Con riferimento, in particolare, alla revoca degli atti di una procedura di aggiudicazione pubblica, tale provvedimento è espressione del potere di autotutela decisoria della pubblica amministrazione, espressamente disciplinata dall’art. 21-quinquies, della legge 7 agosto 1990, n. 241. È altresì noto che, in virtù della norma ora menzionata, l’amministrazione ben può revocare un atto amministrativo, ove sussistano sopravvenute ragioni di interesse pubblico, un mutamento delle circostanze di fatto ovvero una rivalutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi). Con tale potere, quindi, la pubblica amministrazione non procede all’eliminazione di un provvedimento illegittimo, bensì revoca ex nunc di un provvedimento amministrativo per ragioni di merito e di opportunità, sulla base di valutazioni discrezionali che inducono a ritenere l’atto amministrativo non più funzionale al perseguimento del pubblico interesse.
L’esercizio di tale potere discrezionale non è tuttavia privo di limiti, dovendo l’amministrazione procedente valutare la sussistenza dell’interesse pubblico alla revoca ma, nondimeno, anche considerare gli effetti della revoca sulle posizioni soggettive dei destinatari in gioco, tanto che è stabilita la previsione della corresponsione di un indennizzo in favore del destinatario dell’atto di revoca quando questo, adottato in quanto giustificato dalla prevalente presenza di un interesse pubblico, provochi un pregiudizio a carico del destinatario (non necessariamente economicamente valutabile).
Tanto ciò è vero che anche la doverosità dell’adozione del provvedimento di revoca e quindi del connesso esercizio dell’azione amministrativa non osta alla configurabilità della responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, dovendosi concludere nel senso che sussiste la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, in caso di affidamento ingenerato nel contraente privato in seguito alla conclusione della procedura ad evidenza pubblica, potendo verosimilmente lo stesso contraente aver confidato su un titolo (id est: l’aggiudicazione), che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso, che è stato successivamente rimosso (cfr., in tema, Cons. Stato, Sez. IV, 20 febbraio 2014 n. 790).
Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 maggio 2018, n. 2630
Gara pubblica in materia di appalti-Revoca atti procedura di aggiudicazione-Responsabilità precontrattuale
N. 02630/2018 REG.PROV.COLL.
N. 07416/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7416 del 2017, proposto dalla società Lo Splendore S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] Scuderi, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, via Stoppani, n. 1;
contro
la Università Politecnica delle Marche, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti
la società MA.CA. S.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, non costituita nel giudizio di appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per le Marche, Sez. I, 5 giugno 2017 n. 431, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’Università appellata;
Esaminata la ulteriore memoria prodotta dalla parte appellante;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2018 il Cons. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti gli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e Marina Russo dell’Avvocatura generale dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – La società Lo Splendore S.r.l. ha partecipato ad una gara bandita dall’Università Politecnica delle Marche, nel mese di luglio 2012, per l’affidamento del contratto di appalto, di durata quinquennale (dall’1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2017), del servizio di pulizia degli immobili della predetta università, da aggiudicarsi ai sensi dell’articolo 82 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (all’epoca vigente) secondo il criterio del maggior ribasso percentuale sull’importo a base d’asta fissato in complessivi euro 4.682.640,00.
