Corte dei conti reg., Sardegna, 20 aprile 2017, n. 56

Riscatto dei periodi di studio – Corso di studi infermiere professionale

Data Documento: 2017-04-20
Area: Giurisprudenza
Massima

[X] La normativa applicabile, come interpretata dalla giurisprudenza costituzionale, consente il riscatto del periodo, corrispondente al corso di studio di infermiere professionale, frequentato presso una scuola convitto istituita ai sensi degli artt. 130 e 131 Testo Unico delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265, purché il diploma conseguito fosse prescritto per l’ammissione ad uno dei posti occupati durante la carriera.Sulle domande di riscatto, di ricongiunzione e sistemazione contributiva, presentate all’amministrazione attiva anteriormente al 1 giugno 2004 permane la competenza dell’Università, nonostante l’emanazione del d.l. 30 giugno 1994, n. 479 (istitutivo dell’INPDAP) e della l. 8 agosto 1995, n. 335 che aveva istituito presso l’Istituto la gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato. Ne consegue che spettava all’ Università pronunciarsi sull’istanza presentata in sede amministrativa, ma ciò non comporta l’estromissione dal giudizio dell’INPS.La determinazione sui periodi di studio e servizio ammessi a riscatto viene ad incidere su posizioni di diritto, e non di interesse legittimo, e quindi non è soggetta ad impugnazione a pena di decadenza né, in assenza di specifica attribuzione normativa, può dirsi riconosciuto all’amministrazione pubblica il potere di fissazione di un termine, decorso il quale i soggetti privati decadono dall’esercizio di poteri e facoltà loro riconosciuti dalla legge.Ai fini della sussistenza del diritto al riscatto dei corsi di studio a fini pensionistici, per quanto possa ritenersi che la qualificazione “specializzante” del corso di infermiere professionale sia stata assunta in legge, da sempre la giurisprudenza contabile ha statuito che la natura specializzante deve coesistere con l’altro requisito normativamente richiesto, ovvero il possesso di diploma di scuola secondaria superiore, essendo tali elementi i necessari presupposti affinché si verifichi il “ritardo” nell’accesso al lavoro cui è stata, dal legislatore prima e dalla giurisprudenza poi, ricollegata la possibilità del riscatto stesso.Non può ritenersi sostitutivo del titolo di istruzione secondaria superiore l’avvenuta ammissione al terzo anno di un istituto di secondo grado che, seppur previsto quale requisito utile ai fini della frequentazione del corso di infermiere professionale, quantomeno da una certa data in poi, non rientra tra i presupposti ritenuti indispensabili dalla legislazione e dalla giurisprudenza, ai fini del riscatto.

Contenuto sentenza

Sent. N. 56/2017
REPUBBLICA ITALIANA                                           
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
in composizione monocratica, nella persona del Consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], quale giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23.879 del registro di Segreteria, proposto dalla signora M. O. (C.F. Omissis), nata a Omissis il Omissis, rappresentata e difesa dagli Avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (CF: PTTLNE65D70B354Y; PEC: [#OMISSIS#].avvpettinau@legalmail.it ), presso il cui studio, sito in Cagliari, Piazza Gramsci n° 18, ha eletto domicilio, contro l’INPS (CF: 80078750587) e l’ Università degli Studi di Cagliari.
Uditi, nella pubblica udienza del 5 aprile 2017, l’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], nell’interesse della ricorrente, l’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] FANCELLO, in rappresentanza dell’ Università degli Studi, e l’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] per l’INPS.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
Ritenuto in
FATTO
Con atto depositato in data 16 dicembre 2016, la signora M. O. ha proposto ricorso avverso la nota del 27 ottobre 2016 dell’ Università degli Studi di Cagliari, con la quale è stata respinta la domanda, presentata in data 30 dicembre 1992, diretta ad ottenere il riscatto, ai fini pensionistici, del corso triennale di Infermiere professionale tenuto dalla USL n. 21 di Cagliari nel periodo 30 dicembre 1988- 4 luglio 1991 e conclusosi col conseguimento del relativo diploma (il 4 luglio 1991).
La ricorrente ha specificato che, già in possesso del biennio di scuola superiore, aveva frequentato il corso specializzante, presso la Scuola per Infermieri professionali “[#OMISSIS#] di Piemonte”, istituita con Decreto Interministeriale del 30 luglio 1937. Successivamente, nell’anno scolastico 1998/1999, aveva conseguito presso l’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Sociali, il diploma di Assistente per Comunità Infantili.
