I permessi straordinari retribuiti volti a garantire il diritto allo studio dello studente lavoratore, dipendente di una pubblica amministrazione, possono essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati in orari coincidenti con quelli di servizio e non per le necessità connesse all’esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attività complementari.Sotto il versante dell’elemento soggettivo, la presenza di un isolato parere del Miur, datato 20 settembre 2009, il quale sembrerebbe sganciare per gli studenti iscritti alle università telematiche la concessione dei permessi dal requisito della contestuale frequenza a corsi universitari non è sufficiente ad escludere la colpa grave dell’interessato in presenza di un quadro interpretativo consolidato.Il dirigente dell’Ufficio personale, non richiedendo documentazione di supporto, prescritta per la generalità dei lavoratori, anche non frequentanti corsi telematici, e trascurando di accertare se l’Università telematica cui era iscritto l’interessato trasmettesse le lezioni in ore prestabilite coincidenti con l’orario in cui lo stesso era chiamato a prestare la propria attività lavorativa, ha posto in essere un comportamento negligente e omissivo, contribuendo ad arrecare il pregiudizio contestato, seppure con un ruolo di minor rilievo rispetto al corresponsabile.
Corte dei conti reg., Sicilia, 21 ottobre 2015, n. 171
Studente lavoratore – Permessi straordinari retribuiti volti a garantire il diritto allo studio
GIUDIZIO DI CONTO
C. Conti Sicilia Sez. giurisdiz., Sent., 21-10-2015, n. 171
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
composta dai seguenti magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – [#OMISSIS#]
[#OMISSIS#] Parlato – [#OMISSIS#] relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 62400 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di:
– C.G., nato a C. in data (…), elettivamente domiciliato a [#OMISSIS#], in via A.Majorana, n.48, presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], che lo rappresenta e difende in forza di mandato in calce alla memoria depositata il 20 ottobre 2015;
– D.M.M., nata ad A. in data (…), rappresentata e difesa dall’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per procura a margine della memoria depositata il 23 settembre 2015, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], in Palermo, via N. [#OMISSIS#], n. 40;
Esaminati gli atti e documenti di causa;
Uditi, [#OMISSIS#] pubblica udienza del 21 ottobre 2015, il relatore, dott. [#OMISSIS#] Parlato, il Pubblico Ministero, dottoressa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Carlotti, e, per la convenuta Di [#OMISSIS#], l’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], su delega del difensore costituito;
Ritenuto in
Svolgimento del processo
La Procura Contabile, informata, con esposto pervenuto in data 2 aprile 2014, di un’ipotesi di danno erariale riguardante l’indebita fruizione di permessi retribuiti per motivi di studio da parte di un dipendente della Polizia Municipale del Comune di Acate, demandava al Nucleo di Polizia Tributaria della [#OMISSIS#] di Finanza di [#OMISSIS#] lo svolgimento di approfondimenti istruttori.
Gli investigatori, in conclusione delle indagini, trasmettevano al P.M. la nota n. 0553897/14 del 23 ottobre 2014, informandolo che il dipendente in questione, negli anni dal 2009 al 2013, aveva beneficiato di 609 ore di permessi retribuiti di cui all’art. 3 D.P.R. n. 395 del 1988. Più precisamente: 15 ore nell’anno 2009; 144 ore nel 2010; 150 ore per ciascun anno nel 2011, 2012 e 2013, fino ad un ammontare corrispondente di Euro 7.250,15.
La [#OMISSIS#] di Finanza evidenziava, al riguardo, che l’interessato non aveva prodotto al Comune alcuna certificazione rilasciata dall’Università telematica presso la quale era iscritto riguardante la sua personale ed effettiva partecipazione a lezioni telematiche in orari combacianti con quelli di servizio e, inoltre, che questi si era collegato con la piattaforma e-learning quasi esclusivamente in orari pomeridiani serali e notturni cioè al di fuori dell’orario di servizio.
Il P.M. contabile, in relazione alla vicenda descritta, notificava atti d’invito sia al signor C.G. beneficiario dei permessi, odierno convenuto, che ai Comandanti pro tempore della Polizia Municipale che si erano succeduti in ordine di tempo, addebitando il preteso danno erariale per metà al primo e per il restante cinquanta per cento [#OMISSIS#] altri presunti responsabili, in ragione dell’apporto causale alla produzione del danno contestato.
