L’acquisizione e l’esame del materiale probatorio prodotto nell’ambito di un precedente processo innanzi al giudice del lavoro è ammissibile trattandosi di valutazione di un insieme di prove atipiche rispetto alle categorie tipizzate dal codice di procedura civile, da effettuarsi ai sensi dell’art. 116 c.p.c., quale norma che esprime un principio generale.La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti. La valutazione delle deposizioni testimoniali, sia il giudizio sull’attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni sono rimessi al libero convincimento del giudice del merito, il quale può anche fondare la propria decisione sulla deposizione di un solo, teste, purché adeguatamente motivata, non esistendo nell’ordinamento giuridico limitazione alcuna in ordine alla valutazione della prova testimoniale in relazione al numero dei testimoni.Ai fini dell’accertamento positivo della situazione ambientale da cui si può dedurre l’esistenza di mobbing a danno di un lavoratore devono sussistere i seguenti elementi caratterizzanti tale condizione: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti e/o anche leciti se considerati singolarmente, che con intento vessatorio siano posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente da parte del datore di lavoro o di altri dipendenti, sottoposti al suo potere direttivo; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella sua integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. Per integrare gli estremi del mobbing è, quindi, richiesto che l’azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore sia sistematica, frequente, attuata con una serie prolungata di atti e abbia le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione.
Corte dei conti reg., Sardegna, 21 giugno 2017, n. 88
Docente accademia belle arti – Danno erariale – Danno da mobbing – Prove
GIUDIZIO DI CONTO
C. Conti Sardegna Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 09-03-2017) 21-06-2017, n. 88
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SARDEGNA
composta dai Magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – [#OMISSIS#] f.f.
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 23813 del registro di segreteria, ad istanza della Procura regionale per la Sardegna contro: il prof. C.V., nato a M. (M.) il (…), CF (…), rappresentato e difeso dagli Avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], elettivamente domiciliato in Sassari Via [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], 6.
Visti l’atto introduttivo del giudizio e gli altri documenti di causa. Uditi, [#OMISSIS#] pubblica udienza del 9-3-2017, il relatore Consigliere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], il Pubblico Ministero in persona del vice Procuratore generale [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e l’Avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#].
Svolgimento del processo
Con atto depositato in data 28 giugno 2016 e notificato il 14 ottobre 2016, la Procura Regionale ha citato in giudizio il prof. C.V. per sentirlo condannare al pagamento in favore della L’Accademia di Belle Arti “[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” di Sassari, della somma di Euro 64.960,00, per danno derivante da condotte illecite accertate con sentenza del [#OMISSIS#] ordinario.
Secondo l’esposizione attorea la vicenda è così articolata.
Con nota dell’11 luglio 2014, il [#OMISSIS#] dell’Accademia di Belle Arti “[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” di Sassari ha trasmesso alla Procura regionale della Corte dei conti la sentenza n. 614/13 dell’11 novembre 2013, con cui il Tribunale di Sassari ha condannato la predetta Accademia al pagamento della somma complessiva di Euro 46.496,25 a titolo di risarcimento del danno da mobbing in favore della prof.ssa F.T., oltre interessi, rivalutazione, spese processuali e spese di CTU.
Con sentenza n. 181/14 del 2 luglio 2014, la Corte d’Appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari ha respinto il ricorso in appello promosso dall’Accademia di Belle Arti, con condanna al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 2.200,00 oltre accessori di legge.
A seguito di atto di precetto, l’Accademia, con mandato di pagamento n. 353 del 5 dicembre 2014, ha corrisposto a favore della prof.ssa T. la complessiva somma di Euro 64.960,00.
Con nota del 10 aprile 2015, il [#OMISSIS#] dell’Accademia di Belle Arti di Sassari ha comunicato alla Procura che a seguito di parere espresso dall’Avvocatura di Stato con nota del 30.01.2015, il Consiglio d’amministrazione dell’Accademia ha deliberato di rinunciare alla proposizione del ricorso in cassazione.
