Dalle spese indebitamente effettuate dal pubblico dipendente discende la colpa grave in capo allo stesso, considerato come il comportamento tenuto dal medesimo sia connotato da inescusabile negligenza e trascuratezza nella gestione delle pubbliche risorse le quali, per loro esplicita natura, richiedono una rigida osservanza delle norme da parte di colui il quale è chiamato ad amministrarle.L’omessa rendicontazione delle spese conferma la situazione di particolare gravità della colpa, con connotazioni direttamente restitutorie. Costituisce, infatti, principio generale e basilare dell’ordinamento giuridico quello secondo cui ciascun soggetto incaricato di gestire risorse finanziarie pubbliche dev’essere sempre in grado di dimostrarne l’impiego, in maniera corretta e trasparente, per il perseguimento delle finalità istituzionali per le quali esse furono attribuite.
Corte dei conti, sez. III, 16 febbraio 2017, n. 86
Direttore del Centro d’interesse Generale Reti e Telecomunicazioni – Danno erariale – Spese indebite – Colpa grave
REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello
composta dai seguenti Magistrati:
D.ssa Fausta Di Grazia Presidente – Estensore
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
D.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
D.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
Dott. Giovanni [#OMISSIS#] Consigliere
pronuncia la seguente
SENTENZA
Sull’appello in materia di responsabilità, iscritto al n. 45685 del Registro di Segreteria, proposto da dott. [#OMISSIS#] D’ISEP (c.f. DSPFDN52M06L219J), nato a Torino il 06/08/1952 e residente in Oulx (TO), Via San Sisto n.4, rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] Carapelle (c.f. CRPRRT61M05L219Y) del Foro di Torino e [#OMISSIS#] De [#OMISSIS#] (c.f. DMCCNZ57B47H501C) del Foro di Roma, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima sito in Roma, Via Tacito n.23.
contro
il Procuratore Regionale rappresentante il Pubblico Ministero presso la Sezione giurisdizionale per il Piemonte, domiciliato presso la Procura Generale della Corte dei conti in Roma, Via A. Baiamonti n. 25;
avverso
la sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Piemonte n. 172/2012, depositata in data 16/11/2012.
Visti gli atti d’appello e tutti gli altri atti e documenti di causa;
Uditi nella pubblica udienza del 18 marzo 2016, con l’assistenza della Segretaria sig.ra [#OMISSIS#] Bianco, il Presidente relatore, dott.ssa Fausta Di Grazia, il Vice Procuratore generale, dott. Massimo Di [#OMISSIS#], per la Procura appellata e l’avv. [#OMISSIS#] De Micheli per l’appellante.
FATTO
1. La vicenda trae origine dal danno patrimoniale subito dall’ Università degli Studi di Torino in conseguenza delle spese effettuate dal dott. D’ISEP, appartenente al suddetto Ateneo, nella sua qualità di Direttore del Centro d’interesse Generale Re.Te. (Reti e Telecomunicazioni), operante nel campo della trasmissione dati e telematica applicata, attività di ricerca, innovazione tecnologica, fonia e formazione.
I fatti, rivelati a seguito di notizie diffuse a mezzo stampa ed oggetto di successiva verifica da parte del Collegio dei revisori del suddetto Ateneo, sono stati oggetto di istruttoria da parte della Procura piemontese ed avevano interessato un arco temporale compreso tra il 1997 ed il 2007 durante il quale erano emerse spese non giustificate.
Al termine degli accertamenti svolti l’Inquirente, con atto di citazione depositato il 13/12/2011, aveva contestato e richiesto al dott. D’ISEP un risarcimento del danno erariale pari ad € 186.957,32, da rifondere in favore dell’Ateneo torinese.
2. All’esito del giudizio di primo grado, con sentenza n. 172/2012, la Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, evidenziando il comportamento particolarmente lesivo dei principi di corretta amministrazione posto in essere dal convenuto tale da creare pregiudizio anche in ordine all’immagine dell’Ateneo (non perseguito in sede contabile), ha condannato il dott. D’ISEP al pagamento in favore dell’erario della somma di € 60.169,85, secondo la seguente suddivisione:
– € 9.066,50 per spese di rappresentanza;
– € 10.257,51 per spese di trasporto;
– € 10.685,05 per spese di vestiario;
– € 19.184,57 per spese relative a beni di consumo;
– € 10.966,22 per spese di missione (esclusa diaria e voci ad essa correlate);
oltre rivalutazione monetaria dai singoli pagamenti alla pubblicazione della sentenza ed interessi legali decorrenti dalla pubblicazione della sentenza, fino all’effettivo soddisfo.