Alla luce dei dati emersi nel corso delle audizioni e delle prospettazioni contenute nelle memorie difensive, il procuratore concludeva per l’insussistenza degli elementi connotanti la responsabilità contabile in capo ai Comandanti, capi ufficio del C., poiché gli stessi non sarebbero stati tenuti al controllo della veridicità delle dichiarazioni rese dal dipendente, trattandosi, in base alla determinazione di [#OMISSIS#] Municipale resa con Delib. n. 152 del 2009, di un compito spettante al Dirigente dell’Ufficio Personale, identificato [#OMISSIS#] dott. M.D.M., già destinataria di invito a dedurre in qualità di Responsabile della P.M., incarico ricoperto per un breve periodo in aggiunta all’ordinario e prolungato incarico di Dirigente dell’Ufficio personale; in tale qualità la dottoressa D.M. veniva raggiunta da un nuovo invito.
Il procuratore contabile riteneva, quindi, di istaurare il presente giudizio nei confronti del dipendente C.G. e della dottoressa D.M., Dirigente dell’Ufficio personale all’epoca dei fatti, cui venivano notificati atti di citazione rispettivamente in data 28 aprile 2015 e 7 [#OMISSIS#] 2015.
L’attore pubblico, in particolare, osservava che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10344 del 22 aprile 2008, espressiva di un orientamento più recentemente confermato con la pronuncia n. 17128 del 10 luglio 2013, aveva chiarito come i permessi straordinari retribuiti volti a garantire il diritto allo studio di cui all’art. 3 D.P.R. n. 395 del 1988 competessero esclusivamente ai lavoratori che avevano partecipato a lezioni tenutesi in coincidenza con l’orario di servizio e non riguardassero, invece, la mera attività di studio; esponeva, inoltre, che anche il Consiglio di Stato, [#OMISSIS#] decisione della Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5383 e l’Aran, nel parere E40 del 2002, avevano manifestato analoghi convincimenti, evidenziando come il descritto panorama pretorio e di prassi si fosse consolidato in epoca precedente la realizzazione delle condotte contestate.
Lo studente lavoratore, quindi, alla stregua della prospettazione accusatoria, con superficialità, aveva indotto l’ente datore di lavoro a concedergli vantaggi che non spettavano.
Il P.M., inoltre, escludeva che la sola presentazione di autocertificazioni (poste a corredo di alcune delle istanze più recenti) da parte dello studente lavoratore potesse mandare [#OMISSIS#] da responsabilità il soggetto tenuto a controllare il rispetto dei presupposti per la fruizione del beneficio, poiché in assenza di documentazione attestante la frequenza dei corsi in coincidenza con l’orario di servizio, le assenze avrebbero dovuto assoggettate al regime di aspettativa senza stipendio.
Entrambi i convenuti, secondo il pubblico ministero, avevano quindi violato i doveri di servizio: il C. interpretando la normativa di riferimento secondo canoni arbitrari a sé favorevoli e la D.M. omettendo di accertare la coincidenza tra orario di servizio e orario di frequenza delle lezioni; sotto il versante dell’elemento soggettivo, la colpa grave dello studente sarebbe consistita nel richiedere un trattamento favorevole che, alla luce di un’elementare lettura del quadro pretorio di riferimento, non gli competeva, quella della D.M. nel non aver controllato con adeguata attenzione la documentazione trasmessa dal ricorrente e per non essersi avveduta, in assenza di meccanismi occulti diretti a non consentire un agevole riscontro, dell’errore commesso dal lavoratore nel richiedere un beneficio non spettante.
Il P.M., infine, ritenendo, comunque, di [#OMISSIS#] gravità l’elemento soggettivo sottostante il comportamento del C. e di [#OMISSIS#] spessore l’apporto causale alla realizzazione dallo stesso del danno fornito, chiedeva la condanna di quest'[#OMISSIS#] al pagamento di Euro 5.075,15 e la condanna dell’altra convenuta al pagamento della restante somma residua di Euro 2.175,00.
La dottoressa D.M. si costituiva con memoria depositata il 23 settembre 2015 e, in primo luogo, deduceva che i compiti afferenti il controllo della documentazione relativa alla concessione avrebbero riguardato i capi ufficio del settore presso cui lo stesso prestava servizio; in secondo luogo, affermava che la documentazione a supporto della regolare fruizione dei permessi sarebbe, comunque, stata prodotta dal dipendente in conformità delle previsioni della circolare del Dipartimento della funzione pubblica, mediante autocertificazione, tale da non far sorgere dubbi sulla sua veridicità, escludendosi così ogni profilo di eventuale colpa in vigilando e residuando, al più, un eventuale responsabilità del dichiarante per eventuali attestazioni non veritiere; infine, sosteneva di poter essere chiamata solo in via sussidiaria ma che la restituzione dell’intero danno doveva essere richiesto all’autore della condotta attiva e consapevole che aveva beneficiato dei permessi; da [#OMISSIS#], chiedeva che il Collegio facesse uso del potere discrezionale di riduzione dell’addebito, dato anche l’esito positivo degli studi del C., laureatosi in Scienze Politiche e in considerazione dell’esiguità delle risorse a propria disposizione a fronte dei compiti assegnati.