2. – Da quanto si legge dai documenti versati in atti nel giudizio di primo grado ed in quello di appello nonché dalla sentenza gravata, emerge che:
– la predetta società presentava una offerta economica caratterizzata da un ribasso del 45% sull’importo a base d’asta sostenendo, già nel corso del giudizio di primo grado e ancora in grado di appello, che tale formulazione aveva tenuto “conto – per come si conviene, data la natura del servizio di pulizia appaltando – dei costi per la manodopera contrattualmente vincolati, nell’arco del periodo messo a gara (ovvero in relazione al quinquennio decorrente dall’1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2017), riducendo al minimo le proprie previsioni d’utile di impresa” (così, testualmente, a pag. 2 dell’atto di appello);
– la procedura selettiva veniva sospesa, con ordinanza del direttore generale dell’università del 31 ottobre 2012, al fine di poter acquisire un parere da parte dell’Autorità di vigilanza sui contrati pubblici in merito alla nota questione relativa alla legittimità o meno della presentazione di offerte economiche prive dell’indicazione degli oneri per la sicurezza da rischio specifico e aziendale;
– al termine del periodo di sospensione, durato oltre sette mesi, con ordinanza del direttore generale del 3 luglio 2013 la procedura veniva conclusa con l’aggiudicazione in favore dell’odierna società appellante;
– il 30 luglio 3013, però, detta ordinanza era successivamente revocata, per effetto di una nuova ordinanza dello stesso direttore generale, perché si sarebbe riscontrata l’assenza in capo alla odierna appellante del requisito relativo al fatturato minimo nel triennio 2009-2011 per come preteso dalla disciplina della lex specialisdi gara, di talché la selezione veniva aggiudicata alla seconda graduata, società MA.CA., oggi controinteressata, che aveva proposto una offerta con un ribasso del 39,27%;
– derivava da tale decisione dell’università l’avvio da parte della società Lo Splendore di un contenzioso giurisdizionale all’esito del quale l’adito Tribunale amministrativo regionale delle Marche, nel gennaio 2014, accoglieva il ricorso;
– tale definizione giudiziaria comportava che il direttore generale dell’università, con ordinanza del 14 gennaio 2014, revocasse i precedenti atti ed aggiudicasse (nuovamente e) definitivamente la selezione alla società Lo Splendore convocandola, quindi, per il successivo 26 febbraio 2014, a seguito di invio di una specifica nota (del 19 febbraio 2014), per la stipula del contratto di appalto del servizio quinquennale oggetto della gara;
3. – Fin qui i fatti che hanno caratterizzato la vicenda prima dell’avvio dei contrasti, attualmente oggetto di contenzioso presso il giudice amministrativo, tra la società appellante e l’università appellata.
Nell’approcciarsi alla sottoscrizione del contratto, l’università proponeva alla società di assumersi l’obbligo contrattuale di avviare il periodo di esecuzione del servizio di pulizia a far data dal marzo 2014 e per un quinquennio da tale data e, quindi, fino al marzo 2019. In altri termini l’università prospettava alla società aggiudicataria la necessità che fosse tenuta ferma la durata quinquennale prevista fin dall’inizio nella lex specialisdi gara per il rapporto contrattuale da concludersi, traslando detto periodo in avanti, rispetto a quanto originariamente previsto nel bando, con avvio dal marzo 2014, piuttosto che dal 1° gennaio 2013 e fino al marzo 2019, piuttosto che fino al 31 dicembre 2017, mantenendo tuttavia ferma l’offerta economica per come presentata in corso di gara e quindi non tenendo conto del(l’incidenza sull’offerta del) nuovo e diverso periodo di durata contrattuale.
A fronte di tale proposta la società Lo Splendore opponeva la impossibilità di poterla sostenere economicamente “in mancanza d’un opportuno adeguamento delle relative condizioni economiche e contrattuali (adeguamento contrattuale che si imponeva per la società al fine di mantenere in “equilibrio” l’offerta a suo tempo formulata, anche in considerazione dell’esiguo utile d’impresa “ab origine” previsto, ma che tuttavia l’Università si è rifiutata di concedere e financo di verificare)” (così, testualmente, a pag. 4 dell’atto di appello).
