Il comportamento semplicemente omissivo del debitore ha efficacia sospensiva della prescrizione se abbia ad oggetto un atto dovuto, cioè un atto cui il debitore sia tenuto per legge cosicché, essendo indubitabile che sul docente incombesse l’obbligo giuridico di comunicare all’università di appartenenza lo svolgimento di un’attività potenzialmente incompatibile con i propri incarichi, l’avere omesso volontariamente tale comunicazione integra il requisito dell’occultamento doloso. Pertanto, ai sensi dell’art. 2941, n. 8, c.c., la prescrizione rimane sospesa tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia scoperto.Anche la mancata richiesta di autorizzazione per attività extra incarico normativamente qualificate come incompatibili, e dunque destinata a un epilogo di rigetto da parte della pubblica amministrazione, viene a integrare una condotta tesa all’occultamento danno cagionato all’università di appartenenza, mentre elemento costitutivo del fatto dannoso deve ritenersi il mero svolgimento dell’attività, vietata a monte dal legislatore, in contrasto con lo status di professore ordinario a tempo pieno e/o definito.Non esclude l’occultamento doloso conseguente alla mancata richiesta di autorizzazione la circostanza che lo svolgimento di attività extra incarico fosse conoscibile all’esito di accertamenti ad personam da parte dell’Amministrazione, poiché il datore di lavoro deve essere comunque e sempre informato dal proprio dipendente delle circostanze che potrebbero incidere sul rapporto di impiego: tali informative sono preordinate a garantire il proficuo svolgimento attraverso il previo controllo dell’amministrazione sulla possibilità, per il dipendente, d’impegnarsi in una ulteriore attività senza pregiudizio dei compiti d’istituto.Non esclude l’occultamento doloso conseguente alla mancata richiesta di autorizzazione la circostanza che il prevenuto avesse regolarmente dichiarato al fisco gli introiti delle diverse attività extra lavorative svolte, non fosse altro perché all’Agenzia delle Entrate sono demandati compiti che trascendono il merito delle attività eventualmente incompatibili.Alla persistente violazione regime delle incompatibilità derivante dall’art. 60 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, da far valere con diffida a cessare dall’attività incompatibile, segue la declaratoria di decadenza dall’impiego, non avente natura sanzionatoria o disciplinare, poiché costituente una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro.L’avere accettato incarichi di governo all’interno di società costituite a scopo di lucro, da parte di un docente a tempo definito, integra l’incompatibilità di legge con perdita dei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità verso l’amministrazione universitaria, avente quale risvolto l’evidente sviamento delle energie lavorative del predetto verso altre strade, con conseguente alterazione dell’equilibrio tra prestazione erogata (compenso percepito dall’università) e controprestazione resa.Lo sviamento delle energie lavorative verso altre strade con alterazione dell’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, che ha reso non del tutto utile la spesa sostenuta in rapporto all’interesse pubblico da soddisfare, ha trasformato in un costo, per il bilancio dell’ente universitario, tutte le uscite di risorse per tale causale ivi iscritte, altrimenti utilizzabili per finalità pubbliche. Conseguentemente, il danno arrecato alle finanze universitarie deve conteggiarsi al lordo delle trattenute fiscali, non potendo operare alcuna compensatio lucri cum damno in relazione agli importi versati a titolo di IRPEF, poiché tale compesatio opera solo quando danno e vantaggio sono conseguenze immediate e dirette dello stesso fatto.
Corte dei conti, sez. III, 2 febbraio 2017, n. 55
Docenti a tempo definito e a tempo pieno – Incompatibilità– Autorizzazione – Danno erariale – Occultamento doloso
Repubblica Italiana
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello
Composta dai Sigg.ri magistrati:
Dott.ssa Fausta Di Grazia Presidente
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
Dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
Dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Consigliere
Dott. Giovanni [#OMISSIS#] Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sulla citazione in appello, iscritta al n. 48.122 del registro di Segreteria, proposta dal Procuratore presso la Sezione giurisdizionale regionale per la Liguria: appellante principale,
Contro
il sig. Casamonti [#OMISSIS#] (C.F. CSM MRC 65D13 D612S): appellato principale,
e
sulla citazione in appello incidentale, iscritta al n. 48.302 del registro di Segreteria, formulata dal sig. Casamonti [#OMISSIS#] (C.F. CSM MRC 65D13 D612S), rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine della stessa, dall’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (C.F. MRN CLL 63H23 F205J), del Foro di Torino, e dall’Avv. Prof. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] (C.F. GTT SFN 63L16 H501U), del Foro di Roma, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, a Roma (RM), in via di Monte Fiore n. 22: appellante incidentale,
Contro
il Procuratore presso la Sezione giurisdizionale regionale per la Liguria e il Procuratore generale della Corte dei conti: appellati incidentali,
Avverso e per la riforma
della sentenza n. 85/’14 – della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale regionale per la Liguria – depositata il 02 luglio 2014.