Il dottor C. si costituiva in data 20 ottobre 2015, sostenendo di essersi adeguatamente informato prima di richiedere i permessi e di aver tratto conforto circa la legittimità delle proprie istanze dalla lettura di un parere del Miur del 20 [#OMISSIS#] 2009, che escludeva la necessità di produrre la documentazione attestante la frequenza ai corsi per gli iscritti alle università telematiche e dalla circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 12/2011 che affermava che fosse sufficiente che gli studenti lavoratori certificassero l’avvenuto collegamento con la piattaforma informatica [#OMISSIS#] l’orario di lavoro; il convenuto, inoltre, segnalava che i propri orari di lavoro erano assai variabili e articolati su turni, pertanto l’affermazione di parte attrice per cui i collegamenti con la piattaforma telematica sarebbero avvenuti nel tempo [#OMISSIS#] e fuori dall’orario di servizio sarebbe restata del tutto indimostrata; rilevava, poi, che i permessi avevano sortito l’esito sperato, cioè la valorizzazione ottenuta mediante il conseguimento della laurea; infine, sottolineava di aver sempre correttamente adempiuto ai propri doveri professionali e concludeva chiedendo di essere prosciolto dall’addebito prospettato.
All’udienza del 21 ottobre 2015, il procuratore richiamava le argomentazioni e le domande già contenute nell’atto introduttivo; l’avvocato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], per la signora D.M. si riportava al memoria di costituzione.
Motivi della decisione
1. L’odierno giudizio è finalizzato all’accertamento della fondatezza della pretesa azionata dalla Procura regionale, concernente un’ipotesi di danno erariale riguardante la fruizione di permessi di studio nell’asserito difetto dei presupposti legittimanti il beneficio.
2. La disciplina dei permessi studio è contenuta nell’art. 3 del D.P.R. n. 395 del 1988, il quale stabilisce che “al fine di garantire il diritto allo studio sono concessi permessi straordinari retribuiti, [#OMISSIS#] misura massima di centocinquanta ore annue individuali” precisando che tali permessi “sono concessi per la frequenza di corsi finalizzati al conseguimento di titoli di studio in corsi universitari, postuniversitari…” e, ancora, che il personale interessato alle attività didattiche descritte “è tenuto a presentare alla propria amministrazione idonea certificazione in ordine alla iscrizione ed alla frequenza alle scuole ed ai corsi, nonché [#OMISSIS#] esami finali sostenuti”; in mancanza delle predette certificazioni, i permessi già utilizzati vengono considerati come aspettativa per motivi personali”.
In seguito alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego la materia è stata disciplinata dalla contrattazione collettiva e, per quanto interessa la presente controversia, dall’art.15 del CCNL del 14 settembre 2000, riguardante il comparto regioni ed autonomie locali, il quale detta una regolamentazione non dissimile da quella già prevista dalla fonte legislativa stabilendo che “ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono concessi – in aggiunta alle attività formative programmate dall’amministrazione – permessi straordinari retribuiti, [#OMISSIS#] misura massima di 150 ore individuali per ciascun anno e nel limite [#OMISSIS#] del 3% del personale in servizio a tempo indeterminato presso ciascuna amministrazione all’inizio di ogni anno, con arrotondamento all’unità superiore” e “che i permessi di cui al comma 1 sono concessi per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari … e per sostenere i relativi esami.”, prescrivendo che “per la concessione dei permessi di cui ai commi precedenti i dipendenti interessati debbono presentare, prima dell’inizio dei corsi, il certificato di iscrizione e, al [#OMISSIS#] degli stessi, l’attestato di partecipazione e quello degli esami sostenuti, anche se con esito negativo. In mancanza delle predette certificazioni, i permessi già utilizzati vengono considerati come aspettativa per motivi personali.”
