L’art. 17, comma 30-ter, d.l. 1 luglio 2009, n. 78 afferma che “Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 l. 27 marzo 2001, n. 97”. A sua volta, l’art. 7 ultimo citato dispone che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato”. Dunque, in base al disposto normativo di cui innanzi, non è possibile una condanna per danno all’immagine, in assenza di un giudicato penale di condanna.
Corte dei conti, sez. I, 11 maggio 2015, n. 316
Responsabile dell'Area Servizi allo Studente e dell'Ufficio disabili – Utilizzo indebito beni ateneo – Richiesta rimborsi non dovuti – Danno all’immagine
GIUDIZIO DI CONTO
C. Conti Sez. I App., Sent., 11-05-2015, n. 316
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai seguenti magistrati:
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – [#OMISSIS#] f.f.
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
Dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
Dott. [#OMISSIS#] DELLA [#OMISSIS#] – Consigliere relatore
Dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] – Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n. 47182 del registro di segreteria della Sezione, sull’appello proposto dal sig. D.A., elettivamente domiciliato in Roma, via [#OMISSIS#] n. 2, presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], rappresentato e difeso dagli avv.ti [#OMISSIS#] d'[#OMISSIS#] del foro di Siena e Primo [#OMISSIS#] del foro di Montepulciano,
avverso
la sentenza 13 giugno 2013, n. 205 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Toscana.
VISTI gli atti e documenti di causa;
UDITI, [#OMISSIS#] pubblica udienza del giorno 5 febbraio 2015, il consigliere relatore dr. [#OMISSIS#] Della [#OMISSIS#], l’avv. [#OMISSIS#] d'[#OMISSIS#], nonchè il Pubblico Ministero, [#OMISSIS#] persona del vice Procuratore generale dr. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#];
Ritenuto in
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 29 agosto 2012, preceduto da rituale invito a dedurre, il Procuratore regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale della Toscana conveniva in giudizio il nominato in epigrafe per sentirlo condannare “(…) al pagamento, a favore dell’Università degli studi di Siena, della somma di Euro 20.986,21 o di quella diversa somma che risulterà in corso di causa, rivalutata, aumentata degli interessi legali e con le spese del giudizio”.
Esponeva il Requirente di aver appreso da una segnalazione del Nucleo di Polizia Tributaria della [#OMISSIS#] di Finanza di Siena che il dr. A., [#OMISSIS#] sua qualità di Responsabile dell’Area Servizi allo Studente e dell’Ufficio disabili dell’Università, utilizzava indebitamente beni mobili (tra cui l’autovettura Mitsubishi Pajero, targata (…)) di proprietà dell’Ateneo, rendendosi responsabile di vari illeciti consistiti, per esempio, nel richiedere rimborsi per spese di missioni attestanti l’uso del veicolo privato (Opel Signum, targato (…)) negli stessi giorni in cui lo stesso risultava aver utilizzato, per la missione in questione, il veicolo dell’Ufficio Disabili; nel dichiarare luoghi diversi da quelli effettivi, sia sull’ordine di uscita del veicolo dell’Amministrazione e sia sulla richiesta di rimborso delle spese di missione.
Ancor prima dell’avvio del procedimento penale a carico del predetto per i reati di cui [#OMISSIS#] artt. 479, 314 e 640 c.p., da un controllo effettuato dall’Università erano emerse varie irregolarità in merito alle presenze/assenze dal servizio del dipendente, a seguito delle quali l’Amministrazione universitaria aveva ritenuto opportuno effettuare una verifica anche sui rimborsi per spese di missione chieste ed ottenute dall’A. nel periodo 2007-2008.
Da tali accertamenti erano emerse una serie di irregolarità foriere di danno erariale, con riferimento ai singoli giorni di missione e [#OMISSIS#] importi indebitamente percepiti dal funzionario in varie circostanze (secondo quanto descritto alle pagg. 3-18 dell’atto di citazione).