Visti: l’atto di appello principale, il gravame incidentale e relativa memoria, le conclusioni scritte del Procuratore generale, gli atti tutti di causa;
uditi alla pubblica udienza del 26 ottobre 2016, con l’assistenza del segretario sig.ra Calabrese [#OMISSIS#], il Cons. relatore, dott. [#OMISSIS#] Giovanni, il V.P.G. dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per il Pubblico Ministero appellante principale – appellato incidentale, l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per l’appellato – appellante incidentale.
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione, prodotto il 04 febbraio 2014, la Procura regionale per la Liguria conveniva in giudizio l’epigrafato prevenuto per ottenerne la condanna al risarcimento, in favore del Pubblico erario, del presunto complessivo danno erariale di € 976.431,14, oltre accessori di legge e spese del grado.
2. I fatti di causa. La Procura territoriale ligure, in seguito alla trasmissione, nel 2007, da parte del Garante dell’ Università degli Studi di Genova, di una copia delle relazioni sull’attività svolta dall’Ufficio per gli anni accademici 2005 – 2006 e 2006 – 2007, e all’acquisizione di notizie stampa sullo svolgimento, da parte di alcuni docenti, di attività libero – professionale segnalata come incompatibile con quella tenuta in Ateneo, apriva vertenza erariale, ritenendo le suddette notizie sintomatiche di possibili abusi. Per quanto di interesse, emergeva che il Prof. Arch. Casamonti [#OMISSIS#] – assunto in data 1° novembre 1998 dall’ Università degli Studi di Genova, in regime di impegno lavorativo a tempo pieno e sino al 31 ottobre 2006, e in regime a tempo definito dal 1° novembre 2006 in poi – negli anni di imposta dal 1999 al 2006 aveva percepito redditi da attività professionali per € 216.836,44; inoltre, in qualità di associato dello “Studio Archea” – studio di architettura (Associazione tra professionisti), aveva ricevuto, sempre per il medesimo periodo di imposta, redditi per € 472.186,99; e ancora, nella società “Archea Associati s.r.l.”, gestita tramite sistema di “amministrazione pluripersonale collegiale”, ricopriva la carica di socio e di consigliere di amministrazione dal 27 novembre 2001 (di costituzione della Società) e sino al 07 gennaio 2009; di poi, nella società “Immobiliaretre s.r.l.” ricopriva la carica di socio e di consigliere delegato dal 15 marzo 2004 e sino a ottobre 2013; da ultimo, nella società “Motta Architettura s.r.l.” ricopriva dal 02 maggio al 20 dicembre 2007 il ruolo di consigliere di amministrazione, con incarichi specifici per la conduzione della società, così come conferiti dal C.di A. Di tal ché, per il periodo 1999 – 2006, nella ricostruzione operatane dal Requirente, dallo svolgimento di attività professionale, ritenuta incompatibile con la docenza a tempo pieno presso l’Ateneo genovese, sarebbe derivato un pregiudizio erariale quantificato in complessivi € 689.023,43, siccome sanzionato dall’art. 53, comma 7, del d. lgs n. 165 del 2001. Per il periodo successivo, andante dal 2007 al 2013, in cui il prevenuto ha svolto, per l’ Università di Genova, attività di docenza a tempo definito, la Procura regionale riteneva che il medesimo è stato socio e amministratore di alcune società di capitali (“Archea Associati s.r.l.”, “Immobiliaretre s.r.l.”, “Motta Architettura s.r.l.”), con esercizio di attività di tipo imprenditoriale-commerciale, espressamente vietata dall’art. 11, del d.P.R. 382/1980, al comma 4 lett. b), per i docenti a tempo definito e, al comma 5 lett. a), per i docenti a tempo pieno. E da tanto scaturiva l’ulteriore posta di presunto danno pari ad € 287.407,71, pari alle retribuzioni erogate dall’Ateneo nel periodo in esame. In ragione di tanto veniva notificato libello introduttivo di contestazione del complessivo asserito pregiudizio di € 976.431,14.