La giurisprudenza della Suprema Corte, ha chiarito come tali disposizioni vadano interpretate nel senso che i permessi in questione “possono essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati in orari coincidenti con quelli di servizio e non per le necessità connesse all’esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attività complementari” (cfr. la pronuncia n. 10344 del 22 aprile 2008 della Sezione Lavoro della Cassazione, espressiva di principi di recente ribaditi dalla sentenza n.171128 del 10 luglio del 2013 della medesima sezione); del medesimo tenore l’orientamento del Consiglio di Stato che, pronunciandosi in riferimento ai dipendenti sottratti alla privatizzazione, ha affermato che il [#OMISSIS#] contemperamento degli interessi considerati dalle norme che disciplinano l’attribuzione dei benefici in questione “esclude che alle ore di permesso retribuito possano non corrispondere ad effettive ore di frequenza scolastica: il diritto del datore di lavoro pubblico di esigere la prestazione lavorativa del proprio dipendente trova limite solo nell’altrettanto rilevante esercizio del diritto allo studio e solo quando questo sia effettivo; d’altra parte, il tempo occorrente per la preparazione degli esami, dei compiti e di quant’altro connesso con la necessaria attività finalizzata al conseguimento di titoli di studio, ma diverso dalla frequenza dei relativi corsi, trova espressa garanzia nel diritto del dipendente ad ottenere turni di lavori complessivamente più agevoli”. Anche l’Aran, già nel 2002, aveva espresso un indirizzo ugualmente restrittivo, confermato da [#OMISSIS#] nell’orientamento applicativo _M166 del 25 settembre 2011; infine, la stessa circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 14/2011, richiamata e prodotta dal convenuto, chiarisce come la concessione del beneficio nei confronti degli studenti di Università telematiche sia ancorata [#OMISSIS#] stessi presupposti previsti in via generale e che questi, di conseguenza, debbano provare il collegamento telematico effettuato per partecipare a lezioni svolte nell’orario di lavoro.
Tale esegesi appare, oltre che largamente consolidata, del tutto condivisibile, in quanto rispettosa sia della lettera della disposizione contrattuale citata, che fa riferimento alla “frequenza” e alla “partecipazione” ai corsi, sia del contemperamento fra le esigenze dello studente e quelle dell’amministrazione, che verrebbero compromesse da una lettura ingiustificatamente estensiva dei presupposti di fruizione del beneficio.
Il dott. C., dunque, avrebbe avuto diritto ai permessi retribuiti solo nel [#OMISSIS#] in cui avesse provato alla propria amministrazione di appartenenza di aver seguito effettivamente lezioni trasmesse in via telematica esclusivamente in orari e giorni coincidenti quelli in cui era tenuto a svolgere la propria attività lavorativa.
L’interessato, al contrario, dal 2009 al 2013, si è limitato a richiedere di assentarsi dal lavoro “per studio” o per “preparazione esami”, ragioni, che secondo quanto sopra illustrato, non avrebbero giustificato la concessione del beneficio; la circostanza che, in alcuni casi lo studente abbia inoltrato autodichiarazioni in cui affermava che le assenze sarebbero state dedicate alla frequenza di lezioni on line, non muta la superiore conclusione, poiché non vi è prova che l’attività didattica si svolgesse necessariamente in coincidenza con l’orario di servizio.
Dall’elaborazione dei dati offerta dalla [#OMISSIS#] di Finanza, inoltre, risulta che in numerose occasioni i collegamenti con l’Università telematica, in coincidenza con le assenze retribuite, non durarono che pochi minuti, verosimilmente per il download del materiale da studiare e ciò conferma l’uso distorto del beneficio, utilizzato per finalità diverse dalla frequenza di corsi.
La stima del danno da risarcire, pari 7.250,15, appare pure corretta, poiché è fondata sul rapporto fra la paga oraria del dipendente e il numero di ore di assenza ingiustificata, con esclusione dei permessi utilizzati per sostenere esami e, di conseguenza, correttamente fruiti.
Con riguardo al signor C., il collegio ritiene che lo stesso abbia realizzato una condotta significativamente rilevante quale antecedente causale del danno, consistente nell’avere indotto l’ente locale datore di lavoro a concedergli un’utilità non spettantegli; sotto il versante dell’elemento soggettivo, reputa che la presenza di un isolato parere del Miur, datato 20 settembre 2009, il quale sembrerebbe sganciare per gli studenti iscritti alle università telematiche la concessione dei permessi dai requisiti altrimenti richiesti, non escluda la colpa grave dell’interessato in presenza di un quadro interpretativo consolidato.