La condotta del dr. A. aveva costituito oggetto anche di plurime contestazioni disciplinari cui erano seguite:
1) l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni uno (prot. n. (…) VII/13 del 27.11.2009), per “inosservanza delle disposizioni di servizio, anche in tema di assenze per malattia, nonché dell’orario di lavoro, con caratteri di particolare gravità”: art. 46, comma 3, lett. a) del C.C.N.L. Comparto Università del 16.10.2008;
2) l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per mesi due (prot. n. (…) VII/13 del 7.03.2011), ex art. 46, comma 4 del citato C.C.N.L., per “fatti e comportamenti tesi all’elusione dei sistemi di rilevamento elettronici della presenza e dell’orario o manomissione dei fogli di presenza o delle risultanze anche cartacee degli stessi con danno grave all’Amministrazione”;
3) l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per mesi due (prot. n. (…) VII/13 del 10.02.2012) ex art. 46, comma 4 del C.C.N.L., per “aver compiuto missioni in violazione delle norme del Regolamento delle missioni dell’Università degli Studi di Siena e per aver commesso fatti e tenuto comportamenti tesi all’elusione dei sistemi di rilevamento elettronici della presenza e dell’orario di lavoro, attestando talvolta falsamente la presenza in servizio, e per aver tenuto un reiterato comportamento, protratto nel tempo, da cui è derivato un grave danno all’Amministrazione”.
Con provvedimento datato 13 novembre 2010, il G.I.P. presso il Tribunale di Siena sospendeva il funzionario dall’esercizio delle funzioni pubbliche esercitate; con successivo decreto del 4 aprile 2012, il G.I.P. disponeva il rinvio a giudizio del medesimo dr. A. davanti al Tribunale di Siena, per i delitti di cui [#OMISSIS#] articoli 81 cpv, 640 comma 1 e 2 n. 1 e 314 comma 2 del codice penale.
Nel frattempo il dr. A. aveva depositato presso l’Economato dell’Università degli Studi di Siena, in data 23 settembre 2011, un assegno di Euro 3.500,00, a titolo di risarcimento dei danni conseguenti ai fatti sopra descritti.
Dai fatti innanzi [#OMISSIS#] il Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale Toscana riteneva essere derivato un ingiusto danno che, nel complesso, la stessa Università di Siena aveva quantificato [#OMISSIS#] somma di Euro 13.921,26, così specificata: “per quanto attiene al danno relativo all’anno 2008 e a quattro giornate 2006, il dott. D.A. ha versato, a titolo di rimborso volontario, un assegno circolare di Euro 3.500,00 (incassato dall’Amministrazione con la reversale n. 4269 del 2011), dichiarando di voler procedere al ristoro del danno relativo ai reati contestati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena, oggetto di connessa richiesta di applicazione della misura cautelare della Procura della Repubblica, in merito ai fatti commessi nell’anno 2008 ed a quattro giornate dell’anno 2006, oggetto di conseguente procedimento disciplinare. Il danno nei confronti dell’Ateneo per fatti commessi nell’anno 2008 ed in quattro giornate dell’anno 2006 risulta essere precisamente pari ad Euro 3.205,95. Il dott. A., pertanto, con riguardo al danno diretto – anno 2008 e quattro giornate del 2006 – ha versato Euro 294,05 in più (Euro 3.500,00 – Euro 3.205,95); per quanto attiene al danno relativo all’anno 2007, la cifra di Euro 14.731,31, indicata [#OMISSIS#] relazione prot. n. 52881 del 21 ottobre 2011, è data dalla somma di Euro 9.395,58 e di Euro 5.335,76, per recupero delle spese rimborsate per missioni in giornate coperte da permessi sindacali, che sono però risultati non autorizzati e spese di missione rimborsate in periodi non coperti da timbratura e, pertanto, in giornate nelle quali il dott. A. non risultava in servizio, come precisato [#OMISSIS#] nota prot. n. 62230 del 13.12.201. A parziale rettifica di quanto comunicato con la citata nota prot. n. 52881 del 21.10.2011, dalla cifra di Euro 14.731,31 deve essere decurtata la cifra di Euro 516,00 (pari alla somma di Euro 249,60 per spese rimborso missione relative ai giorni 18 – 19 luglio 2008 e di Euro 266,40 per spese rimborso missione relative al giorno 30 luglio 2008), che erroneamente è stata conteggiata sia [#OMISSIS#] prima quantificazione (anno 2008 e 4 giornate 2006) sia [#OMISSIS#] seconda quantificazione. Pertanto, residua un danno diretto relativo a fatti commessi nell’anno 2007 pari ad Euro 14.215,31 (Euro 14.731,31 – Euro 516,00). Dalla somma di Euro 14.215,31, [#OMISSIS#] detratti Euro 294,05, residuati dalla restituzione del danno relativo al 2008 e a 4 giornate del 2006, ossia Euro 294,05 in conto “danno relativo a verifiche su missioni anno 2007”.