3. All’esito degli scritti defensionali della parte privata, la Corte ligure pronunciava la sent. n. 85/’14, depositata il 02 luglio 2014, con la quale, in parziale accoglimento della domanda attrice, ha condannato il Prof. Casamonti [#OMISSIS#] “…al risarcimento del danno di € 157.412,75 nei confronti dell’ Università di Genova”, oltre rivalutazione monetaria dal 07 agosto 2013, interessi di legge e spese del grado, liquidate nella misura di € 531,70. Il provvedimento decisionale, previo richiamo del quadro normativo sul regime delle incompatibilità previste per l’attività dei docenti sia a tempo pieno, sia a tempo definito (vale a dire dell’art. 60, del d.P.R. n. 3, del 10 gennaio 1957, dell’art. 11, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 382, in data 11 luglio 1980, dell’art.7, commi 7, 7 bis e 10, del d. lgs n. 165 del 2001), disaminava preliminarmente l’eccezione di prescrizione, con riguardo alle somme pretese per il periodo antecedente al 06 agosto 2008 (atteso che l’invito a dedurre avente validità interruttiva aveva attinto il prevenuto il 07 agosto 2013), che considerava fondata, in quanto il Collegio non riteneva configurabile una ipotesi di occultamento doloso per lo spostamento del dies a quo della prescrizione. In breve, richiamando anche i propri precedenti n. 50 e 146 del 2013, su fattispecie analoghe, osservava che l’occultamento doloso non poteva coincidere puramente e semplicemente con la commissione (dolosa) del fatto dannoso in questione, richiedendo una ulteriore condotta, indirizzata ad impedire la conoscenza del fatto. Nel caso all’esame, “…pur giudicando di natura dolosa la condotta illecita contestata al convenuto…”, mancava “…l’ulteriore specifica attività finalizzata ad impedire la conoscenza del fatto, richiesta dalla norma per la sussistenza del doloso occultamento…”. Quanto poi alla tesi dell’Attore pubblico tendente a ravvisare l’occultamento doloso nella violazione, da parte del docente, di un obbligo giuridico di comunicazione, siccome desumibile dalla possibilità di svolgere “incarichi extra” previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, a mente dell’art. 53, comma 7, del d.lgs n. 165 del 2001, i primi Giudici osservavano che <<…In disparte il fatto che l’attività libero professionale (indicata sopra al n. 2) non era suscettibile di alcuna autorizzazione stante il regime di assoluta incompatibilità con il tempo pieno previsto dal richiamato art. 11 del d.P.R. n. 382/1980, e in disparte la formulazione dell’art. 53, comma 10, del D. Lgs n. 165/2001, laddove dispone che l’autorizzazione deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l’incarico, ad avviso del Collegio, in ogni caso, la mancata richiesta di autorizzazione si configura come elemento costitutivo della fattispecie dannosa di cui al comma 7 dell’art. 53 D. lgs. n. 165/2001, ma non è essa stessa, al contempo, occultamento doloso del danno>>. Nel caso di specie, invece, il convenuto non solo ha regolarmente dichiarato i proventi delle attività incompatibili, ma la propria attività professionale incompatibile era ben conosciuta negli ambienti universitari, come dichiarato dalla Preside della Facoltà di Architettura, in data 09 maggio 2014, in nota in cui affermava che nell’anno 2005-2006 “ottemperando ai miei doveri di ufficio, invitai il Prof. [#OMISSIS#] Casamonti, di cui era da tempo conosciuta l’attività professionale e la crescente notorietà culturale nell’ambito della progettazione, a presentare istanza di collocamento a regime di impegno a tempo definito”, collocamento avvenuto dal 1° novembre 2006. Di poi, il Prof. Casamonti già nel 2002, nel n. 62 della rivista di Architettura e Arti dava notizia del progetto di “ampliamento della facoltà di architettura” di Genova, proposto da “Prati, Casamonti (Archea), Novi, Raiteri”. Cosicché, da tutti gli elementi in atti emergeva, secondo i primi Giudici, che la fattispecie dannosa di cui è causa sarebbe maturata nella sostanziale acquiescenza dell’amministrazione danneggiata, ossia dell’ Università , la quale non aveva mai operato specifici controlli, né tampoco aveva fatto sottoscrivere dichiarazioni di auto-responsabilità al docente. In ragione di tanto, la Corte territoriale dichiarava l’intervenuta prescrizione sia della posta di € 689.023,43, relativa al periodo in cui l’Arch. Casamonti era docente a tempo