A questo punto l’università, non avendo trovato riscontro positivo alla proposta sopra illustrata, con ordinanza del direttore generale 12 marzo 2014 n. 107:
a) prendeva atto dell’impossibilità di procedere al perfezionamento del contratto;
b) disponeva di revocare l’aggiudicazione definitiva disposta in favore della società Lo Splendore;
c) procedeva all’escussione della cauzione provvisoria, alla segnalazione del fatto all’Autorità per la vigilanza sui contratti di lavori, servizi e forniture nonché ad attivare, presso le competenti sedi giurisdizionali, le procedure utili ad addivenire al risarcimento dei danni, in relazione all’affidamento ad altri delle prestazioni contrattuali;
d) aggiudicava, infine, il servizio (nuovamente) alla impresa MA.CA. collocatasi seconda in graduatoria (che si è poi rifiutata di stipulare il contratto alle condizioni imposte dall’università, impugnando a propria volta il provvedimento di revoca che poi la medesima università ebbe ad adottare ai suoi danni).
4. – La società Lo Splendore proponeva un secondo ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per le Marche nei confronti della suddetta ordinanza dirigenziale deducendo taluni vizi formali della stessa e della istruttoria che ne aveva preceduto l’adozione (mancata adozione della comunicazione di avvio del procedimento ed inadeguatezza dell’istruttoria) nonché censure di natura sostanziale sia con riferimento al procedimento svolto che al provvedimento conclusivo dello stesso per violazione dei principi di correttezza e di buona fede nelle trattative contrattuali.
Per quel che si legge al punto 5 della sentenza qui oggetto di appello, i motivi dedotti nel ricorso di primo grado sono sostanzialmente i seguenti:
– la mancata stipula del contratto è addebitabile all’amministrazione, in quanto la richiesta di adeguamento delle condizioni contrattuali era debitamente motivata dall’ingiustificato ritardo nella conclusione della gara e dall’ulteriore protrazione dei tempi causata dall’illegittima esclusione della ricorrente (con atto poi annullato dal TAR Marche). La revoca dell’aggiudicazione è stata pertanto disposta dall’università al solo fine di sottrarsi alla responsabilità derivante dall’aver procrastinato eccessivamente i tempi di gara e dall’aver adottato un illegittimo provvedimento di esclusione a danno della ricorrente;
– anche nel merito la richiesta di adeguamento del corrispettivo era giustificata, visto che l’offerta presentata in sede di gara era stata commisurata esattamente al periodo di vigenza del contratto indicato negli atti indittivi della procedura e dunque la stessa non poteva oggettivamente essere più remunerativa alla luce dello spostamento in avanti dell’arco temporale in cui il servizio avrebbe dovuto essere svolto;
– gli aumenti dei costi dei fattori produttivi e degli altri oneri aziendali connessi con il presente appalto non sarebbero nemmeno ammortizzabili dal meccanismo di revisione dei prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. 163/2006, visto che la revisione riguarda solo gli aumenti dei costi verificatisi dopo la stipula del contratto, per cui sarebbero rimasti esclusi gli aumenti verificatisi in precedenza;
– la revoca è altresì illegittima in quanto non preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento.
La società originaria ricorrente, nel ricorso di primo grado, chiedeva anche la condanna dell’Università Politecnica delle Marche al risarcimento dei danni per mancata esecuzione dell’appalto, che, distinti fra danno emergente, lucro cessante e c.d. danno curriculare, venivano quantificati in almeno 200.000,00 €, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria.
5. – Il Tribunale amministrativo regionale adito respingeva il ricorso con la sentenza 5 giugno 2017 n. 431 che veniva quindi fatta oggetto di appello con la proposizione di quattro complessi motivi di gravame sintetizzabili nei seguenti termini:
I) il TAR ha del tutto dimenticato di pronunciarsi sulla fondamentale questione sottopostagli dalla società ricorrente avente ad oggetto lo scrutinio sulla legittimità della pretesa dell’università di imporre, in sede di stipula del contratto di appalto, l’esecuzione del servizio di pulizia per un periodo differente da quello indicato nel bando di gara e rispetto al quale l’aggiudicataria aveva, ovviamente, “calibrato” la propria offerta economica presentata in gara e risultata migliore. La mancata corrispondenza tra il contenuto del contratto oggetto della selezione e quello del contratto sottoposto alla sottoscrizione, con riferimento al periodo di durata dell’appalto e quindi incidente sulla permanente sostenibilità dell’offerta economica proposta in occasione della partecipazione alla gara ma per un periodo diverso, avrebbe dovuto provocare una rivalutazione da parte di entrambi i contraenti dei termini contrattuali all’esito di una trattativa e non già consentire alla stazione appaltante di revocare l’aggiudicazione ed assumere, di conseguenza, le ulteriori decisioni sanzionatorie a carico della società aggiudicatrice dell’appalto.