Ritenuto che il danno erariale indiretto patito dall’Accademia di Belle Arti “[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” di Sassari, derivante dagli oneri sostenuti all’esito della causa per mobbing intentata dalla dipendente F.T., fosse ascrivibile al docente titolare di cattedra prof. V.C., per avere tenuto condotte persecutorie e di emarginazione perpetrate nel tempo, e al direttore dell’Accademia prof. N.M.M. per non avere mai adottato alcuna iniziativa, anche di natura disciplinare, volta a interrompere quelle condotte per tutelare l’integrità fisica e morale della lavoratrice, il Pubblico Ministero ha emesso nei loro confronti l’invito a dedurre, notificato in data 24 e 22 marzo 2016.
In risposta hanno depositato controdeduzioni scritte il prof. V.C., con memoria a firma degli Avv.ti [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], e il prof. N.M.M. con memoria a firma degli Avv.ti [#OMISSIS#] Patta e [#OMISSIS#] Giordo.
Il prof. C. ha respinto gli addebiti mossi dalla Procura, sostenendo che l’esito del giudizio civile ha risentito della sua mancata partecipazione in quel procedimento, o meglio del suo mancato coinvolgimento da parte dell’Amministrazione, giacché avrebbe potuto offrire validi e pertinenti ausili istruttori.
A tal riguardo il deducente ha depositato dichiarazioni successivamente acquisite presso alcuni allievi dell’Accademia, un docente e un collaboratore scolastico, vertenti su circostanze esposte dalla prof.ssa T. nel ricorso.
Il prof. M. ha contestato il percorso logico tracciato nelle sentenze del [#OMISSIS#] del Lavoro del Tribunale di Sassari [#OMISSIS#] formulazione degli addebiti a lui mossi, perché sostanzialmente fondato sul postulato del “non poteva non sapere”, inidoneo a fungere da prova per fatti giuridicamente rilevanti, tenuto conto che non è emersa dimostrazione che egli avesse avuto conoscenza delle censurate condotte del docente, delle quali, peraltro, non era stato mai informato dall’assistente.
Ad avviso del deducente assumerebbe rilievo il fatto che la prof.ssa T. non aveva mai inoltrato a lui né ai vertici dell’Accademia alcuna segnalazione formale in merito alle condotte vessatorie lamentate, da cui potessero legittimamente scaturire iniziative verso il docente, eventualmente anche di natura disciplinare.
E rileverebbe anche considerare che la decisione di assegnare l’assistente alla biblioteca nel dicembre 2003 si inseriva in una situazione che, per come a lui rappresentata, vedeva il prof. C. vittima di atteggiamenti non rispettosi dei ruoli da parte della prof.ssa T., in questi termini segnalati dal docente con una nota riservata a lui inoltrata in data 9 dicembre 2003 (nota prodotta dai legali a corredo delle deduzioni difensive).
I deducenti hanno integralmente confermato la linea difensiva nel corso delle audizioni personali dinanzi al Pubblico Ministero, tenutesi in data 18 [#OMISSIS#] 2016.
Sotto il profilo dell’elemento psicologico, reputa la Procura che le condotte del C. siano connotate da dolo, perché le iniziative illecite di cui si è reso protagonista nel corso degli anni erano indirizzate a perseguitare la T., denigrandola, umiliandola umanamente e professionalmente (ad esempio tollerando, se non addirittura incoraggiando, che gli studenti utilizzassero la scrivania dell’assistente per poggiare borse, zaini, giacche, giubbotti e quant’altro, allo scopo evidente di significare permanentemente l’assoluta mancanza di considerazione del suo ruolo di insegnante), e infine isolandola (con il progressivo abbandono da parte degli allievi del corso di insegnamento da lei tenuto).
Dunque, il prof. V.C. secondo l’Accusa deve rispondere del danno erariale derivato all’Ente, costituito dalle somme erogate alla prof.ssa F.T. all’esito del processo civile.