Dopo un primo periodo di servizio fuori ruolo, veniva assunta dall’ Università degli Studi di Cagliari e, a decorrere dal 1992, presta servizio in qualità di assistente socio-sanitario, infermiere professionale, presso l’Istituto di Medicina Interna della Facoltà di Medicina e Chirurgia.
A sostegno della pretesa la ricorrente ha richiamato alcune pronunce della Corte costituzionale (sent. n. 133/1991; n. 280/1991; n. 426/1990 e n. 178/1993) che avrebbero inciso sull’art. 24 della l. n. 1646/1962 e sull’art. 69 del r.d. n. 680/1938, riconoscendo pieno valore, ai fini del riscatto, alla preparazione professionale acquisita in corsi di studio, dopo il conseguimento del diploma di scuola media superiore, quando la stessa sia indispensabile per accedere al posto ricoperto.
Detto orientamento sarebbe stato da ultimo ribadito dalla Consulta con la sentenza n. 52/2000, in riferimento all’art. 13, comma 1, del DPR n. 1092/1973.
E’ stato, conclusivamente richiesto l’accoglimento del ricorso, con condanna alle spese del giudizio da liquidarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.
L’ Università degli Studi di Cagliari si è costituita in giudizio a ministero dell’Avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], depositando memoria difensiva in data 17 marzo 2017, con la quale sono state formulate conclusioni di inammissibilità del ricorso in via pregiudiziale, ovvero di rigetto nel merito per infondatezza, sulla scorta delle seguenti argomentazioni.
La nota del 27 ottobre 2016, con la quale l’ Università aveva dato risposta alla diffida presentata per il tramite dello Studio legale, non conterrebbe un provvedimento di rigetto della domanda inoltrata nel 1992, ma soltanto una considerazione circa la riscattabilità del corso triennale al momento della presentazione della domanda.
Difatti, l’ Università medesima non avrebbe più competenza in merito (come ribadito dalla Sezione Sardegna, da ultimo con sentenza n. 10/2017), mentre la circolare n. 23 del 30 marzo 2004 dell’INPDAP, invocata dall’INPS al fine di motivare la richiesta di estromissione, non potrebbe spostare la competenza determinata per legge. Di talché la ricorrente dovrebbe inoltrare una nuova richiesta, da indirizzarsi all’INPS.
Nel merito, è stato sostenuto che erroneamente la ricorrente riterrebbe applicabili gli articoli 24 della l. n. 1646/1962 e 69 del r.d. n. 680/1938, specificamente diretti a disciplinare la materia per il personale iscritto alla ex CPDEL e, in quanto tali, non estensibili ai dipendenti universitari, iscritti alla Cassa Dipendenti dello Stato.
Per questi ultimi troverebbe applicazione l’art. 13, comma 1, del DPR n. 1092/1973, che limiterebbe, anche nell’interpretazione da ultimo data dal Giudice delle Leggi (sentenza n. 52/2000), la possibilità del riscatto a corsi di studi svolti presso istituti o scuole riconosciuti di livello superiore (post-secondario), quando il relativo diploma o titolo di studio di specializzazione o di perfezionamento sia richiesto, in aggiunta ad altro titolo di studio, per l’ammissione in servizio di ruolo o per lo svolgimento di determinate funzioni.
In ogni caso, pur ammettendosi che la pronuncia della Consulta del 2000, possa consentire di ricavare un principio generale sulla riscattabilità dei periodi di studio, in presenza di un diploma di maturità (anche se non necessario per l’ammissione alla scuola), unitamente al requisito del titolo imprescindibile per accedere alla qualifica, sicuramente dette condizioni non ricorrerebbero nel caso di specie, non essendo la ricorrente in possesso, al momento della frequentazione della scuola, di tale diploma.
L’INPS si è costituito in giudizio con il patrocinio degli Avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], depositando all’uopo memoria difensiva in data 23 marzo 2017, con la quale, in via preliminare è stato eccepito il difetto di legittimazione passiva dell’Istituto, in quanto l’istanza della ricorrente era stata avanzata all’amministrazione datoriale il 30 dicembre 1992.