II) il riferimento effettuato dal giudice di prime cure alla corretta applicazione dell’art. 11, commi 6 e 9, d.lgs. 163/2006 è da ritenersi errato alla luce di quanto si è sopra detto, atteso che le richiamate disposizioni del(l’allora vigente) Codice dei contratti pubblici trovano applicazione nel caso in cui le criticità, emerse successivamente all’intervenuta aggiudicazione, riguardano la permanenza dei vincoli che derivano dalla offerta e dall’aggiudicazione, mentre in questo caso alla società aggiudicataria è stato sottoposto per la sottoscrizione un contratto diverso da quello oggetto di gara, in ragione delle rilevanti modifiche che la stazione appaltante intendeva autonomamente imporre rispetto alla costruzione negoziale originaria;
III) si presenta palesemente errato quanto sostenuto nella sentenza qui appellata nelle parti in cui è stato affermato che: a) la società odierna appellante non poteva dolersi del fatto che le condizioni economiche del contratto imposto dall’università fossero risultate differenti rispetto a quelle contenute nell’offerta economica presentata in gara, o persino antieconomiche, rientrando lo spostamento in avanti del periodo di esecuzione del contratto nella normale aleainsita in ogni gara d’appalto (punto 10.3 della sentenza); b) ogni incremento dei costi – che comunque non dà titolo ad adeguamento contrattuale – sarebbe stato compensato grazie agli effetti della clausola di revisione prezzi (punto 12 della sentenza); c) il diritto comunitario esclude la possibilità di una successiva rinegoziazione delle condizioni contrattuali con l’aggiudicatario (punto 10.2 della sentenza); d) la tesi dell’odierna appellante sarebbe smentita dalla sua stessa contraddittoria condotta, avendo, circa sei mesi prima dell’aggiudicazione definitiva in suo favore, in sede di verifica di anomalia, essa stessa difesola sostenibilità economica della propria offerta economica, per poi affermare, dopo avere conseguito l’aggiudicazione definitiva, di non essere in grado di confermare tale sostenibilità per il tempo aggiuntivo di validità contrattuale richiesto dall’università (per il periodo gennaio 2017-marzo 2019); e) il rifiuto alla stipula del contratto da parte della società appellante non è giustificato ai sensi dell’art.11, commi 6 e 9 d.lgs. 163/2006 (con conseguente declaratoria di legittimità degli atti impugnati, anche nella parte relativa all’applicazione in danno dell’appellante delle sanzioni accessorie connesse alla revoca della aggiudicazione). Infatti la pretesa dell’università di imporre l’assunzione del servizio di pulizia per un periodo temporale successivo e differente rispetto a quello messo a gara e per il quale era stata formulata l’offerta economica, presentata nel mese di ottobre del 2012 e dunque oltre un anno e mezzo prima del momento in cui la medesima società è stata chiamata a svolgere il servizio si presenta giuridicamente inammissibile perché violativa dei fondamentali principi che informano e conformano i rapporti tra contraenti anche laddove uno di essi sia una pubblica amministrazione e ci si trovi al cospetto di una procedura ad evidenza pubblica, tenuto conto che la nuova proposta dell’appaltatore aveva ad oggetto una modifica essenziale del contratto. Ne consegue che il rifiuto alla stipula da parte della società aggiudicataria “ha riguardato l’affidamento di un servizio diversoda quello per il quale la gara era stata celebrata ed in relazione al quale la società appellante aveva comunque a suo tempo calcolato la propria offerta economica (…) sicché tale rifiuto è stato causato proprio dalla illegittima pretesa in tal senso avanzata dall’Università, in violazione dei normali e generali canoni di correttezza e buona fede ai quali le parti devono attenersi nel periodo successivo all’aggiudicazione” e la “condotta serbata dalla società appellante pertanto (…) lungi dal costituire comportamento meramente rinunciatario o inottemperante agli obblighi assunti in sede gara con la presentazione dell’offerta economica, appare dunque giustificata o comunque e quanto meno giustificabile, comprensibile e legittima, già in termini astratti e generali (ovvero anche a prescindere dall’alterazione dei dati economici indicati in offerta e che sarebbe in concreto derivata dallo slittamento temporale preteso dall’Università)” (così, testualmente, alle pagg. 8 e 9 dell’atto di appello).