3. Avverso detta sentenza, con ricorso depositato il 14/05/2013 presso l’ufficio del ruolo generale di questa Corte, ha presentato appello il dott. D’ISEP il quale ha chiesto la riforma della statuizione impugnata, formulando contestuale istanza di definizione agevolata del procedimento (ai sensi dell’art. 1, co. 231,232 e 233, L. n. 266/2005), eccependo i seguenti motivi di gravame:
I. l’omessa riduzione dell’ammontare del risarcimento, ex art.1, co.1 quater, della L. n. 20/1994.
Assume l’appellante che la sentenza impugnata ha omesso di determinare correttamente la quota di danno a lui imputabile, non considerando la ridottissima dotazione di personale amministrativo idoneo al controllo della documentazione relativa alle spese da lui sostenute.
La difesa sottolinea la carenza cronica di tale personale in servizio presso l’Ateneo ed evidenzia come lo stesso si sia continuamente succeduto non garantendo il controllo analitico delle spese proposte a rimborso dal D’ISEP, senza vagliarne la conformità al regolamento vigente, al fine di concedere l’autorizzazione alla liquidazione delle spese a titolo di rimborso, solo dopo aver effettuato l’opportuno riscontro;
II. inidonea applicazione del potere riduttivo.
Sostiene la difesa che il Giudice di prime cure ha applicato in maniera eccessivamente limitata il potere riduttivo, non valutando correttamente i rilevanti risultati della struttura condotta dall’appellante la quale, a fronte del proprio operato, ha incamerato finanziamenti per 4 (quattro) milioni di euro.
Evidenzia come al momento della creazione del Centro Re.Te la situazione informatica e telematica dell’Ateneo non fosse brillante, stante la presenza di tecnologie obsolete.
Ricorda come, grazie al lavoro svolto dal D’ISEP, sono stati collegati in rete tramite fibra ottica gli edifici di Torino e di paesi limitrofi, nonché le sedi universitarie di Savigliano e Cuneo.
Rammenta la realizzazione di:
– 13 centri e/o locali tecnici;
– 190 Km di canalizzazioni sul suolo pubblico;
– 130 km di cavo posato;
– 9.950 km di estensione di fibre posate;
– 1900 pozzetti di smistamento e controllo;
– n. 82 edifici collegati con fibra ottica proprietaria ad elevatissima velocità di comunicazione.
Sottolinea la creazione e l’operatività di una suite di applicazioni multimediali, nonché la creazione di aule informatiche che soddisfano i migliori requisiti tecnologici e di sicurezza in materia.
La difesa dell’appellante, conclusivamente, chiede:
– in via pregiudiziale e/o preliminare, la definizione del procedimento mediante pagamento di una somma pari al 10% della somma di € 41.438,17, pari al danno quantificato nella sentenza impugnata relativamente ai fatti commessi antecedentemente al 31/12/2005 (data di entrata in vigore della L. n. 266/2005), ai sensi dell’art.1, co. 231,232 e 233, della L. n. 266/2005, o di altra somma determinata dalla Corte nei limiti di cui al citato co. 232;
– nel merito, in via principale, la riforma della sentenza di primo grado, in applicazione del potere riduttivo di cui all’art. 52, co. 2, del R.D. n. 1214/1934 e di cui all’art. 83 del R.D. n. 2440/1923, e la riduzione nella misura massima consentita dell’importo del danno posto a carico dell’appellante, relativamente al periodo compreso tra il 01/10/2006 ed il 31/12/2007, pari ad € 18.721,68 (€ 60.159,85 – € 41.438,17);
in via di subordine, nel denegato e non creduto caso in cui non venga accolta la richiesta di definizione parziale del giudizio, ai sensi dell’art.1, co. 231,232 e 233, della L. n. 266/2005, in parziale riforma della sentenza di primo grado, in applicazione del potere riduttivo di cui all’art. 52, co. 2, del R.D. n.1214/1934 e di cui all’art. 83 del R.D. n. 2440/1923, la riduzione nella misura massima consentita dell’importo del danno posto a carico dell’appellante.
4. All’esito della Camera di Consiglio, con ordinanza a verbale del 22/01/2014, questa Sezione III Centrale d’Appello, visto anche il parere del P.G. (datato 12/12/2013), attesa la particolare gravità del comportamento del D’ISEP, respingeva la domanda di definizione agevolata avanzata dallo stesso.
