurisprudenza (TAR Campania – Napoli, sez. V, n. 21106 del 2008), “è probabile che il legislatore della legge finanziaria per l’anno 2005 avesse in mente altro, nell’atto dell’introduzione della citata previsione normativa (di cui al citato comma 136) verosimilmente riferita soprattutto alla tutela degli interessi delle imprese appaltatrici nei rapporti contrattuali scaturenti da procedure di evidenza pubblica della p.a.”, pare corretto rilevare inoltre (v. sent. TAR cit.) che “la volontà del legislatore storico, o l’occasio legis, non rilevano agli effetti della definizione interpretativa della portata oggettiva che la disposizione normativa acquista nel sistema vigente. E non v’è dubbio che la norma risulta appieno riferibile ai rapporti di lavoro pubblico “privatizzato”, regolati, come è noto, da contratti individuali di lavoro, di talché, nel caso in esame, ci si trova senz’altro di fronte a un’ipotesi di annullamenti d’ufficio incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati…” .
4.2.7. Sulla scia della giurisprudenza amministrativa, anche di questo Consiglio (Sez. V, sent. n. 342 del 2001; Sez. VI, n. 7742 del 2009, nel senso dell’applicabilità del limite temporale triennale di cui al comma 136 anche ai rapporti di impiego pubblico, in tema, rispettivamente, di annullamento in autotutela di ammissione a procedura concorsuale per progressione verticale, e approvazione della relativa graduatoria, per riscontrata carenza dei requisiti prescritti, e di decadenza da graduatoria per personale ATA per carenza di un requisito indispensabile), questo Collegio ritiene corretto considerare, con la parte appellante, che la disposizione di cui al citato comma 136 non opera alcuna distinzione tra contratti a tempo determinato e contratti a tempo indeterminato, né tra rapporti convenzionali di appalto e rapporti di lavoro pubblico. 
4.2.8. Più in generale, con il citato comma 136 è stato introdotto un limite temporale specifico e invalicabile al potere di annullamento in autotutela spettante alla P. A. , attribuendo a quest’ultima la possibilità di agire in autotutela, in presenza di determinate situazioni, descritte nella disposizione, entro il termine di tre anni dalla acquisizione di efficacia del provvedimento amministrativo illegittimo del cui annullamento si tratta.
4.2.9. La norma “de qua”, nel porre la “barriera” temporale triennale, individua un criterio di equilibrio tra interesse del privato e interesse dell’erario, stabilendo che l’annullamento d’ufficio possa intervenire per questa specifica finalità, purché entro il triennio dall’adozione dell’atto.
4.2.10. Quanto poi alla “ratio” della disposizione – conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le P. A. -, la finalità stessa, considerata nella sua ampiezza, ben si presta a ricomprendere anche ipotesi nelle quali vengano in questione inquadramenti illegittimi, della conformità a legge dell’annullamento in autotutela dei quali si controverta, che abbiano comportato esborsi di denaro pubblico, anche in relazione alla prospettiva di non corrispondere, in futuro, somme ulteriori derivanti dagli inquadramenti illegittimi anzidetti: fermo restando tuttavia il divieto “ex lege” di esercitare il potere di annullamento in autotutela oltre il limite temporale triennale dalla acquisizione di efficacia del provvedimento amministrativo ampliativo illegittimo.
4.2.11. Non potrebbe, cioè, utilmente sostenersi che il citato comma 136 si applichi soltanto nei casi in cui l’atto di annullamento ritrovi il suo fondamento nella finalità di “conseguire risparmi o minorioneri finanziari” per le P. A. , mentre, come sostiene la parte pubblica, nella specie il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe motivato non da finalità di risparmio di risorse pubbliche, ma dallo scopo di evitare il protrarsi di un danno erariale, connesso alla indebita corresponsione dei maggiori emolumenti correlati alle progressioni in carriera. 