IV) la sentenza non ha poi tenuto affatto in considerazione come l’atto di revoca dell’aggiudicazione impugnato dinanzi al TAR fosse carente di motivazione. Se è vero che il dissidio sorto tra le parti nel periodo successivo alla aggiudicazione definitiva della gara in favore della Società Lo Splendore traeva origine dalla inaccettabile proposta modificativa avanzata dall’università, proprio l’esistenza di un tale dissidio avrebbe dovuto indurre l’università ad avviare una istruttoria condivisa con il destinatario consentendo a quest’ultimo di parteciparvi comunicandogli l’avvio del procedimento e corredando di adeguata e approfondita motivazione il provvedimento di revoca; circostanza che non si è realizzata sotto nessuno dei due profili indicati e che non è stata oggetto di puntuale delibazione da parte del giudice di primo grado.
Da qui la richiesta di annullamento in sede di appello della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche 5 giugno 2017 n. 431.
6. – Si è costituita in giudizio, per il tramite del patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato l’Università Politecnica delle Marche, chiedendo che fosse confermata la sentenza di primo grado e respinto l’appello.
Non si costituiva in grado di appello la controinteressata MA.CA. S.r.l..
Alla pubblica udienza del 16 gennaio 2018 il ricorso in appello veniva trattenuto per la decisione.
7. – Va anzitutto dato conto che, in via preliminare, la società appellante ha perimetrato puntualmente l’oggetto della domanda nel presente giudizio di appello, insistendo nel coltivare la domanda già proposta in primo grado e volta ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado “o comunque nella richiesta di declaratoria della loro illegittimità, ai soli fini del venir meno delle gravi sanzioni disposte o comunque preannunciate in danno della società appellante, che rischiano di arrecarle gravissimo se non irreparabile pregiudizio” (così, testualmente, a pag. 5 dell’atto di appello).
Ne consegue che, oltre a chiedere l’annullamento della sentenza di primo grado ed il conseguente accoglimento del ricorso originario, la odierna parte appellante non ripropone nella sede di appello la domanda di risarcimento dei danni asseritamente subiti, né in forma specifica né per equivalente, “avendo ormai come proprio unico obiettivo quello di rimuovere gli effetti pregiudizievoli ed ingiustamente sanzionatori che le discendono dagli atti impugnati” (così ancora, testualmente, a pag. 5 dell’atto di appello); sicché le statuizioni della sentenza impugnata restano ferme per quanto riguarda la disposta reiezione della domanda risarcitoria avanzata in sede di prime cure.
Va poi specificato che il contenzioso qui in esame in sede di appello fa riferimento a provvedimenti insorti dopo che la procedura selettiva per l’affidamento dell’appalto si era già (abbondantemente) esaurita e non ha ad oggetto patologie riferibili alla procedura svolta, di talché il giudizio non segue il c.d. [#OMISSIS#] appalti disciplinato dall’art. 120 c.p.a. e seguenti.