pieno, sia della quota parte del presunto pregiudizio di € 62.532,35, relativo al periodo 1° gennaio 2007 – 06 agosto 2008, in cui era a tempo definito. Per il residuale importo di € 224.875,36, in cui il prevenuto versava nella posizione di docente a tempo definito, i primi Giudici ritenevano invece l’azione fondata, per avere egli violato il regime delle incompatibilità derivante dall’art. 60, del d.P.R. n. 3/1957, e dall’art. 11, comma 4, lett. b) del d.P.R. n. 382 del 1980. In breve, avendo ricoperto all’interno delle Società “Immobiliaretre s.r.l.”, oltre alla posizione di socio, la carica di Consigliere delegato dal 15 marzo 2004 al 15 novembre 2013, all’interno della Società “Archea Associati s.r.l.”, oltre alla posizione di socio, la carica di consigliere dal 27 novembre 2001 al 07 gennaio 2009, mentre nella Società “Motta Architettura s.r.l.” era stato nominato Consigliere dal 02 maggio 2006 e per tre esercizi, (periodo questo comunque coperto da prescrizione), risultava indubbia la violazione da parte del Professore del divieto di assumere cariche in società “costituite a fine di lucro”. Riguardo al quantum da addebitare, i primi Giudici ritenevano di doverlo determinare nella misura del 70% del trattamento retributivo erogato dall’ Università , in ragione dell’attività lavorativa comunque resa dal docente. Per ciò, attesa la consapevolezza del convenuto in ordine alla irregolare posizione di servizio derivante dalle espletate attività incompatibili, erano a statuirne la condanna al pagamento di € 157.412,75, oltre accessori e spese.
4. Si gravava della sentenza de qua la Procura regionale ligure, che formulava le seguenti doglianze: <>. Osservava che, diversamente da quanto opinato dai primi Giudici, in specie “…incombeva sul Prof. Casamonti l’obbligo giuridico di comunicare al proprio datore di lavoro, ovvero all’ Università di Genova, lo svolgimento di attività professionale potenzialmente incompatibile e l’omissione volontaria di tale comunicazione integrava il requisito dell’occultamento doloso…”. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione dovesse rilasciare o meno l’autorizzazione a compiere determinate attività rendeva di evidenza solare l’obbligo del docente di comunicare i propri incarichi extra. L’Amministrazione non poteva valutare la liceità di attività di cui non conosceva l’esistenza. E un tale obbligo, di comunicare al proprio datore di lavoro, ovvero all’ Università di Genova, lo svolgimento di attività professionale potenzialmente incompatibile, discendeva direttamente dagli artt. 1175 e 1375 c.c. e dalle numerose altre disposizioni che ne costituivano specificazione, come ad es. gli artt. 1337 e 1338 c.c., ovvero dalla clausola generale della correttezza o buona fede oggettiva, applicabile a tutti i rapporti contrattuali, compresi quelli di lavoro, pubblici e privati. Cosicché, era del tutto irrilevante la circostanza che lo svolgimento di attività professionale fosse o non notorio, giacché la Pubblica amministrazione doveva essere informata dal suo dipendente, sulla base delle regole di correttezza, senza che possa assumere importanza la possibile, casuale conoscenza per altre vie. Quanto poi agli elementi ritenuti dalla Sezione regionale rilevanti per dimostrare l’acquiescenza dell’ Università , l’appellante procura era a ritenerli di alcuna consistenza. Di fatti, sia la lettera dell’ex Preside di facoltà, dott.ssa Spadolini, formata pochi giorni prima dell’udienza “…esclusivamente per finalità difensive…”, sia l’articolo sulla rivista “Archea”, da cui il Collegio traeva la dimostrazione di un fantomatico incarico progettuale attribuito dall’ Università allo studio Archea, incarico progettuale di cui non si avevano notizie, non meritavano credito probatorio. Di tal ché, risultava chiara l’erroneità della sentenza in punto di prescrizione, il cui dies a quo era, nella specie, da far decorrere dalla data della scoperta dell’illecito, ovvero dall’aprile 2013 (data della relazione istruttoria sui fatti). Per ciò, in parziale riforma della sentenza, l’appellato doveva condannarsi al risarcimento del danno complessivo di € 908.968,53 (€ 689.023,43, quale prima voce di asserito nocumento, € 62.532,35, quale parte della seconda voce, dichiarata prescritta in prime cure, ed € 157.412,75, riconosciuti dalla sentenza), oltre accessori e spese del grado.