4.2.12. Questo Collegio ritiene che il conseguimento di “risparmi o minori oneri finanziari” per le P. A. si verifichi anche quando l’atto amministrativo illegittimo che si pretende di annullare in via di autotutela comporti un illegittimo esborso di denaro pubblico (o una mancata entrata). A quest’ultimo proposito, va condiviso il rilievo, svolto con l’appello, in base al quale, attraverso il comma 136 – disposizione speciale e, comunque, “specificativa”, come tra breve si dirà, del concetto generale di “termine ragionevole”, per una cerchia ben individuabile di casi – la legge del 2004 ha inteso individuare un punto di equilibrio preciso tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico – finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra P. A. e privati, con riferimento a qualsiasi rapporto contrattuale, compresi quindi quelli attinenti ai rapporti di lavoro pubblico “privatizzato”, regolati da contratti individuali di lavoro, venendo così a essere precluso l’esercizio di qualsivoglia autotutela amministrativa finalizzata ad evitare un illegittimo esborso – attuale ma anche futuro – di denaro pubblico, ove siano trascorsi più di tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento illegittimo da caducare, e finanche se la esecuzione del provvedimento medesimo sia perdurante e, quindi, se l’Amministrazione si trovi, così, costretta ad adempiere, per il futuro, a ulteriori obbligazioni pecuniari assunte.
4.2.13. Ciò, in un contesto, anche normativo, nel quale il “fattore tempo” assume un rilievo fondamentale e le fattispecie di annullamento in via di autotutela vanno lette in maniera restrittiva.
4.2.14. In questa prospettiva, la pre – fissazione del limite temporale dei tre anni quale presupposto (sia pur riferito a un campo di applicazione più ristretto rispetto a quello, generale, preso in considerazione dall’art. 21 – nonies della l. n. 241/1990, come si dirà più avanti) per l’esercizio legittimo del potere di autotutela, trascorso il quale (triennio) “non può essere adottato” alcun “annullamento di ufficio”, ha anticipato di alcuni anni la previsione di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015 che, nel modificare l’art. 21 – nonies della l. n. 241 del 1990, attualmente fissa in un termine “non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”, quindi in un gran numero di ipotesi, il “termine ragionevole” e il limite temporale massimo entro cui poter annullare d’ufficio il provvedimento amministrativo illegittimo, “sussistendone le ragioni di interesse pubblico” “e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”.
4.2.15. A quest’ultimo riguardo, non pare inutile segnalare che in più occasioni questa Sezione (v. sentenze n. 3762 del 2016 e 5625 del 2015) ha considerato il parametro temporale di riferimento dei 18 mesi, pur non applicabile “ratione temporis” alle controversie, “rilevante ai fini interpretativi ericostruttivi del sistema degli interessi rilevanti”.
4.2.16. Tornando alla fattispecie per cui è causa, l’Amministrazione universitaria ha annullato gli inquadramenti professionali “de quibus”, pur illegittimi, a ben nove anni di distanza dall’acquisizione di efficacia degli stessi, incidendo in tal modo assai pesantemente e negativamente su rapporti contrattuali perduranti, perfezionatisi ormai da un lunghissimo periodo di tempo, in un contesto nel quale, presumibilmente, la parte appellante, avendo superato la procedura selettiva riservata di PEV, secondo ragionevolezza ed esperienza ben poteva confidare nella prosecuzione di una situazione favorevole nella quale ben poteva avere riposto le proprie prospettive di vita, anche rinunciando a percorsi lavorativi diversi. 
4.2.17. Sotto un secondo profilo, nel riprendere argomentazioni e conclusioni di Cons. Stato, Sez. III, n. 5259 del 2015, pare il caso di ribadire che nella specie non viene in considerazione una abrogazione tacita del suddetto art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, ad opera della di poco successiva l. n. 15 del 2005, che ha introdotto nel corpo della l. n. 241 del 1990 la disposizione a carattere generale in tema di annullamento d’ufficio di cui all’art. 21 – nonies con la quale, fino alla entrata in vigore dell’art. 6 della l. n. 124 del 2015, nella materia dell’annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo ha trovato applicazione, in linea di principio, il criterio temporale “elastico” del “termine ragionevole”. 