8. – Passando al merito della controversia va puntualizzato come il presente contenzioso si inserisca nella fase precontrattuale collocabile al termine della procedura ad evidenza pubblica nell’arco di tempo che intercorre tra l’acquisizione dell’efficacia della aggiudicazione “definitiva” (secondo la dizione presente nel Codice dei contratti del 2006) e la stipula del contratto.
Tale fase, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, era puntualmente disciplinata, nel vigore del precedente Codice dei contratti pubblici, dall’art. 11, con particolare riferimento dai commi da 6 a 11.
Dette disposizioni chiarivano in modo puntuale la sequenza di avvenimenti che precedevano la stipula del contratto:
– comunicata l’aggiudicazione definitiva all’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 79, comma 5, lett. a), dopo che l’aggiudicazione era divenuta efficace ai sensi dell’art. 11, comma 8 (in seguito alla verifica del possesso dei requisiti in capo all’aggiudicatario), le parti avrebbero dovuto procedere alla stipula del contratto entro il termine di sessanta giorni (oppure nel diverso termine fissato dalla lex specialisdi gara o concordemente dalle parti stesse) decorrente dalla data di ricevimento della comunicazione da parte dell’aggiudicatario (art. 11, comma 9);
– per effetto della previsione contenuta nell’art. 11, comma 10, la disciplina specifica di tale fase precontrattuale prevedeva il decorrere di un termine dilatorio per la stipula del contratto pari a trentacinque giorni (dalla data dell’ultima comunicazione dell’aggiudicazione) durante il quale era fatto divieto di addivenire alla stipula, nondimeno nessuna norma prevedeva uno spostamento in avanti del termine di sessanta giorni stabilito dal comma 9 per la stipula del contratto per effetto dello stand still, che dunque non incideva sul termine naturale suindicato;
– posto che il concorrente era vincolato all’offerta presentata in gara, ai sensi dell’art. 11, comma 6, “per il periodo indicato nel bando o nell’invito e, in caso di mancata indicazione, per centottanta giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione” e che in ogni caso, per la stazione appaltante, “l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta” (art. 11, comma 7), quest’ultima resta irrevocabile per l’aggiudicatario fino al termine stabilito nel comma 9 (vale a dire fino al termine di sessanta giorni oppure al diverso termine fissato dalla lex specialisdi gara o concordemente tra le parti);
– qualora la stipulazione del contratto non fosse avvenuta nel termine fissato (e non fosse stato disposto dalla stazione appaltante di procedere alla esecuzione anticipata del contratto stipulando) l’aggiudicatario avrebbe potuto, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto, senza che gli spettasse alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate.
Questa la disciplina contenuta nel complesso art. 11 d.lgs. 163/2006, per come puntualmente ricordato dal giudice di primo grado.
9. – Altrettanto condivisibilmente il giudice di primo grado, nella sentenza fatta qui oggetto di appello, ha ricordato come per la giurisprudenza eurounitaria, nel corso del delicato periodo di tempo intercorrente tra la comunicazione dell’aggiudicazione (definitiva) e l’effettiva stipula del contratto, non può addivenirsi tra le parti ad effettuare modifiche alla impostazione contrattuale resa nota, con la pubblicità della lex specialisdi gara in favore di tutti gli aspiranti concorrenti (e, quindi, aspiranti aggiudicatari), di regola contenuta nel capitolato di gara o in altro atto equipollente ovvero ancora nello stesso bando, sicché osta alla corretta applicazione dei principi eurounitari di correttezza, trasparenza, massima partecipazione ed imparzialità, che debbono caratterizzare le procedure ad evidenza pubblica, la modifica delle condizioni contrattuali “quali sono risultate all’esito della gara – fatto salvo l’obbligo di adeguamento a norme imperative sopravvenute e/o modifiche di dettaglio che non incidano sull’equilibrio complessivo dell’appalto – in quanto ciò darebbe luogo ad una surrettizia nuova aggiudicazione senza gara” (così, testualmente, al punto 10.2 della sentenza qui oggetto di appello).