A tale danno, ammontante ad Euro 13.921,26 (cioè Euro 14.215,31 – Euro 294,05), doveva aggiungersi secondo il Requirente anche un danno da spese indirette di gestione e per disservizio, che sarebbe stato causato sempre all’Ateneo senese in conseguenza della vicenda in questione e precisamente: Euro 1.627,20 quale costo del personale impegnato nel procedimento di istruttoria amministrativa; Euro 3.245,76 quale costo del personale impegnato nel procedimento disciplinare, per un costo complessivo per spese indirette di gestione pari quindi, ad Euro 4.872,96 (come da nota del Direttore Amministrativo prot. n. 15622 del 27 marzo 2012).
Inoltre, dai medesimi fatti contestati era derivato altresì, per il PM regionale, un danno all’immagine dell’Università di Siena, stante la diffusione della notizia sia all’interno dell’Amministrazione e sia all’esterno, attraverso la pubblicazione della stessa attraverso gli organi di informazione. Tale danno era quantificato, in via equitativa, [#OMISSIS#] somma di Euro.10.000,00.
Il danno complessivamente cagionato all’Ateneo Senese ammontava, quindi, ad avviso del Procuratore regionale, a Euro.28.794,22 (Euro.13.921,26 + Euro.4.872,96 + Euro.10.000,00).
A seguito della notifica dell’invito a dedurre, il convenuto presentava le proprie controdeduzioni, nelle quali sosteneva che l’Università aveva erroneamente valutato il danno e cercava di dimostrare la regolarità dei rimborsi richiesti ed ottenuti a titolo di missione nonché il corretto uso dell’autovettura di servizio.
A fronte di dette osservazioni, la Procura incaricava la [#OMISSIS#] di Finanza, Nucleo di Polizia Tributaria di Siena, di effettuare un supplemento istruttorio a seguito del quale erano emerse imprecisioni e criticità nelle valutazioni operate dall’Università in merito [#OMISSIS#] indebiti rimborsi ottenuti dall’A., pur risultando che, comunque, anche se in misura minore, il dipendente in questione aveva chiesto ed ottenuto somme non dovute.
Seguiva pertanto l’atto di citazione a giudizio, in cui il PM teneva conto delle rettifiche segnalate dalla GdF nell’indicazione delle situazioni illegittime ascritte al convenuto: la contestazione era per un danno diretto residuale di Euro 6.113,25 (rispetto [#OMISSIS#] originari Euro 13.921,26), ferme restando le altre poste di danno di cui all’invito a dedurre.
Il convenuto si costituiva ritualmente in giudizio, reiterando le argomentazioni difensive già svolte nelle controdeduzioni; eccepiva inoltre l’improcedibilità della domanda relativa al danno all’immagine, per assenza di una sentenza penale di condanna, stante la previsione dell’art. 17, comma 30-ter, del D.L. n. 78 del 2009 e successive modificazioni.
La sentenza di cui in epigrafe riconosceva parzialmente fondato l’impianto accusatorio, assolvendo il convenuto dalla posta di danno di Euro 4.872,96 e condannandolo al risarcimento del danno diretto di Euro 6.113,25 a titolo di colpa grave e del danno all’immagine di Euro 10.000, oltre accessori di legge e spese del giudizio.