4.2.18. E invero “…non convince … la tesi dell’abrogazione tacita della norma recata dalla L. 311/2004 per effetto dell’entrata in vigore – a distanza di poco tempo – della disciplina generale introdotta con la legge n. 15 del 2005, che ha modificato la legge n. 241 del 1990, aggiungendo l’articolo 21-nonies, che disciplina, per la prima volta in termini generali, il potere di autotutela della p.a.
Depongono in senso contrario alla tesi dell’abrogazione tacita:
— la diversa natura delle due disposizioni – l’una speciale e l’altra generale – il che rende possibile la coesistenza tra le due norme, delle quali quella speciale individua in modo preciso il concetto di “tempo ragionevole” contenuto in quella generale;
— la mancata espressa abrogazione della suddetta disposizione ad opera del legislatore nel momento in cui ha per la prima volta – con la legge n. 15/2005 – disciplinato l’annullamento in autotutela;
— l’espressa abrogazione della disposizione recata dalla L. 311/2014 per effetto dell’art. 6 della L. 124/2015 che ha modificato l’art. 21 nonies della L. 241/90, prevedendo la possibilità dell’esercizio del potere di annullamento di ufficio per ragioni di pubblico interesse “entro un termine ragionevole e comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”, e che ha previsto al comma 2 dello stesso articolo l’abrogazione espressa della suddetta disposizione normativa.
Da dette circostanze, ed in particolare dall’ultima citata, può agevolmente desumersi la vigenza della suddetta disposizione al momento dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado.
Quanto alla sua applicabilità al caso di specie, condivide la Sezione quanto affermato dal primo giudice – richiamando la giurisprudenza della Sezione – in quanto nel conflitto tra le due norme deve essere dato rilievo al prevalente principio di specialità.
La norma anteriore, infatti, denota un ambito applicativo più ristretto rispetto a quella della legge n. 15 del 2005: la prima riguarda, non già tutti i provvedimenti di annullamento d’ufficio, ma solo quelli incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati; la seconda, invece, si applica, senza distinzione alcuna, a tutti i provvedimenti di annullamento in autotutela.
La norma recata dalla L. 311/04… regola una speciale forma di annullamento, distinta per la finalità di risparmio di spesa perseguita ponendo un preciso criterio di equilibrio tra l’interesse del privato e quello dell’erario, stabilendo che l’annullamento può sempre intervenire per questa specifica finalità, purché ricompreso nel triennio dall’adozione dell’atto a tutela dell’affidamento del privato e dell’equilibrio economico dell’impresa…” (così, testualmente, Cons. Stato, III, n. 5259 del 2015; conf. , sempre Sez. III, sent. n. 6065 del 2014, TAR Toscana, I, n. 263 del 2013 e la già citata TAR Campania – Napoli, V, n. 21106 del 2008, che qualifica il termine massimo triennale stabilito dal comma 136 per l’annullamento d’ufficio di provvedimenti incidenti sulle ipotesi ivi considerate “come tipica ipotesi speciale applicativa del concetto generale di termine ragionevole introdotto dalla legge generale sul procedimento, nel senso di costituire un caso in cui … è la stessa legge speciale che determina, direttamente e puntualmente, per una determinata tipologia di atti, qual è il termine ragionevole per l’esercizio del potere di auto annullamento”, con conseguente illegittimità del provvedimento di autoannullamento intervenuto, ben oltre il triennio, a incidere “su rapporti contrattuali o convenzionali con privati”, in un contesto di “bilanciata applicazione di principi di pari dignità e rilevanza giuridica”).