Con riguardo alla posizione del direttore dell’Accademia, Prof. N.M.M., il requirente ritiene che non sia emersa idonea prova che le gravi condotte tenute dal docente siano state da lui conosciute, anche [#OMISSIS#] loro concatenazione finalistica, e dunque che possa positivamente fondarsi l’addebito erariale per non essere intervenuto prontamente ed evitare che la situazione degenerasse, come poi avvenuto, con conseguente danno alla salute della prof.ssa T..
Nessuno dei testimoni escussi nel giudizio civile ha riferito di avere informato il prof. M. sui gravi fatti dei quali avevano avuto diretta percezione, né di avere personalmente assistito [#OMISSIS#] incontri nel corso dei quali l’assistente aveva riferito i gravi fatti al direttore dell’Accademia.
Con memoria depositata il 27 febbraio 2017, si è costituita la difesa del convenuto deducendo quanto segue.
L’atto introduttivo non tiene conto delle difese svolte dal convenuto con l’invito a dedurre, condizione di procedibilità della domanda. Al contrario, avrebbe dovuto non solo esaminare ma anche sostanzialmente contrastare i fatti [#OMISSIS#], le difese assunte ed i documenti depositati, dei quali non fa cenno alcuno.
Omissione particolarmente rilevante ai fini del presente giudizio perchè il prof. C. non è mai stato coinvolto nelle fasi di merito, non è stato parte processuale, non ha potuto svolgere le proprie difese fino al momento nel quale ha preso posizione nel merito [#OMISSIS#] fase nanti il procuratore e con le memorie depositate.
Il convenuto, nelle proprie controdeduzioni, ha precisato che:
a) non aveva alcun potere né titolo per intervenire sulla logistica dell’Accademia;
b) non avrebbe potuto modificare l’uso dei locali nei quali (tutti) i docenti facevano lezione (corridoi o aule non convenzionali come risulta dalle foto dei luoghi depositate ed allegate);
c) non aveva alcun potere di interferire sull’orario delle lezioni, potere esercitato dal prof. M., né su alcun altro elemento che riguardasse lo svolgimento della didattica da parte della dott.ssa T..
E’ emerso nel corso del giudizio di primo grado che il direttore dell’Accademia era stato informato da parte della dott.ssa T. dei supposti soprusi e ingiustizie che la stessa lamentava e che il prof. M. non era mai intervenuto per farli cessare.
Nel ribadire l’assenza di comportamenti mobbizzanti da parte del prof. C. e, comunque, la mancanza di prova di dolo o colpa grave a lui imputabile la difesa contesta analiticamente tutti gli aspetti della sentenza del [#OMISSIS#] del lavoro citando prove testimoniali per confutare ciascuna delle accuse mosse al convenuto
Anche la CTU medica, secondo la difesa è priva di una valida contestazione che, nel corso del giudizio, avrebbe potuto inficiarne le conclusioni.
Le numerose dichiarazioni testimoniali riportate, ad avviso della difesa, delineano un ambiente di studio e lavoro non compatibile con alcuna patologia ed il comportamento del prof. C. privo di qualsiasi intento persecutorio o anche solamente ostile nei confronti della dott.ssa T., alla quale, in ogni [#OMISSIS#], non poteva arrecare danno non avendo su lei, né in Accademia, alcun potere.
La sentenza del Tribunale, poi confermata in appello, sarebbe viziata [#OMISSIS#] motivazione, incongrua e lacunosa poiché non ha valutato la mancata integrazione degli elementi caratterizzanti il mobbing.
a) Una serie di atti persecutori posti in essere con intento vessatorio ed in modo sistematico.
b) Danno alla salute.
c) Nesso causale tra condotta ed evento.
d) Elemento psicologico inteso come intento persecutorio da ravvisare in tutti i comportamenti posti in essere.