5. Con le conclusioni depositate il 26/02/2016, è intervenuta la Procura Generale che ha contestato i motivi di gravame, poiché la sentenza impugnata ha puntualmente motivato in ordine alla non rimborsabilità delle spese in carenza di adeguata documentazione, richiamando, preliminarmente, le funzioni del D’ISEP quale Direttore del Centro Re.Te. come titolare della gestione amministrativa, contabile e patrimoniale.
La Procura sottolinea come lo stesso appellante, in sede di gravame, non contesta l’omessa rendicontazione, richiamandosi soltanto a presunte e non provate responsabilità altrui, confermando la situazione soggettiva di particolare gravità della colpa, con connotazioni direttamente restitutorie.
Chiede, conclusivamente, il rigetto del gravame e la condanna dell’appellante anche per le spese del secondo grado di giudizio.
6. All’odierna pubblica udienza, il Presidente riferisce personalmente in merito allo stato degli atti.
L’avv. De Micheli ribadisce, come da scritti in atti, che il proprio assistito non era titolare della funzione di gestione amministrativa, contabile e patrimoniale; richiama le responsabilità della struttura amministrativa e contesta la mancata applicazione del potere riduttivo benché, in atti, siano stati evidenti i presupposti validi alla concessione dello stesso. Conclude per l’accoglimento dell’appello.
Il P.M. richiama il contenuto delle conclusioni scritte: rileva la situazione soggettiva di particolare gravità della colpa e, in ordine alla mancata applicazione del potere riduttivo, ribadisce l’esclusione della sussistenza di elementi utili alla concessione mentre nel merito si riporta alle valutazioni del Collegio. Conclude per il rigetto del gravame e la condanna alle spese.
La causa passa in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e va respinto.
Questo Collegio giudicante osserva come la sentenza di primo grado abbia puntualmente motivato con riguardo alle responsabilità dell’appellante, sia in termini di fatto che di diritto.
I. L’art. 13.3 del regolamento del Centro di interesse generale Re.Te. dell’Ateneo di Torino stabilisce che: “Il Direttore è responsabile della gestione amministrativa, contabile e patrimoniale;” (cfr. Decreto di costituzione del Centro d’interesse Generale di Ateneo denominato “Reti e Telecomunicazioni” – Decreto Rettorale n.833/OC del 29/09/1999).
Egli, pertanto, è venuto meno ai propri obblighi derivanti dal ruolo rivestito, essendo posto in posizione di vertice all’interno della struttura da lui diretta, violando le regole di correttezza e regolarità nella gestione delle risorse a lui affidate.
A mente del citato art. 13.3, che individua nel Direttore colui che organizza il lavoro del personale e ne dirige l’attività, lo stesso D’ISEP era quindi responsabile dei controlli delle attività amministrative svolte dai dipendenti addetti al Centro Re.Te..
Dalla disamina degli atti versati risulta evidente l’illegittimità delle spese, di volta in volta sostenute dall’appellante, poiché presentate a rimborso in assenza di idonea e giustificativa documentazione, nonché firmando sotto la propria responsabilità ordinativi di pagamento nella misura indicata dalla sentenza appellata, riducendo tali azioni a meri motivi di “prassi”.
Il primo Giudice, nelle ragioni del decidere che hanno portato alla sentenza di condanna, si è soffermato in maniera puntuale ed accurata motivando in ordine a tutte le spese indebitamente effettuate dall’appellante, ovvero:
– le spese di rappresentanza (cfr. pagg. 36 e ss, sentenza impugnata);
– l’uso della carta di credito (cfr. pag.37);
– le spese di trasporto (cfr. 48 e ss.);
– le spese di vestiario (cfr. pagg.57 e ss.);
– le spese per acquisto di beni di consumo (cfr. pagg. 63 e ss.);
– le spese di missione (cfr. pagg. 73 e ss.).
Da tale condotta, infatti, discende la colpa grave contestata al ricorrente dal Giudice di prime cure, laddove qualifica il comportamento tenuto dal medesimo come connotato da inescusabile negligenza e trascuratezza nella gestione delle pubbliche risorse le quali, per loro esplicita natura, richiedono una rigida osservanza delle norme da parte di colui il quale è chiamato ad amministrarle.
Si osserva come l’appellante stesso, in sede di ricorso in appello, non contesti l’omessa rendicontazione, ma si richiami unicamente a presunte e non comprovate responsabilità altrui.