4.2.19. Con riguardo al caso oggi in esame, la disposizione di cui al citato comma 136 è speciale e, comunque, “specificativa”, per un insieme di casi meno ampio rispetto al campo di applicazione generale al quale si riferisce il limite temporale, elastico, del “termine ragionevole”, di cui all’art. 21 – nonies, e si pone comunque in consonanza con il “criterio generale” anzidetto del “termine ragionevole”. 
4.2.20. L’accertata violazione del limite temporale triennale di cui al comma 136, disposizione come detto applicabile al caso odierno, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, assorbe e supera ogni diversa questione prospettabile.
4.2.21. Assorbe e supera la questione dell’interesse pubblico “in re ipsa” all’auto annullamento di provvedimenti di inquadramento illegittimo di pubblici dipendenti, ancorché intervenuti a notevolissima distanza di tempo dalla emanazione del provvedimento favorevole illegittimo. 
A questo proposito, va osservato come i richiami, operati dall’Università, a numerosi precedenti giurisprudenziali, per disconoscere l’operatività, nel caso concreto, del limite temporale triennale di cui all’art. 1, comma 136, appaiano irrilevanti, dal momento che molte delle sentenze menzionate si riferiscono a provvedimenti di annullamento di ufficio adottati dalle P. A. prima della entrata in vigore dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311 del 2004, disciplina che risultava pertanto inapplicabile in virtù del principio “tempus regit actum”; mentre altre decisioni richiamate si riferivano a vicende nelle quali il limite temporale triennale era stato pacificamente rispettato.
4.2.22. Ma l’accertata violazione del limite temporale triennale di cui al citato comma 136, per il suo carattere “radicale”, assorbe a supera anche la questione, indicata nel provvedimento impugnato in primo grado, attinente alla mancata programmazione del fabbisogno triennale di personale, potendosi perciò prescindere dal considerare che il DDG di annullamento di ufficio degli inquadramenti professionali dava atto, nelle premesse, che, sulla base di quanto stabilito dal TAR Basilicata, con la sentenza n. 95 del 2009, passata in giudicato, relativa a un contenzioso legato agli esiti di procedure di progressione di carriera di cui al menzionato PDA n. 304 del 2005, era da ritenere che l’Amministrazione universitaria avesse previamente determinato il fabbisogno di personale, come richiesto dall’art. 57, comma 6, del CCNL del 9.8.2000. Del resto, anche l’Avvocatura dello Stato, nella relazione, in atti, sembra riconoscere l’avvenuta previa determinazione del fabbisogno del personale (salvo segnalare l’esistenza di altre ragioni idonee a sorreggere il provvedimento di autotutela). 
4.2.23. Infine, e in ogni caso, anche a voler prescindere dalla applicazione del comma 136 alla fattispecie, resta che la rimozione in autotutela, disposta nel 2014, di inquadramenti professionali deliberati nel 2005, sarebbe dovuta avvenire comunque sulla base della disciplina generale contenuta nell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, incentrata sulla valutazione della sussistenza di ragioni di interesse pubblico, “tenendo conto” anche degli interessi dei destinatari del provvedimento illegittimo della cui autotutela si tratta: sempre però nel rispetto del “termineragionevole” indicato dalla norma medesima (fino al 2015, prima cioè che l’art. 6 della l. n. 124 del 2015 introducesse, perlomeno per un gran numero di ipotesi di annullamento di ufficio, il limite dei 18 mesi quale “termine ragionevole” per l’esercizio dell’autotutela, parametro temporale di riferimento di cui, come detto, è consentito tener conto anche nel regolare fattispecie che ricadono sotto la disciplina della previsione legislativa precedente).
4.2.24. Se così fosse, il Collegio ritiene che non potrebbe essere giudicato ragionevole, considerando anche l’esigenza di tener conto dell’interesse del privato, e del fatto che tanto maggiore è il tempo trascorso dal momento dell’adozione dell’atto illegittimo, tanto più tendono a consolidarsi le posizioni individuali dei destinatari del provvedimento oggetto di riesame, un