Secondo la difesa dall’istruttoria compiuta emergono semplici incomprensioni o incompatibilità di carattere, per di più riferibili a testimonianze non univoche né puntuali e precise ed in relazione ad episodi eterogenei ed isolati. Screzi o conflitti interpersonali ” fisiologici” in ogni ambiente di lavoro che, per loro natura, non sono caratterizzati da volontà persecutoria essendo collegabili, al più, ad antipatie.
Secondo la difesa [#OMISSIS#] la prova rigorosa di tale elemento, nonchè di quali regole o norme il prof. C. avesse violato, quale comportamento contrario a norme contrattuali o inderogabili di legge o correttezza avesse tenuto; quali violenze o minacce per tormentare la ricorrente avesse posto in essere, con dolo o colpa grave.
Pertanto la difesa conclude: in via preliminare per la nullità e/o inammissibilità della citazione perché generica; in via principale per l’infondatezza e non configurabilità della responsabilità in capo al convenuto; in via subordinata, la difesa contesta la quantificazione dell’addebito, e poiché la Procura ha escluso dall’azione di responsabilità il Direttore dell’Accademia chiede la riduzione dell’addebito e, comunque, l’esercizio della potestà di riduzione [#OMISSIS#] massima estensione.
Nell’udienza di discussione le parti hanno ribadito le argomentazioni fin qui esposte e confermato le conclusioni già rassegnate.
Il Pubblico Ministero erariale ha ribadito che le testimonianze rese nel giudizio civile sono attendibili e dimostrano le condotte illecite con cui il convenuto ha leso la dignità personale e professionale della prof. T..
La C.T.U. in merito alla eziologia della malattia afferma che i comportamenti furono causa della patologia psichica.
La difesa ha osservato che [#OMISSIS#] la prova del mobbing, mentre risulta depositato un documento da cui si desume la malattia pregressa
Motivi della decisione
La Sezione esamina per prima la eccezione di nullità e/o inammissibilità della citazione perché sarebbe generica.
A tal proposito il Collegio rileva l’infondatezza di tale eccezione in quanto l’atto di citazione individua il petitum e la causa petendi in modo preciso e dettagliato, facendo riferimento puntuale alle condotte illecite imputate al convenuto e alla loro efficienza causale [#OMISSIS#] produzione del danno contestato.
Sui singoli episodi ascritti al convenuto, la difesa ha svolto un’ampia e articolata difesa basata su contestazioni analitiche precise e pertinenti che escludono in radice che la dedotta (ma non provata) genericità ed indeterminatezza della domanda abbia in alcun modo limitato l’esercizio del diritto di difesa.
Da tutti gli atti di causa della vicenda in esame, non si desume alcuna lesione del diritto di difesa ex art. 24 e 111 Cost., in quanto la parte ha ampiamente esercitato il diritto di contraddire e/o difendersi e replicare, in sede di costituzione e [#OMISSIS#] tutto lo svolgimento del processo contabile, alle conclusioni del magistrato inquirente (cfr. Cass. Civ., Sez. III, sent. 10.3.2009, n. 5758 e 28.11.2003, n. 18245; Corte dei Conti, Sez. 3^ giur. c.le d’appello, sent. n. 156 del 2010).
Chiarite le ragioni del rigetto della predetta eccezione, si può ora esaminare il merito della vicenda.
L’ipotesi accusatoria si basa sugli esiti della causa promossa dalla la prof.ssa F.T., assistente di Plastica Ornamentale presso l’Accademia di Belle Arti “[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” di Sassari in qualità di precaria dal 1990 al 2001 e a tempo indeterminato dal 13.11.2001, contro l’Accademia e il Ministero della Pubblica Istruzione per il risarcimento del danno biologico, patrimoniale e morale, nonché del danno esistenziale derivato da mobbing nell’ambiente di lavoro.