5. Resiste all’appello il Prof. Casamonti [#OMISSIS#], con scritto defensionale prodotto in atti in data 11 novembre 2014, contenente, altresì, appello incidentale avverso la sentenza epigrafata, teso, in via principale, al rigetto dell’appello della Procura regionale, con conferma della sentenza di primo grado nelle parti da questa impugnate (ossia relativamente alla dichiarata prescrizione); in via incidentale principale, in parziale riforma della decisione impugnata, al proscioglimento dell’Arch. Casamonti da ogni addebito; in via incidentale subordinata, alla rideterminazione nel minor importo possibile della somma in condanna, anche attraverso l’uso del potere di riduzione, il tutto col favore delle spese. Osservava che l’interpretazione fornita dalla Procura non poteva accogliersi dal momento che non ricorrevano i due elementi interpretativi della norma per spostare in avanti il dies a quo della prescrizione. Di fatti, “…una condotta omissiva non può configurare un caso di occultamento doloso e, in ogni caso, non può ritenersi che fosse sussistente alcun obbligo giuridico di comunicazione in capo al Prof. Arch. Casamonti. Anche il comportamento da sempre trasparente tenuto da quest’ultimo smentisce, nei fatti, l’interpretazione della Procura…in quanto non vi è mai stata, da parte dello stesso, una omissione atta a celare dolosamente la propria attività libero professionale”. E ciò anche in ragione della circostanza che, come riconosciuto dalla giurisprudenza consolidata di settore, <<…l’art. 1, comma 2, della legge n. 20 del 1994 viene interpretato nel senso che solo le condotte “commissive” possono configurare quel genere di “occultamento doloso” atto a non rendere applicabile la prescrizione quinquennale, con espressa esclusione di qualunque genere di condotta “omissiva”>>. Di poi, alla qualificazione della condotta omissiva non poteva pervenirsi collegando questa a un inesistente obbligo giuridico di comunicazione. Tra l’altro, l’ Università degli Studi di Genova, perfettamente a conoscenza dell’attività libero professionale del Prof. Casamonti, è rimasta perfettamente inerte senza richiedere allo stesso neppure una semplice autodichiarazione sullo stato di presunte incompatibilità e senza svolgere alcuna attività di controllo. In ogni caso, il predetto professionista ha sempre agito “alla luce del sole”, atteso che lo “Studio Archea” è uno degli studi di progettazione più noti d’Italia e direttamente riconducibile al Casamonti, studio ben noto anche nell’ambito della proposta di ampliamento della Facoltà di Architettura dell’ Università di Genova. E di tanto vi era traccia nella dichiarazione fatta, a ridosso del giudizio di primo grado, dal Preside di Facoltà, in cui ricordava di aver invitato, nell’anno accademico 2005 – 2006, espressamente il docente a presentare istanza per variare il regime di impiego universitario da tempo pieno a tempo parziale, in ragione dell’attività svolta dal medesimo. Chiarite, quindi, le ragioni a conferma della sentenza in punto di prescrizione, il Prof. Casamonti formulava appello incidentale per i seguenti motivi: <<…assenza degli elementi costitutivi della responsabilità erariale>>. Di fatti, la presunta attività contestata di “esercizio di commercio e dell’industria” nulla aveva a che vedere con i ruoli ricoperti dall’appellante nelle predette società. Di fatti, nella Società “Archea Associati s.r.l.”, costituita nel 2001 al fine di gestire l’attività libero professionale di architetto e progettista dell’appellante, il ruolo di socio dallo stesso rivestito nulla aveva a che vedere con attività di commercio e industria. Così come per la “Immobiliaretre s.r.l.”, che altro non era che la società attraverso la quale vengono gestite solo ed esclusivamente le sedi degli studi professionali del prevenuto. In esse, “…risulta oggi unicamente quale socio, non ricoprendo alcun tipo di funzione amministrativa e/o di gestione delle stesse”. Tra l’altro, andava tenuto presente che per individuare l’ambito di concreta operatività di una società non poteva farsi riferimento a quello che è l’oggetto sociale desumibile dalla visura camerale, ma è necessario andare ad individuare in concreto quale sia l’ambito operativo della società stessa, aspetto questo che escludeva l’espletamento di qualsivoglia attività di commercio e di industria. In ogni caso, il predetto ha sempre svolto con regolarità ed impegno l’attività universitaria, non sottraendo, in concreto, tempo a tale impiego e, conseguentemente, non ricorreva alcun danno in capo all’Ateneo genovese. Di tal ché, emergeva con tutta evidenza il contributo apportato alla suddetta Università , dei cui vantaggi doveva tenersi conto. Di poi, non esisteva alcuna disposizione normativa che prevedesse, in ipotesi di svolgimento di attività incompatibili, la restituzione integrale degli importi percepiti a titolo retributivo, a fronte di resa prestazione professionale. Per altro verso, l’appellante incidentale si doleva della <<…errata quantificazione degli importi dovuti>>. Osservava, infatti, che l’importo di € 224.875,36, su cui la Corte territoriale ha operato una decurtazione del 30%, a ragione della circostanza che il prof. Casamonti ha comunque svolto la propria attività lavorativa, è stato determinato al lordo delle ritenute fiscali, con statuizione iniqua, “…dato che le somme versate a titolo di imposte sono già state corrisposte allo Stato…”. Riteneva poi errato anche l’importo rilevato al lordo, atteso che dai modelli “C.U.D.” degli anni d’imposta dal 2008 al 2013 era dato evincere un lordo di € 209.501,15 (in luogo di € 224.875,36, contestati dalla sentenza), che al netto dell’IRPEF si riduceva ad € 153.008,73, su cui applicare la riduzione operata in decisione.