Tale condotta, come da [#OMISSIS#] giurisprudenza di questa Corte, conferma la situazione di particolare gravità della colpa, con connotazioni direttamente restitutorie (cfr. ex multis: C.conti, Sez. III C. d’App., sent. n. 320/1996 e 177/2006).
Questo Collegio di secondo grado rammenta che costituisce principio generale e basilare dell’ordinamento giuridico quello secondo cui ciascun soggetto incaricato di gestire risorse finanziarie pubbliche dev’essere sempre in grado di dimostrarne l’impiego, in maniera corretta e trasparente, per il perseguimento delle finalità istituzionali per le quali esse furono attribuite.
Ne deriva che l’obbligo di rendicontazione, oltre ad essere un affermato principio, era specificatamente contemplato dal regolamento dell’Ateneo, alla cui osservanza era tenuto e deputato l’appellante.
Tale obbligo, invero, è stato recentemente affermato dal Legislatore in ordine all’utilizzo di risorse pubbliche anche da parte di soggetti istituzionali che godono di particolari guarentige costituzionali (cfr. SS.RR., Spec. Comp., sentt. n. 14, 29, 32, 35, 36, 59, 60, 61/2014; id. n. 9/2015), così come rappresentato dalla P.G. nelle conclusioni versate agli atti del presente giudizio (cfr. pag. 5).
Con riferimento, invece, ai dedotti vantaggi che l’Ateneo avrebbe ricevuto dall’opera del dott. D’ISEP, argomenti già proposti dalla difesa dell’appellante nelle more del giudizio di primo grado, questo Collegio condivide pienamente quanto postulato in merito dal Giudice di prime cure che, al riguardo, si è espresso nei seguenti termini: “Si evidenzia che, dalle predette condotte, l’ Università degli Studi di Torino non ha tratto alcun vantaggio, come erroneamente sostiene la difesa del convenuto, bensì ha subito un gravissimo pregiudizio, anche sul piano dell’immagine, tenuto conto della rilevanza mediatica che tale vicenda ha ricevuto presso gli organi di stampa”… ed ancora: “l’elencazione e la descrizione dei servizi che sarebbero stati realizzati: tali dati non modificano i termini della questione, tenuto conto che gli obiettivi raggiunti non possono ritenersi attribuibili, quale merito esclusivo, al convenuto bensì all’intera struttura rispetto alla quale non è contestata l’utilità dell’attività svolta nel corso degli anni in cui è stata attiva. Altro è l’attività del Centro Re.Te. altro sono i comportamenti del dr. D’Isep, caratterizzati, come sopra esposto, da impiego improprio, arbitrario e irresponsabile del denaro pubblico con una pluralità di spese poste a carico del bilancio pubblico del medesimo ente e frutto di ingiustificabile noncuranza nella gestione delle risorse pubbliche”.
Per quanto esposto e motivato, quindi, non può trovare accoglimento la doglianza proposta dal D’ISEP sottesa, come detto, ad evidenziare i vantaggi conseguiti e ad attribuire ad altro ufficio dell’Ateneo la responsabilità dell’omesso controllo in ordine alle spese da lui indebitamente presentate a rimborso.
II. Atteso che le condotte ascritte all’appellante configurano, altresì, inosservanze ai principi di economicità della spesa pubblica e di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost. non sussistono le condizioni per dare luogo alla riduzione del danno addebitato.
Valutata, pertanto, la gravità degli eventi oggetto della vicenda di cui controverte, nonché della sussistenza della colpa grave in capo all’appellante, quale soggetto investito di funzione apicale all’interno della struttura interessata dal danno erariale de quo, ovvero figura professionale tecnicamente formata e titolata ad assumere consapevolmente le scelte adottate, reputa non doversi concedere il richiesto beneficio della riduzione dell’addebito.
In virtù dell’esposte ragioni del decidere, questo Collegio respinge l’appello proposto avverso la sentenza impugnata, che deve ritenersi priva di vizi ed immune da censure.
Le spese di giustizia vengono determinate come da dispositivo.
P.Q.M
La Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’appello, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione reiette, respinge l’appello iscritto al n. 45685 del registro di segreteria, proposto dal dott. D’ISEP [#OMISSIS#] e, conseguentemente, conferma la sentenza n.172/2012 emessa dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, depositata il 16/11/2012.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza e vengono poste a carico dell’appellante, le stesse sono liquidate in € 160,00 (centosessantaezerocentesimi).
Manda alla segreteria per i conseguenti adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 18 marzo 2017.
Depositata in Segreteria il 16 Febbraio 2017