Con la sentenza n. 614/2013, il Tribunale di Sassari in funzione di [#OMISSIS#] del Lavoro, ha condannato l’Accademia di Belle Arti di Sassari al pagamento in favore della prof.ssa T. della somma complessiva di Euro 46.496,25 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, comprensivo del danno morale ed esistenziale, oltre interessi legali calcolati dalla data del fatto (individuata nel 2.10.2003, di insorgenza della patologia) sul capitale devalutato per il primo anno e sul capitale annualmente rivalutato per gli anni successivi fino al saldo. Ha condannato l’Accademia al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 2.250,00 oltre [#OMISSIS#] e CPA di legge. Ha posto definitivamente a carico della Accademia le spese di CTU, liquidate con separato decreto. Ha respinto il ricorso nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione per carenza di legittimazione passiva, con compensazione delle spese processuali.
Il Tribunale di Sassari ha ritenuto che le condotte vessatorie lamentate dalla ricorrente siano state causa della malattia diagnosticata alla medesima.
La CTU ha concluso per la sussistenza di una sintomatologia ansioso-depressiva, insorta a partire dal 1998, ma in realtà certificata nel 2003 dallo specialista, data in cui è certa l’insorgenza della malattia, ancora in atto.
Con sentenza n. 181/14 del 2 luglio 2014, la Corte d’Appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari ha respinto il ricorso in appello promosso dall’Accademia di Belle Arti, con condanna al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 2.200,00 oltre accessori di legge.
Ad avviso della Procura attrice il danno erariale indiretto patito dall’Accademia, è ascrivibile al docente titolare di cattedra prof. V.C., per avere tenuto condotte persecutorie e di emarginazione perpetrate nel tempo ai danni della prof.ssa T..
Molti dei fatti storici e degli accadimenti denunciati in ricorso hanno trovato riscontro nelle dichiarazioni rese dai testimoni nel giudizio civile.
La tesi accusatoria è contrastata dalla difesa del convenuto con la produzione di una serie di dichiarazioni testimoniali di segno opposto a quelle esaminate dal [#OMISSIS#] del lavoro sulle circostanze dedotte nel processo del lavoro.
L’acquisizione e l’esame del materiale probatorio del processo del lavoro sopracitato e di quello prodotto dalla difesa è ammissibile in questo giudizio trattandosi di valutazione di un insieme di prove atipiche rispetto alle categorie tipizzate dal codice di procedura civile, da effettuarsi ai sensi dell’art. 116 del c.p.c., quale [#OMISSIS#] che esprime un principio generale.
La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al [#OMISSIS#] di merito, il quale è [#OMISSIS#] di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti. La valutazione delle deposizioni testimoniali, sia il giudizio sull’attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni sono rimessi al [#OMISSIS#] convincimento del [#OMISSIS#] del merito, il quale può anche fondare la propria decisione sulla deposizione di un solo, teste, purché adeguatamente motivata, non esistendo nell’ordinamento giuridico limitazione alcuna in ordine alla valutazione della prova testimoniale in relazione al numero dei testimoni (Cass. 10 ottobre 2011, n. 20802).
Sulla base dell’esame di questo complesso di prove fornite dalle parti la Sezione ritiene che [#OMISSIS#] condotta del prof. C. non sia ravvisabile un’ipotesi di mobbing.
L’Accademia è stata condannata per mobbing sulla base di testimonianze il cui valore probatorio è stato in larga parte contraddetto dalle deposizioni scritte prodotte dalla difesa relative alle circostanze del mobbing.
Le dichiarazioni testimoniali rese dai testi citati dalla difesa provengono da soggetti lontani dall’ambiente di lavoro e verosimilmente non più condizionati, per cui il loro peso probatorio è notevole ai fini della confutazione della tesi attorea che quindi risulta indebolita, in quanto non è supportata da elementi di prova gravi precisi e concordanti.