L’INPS, difatti, sarebbe subentrato nella gestione dei trattamenti pensionistici del personale Universitario a far data dal 1 giugno 2004, permanendo la competenza dell’ Università alla definizione delle domande di riscatto, computo, ricongiunzione e sistemazione contributiva per le istanze presentate anteriormente alla predetta data. Di talché, in ipotesi di accoglimento del ricorso, eventuali spese di lite dovrebbero gravare sull’amministrazione statale.
Peraltro, la ricorrente non avrebbe ritualmente impugnato davanti al TAR il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di riscatto, pur configurando il medesimo un atto attinente il rapporto di lavoro.
Alla luce delle precedenti considerazioni è stato chiesto il rigetto del ricorso. In via subordinata è stato chiesto che, nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso, sia ordinato alla ricorrente il pagamento del relativo onere da riscatto. In ogni caso, con il favore delle spese, o comunque l’esenzione da eventuali spese di lite.
All’udienza del 5 aprile 2017, l’Avvocato [#OMISSIS#], nell’interesse della ricorrente, ha insistito per l’accoglimento del ricorso richiamando la memoria in atti e sottolineando, con riferimento alla disciplina sulle spese, che ne sarebbe ammessa la compensazione laddove il giudizio rivesta particolare complessità.
L’Avvocato FANCELLO, per l’ Università , ha confermato integralmente la memoria specificando che, pur ammettendo che la Corte Costituzionale abbia affermato un principio “estensibile”, l’applicazione dello stesso sarebbe limitata ai casi in cui sia stato conseguito il diploma prima della frequentazione del corso professionale, la cui mancanza nella specie costituirebbe ostacolo al riconoscimento della dedotta pretesa.
L’Avvocato [#OMISSIS#], per l’INPS, ha sottolineato il ruolo marginale dell’Istituto ed ha confermato le conclusioni in atti.
Considerato in
DIRITTO
1. In via preliminare, va precisato che, in applicazione dell’art. 429 c.p.c., come modificato dall’art.53 del D.L. 25 giugno 2008 n.112 convertito nella legge 6 agosto 2008 n.13 (cfr. art.56 D.L. citato), nel caso in esame si rende necessaria la fissazione di un termine di venti giorni per il deposito della sentenza comprensiva della motivazione.
2. Sempre in via preliminare, va esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dall’INPS. Al riguardo, va precisato che sulla domanda avanzata a suo tempo dalla ricorrente, non si erano pronunciate né l’ Università degli Studi di Cagliari, né l’allora INPDAP. Peraltro, va osservato che, sulle domande di riscatto, di ricongiunzione e sistemazione contributiva, presentate all’amministrazione attiva anteriormente al 1° giugno 2004 permaneva la competenza dell’ Università , nonostante l’emanazione del D.Lg. 30 giugno 1994 n. 479 (istitutivo dell’INPDAP) e della L. 8 agosto 1995 n. 335 art. 2, comma 1 che aveva istituito presso l’Istituto la gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato. Difatti, ai sensi del successivo comma 3 della norma richiamata, era previsto un regime transitorio durante il quale “le Amministrazioni centrali e periferiche, in attesa della definizione dell’assetto organizzatorio per far fronte ai compiti di cui ai commi 1 e 2, continuano ad espletare in regime convenzionale le attività connesse alla liquidazione dei trattamenti di quiescenza dello Stato”.
Per ciò che attiene, nel particolare, al personale universitario, come risulta dalla circolare INPDAP n. 23 del 30 marzo 2004, versata in atti dall’INPS, in forza di apposita convenzione stipulata tra le Università e l’allora l’INPDAP, sono rimaste a carico delle università medesime le competenze per la definizione di tutti i provvedimenti pensionistici relativi al personale dell’ Università cessato dal servizio anteriormente al 1° giugno 2004, nonché la definizione delle domande di riscatto, ricongiunzione, computo e sistemazione contributiva presentate anteriormente alla predetta data del 1° giugno 2004, come è nel caso in esame.
Ne consegue che spettava all’ Università pronunciarsi sull’istanza presentata in sede amministrativa, ma ciò non comporta l’estromissione dal giudizio dell’INPS.