6. Resiste all’appello incidentale, con conclusioni scritte versate in atti il 09 settembre 2016, la Procura generale, che instava per l’accoglimento dell’appello principale (atteso l’evidente refuso nell’indicare il gravame incidentale) e per il rigetto del gravame incidentale, con il carico delle spese del grado. Quanto al primo, rinviava, in ordine ai vizi della dichiarata prescrizione, ai motivi in esso formulati. Riguardo al secondo, osservava l’inverosimiglianza dell’argomentazione difensiva tesa a negare la [#OMISSIS#] imprenditoriale – commerciale dell’attività svolta in seno alle Società in cui operava il predetto docente. E a conferma di una tale inverosimiglianza osservava come “…l’appellante incidentale ritenga di dover addirittura rivendicare l’affermata pregiatezza delle opere realizzate, sinanco menzionate in prestigiose riviste tecniche, nell’espletamento della propria attività professionale, pervicacemente ignorando quanto gli derivava, invece, dagli obblighi di pubblico funzionario, sottoposto a chiara, inequivoca normativa di settore, semplicemente ignorata”. Relativamente al secondo motivo di gravame, lo stesso non poteva accogliersi giacché da tempo è stata superata la vecchia [#OMISSIS#] della c.d. finanza pubblica allargata, sussistendo una completa autonomia contabile degli enti pubblici, il cui ristoro, pertanto, deve essere integrale nelle diverse voci complessivamente corrisposte al dipendente.
7. Con scritto defensionale del 04 ottobre 2016 parte privata ribadiva le ragioni a conferma della dichiarata prescrizione e a supporto dell’appello incidentale.
8. Alla pubblica udienza odierna, le parti processuali concludevano come da verbale, ribadendo, per ciò, il contenuto delle impugnative, principale ed incidentale, delle memorie difensive e delle conclusioni scritte, ai quali erano ad operare ogni ritenuto rinvio. Nello specifico, il P.G. quanto alle argomentazioni per la riforma della sentenza di prime cure in punto di prescrizione, richiamava il precedente n. 345 del 2016 di questa stessa Sezione, che si soffermava diffusamente sul concetto del silenzio e dell’occultamento doloso. Di tal ché, la sentenza gravata doveva riformarsi con condanna del prevenuto a ristorare gli importi al lordo, trattandosi di un obbligo restitutorio. Il difensore di parte privata insisteva, invece, sulla non ricorrenza dell’occultamento doloso, atteso che il Rettore del tempo era a conoscenza dell’attività libero professionale svolta dal Prof. Casamonti. Per ciò, la epigrafata sentenza doveva, sul punto, confermarsi mentre, in subordine, doveva tenersi conto delle sole somme percepite dal 2001 al 2006, di vigenza dell’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001. Insisteva, ad ogni buon conto, per l’accoglimento dell’appello incidentale e, in subordine, per l’esercizio del potere di riduzione in ragione dei vantaggi conseguiti dall’Amministrazione universitaria. Di poi, all’esito di specifica richiesta del relatore, il P.M. chiariva che, ove accolta la gravatoria sulla prescrizione, la causa, risultando ampiamente dibattuto il merito, poteva essere trattenuta dal Collegio e non rinviata in prime cure. L’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] riteneva, invece, che il giudizio dovesse ritornare in primo grado per la parte di asserito nocumento dichiarata prescritta e per la corretta quantificazione del quantum.