Avverso la condanna ha interposto rituale appello il condannato deducendo i seguenti motivi:
1) Mancanza ed erroneità della motivazione della condanna al risarcimento del danno diretto di Euro 6.113,25. Censura l’appellante l’erroneità della sentenza, laddove essa afferma che egli si sarebbe limitato a contestare il quantum della pretesa azionata dal PM senza respingere in toto l’addebito relativo all’indebito utilizzo dell’auto di servizio: addebito che egli avrebbe, invece, contestato. Lamenta, inoltre, che il primo [#OMISSIS#] ha attribuito al versamento di Euro 3.500,00 il valore di sostanziale ammissione di responsabilità, senza indagare sulle ragioni di tale ammissione così come esplicitate [#OMISSIS#] memoria difensiva. Infine, l’interessato si duole che la sentenza abbia disatteso le argomentazioni difensive e le istanze istruttorie senza motivazione alcuna.
2) Non azionabilità della domanda relativa al danno all’immagine.
L’appellante ha concluso chiedendo l’annullamento dell’impugnata sentenza, [#OMISSIS#] parte in cui lo ha condannato al risarcimento del danno diretto di Euro 6.113,25 e la declaratoria di non azionabilità del danno all’immagine, per assenza di un giudicato penale di condanna ex art. 17, comma 30-ter D.L. n. 78 del 2009; in subordine, ha invocato l’uso del potere riduttivo.
Con le proprie conclusioni, recentemente depositate, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del primo motivo di appello. Richiama le pagg.12 e 19 delle sentenza, da cui emergerebbe come il tenore delle dichiarazioni rese dall’A. nelle controdeduzioni renda inequivocabile l’intento dello stesso di contestare esclusivamente il carattere doloso della condotta a lui addebitata dal Requirente, ma non già la materialità dei fatti a lui ascritti ed evidentemente ammessi.
La “preoccupazione” del convenuto, per il PM, era unicamente quella di evitare che gli fosse addebitata la “predisposizione di un illecito progetto criminoso in danno dell’ente di appartenenza” con “la [#OMISSIS#] che a fronte dei ricorrenti errori della Amministrazione come sin qui evidenziati, anche per l’A. siano considerati possibili errori più o meno gravi nel gestire e documentare la sua attività di lavoro” (memoria difensiva del 15.5.2012) L’intento sarebbe stato di evitare una formale contestazione dolosa di danno erariale sulla falsariga dell’imputazione penale per gli stessi fatti che, d’altronde, [#OMISSIS#] loro materialità storica sarebbe stato [#OMISSIS#] negare se solo si considera che, oltre al rinvio a giudizio, il medesimo era stato destinatario appena qualche mese prima (febbraio 2012), anche della terza sanzione disciplinare con sospensione di mesi due dal servizio e dalla retribuzione per gli stessi episodi. Inoltre, lo spontaneo versamento di Euro 3.500,00 effettuato a favore dell’Ateneo in data 23 settembre 2011 (dopo l’irrogazione della seconda sanzione disciplinare e prima della notifica dell’invito a dedurre nonchè del rinvio a giudizio del GIP) “a titolo di risarcimento danni conseguenti ai fatti sopra descritti”, altro non sarebbe, secondo il Requirente, che un’ammissione del fatto storico addebitato all’interessato. D’altronde, fa notare il PM, l’A. non ha mai chiesto la restituzione di quanto spontaneamente versato all’Amministrazione.
Quanto alle “osservazioni critiche” e alle “contraddizioni” nell’impianto accusatorio, eccepite dalla difesa in primo grado e sulle quali i primi [#OMISSIS#] non si sarebbero pronunciati, ritiene al contrario la Procura che le stesse avrebbero dovuto tradursi nell’allegazione e riscontro di un numero specifico di episodi eventualmente da decurtare dal quantum contestato e non in generiche istanze istruttorie meramente “esplorative”; viene pertanto condivisa la motivazione della sentenza, che ha affermato che “si tratta di contestazioni sul quantum le quali, però, per il principio della dialettica processuale sarebbe stato opportuno e doveroso fossero state supportate da elementi concreti sintetizzabili in un importo idoneamente motivato (paradossalmente anche pari a zero) da contrapporre alla richiesta risarcitoria”.