Non può, infatti, negarsi, in conformità a pronunce già emesse da questa Sezione (cfr., tra le altre Sez. Sardegna, n. 447 del 2004 e n. 584 del 2005), che la parte ricorrente sia portatrice un interesse giuridicamente rilevante a vocare in giudizio l’Istituto, quanto meno al fine di rendere opponibile allo stesso un giudicato eventualmente favorevole, che potrebbe esplicare effetti, anche se indiretti, sull’operato dell’INPS, competente al pagamento della pensione.
Pertanto, l’eccezione non merita accoglimento.
3. Ancora in via preliminare, con riferimento all’eccepita inammissibilità del ricorso, formulata dall’Amministrazione Universitaria, discende da quanto sopra evidenziato che la nota del 2016, con la quale è stata respinta l’istanza della ricorrente, assume la [#OMISSIS#] di provvedimento di diniego e, in quanto tale, impugnabile in sede giurisdizionale.
Né si ritiene, con riferimento all’ulteriore deduzione formulata dall’INPS nella memoria difensiva, che la ricorrente sia incorsa in decadenza, per non avere impugnato il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza amministrativa.
Difatti, come il giudice amministrativo ha avuto modo di precisare più volte, la determinazione sui periodi di studio e servizio ammessi a riscatto viene ad incidere su posizioni di diritto, e non di interesse legittimo, e, quindi non è soggetta ad impugnazione a pena di decadenza (cfr. TAR Lazio, sentenza n. 38861/2010 del 28 12 2010) né, in assenza di specifica attribuzione normativa, può dirsi riconosciuto all’amministrazione pubblica il potere di fissazione di un termine, decorso il quale i soggetti privati decadono dall’esercizio di poteri e facoltà loro riconosciuti dalla legge (cfr. Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza n. 02805/2014 del 30/05/2014; sempre  Sezione VI, n. 7284 del 25/05/2010  e Sezione IV, n. 2596 del 20/12/2001).
Nel caso del riscatto, le disposizioni normative dettate in materia, sui tempi in cui tale domanda può essere presentata prevedono che il dipendente statale, all’atto dell’assunzione in servizio è tenuto a dichiarare per iscritto tutti i servizi di ruolo e non di ruolo prestati in precedenza allo Stato, compreso il servizio militare o ad altri enti pubblici, nonché i periodi di studio e di pratica ed esercizio professionali di cui all’art. 13 (art. 145 DPR n. 1092/1973), stabilendo peraltro che la domanda di riscatto del periodo legale degli studi universitari deve essere presentata, a pena di decadenza, almeno due anni prima del raggiungimento del termine previsto per la cessazione dal servizio (art. 147 DPR n. 1092/1973).
In accordo con la giurisprudenza amministrativa formatasi in materia, vi è da ritenere, conclusivamente, che l’unica decadenza normativamente prevista (e pertanto applicabile), sia quella introdotta dall’art. 147 previamente richiamato, di talché le eccezioni formulate dalle convenute Amministrazioni non meritano accoglimento.
3. Venendo all’esame nel merito, va osservato che l’istituto del riscatto, applicato ai corsi di studio richiesti per il conseguimento di diplomi abilitanti all’esercizio di attività professionali specifiche, consente di computare ai fini pensionistici – previo pagamento del previsto contributo – periodi che, pur non avendo dato luogo a prestazioni lavorative a favore dell’ente datore di lavoro, hanno tuttavia rappresentato una indispensabile fase propedeutica all’espletamento del servizio, nelle ipotesi in cui il diploma costituisca requisito richiesto per il posto ricoperto.
Per ciò che attiene, in particolare, alla frequentazione del corso di studio di infermiere professionale, l’articolo 24 della legge del 22/11/1962, n. 1646, aveva già previsto la possibilità, ancorché limitata al personale iscritto alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali, di poter riscattare l’allora biennio, corrispondente al predetto corso, frequentato presso una scuola convitto istituita ai sensi degli artt. 130 e 131 del testo unico delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265 (come è nel caso di specie), purché il diploma conseguito fosse prescritto per l’ammissione ad uno dei posti occupati durante la carriera.
Il Legislatore, con legge n. 124 del 25 febbraio 1971, aveva, poi,  apportato modifiche sui requisiti di ammissione alle scuole per infermieri professionali prevedendo, per l’accesso alle predette scuole, il possesso del diploma di istruzione secondaria di primo grado e, a partire dall’inizio dell’anno scolastico 1973-74, anche di un certificato attestante l’ammissione al terzo anno di scuola secondaria di secondo grado o titolo equipollente, dopo il conseguimento del diploma di istruzione secondaria di primo grado (cfr. art. 2).