La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’unione europea si è ormai consolidata nell’affermare i seguenti principi (tutti richiamati nella sentenza 7 settembre 2016, nella causa C-549/14, alla quale ha fatto ampio cenno il giudice di primo grado della controversia qui in esame):
1) il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l’appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi (cfr., in tal senso, in particolare, sentenza Corte di giust. UE 19 giugno 2008, pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06,);
2) in linea di principio, una modifica sostanziale di un appalto pubblico dopo la sua aggiudicazione non può essere apportata in via di trattativa privata tra l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario, ma deve dare luogo a una nuova procedura di aggiudicazione vertente sull’appalto così modificato (cfr., per analogia, sentenza Corte di giust. UE 13 aprile 2010, Wall, C-91/08). Diverso sarebbe soltanto se tale modifica fosse stata prevista dalle clausole dell’appalto iniziale (cfr., in tal senso, sentenza Corte di giust. UE 19 giugno 2008, pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06);
3) risulta pertanto che non si può prescindere dai principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché dall’obbligo di trasparenza che essi implicano, sanciti dal Trattato FUE, qualora si intenda modificare sostanzialmente un contratto di concessione di servizi o di un diritto esclusivo allo scopo di fornire una soluzione ragionevole atta a porre fine ad una controversia insorta tra enti pubblici e un operatore economico, per ragioni del tutto indipendenti dalla loro volontà, relativamente alla portata della convenzione che li vincola. Poiché tali principi e detto obbligo costituiscono il fondamento dell’articolo 2 della direttiva 2004/18, come emerge dalla lettura del considerando 2 della stessa, tale insegnamento vale altresì nell’ambito dell’applicazione di detta direttiva;
4) per quanto riguarda, sotto altro versante, il carattere obiettivamente aleatorio di talune realizzazioni che possono essere oggetto di un appalto pubblico, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 31 della direttiva 2004/18, le amministrazioni aggiudicatrici possono aggiudicare un appalto mediante trattativa privata, ossia negoziando i termini del contratto con un operatore economico scelto senza previa pubblicazione di un bando di gara, in diversi casi, tra cui molti sono caratterizzati dall’imprevedibilità di talune circostanze (nel nostro Codice dei contratti del 2006 la disciplina di tale circostanza, da considerarsi assolutamente eccezionale e praticabile solo nelle ipotesi rigidamente descritte e tipizzate dalla legge, era contenuta nell’art. 57 d.lgs. 163/2006, ma la vicenda non tocca il presente contenzioso);
5) il fatto stesso che, a causa del loro oggetto, taluni appalti pubblici possono essere a priori considerati aventi un carattere aleatorio rende prevedibile il rischio di sopravvenienza di difficoltà in fase di esecuzione. Pertanto, per un appalto del genere, spetta all’amministrazione aggiudicatrice non solo ricorrere alle procedure di aggiudicazione più adeguate, ma anche definire l’oggetto di tale appalto con cautela. Inoltre, in siffatti casi, l’amministrazione aggiudicatrice può riservarsi la possibilità di apportare talune modifiche, anche sostanziali, all’appalto, dopo la sua aggiudicazione, a condizione che lo abbia previsto nei documenti che hanno disciplinato la procedura di aggiudicazione;
6) per contro, in mancanza di siffatte previsioni nei documenti dell’appalto, la necessità di applicare, per un determinato appalto pubblico, le stesse condizioni a tutti gli operatori economici richiede, in caso di modifica sostanziale dello stesso, di avviare una nuova procedura di aggiudicazione (cfr. sentenza Corte di giust. UE 29 aprile 2004, Commissione/CAS Succhi di Frutta, C-496/99).