Il Procuratore generale ritiene invece fondato e condivisibile il secondo motivo d’appello, relativo alla non azionabilità del danno all’immagine, per mancanza di un giudicato penale di condanna ex art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78 del 2009. Sarebbe indubbio, infatti, che alla data del deposito dell’atto di citazione non fosse intervenuta, in assoluto, alcuna sentenza penale di condanna del convenuto, men che meno per uno dei reati propri di cui alla citata [#OMISSIS#], sicché la domanda giudiziale per danno all’immagine avrebbe dovuto, preliminarmente e in rito, essere dichiarata improcedibile.
Quanto poi alla perseguibilità del danno all’immagine derivante da giudicato penale per reati comuni, ricorda il PM che la questione è stata oggetto di deferimento da parte del Procuratore Generale alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale e discussa all’udienza del 10 dicembre 2014: ma nel [#OMISSIS#] di specie la declaratoria di improcedibilità della domanda per difetto assoluto di un qualsiasi giudicato penale sarebbe preliminare ed assorbente di ogni altro aspetto.
Conclusivamente, il Procuratore chiede il parziale accoglimento dell’appello, con riferimento al secondo motivo e conferma nel resto della sentenza impugnata; chiede infine la condanna dell’appellante alle spese del doppio grado di giudizio.
All’udienza dibattimentale odierna, l’avv. d'[#OMISSIS#] si riporta [#OMISSIS#] atti. Osserva poi, in particolare, che in primo grado era stato effettivamente contestato l’an dell’addebito mosso al dr. A., chiedendo l’escussione di nove testimoni e l’esperimento di una CTU relativamente all’adeguatezza delle spese di carburante e alla correttezza delle annotazioni sul registro dell’auto di servizio; quest'[#OMISSIS#] non era stato compilato per oltre tre anni, con annotazioni successivamente inserite tutte insieme (per evitare l’accusa di falso in atto pubblico) e quindi in maniera parzialmente erronea. Non vi sarebbe stato motivo per l’interessato di usare il Pajero dell’Università, per gli alti costi di gestione che questo avrebbe comportato; in ogni [#OMISSIS#] egli non ha mai chiesto il rimborso del carburante relativo. Gli stessi atti dimostrano l’impossibilità dell’illecito: gli errori furono così manifesti e clamorosi, che se il funzionario avesse voluto truffare l’ente [#OMISSIS#] non li avrebbe commessi (es. chiedere per lo stesso giorno il rimborso di due missioni contemporanee, con automobili diverse).
Il PM evidenzia che le conclusioni depositate hanno dato atto della correttezza della rideterminazione del danno, calcolato alla fine nelle sue esatte dimensioni. Per il resto, non v’è spazio per ulteriori diminuzioni e gli stessi fatti sono chiari. Da respingere il primo motivo di gravame. E’ invece da accogliere il secondo motivo d’appello.
L’avv. d'[#OMISSIS#], in replica, informa che il processo penale è tuttora in corso e stanno emergendo, nell’istruttoria, veri elementi a favore dell’imputato dr. A..
Motivi della decisione
1. La prima doglianza che l’appellante muove alla sentenza di prime cure è la mancanza ed erroneità della motivazione della condanna al risarcimento del danno diretto (Euro 6.113,25).
Le argomentazioni di parte appellante non hanno pregio e devono, quindi, essere disattese.
Invero, questo Collegio non può che condividere pienamente le puntuali argomentazioni del primo [#OMISSIS#], laddove esso ricorda lo spontaneo versamento di Euro 3.500,00 effettuato dall’interessato a favore dell’Ateneo in data 23 settembre 2011, dopo l’irrogazione della seconda sanzione disciplinare e prima del rinvio a giudizio penale da parte del GIP: versamento effettuato “a titolo di risarcimento danni conseguenti ai fatti sopra descritti” e che, dunque, non può che essere ritenuto una piena ammissione, da parte dell’interessato, del complesso dei fatti illeciti a lui addebitati; né l’appellante ha mai fornito una convincente spiegazione contraria.