In seguito, con D.P.R. n° 867/75, il corso di studi per il conseguimento del diploma di Stato di infermiere professionale è stato ripartito in tre anni scolastici, a decorrere dall’anno scolastico 1975-76, mentre nulla è stato innovato per i requisiti richiesti per essere ammessi alla frequentazione.
Intervenute diverse pronunce della Corte Costituzionale, con le quali era stata affermata l’illegittimità costituzionale delle norme relative ai riscatti dei periodi di studio per il conseguimento di determinati titoli, ove queste non prevedessero la facoltà di valorizzazione dei periodi corrispondenti a quei corsi di specializzazione e para-universitari, il cui diploma fosse richiesto come condizione per partecipare ai concorsi e per l’ammissione in servizio in determinati profili professionali (sentenze n. 765/1988; n. 535/1990 e n. 52/2000; n. 133/1991, e diverse altre), il Legislatore, nel prendere atto di detto indirizzo, seppur limitatamente al personale iscritto alle Casse amministrate dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza, ha emanato la legge 8 agosto 1991 n. 274 (recante, tra l’altro, modifiche e integrazioni degli ordinamenti delle Casse in argomento), che all’art. 8, comma uno, ha previsto la possibilità del riscatto di periodi (non inferiori a un anno) corrispondenti alla durata legale dei corsi di formazione professionale, seguiti dopo il conseguimento del titolo di studio di istruzione secondaria superiore, e riconosciuti dallo Stato, dalle Regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano” (cfr. lettera b).
Emerge con chiarezza, vuoi dalle pronunce della Consulta, vuoi dall’intervento specifico del Legislatore, la generale tendenza a valorizzare la frequenza di tutti quei corsi che hanno ritardato l’accesso al lavoro dei dipendenti pubblici che ricoprono determinate posizioni funzionali, rispetto ad altre qualifiche che richiedono un titolo di minor valore, e a compensare la professionalità acquisita per l’ingresso in servizio, qualora i relativi titoli di studio siano richiesti come condizione necessaria ed indispensabile per il posto da ricoprire.
Peraltro, in tutti le occasioni, è stato costantemente affermato il principio, come sancito espressamente dal Legislatore, che il riscatto fosse consentito solo a condizione che i corsi professionali fossero frequentati dopo aver conseguito il diploma di istruzione secondario superiore.
Anche questa Sezione (cfr. sentenze n. 146 del 2 luglio 2014 e 41 del 18 marzo 2015), nel ritenere che le pronunce della Consulta abbiano ampliato e completato il contenuto delle norme censurate, nel senso di riconoscere meritevole di considerazione, ai fini dell’istituto del riscatto, la preparazione professionale, acquisita dagli interessati quando la stessa sia indispensabile per accedere al posto ricoperto (seppure limitatamente alle norme censurate, in particolare art. 69 del r.d. n. 680 del 1938, e art. 24 della legge n. 1646 del 1962), ha sempre valutato che la frequenza dei corsi sia avvenuta previo possesso del titolo di studio di scuola secondaria superiore.
In tale linea si colloca anche la  sentenza della Corte Costituzionale n. 52 del 9-15 febbraio 2000 la quale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, ha affermato il seguente principio (già espresso con l’ordinanza n. 210 dell’8-16 gennaio 2000): “nell’attuale assetto normativo, che consente il riscatto dei corsi di studi superiori, l’omessa previsione della riscattabilità di un periodo di studi integra una violazione della Costituzione, per irragionevolezza, quando ricorrono le seguenti due condizioni: a) il corso di studi abbia natura universitaria o post-secondaria (accompagnato in questo caso dal precedente possesso di titolo di studio di scuola secondaria superiore); b) il relativo diploma ovvero la frequenza con profitto e con superamento di prova finale di corso di specializzazione (di livello post-secondario) siano richiesti per l’ammissione a determinati ruoli o per lo svolgimento di determinate funzioni o per la progressione in carriera”.