Al termine della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
Ragioni del decidere
[1] In [#OMISSIS#], va disposta, a mente dell’art. 335 c.p.c., la riunione, ai fini di un’unica decisione, degli appelli, di quello incidentale a quello principale, in quanto formulati separatamente avverso la medesima sentenza.
[2] In limine, il Collegio ritiene di dover perimetrare l’oggetto dell’odierno scrutinio, rinveniente limite oltre che nei motivi di gravame, nel decisum di primo grado. Di fatti, una parte preponderante della domanda attrice è stata delibata dai primi Giudici con riguardo alla sola preliminare della prescrizione, senza, all’evidenza, entrare nel merito. Ciò si è verificato, in particolare, per la prima asserita posta di nocumento erariale, per € 689.023,43, conseguente allo svolgimento, dal 1999 al 31 ottobre 2006, di attività professionali ritenute incompatibili con il regime di impegno lavorativo a tempo pieno da parte dell’Arch. Casamonti [#OMISSIS#], e per la parte, pari ad € 62.532,35 della seconda voce, di complessivi € 287.407,71, relativa al periodo 1° gennaio 2007 – 06 agosto 2008, in cui il suddetto docente nel mentre era in regime di impegno a tempo definito, avrebbe esercitato attività di tipo imprenditoriale – commerciale, espressamente vietate dalle norme disciplinanti la materia. Di tal ché, un epilogo eventualmente non confermativo della predetta decisione implicherà, quanto ad effetti, non una trattazione della domanda nel merito (tranne quanto di seguito), come preteso nel gravame principale dal Procuratore regionale (pagg. 18-20) e ribadito dal PM di udienza, per l’ampia discussione che si era svolta al riguardo, bensì, siccome previsto dall’art. 105, 1° comma, del R.D. n. 1038 del 1933, nell’interpretazione nomofilattica rassegnatane di recente dalle Sezioni Riunite, con la sent. n. 8/2016/QM, del 21 aprile 2016, un ritorno degli atti al primo Giudice per la prosecuzione del giudizio inteso a una tale disamina, così come invocato anche dal patrono di parte privata in sede dibattimentale. Cosicché, ogni delibazione dello stesso fatta in questa sede è da correlare in esclusiva al vaglio della fondatezza dell’eccezione preliminare, senza vincolo alcuno per il thema decidendum, da limitare tuttavia alla prima posta di presunto nocumento, giacché per la parte di esso afferente la seconda voce, ravvisa il Collegio di doverla trattenere ai fini provvedimentali di merito, in quanto importo residuale di posta già scrutinata dai primi Giudici.
[2.1] Un tanto premesso, la sentenza impugnata ha prosciolto il prevenuto, da una parte degli addebiti contestati, per prescrizione, per essere stata spiegata la relativa azione oltre il termine quinquennale previsto dall’art.1, comma 2, della legge n. 20/1994. Di fatti, al Professor Casamonti [#OMISSIS#], in ordine al periodo 1999 – 31 ottobre 2006, in cui era docente a tempo pieno presso l’Ateneo genovese, la Procura regionale ha contestato un complessivo presunto danno di € 689.023,43 conseguente allo svolgimento di attività libero professionali, ritenute incompatibili con tale regime e sanzionate dall’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001. A tal riguardo, le emergenze in atti danno conto della percezione di emolumenti per € 216.836,44 (enucleabili da quadri RE ed RL dei modelli reddituali di riferimento), siccome percepiti da soggetti privati asseritamente in assenza di provvedimento autorizzatorio dell’Amministrazione universitaria; nonché della percezione di emolumenti per € 472.186,99 (evincibili dal quadro RH delle dichiarazioni reddituali), corrispondenti agli utili ritratti dall’attività autonoma svolta presso lo “Studio Archea” (“Archea Associati S.r.l”). Quanto, invece, al periodo 2007 – 2013, in cui il predetto Accademico ha svolto per l’ Università attività a tempo definito, la Procura regionale ligure era a contestare un presunto complessivo danno per € 287.407,71, corrispondente alle retribuzioni pubbliche allo stesso somministrate, pregiudizio che sarebbe scaturito dallo svolgimento di attività imprenditoriali – commerciali, ritenute incompatibili con il pubblico impiego, di cui la Corte territoriale era a dichiarare prescritta una parte, ossia la quota di € 62.532,35, percepita dal 1° gennaio 2007 e sino al 06 agosto 2008, a fronte dell’invito a dedurre, avente effetti interruttivi, allo stesso notificato il 07 agosto 2013. I Giudici di primo