La Corte europea quindi, sulla scorta dei suindicati principi ha sempre concluso nel senso che “dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, a tale appalto non può essere apportata una modifica sostanziale senza l’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, anche qualora tale modifica costituisca, obiettivamente, una modalità di composizione transattiva, comportante rinunce reciproche per entrambe le parti, allo scopo di porre fine a una controversia, dall’esito incerto, sorta a causa delle difficoltà incontrate nell’esecuzione di tale appalto. La situazione sarebbe diversa soltanto nel caso in cui i documenti relativi a detto appalto prevedessero la facoltà di adeguare talune sue condizioni, anche importanti, dopo la sua aggiudicazione e fissassero le modalità di applicazione di tale facoltà” (così, testualmente, al punto 40 della richiamata sentenza 7 settembre 2016 della Corte di giustizia UE nella causa C-549/14)
10. – All’opposto delle conclusioni alle quali è addivenuto il giudice di primo grado deve pervenire questo Consiglio proprio in aderenza ai condivisibili insegnamenti della Corte europea testé riproposti.
Nel caso di specie la Società Lo Splendore aveva presentato una offerta economica, partecipando alla gara, individuando l’esatto periodo in cui il contratto, nel caso di aggiudicazione in suo favore e di conseguenziale stipula del contratto, l’avrebbe vista obbligata alla corretta esecuzione: sulla base di tali elementi aveva quindi proposto il ribasso rispetto alla importo base di gara ritenuto per lei sostenibile, anche tenendo conto della durata quinquennale prevista nel bando per l’efficacia del contratto per il periodo 1 gennaio 2013-31 dicembre 2017.
Ciò che è avvenuto nel corso della procedura e ciò che ha condotto l’università a proporre all’aggiudicataria la stipula del contratto solo per il 28 febbraio 2014 costituisce una cronistoria di eventi più sopra ampiamente descritta che, però, non vede protagonista “responsabile” la società oggi appellante. E’ infatti indiscutibile che le ragioni che hanno prodotto (al)lo slittamento di un anno della stipula del contratto rispetto alla previsione temporale originaria non sono imputabili alla odierna appellante, dal momento che una prima pausa procedurale è stata provocata dalla necessità, espressa dalla stazione appaltante, di acquisire un parere dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici su una questione ritenuta di difficile soluzione ed una seconda sospensione temporale è stata provocata dal contenzioso avviato dalla odierna appellante perché ingiustamente esclusa dalla gara dopo esserne stata inizialmente proclamata la vincitrice, dal momento che le ragioni di quest’ultima ritenute giudizialmente fondate.
Pecca quindi di contraddittorietà la decisione del giudice di primo grado nella parte in cui sostiene che l’aleatorietà propria del contratto ad evidenza pubblica debba gravare sul privato concorrente e (al tempo stesso) aspirante contraente e non sull’amministrazione appaltante. Infatti proprio per effetto della disciplina normativa citata nell’ambito della sentenza qui oggetto di appello è possibile considerare vincolante l’offerta per il concorrente divenuto aggiudicatario per il limitato termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, ma ciò ovviamente se le condizioni della gara siano rimaste immutate, nel senso che il legislatore, nel disciplinare tale fase ha considerato una ordinaria procedura selettiva che si sia svolta nel periodo di tempo di efficacia della cauzione provvisoria (180 giorni ovvero altro termine previsto nel bando), essendo l’intera disciplina legislativa orientata a regolare la fase fisiologica del procedimento e non tenendo in considerazione, né disciplinando, le conseguenze delle patologie e degli interventi giudiziari condizionanti il termine di conclusione della procedura ad evidenza pubblica.
Per tali ragioni le vicende che possono incidere temporalmente sull’avvio successivo dell’esecuzione del contratto (e quindi la sua stipula) rispetto ai termini previsti dal bando ed il conseguente slittamento in avanti nel tempo della durata contrattuale, fatta esclusione delle ipotesi in cui i ritardi siano effettivamente ed esclusivamente imputabili al comportamento del concorrente, non giustificano la imposizione della modifica (da ritenersi essenziale, perché condizionante la sostenibilità economica dell’offerta proposta inizialmente) delle condizioni di durata del contratto rispetto a quanto previsto nella l