In particolare, ai fini dell’accertamento positivo della situazione ambientale da cui si può dedurre l’esistenza di mobbing a danno di un lavoratore (e per legittimare la conseguente richiesta di risarcimento danni avanzata dal medesimo) la Corte di Cassazione ha enucleato i seguenti elementi caratterizzanti tale condizione (Cass. Civ, Sez. Lav., 17.02.2009, n. 3785; Cass., 26/3/2010, n. 7382; Cass., 21 [#OMISSIS#] 2011 n. 12048 e Cass. Sez. L., n. 18927/2012): a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti e/o anche leciti se considerati singolarmente, che con intento vessatorio siano posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente da parte del datore di lavoro o di altri dipendenti, sottoposti al suo potere direttivo; b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima [#OMISSIS#] sua integrità psico-fisica e/o [#OMISSIS#] propria dignità; d) l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
Per integrare gli estremi del mobbing è, quindi, richiesto che l’azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore sia sistematica, frequente e posta in essere con una serie prolungata di atti e avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi e persecutori (Cass. Sez. Lav., n. 4774/2006; Trib. Civ. Roma, n. 69/2008).
Secondo i principi enucleati dalla giurisprudenza, non si ravvisano gli estremi del mobbing [#OMISSIS#] sequenza di episodi citati dalla Procura attrice nell’atto di citazione da pag. 2 a pag. 7, in quanto la maggior parte di essi non possono considerarsi provati sulla base delle dichiarazioni testimoniali depositate dalla difesa.
Infatti, le circostanze più significative dedotte a sostegno della tesi del mobbing sono smentite dalle produzioni difensive che mettono in serio dubbio la sussistenza dei presupposti del mobbing, in quanto [#OMISSIS#] effettivamente:
“un contesto di condotte del docente C. contraddistinte da finalità di organica vessazione, mortificazione ed emarginazione della propria assistente, con connotazione emulativa e pretestuosa, poste in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo (oltre quattro anni), e dunque riconducibili alla fattispecie del mobbing lavorativo (Cassazione, Sez. Lav., sentenza n. 17698 del 06/08/2014; sentenze n. 19782/2014, n. 12725/2013, n. 2711/2012, n. 12048/2011, n. 3785/2009)”.
Le principali condotte ascritte al prof. C. sono state contraddette dalle produzioni difensive (come da indicazione relativa ai singoli punti):
1. avere tenuto, [#OMISSIS#] le lezioni, uno stereo acceso con assoluta incuranza delle richieste della T. di moderarne il volume che veniva tenuto costantemente molto elevato (v. le deposizioni rese dai sig.ri: C.F., studentessa, 1999-2001; A.G., collaboratore scolastico, 1998-1999; L.S., studentessa, 2000-2005; M.P., studentessa 1997-1999; G.P., studente 2000-2006; A.C., studente 2001-2008; C.M., studentessa 2003-2007; B.S., studentessa 1996-2001; R.C., studentessa 2002-2003; I.D., studentessa 2001-2003; Prof.ssa C.F., docente 1997-2000);
2. avere omesso di riservare in aula alla propria assistente T. la propria disponibilità del tavolo e della sedia posti a lato della cattedra, consentendo [#OMISSIS#] allievi del corso di poggiarvi zaini, cappotti e quant’altro (v. le deposizioni rese dai sig.ri: C.F., studentessa, 1999-2001; A.G., collaboratore scolastico, 1998-1999; L.S., studentessa, 2000-2005; M.P., studentessa 1997-1999; G.P., studente 2000-2006; A.C., studente 2001-2008; C.M., studentessa 2003-2007; B.S., studentessa 1996-2001; R.C., studentessa 2002-2003; I.D., studentessa 2001-2003; Prof.ssa C.F., docente 1997-2000).