Seppure nel caso in esame possa ritenersi che la qualificazione “specializzante” del corso di infermiere professionale sia stata assunta in legge, ancorché con previsione settoriale, da sempre la giurisprudenza contabile ha statuito che la natura specializzante deve coesistere con l’altro requisito normativamente richiesto, ovvero il possesso di diploma di scuola secondaria superiore, essendo tali elementi i necessari presupposti affinché si verifichi il “ritardo” nell’accesso al lavoro cui è stata, dal Legislatore prima e dalla giurisprudenza poi, ricollegata la possibilità del riscatto (cfr. Sezione Terza Centrale, sentenze n. 347/2002 e n. 198/2012).
Ciò premesso deve essere rilevato che, nel caso di specie, manca uno dei requisiti fondamentali affinché possano trovare applicazione i principi enucleabili dalle pronunce del Giudice delle Leggi e ulteriormente ribaditi, in fase applicativa dall’INPDAP, all’epoca competente in materia, con nota informativa n. 2, del 17 giugno 1998 (ove si legge, chiaramente che nell’ipotesi in cui l’interessato sia in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore e abbia iniziato il corso a partire dall’anno scolastico 1975/76, qualora non sia stato emanato alcun provvedimento di riscatto, il periodo corrispondente al biennio dovrà essere valorizzato ai sensi dell’art. 24 della L.1646/62).
Difatti, dalla documentazione versata in atti dalla ricorrente, emerge con evidenza che ella ha conseguito il diploma di scuola media superiore in costanza di rapporto di impiego e, dunque, successivamente alla frequentazione del corso.
Né può ritenersi sostitutivo del titolo di istruzione secondaria superiore l’avvenuta ammissione al terzo anno di un istituto di secondo grado, che seppur previsto quale requisito utile ai fini della frequentazione del corso di infermiere professionale, quantomeno da una certa data in poi, non rientra tra i presupposti ritenuti indispensabili dalla giurisprudenza richiamata, o dalla legislazione settorialmente intervenuta.
Ne consegue che vengono meno le ragioni che hanno consentito, in assenza di un puntuale intervento legislativo in merito, e in applicazione estensiva dei principi enunciati dalla Corte costituzionale, il riconoscimento ai fini del riscatto di periodi di studio che per così dire, sostituiscano la frequentazione di corsi universitari, ma tra i quali non possono essere ricompresi, all’evidenza, quelli frequentabili, o frequentati, senza aver acquisito il diploma di scuola secondaria superiore (diploma in senso proprio), non essendo ravvisabile in tali fattispecie l’esigenza di “compensare”, attraverso la possibilità del riscatto, il ritardo nell’ingresso al lavoro derivato dalla frequentazione di corsi specializzanti, dopo il diploma di cui si è detto.
Alla luce delle argomentazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.
Quanto alle spese, trattandosi di ricorso depositato dopo l’entrata in vigore del codice di giustizia contabile, approvato con decreto legislativo del 26 agosto 2016, n. 174, trova applicazione l’art. 31, commi 1 e 3, in forza del quale la compensazione, totale o parziale può essere disposta esclusivamente quando vi è soccombenza reciproca, ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Dalla previsione normativa si evince che la particolare complessità della causa, peraltro non ravvisabile nella specie, non costituisce, di per sé, elemento sufficiente affinché si addivenga alla compensazione.
Non versandosi nelle ipotesi contemplate dalla norma richiamata, sono da porre a carico della parte soccombente le spese del giudizio, da liquidare tenuto conto del valore della causa, della non particolare difficoltà della controversia e della durata del processo. Le stesse, in assenza di apposita notula e considerata la complessità della causa e l’attività svolta, in applicazione dei criteri dettati dal DM 10 marzo 2014, n. 55, si liquidano equitativamente in euro ottocento, incluso il rimborso spese forfettarie (ex art. 2, comma 2 DM citato), al netto di IVA e oneri di legge, per ciascuna delle convenute Amministrazioni.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso proposto dalla signora M. O..
– condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’ Università degli Studi di Cagliari, delle spese di giudizio, che si liquidano nell’importo di € 800,00 (euro ottocento/00) al netto di IVA e oneri di legge;
– condanna altresì la ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese di giudizio, che si liquidano nell’importo di € 800,00 (euro ottocento/00) al netto di IVA e oneri di legge.
 Fissa in venti giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Cagliari, nell’udienza del 5 aprile 2017.
Depositata in Segreteria il 20 aprile 2017.