Quanto innanzi, senza peraltro dimenticare i molteplici procedimenti disciplinari (ben tre, a quanto consta) conclusi a carico del funzionario per tali fatti e che contribuiscono, anch’essi, a definire gli esatti contorni degli episodi dannosi per cui vi è stata condanna. Né può essere sottaciuto che lo stesso PM regionale, proprio sulla base delle osservazioni fornite dall’indagato ebbe cure di effettuare ulteriori incombenti istruttori, i quali hanno infatti condotto ad una quantificazione del danno da risarcire in misura più favorevole all’interessato.
A fronte di tutto ciò, non risultano in alcun modo le carenze o le contraddizioni dell’impianto accusatorio, dedotte dalla difesa e sulle quali la sentenza non si sarebbe pronunziata; al contrario, sarebbe stato preciso onere dell’appellante contestare e dimostrare, punto per punto, le (solamente) ipotizzate carenze e contraddizioni.
L’impugnata sentenza, dunque, correttamente ha affermato la responsabilità del dr. A., peraltro – non va neppure dimenticato – provvedendo a defalcare, dal quantum risarcitorio, alcune voci pur chieste dall’Accusa ma che il [#OMISSIS#] medesimo non ha ritenuto costituissero danno ingiusto per l’ente pubblico (si tratta delle spese connesse all’indagine amministrativa e al procedimento disciplinare, pari nel complesso a Euro 4.873,96). Insomma, la ricostruzione storica e le argomentazioni della prima sentenza in punto di danno diretto si appalesano, anche alla luce delle odierne contestazioni dell’appellante, immuni da qualsivoglia censura.
2. Diversamente è a dirsi, con riferimento all’altro profilo di doglianza, che riguarda la non addebitabilità del danno all’immagine, a seguito della modifica normativa di cui al D.L. n. 78 del 2009 e succ. mod.; tale specifica doglianza merita infatti accoglimento.
Recita l’art. 17, comma 30-ter del ricordato D.L. n. 78 del 2009, per la parte che qui interessa: “Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97“. A sua volta, dispone l’art. 7 L. n. 97 del 2001 che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinchè promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato”. La questione di costituzionalità della [#OMISSIS#] di cui al citato art. 17, comma 30-ter del D.L. n. 78 del 2009, come noto, è stata dichiarata infondata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 355/2010.
E dunque, in base al disposto normativo di cui innanzi non è possibile una condanna per danno all’immagine, in assenza di un giudicato penale di condanna.
Nel [#OMISSIS#] di specie, alla data del deposito dell’atto di citazione non era intervenuta alcuna sentenza penale di condanna del convenuto, per alcun reato (e di [#OMISSIS#] non per uno dei reati propri indicati dalla ripetuta [#OMISSIS#] del 2009), sicché – come esattamente osservato dal Procuratore generale nelle sue conclusioni – la domanda giudiziale per danno all’immagine avrebbe dovuto, preliminarmente e in rito, essere dichiarata improcedibile dal primo [#OMISSIS#].
La sentenza appellata, sul punto, deve essere pertanto riformata e, conseguentemente, deve essere escluso, dal carico di condanna del sig. A., l’importo di Euro 10.000 relativo, appunto, al danno all’immagine, [#OMISSIS#] restando la condanna di Euro 6.113,25 per il danno diretto.
3. In conclusione, le pretese dell’appellante possono essere solo in parte accolte, con riferimento al profilo relativo alla condanna per danno all’immagine (pari a Euro 10.000), che va pertanto esclusa, con conseguente rideterminazione del definitivo addebito.
Le spese del presente grado di giudizio in favore dello Stato, da [#OMISSIS#], seguono la soccombenza e sono poste a carico del condannato.
P.Q.M.
La Corte dei conti – Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette:
– ACCOGLIE PARZIALMENTE l’appello in epigrafe; per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza di prime cure, esclude dal carico di condanna la quota parte – Euro 10.000,00 (diecimila) – relativa al danno all’immagine;
– RIGETTA per il resto;
– CONDANNA, da [#OMISSIS#], l’appellante alla rifusione delle spese di giustizia in favore dello Stato; spese che, alla data odierna, sono liquidate in Euro 96,00 (Euro novantasei/00).
Così deciso, in Roma, nelle Camere di consiglio dei giorni 5 febbraio e 1 aprile 2015.
Depositata in Cancelleria 11 [#OMISSIS#] 2015.