3. avere omesso di curare che la propria assistente T. avesse comunque un luogo degno dove poter lavorare con gli allievi costringendo la stessa e alcuni allievi interessati a svolgere le attività laboratoriali di fuori dall’aula in corridoio, senza alcun appoggio adeguato (v. le deposizioni rese dai sig.ri: A.S., studentessa 1997/1999; A.G., collaboratore scolastico, 1998-1999; [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], studentessa dal 1996 al 2001; V.M., studente, 1998/2004; C.F., studente, 1999/2001; B.S., studentessa 1996/2001);
4. avere omesso di preservare la compilazione del registro (o foglio firme), reso non accessibile, [#OMISSIS#] allievi impegnati nelle attività laboratoriali con la T. (v. le deposizioni rese dai sig.ri: Prof. F., professoressa 1997/2000);
5. avere disprezzato la propria assistente T. di fronte [#OMISSIS#] allievi esprimendo giudizi negativi sulle relative capacità professionali ed in qualche occasione agendo apertamente in modo ingiurioso (v. le deposizioni rese dai sig.ri: A.S., studentessa 1997/1999; [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], studentessa dal 1996 al 2001; [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] studente 1996/2002; C.F. studente 1999/2001; L.S. studente 2000/2003; M.P. studentessa 1997/1999; D.I., studente, 2000/2003);
6. avere imposto alla propria assistente T. di custodire l’aula giungendo ad ammonirla per non averlo fatto (su questo punto la difesa non cita deposizioni testimoniali, ma osserva che: “nei primi anni di attività nell’Accademia di Sassari, attrezzi, utensili, supporti e strumenti specifici della scultura erano (eccetto poche cose protocollate e già presenti in laboratorio) di proprietà del Prof. C.. Per tale motivo ma ancor di più per non lasciare incustodita l’aula, come peraltro costantemente segnalato dalle circolari direttoriali emesse, visti anche i casi di furto subiti nei vari laboratori, il prof. C., le rare volte che si allontanava dall’aula, chiedeva a chi era nelle vicinanze di controllare lo stato dei luoghi. Non è da escludere che, in una occasione, possa averlo chiesto anche alla T., come non è da escludere che ciò sia avvenuto richiedendo particolare cura ed attenzione”);
7. avere omesso, in contrasto con i normali rapporti di collaborazione tra docente e assistente, di concordare la scelta dell’orario delle lezioni ed aver causato l’abbandono da parte degli allievi dei corsi della T. che avevano timore che [#OMISSIS#] le lezioni del C. la T. si potesse avvicinare a loro per aiutarli (v. la deposizione resa dalla Prof. C.F., prof. 1997/2000: “per quanto concerne l’orario, questo non veniva deciso dal singolo docente. La direzione negli anni in cui ho insegnato a Sassari, era tenuta da prof. M.- commissario del Ministero- l’orario era deciso dal collegio docenti e valeva per tutti. Una minima scelta si poteva avere solo nel calendario degli esami, e lo dico con cognizione di causa, perché l'[#OMISSIS#] anno della mia permanenza, in qualità di vicedirettore, lo facevo io. Gli assistenti, non avevano funzione o autonomia didattica a parte. La dott.ssa T. non aveva un suo corso”).
Risultano invece positivamente provati e non contraddetti dalla difesa solo due fatti, che costituiscono grave lesione della dignità personale e professionale della prof.ssa T., che tuttavia non sono sufficienti ad integrare un’ipotesi di mobbing, come precisata dalla interpretazione giurisprudenziale, mancando soprattutto una sistematica reiterazione di comportamenti vessatori che allo stato non risulta provata.
Il primo di questi episodi risale al 1998, su cui la testimone B.G.M. riferisce:
“Avevo richiesto un [#OMISSIS#] alla prof. T. per realizzare il [#OMISSIS#] della scultura a cui stavo lavorando e ricordo che la stessa si offrì a farlo e dopo averlo fatto il prof. C. si avvicinò alla scultura e ne strappava il [#OMISSIS#] rivolgendosi a me dicendomi che non avrei dovuto farmi aiutare dalla prof. T. in quanto non era capace. Adr: io provai imbarazzo. E comunque fece ciò alla vista di tutti gli studenti in aula. Io mi imbarazzai e da quel momento, un po’ tutti provavamo un [#OMISSIS#] disagio in quanto era difficile allontanare la prof. T. dai nostri lavori se si fosse avvicinata. Speravamo che non si avvicinasse, perché volevamo evitare che il prof. C. vedesse e quindi il fatto non dipendeva da noi né dall’incapacità della prof. T..”