grado accoglievano l’eccezione di prescrizione dappoiché convinti della non ricorrenza di un occultamento doloso, quale invece contestato dal Procuratore regionale. In breve, richiamando anche i propri precedenti n. 50 e 146 del 2013, su fattispecie analoghe, la Sezione regionale osservava che l’occultamento doloso non poteva coincidere puramente e semplicemente con la commissione (dolosa) del fatto dannoso in questione, richiedendo una ulteriore condotta, indirizzata ad impedire la conoscenza del fatto. Nel caso all’esame, “…pur giudicando di natura dolosa la condotta illecita contestata al convenuto…”, mancava “…l’ulteriore specifica attività finalizzata ad impedire la conoscenza del fatto, richiesta dalla norma per la sussistenza del doloso occultamento…”. E ciò anche perché <<…la mancata richiesta di autorizzazione si configura come elemento costitutivo della fattispecie dannosa di cui al comma 7 dell’art. 53 D. lgs. n. 165/2001, ma non è essa stessa, al contempo, occultamento doloso del danno>>. Di poi, il convenuto non solo ha regolarmente dichiarato i proventi delle attività incompatibili, ma la propria attività professionale incompatibile era ben conosciuta negli ambienti universitari, come dichiarato dalla Preside della Facoltà di Architettura, in nota del 09 maggio 2014, in cui invitava il Prof. Casamonti “…a presentare istanza di collocamento a regime di impegno a tempo definito”, collocamento poi avvenuto dal 1° novembre 2006. A tanto doveva aggiungersi anche che il predetto già nel 2002, nel n. 62 della rivista di “Architettura e Arti” dava notizia del progetto di “ampliamento della facoltà di architettura” di Genova, proposto da “Prati, Casamonti (Archea), Novi, Raiteri”. Cosicché, dai succitati elementi tutti sarebbe emersa, secondo i primi Giudici, la maturazione della fattispecie dannosa nella sostanziale acquiescenza dell’amministrazione danneggiata, ossia dell’ Università , la quale non aveva mai operato specifici controlli, né tampoco aveva fatto sottoscrivere dichiarazioni di auto-responsabilità al docente.
La richiamata trama argomentativa era contestata, nel gravame principale, dal Procuratore regionale, atteso che, in specie, “…incombeva sul Prof. Casamonti l’obbligo giuridico di comunicare al proprio datore di lavoro, ovvero all’ Università di Genova, lo svolgimento di attività professionale potenzialmente incompatibile e l’omissione volontaria di tale comunicazione integrava il requisito dell’occultamento doloso…”. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione dovesse rilasciare o meno l’autorizzazione a compiere determinate attività rendeva di evidenza solare l’obbligo del docente di comunicare i propri incarichi extra. E un tale obbligo, di comunicare all’ Università di Genova lo svolgimento di attività professionale potenzialmente incompatibile, discendeva direttamente dalla clausola generale della correttezza o buona fede oggettiva, applicabile a tutti i rapporti contrattuali, compresi quelli di lavoro, pubblici e privati. Cosicché, era del tutto irrilevante la circostanza che lo svolgimento di attività professionale fosse o non notorio, giacché la Pubblica amministrazione doveva essere informata dal suo dipendente, sulla base delle regole di correttezza, senza che potesse assumere importanza la possibile, casuale conoscenza per altre vie. Quanto alla lettera della ex Preside di facoltà, Prof.ssa Spadolini, e all’articolo pubblicato sulla Rivista “Archea”, la Procura era a ritenerli privi di credito probatorio ai fini del disvelamento delle condotte contra ius. Di tal ché, il dies a quo della prescrizione era, nella specie, da far decorrere dalla data della scoperta dell’illecito, ovverosia dal 05 aprile 2013, di produzione di relazione istruttoria sui fatti.
L’appellato, anche appellante incidentale, era ad avversare l’opinare della Procura regionale, in quanto non ricorrenti gli elementi legittimanti lo spostamento in avanti del dies a quo della prescrizione. Di fatti, “…una condotta omissiva non può configurare un caso di occultamento doloso e, in ogni caso, non può ritenersi che fosse sussistente alcun obbligo giuridico di comunicazione in capo al Prof. Arch. Casamonti. Anche il comportamento da sempre trasparente tenuto da quest’ultimo smentisce, nei fatti, l’interpretazione della Procura…in quanto non vi è mai stata, da parte dello stesso, una omissione atta a celare dolosamente la propria attività libe