L’azione promossa dal procuratore nei confronti del dipendente, pertanto, ricorrendo i presupposti oggettivi e soggettivi per affermarne la responsabilità contabile, risulta pienamente fondata: lo stesso va quindi condannato al pagamento, in favore del Comune di Acate, della somma di Euro 5.075,15, corrispondente alla più ridotta porzione del danno attribuitagli dal procuratore, maggiorata della rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l’indice dei prezzi ISTAT, dalla data di erogazione della quota di stipendio di volta in volta non dovuta alla data di pubblicazione della presente sentenza, e degli interessi legali sull’importo rivalutato, decorrenti dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo.
2 L’azione del pubblico ministero è fondata e merita integrale accoglimento anche nei confronti della dirigente dell’Ufficio personale M.D.M.. In primo luogo, si osserva che rientrava nei compiti di quest'[#OMISSIS#] vagliare la presenza dei requisiti per la concessione dei permessi studio ai dipendenti, in base alla ripartizione delle incombenze fra i vari rami dell’amministrazione regionale delineata dalla Delibera di [#OMISSIS#] n. 152/2009, secondo cui, nell’ambito del settore “Servizi Finanziari”, era istituito un servizio avente ad oggetto “Organizzazione gestione giuridica e trattamento economico del personale” al quale la dirigente era preposta, cui competeva, fra l’altro, occuparsi delle gestione del controllo delle presenze, dell’applicazione dei contratti nazionali di lavoro, dei congedi e delle aspettative.
Inoltre, la circostanza per cui la stessa dottoressa, con nota n. 1982 del 16 dicembre 2011, comunicava all’interessato l’accoglimento della richiesta riguardante i permessi studio fuga ogni dubbio sulla sua competenza a pronunciarsi sulla spettanza delle agevolazioni.
[#OMISSIS#] medesima nota, inoltre, la dirigente rendeva noto al dipendente che, per ottenere le esenzioni retribuite dal servizio, era necessario che fosse certificata dall’Università la sua personale ed effettiva partecipazione alle lezioni e che le stesse fossero trasmesse in ore e giorni di ordinarie prestazioni lavorative.
Tuttavia, malgrado la dottoressa D.M. abbia mostrato di ben conoscere i presupposti per concessione dei permessi, di fatto, ne autorizzò la concessione senza approfondirne la sussistenza, accontentandosi di mere istanze, solo sporadicamente accompagnate da un’autocertificazione, riguardante la generica “frequenza di lezioni on line”.
La convenuta, non richiedendo documentazione di supporto, prescritta per la generalità dei lavoratori, anche non frequentanti corsi telematici, e trascurando di accertare se l’Università telematica cui era iscritto l’interessato trasmettesse le lezioni in ore prestabilite coincidenti con l’orario in cui lo stesso era chiamato a prestare la propria attività lavorativa, ha posto in essere un comportamento negligente e omissivo, contribuendo ad arrecare il pregiudizio contestato, seppure con un ruolo di minor rilievo rispetto al corresponsabile.
Il più ridotto apporto causale alla determinazione del danno da parte della D.M. è stato tenuto nel [#OMISSIS#] conto dal P.M., che ne ha chiesto condanna in ragione di una ridotta frazione del danno: la richiesta attorea merita accoglimento, pertanto la convenuta deve essere condannata al pagamento, in favore del Comune di Acate, della somma di Euro 2.175,00, maggiorata della rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l’indice dei prezzi ISTAT, dalla data di erogazione della quota di stipendio di volta in volta non dovuta alla data di pubblicazione della presente sentenza, e degli interessi legali sull’importo rivalutato, decorrenti dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo.
5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, in favore dello Stato, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana, definitivamente pronunciando nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 62400 del registro di segreteria condanna il signor G.C. al pagamento di Euro 5.075,15 e la signora M.D.M. di Euro 2.175,00, in favore del Comune di Acate, maggiorate della rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l’indice dei prezzi ISTAT, dalla data di erogazione della quota di stipendio di volta in volta non dovuta alla data di pubblicazione della presente sentenza, e degli interessi legali sull’importo rivalutato, decorrenti dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo.
[#OMISSIS#], altresì, a carico dei convenuti le spese di giudizio che vengono liquidate a favore dello Stato e quantificate, a carico di ciascuno di essi, [#OMISSIS#] misura di Euro 469,77 (Euro quattrocentosessantanove/77)
Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso in Palermo, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 21 ottobre 2015.
Depositata in Cancelleria 21 ottobre 2015.