Il secondo episodio risale al 4 dicembre del 2003, quando la prof.ssa T. ha subito un ennesimo attacco alla presenza di testimoni: il prof. C. ha inveito contro di lei contestandole di aver lasciato incustodita l’aula (testi: C.M. e C.S.A.).
Questi due fatti sono gravi e potenzialmente rilevanti se qualificati come episodi di straining (Cass. civ., Sez. lav., sentenza 19-2-2016 n. 3291), tuttavia non ci sono in atti elementi per dimostrare l’incidenza causale di questi episodi sulla patologia accertata con la C.T.U., in quanto non c’è un quesito specifico su questo punto.
Peraltro non sarebbe utile disporre oggi una C.T.U. perché sarebbe solo sugli atti di causa, non potendo riguardare un soggetto terzo rispetto a questo processo.
I due fatti sopra ricordati non sono qualificabili come meri screzi personali (categoria utilizzata dalla difesa per giustificare i comportamenti del prof. T.), ma sono invece gravi violazioni del dovere istituzionale di rispetto dei collaboratori nei rapporti di lavoro.
La condotta illecita del convenuto potrebbe quindi essere riqualificata in termini di straining, perché i due fatti che sono rimasti provati sono compresi [#OMISSIS#] contestazione fatta dal PM, così come avrebbe potuto farlo il [#OMISSIS#] civile.
Ma [#OMISSIS#] atti di questo giudizio non c’è la prova che il danno subito dalla prof. T. sia correlato con i due episodi in questione, sia cioè l’effetto dello straining.
Infatti, la CTU del processo civile si è basata su un insieme di fatti integranti una ipotesi di mobbing che per quanto sopra detto non sussiste.
Peraltro non ci sono strumenti processuali utili per stabilire se il danno è invece e in che misura collegato allo straining per le ragioni sopra indicate, dovendosi comunque rilevare come non sia nemmeno presumibile il nesso causale tra gli episodi provati e il danno subito dalla docente, considerata la distanza di 5 anni che è intercorsa tra il primo e il secondo episodio.
In conclusione la domanda di danno erariale proposta in questo giudizio deve essere rigettata in quanto le condotte attribuite al prof. C., per la parte in cui sono state provate, non integrano la fattispecie del mobbing e, per altro verso, non è possibile accertare che il danno subito dalla docente sia conseguenza delle suddette condotte.
In ordine alla pronuncia sulle spese, ai sensi dell’art. 31 comma 2 CGC, la Corte, nei giudizi di responsabilità amministrativa, liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa solamente nel [#OMISSIS#] di “sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave”, con esclusione, quindi, delle altre tipologie di sentenza con cui può concludersi il giudizio.
Pertanto il Collegio ritiene che nel presente giudizio si debba fare luogo alla liquidazione del rimborso delle spese legali in favore della parte convenuta, in ragione delle circostanze che hanno condotto al proscioglimento nel merito.
Tenuto conto della natura, dell’oggetto, della difficoltà della causa e della difesa svolta dal difensore del convenuto, ritiene il Collegio che dette competenze possano essere liquidate, al netto degli oneri di legge, [#OMISSIS#] misura indicata nel dispositivo
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, definitivamente pronunciando: rigetta la domanda attrice formulata contro il Prof. C.V..
Liquida a favore del convenuto e [#OMISSIS#] a carico dell’Accademia di Belle Arti “[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]” di Sassari, al netto degli oneri di legge, la somma di Euro 3.607,05 (tremilaseicentosette/05).
Così deciso in Cagliari, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 9 marzo 2017.
Depositata in Cancelleria 21 giugno 2017.