La pensione di reversibilità per gli studenti universitari orfani maggiorenni non può competere all’orfano maggiorenne studente universitario fuori corso, cioè che non abbia terminato gli studi universitari mediante il conseguimento del diploma di laurea entro il periodo di durata legale del corso di studi. Infatti, l’interpretazione letterale delle disposizioni “per tutta la durata del corso legale degli studi” è sufficiente e rende perspicuo che tale riconoscimento soggiace alla previsione legale del limite stabilito dal legislatore fintanto che esso non sia superato, costituendo una condizione del tutto autonoma quella della durata legale del corso di studi universitari – rispetto a quella del ventiseiesimo anno – sufficiente per giustificare la permanenza dell’attribuzione del trattamento previsto o della quota di compartecipazione, finanche in presenza dell’iscrizione ad un corso universitario diverso che si protrae oltre la durata legale, ad esempio, a seguito di passaggio da un corso di studi universitari ad un altro.
Corte dei conti reg., Lombardia, 26 gennaio 2016, n. 4
Pensione di reversibilità per studenti universitari orfani maggiorenni – Durata legale corso di studi
PENSIONI
C. Conti Lombardia Sez. giurisdiz., Sent., 26-01-2016, n. 4
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Dott. [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
nella pubblica udienza del 20 gennaio 2016 ha pronunciato
SENTENZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n. 28330 del registro di segreteria, presentato dalla Sig.ra G. G. (C.F. Omissis), nata il Omissis ad Omissis e residente a Omissis, Omissis rappresentata e difesa dall’Avv. Luce [#OMISSIS#] Bonzano, con elezione di domicilio presso il proprio studio in Milano, Corso Magenta, n. 83.
CONTRO: I.N.P.S..
AVVERSO il provvedimento dell’I.N.P.S. n. 86294 del 24 novembre 2014.
PER il riconoscimento del diritto all’irripetibilità dell’indebito richiesto con il provvedimento avversato, alla restituzione delle trattenute illegittimamente operate dall’aprile 2006 al febbraio 2007, al percepimento della tredicesima mensilità e dell’I.I.S. in costanza di attività lavorativa.
VISTI: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453 convertito nella L. 14 gennaio 1994, n. 19; la L. 21 luglio 2000, n. 205.
UDITE le parti costituite e comparse come da verbale di udienza.
ESAMINATI gli atti e i documenti della causa.
Ritenuto in
Svolgimento del processo
Con ricorso presentato in data 10 luglio 2015 la ricorrente chiede nel merito per prima cosa l’annullamento del provvedimento avversato con cui l’Amministrazione resistente ha disposto la ripetizione di un indebito pari a complessivi Euro 19.385.07 in conseguenza dell’applicazione delle riduzioni di cui alla Tabella F delle L. n. 335 del 1995. Tale pretesa secondo la ricorrente sarebbe fondata sul fatto che l’indebito sarebbe esclusivamente determinato “… dall’inerzia e/o dall’errore dell’Amministrazione …”.
Ancora, la ricorrente chiede di accertare e dichiarare l’illegittimità delle trattenute operate sulla propria pensione indiretta dall’aprile 2006 al febbraio 2007 e di conseguenza condannare l’Amministrazione resistente al pagamento di tutte le somme illegittimamente trattenute oltre ad interessi e rivalutazione monetaria. Tale ulteriore richiesta si fonda sul fatto che non è stato emanato a tal proposito alcun provvedimento motivato e che comunque pur ritendo che tale riduzione sia riconducibile alla quota di titolarità della pensione del figlio P. C. la stessa è illegittima in quanto la prosecuzione degli studi di questi oltre il luglio 2006 sarebbe dovuta al fatto che quest’ultimo senza soluzione di continuità si era prima iscritto al corso di laurea in ingegneria, poi in economia ed infine in architettura “… il cui triennio si sarebbe concluso a fine agosto 2007”. Con riferimento poi, nel caso di specie, alla prescrizione del proprio diritto, la ricorrente precisa che trattandosi di un caso in cui il diritto sorge per effetto di un provvedimento discrezionale dell’Amministrazione essa può decorrere solo “… dal giorno in cui il provvedimento stesso sia portato a conoscenza dell’interessato”.
Da ultimo la G. G. chiede l’accertamento del proprio diritto a percepire la tredicesima mensilità e l’I.I.S. sulla pensione indiretta anche in costanza di attività lavorativa.
Infine, in via istruttoria si chiede di ordinare all’Amministrazione resistente di esibire tutti gli atti del fascicolo relativi alla propria pensione indiretta.
Con vittoria di spese, competenze e onorari.
Questo Giudice con ordinanza n. 111 depositata il 7 ottobre 2015, ha rigettato la richiesta di applicazione di misura cautelare richiesta dalla ricorrente.
L’I.N.P.S., costituito con memoria dell’11 gennaio 2016, ha precisato con riguardo alla prima domanda avanzata dalla ricorrente che “il recupero di somme indebitamente erogate dalla Pubblica Amministrazione ha carattere di doverosità …” e che nel caso di specie si tratta “… di mera e oggettiva applicazione della norma di legge senza alcun risvolto soggettivo”.
Per quanto poi riguarda la secondo pretesa attorea l’Amministrazione resistente evidenzia che “il recupero del debito fu assolutamente dovuto” trattandosi di “… debito costituitosi per mancata applicazione della tabella F a causa dell’iscrizione al terzo anno fuori corso alla facoltà di Architettura dal 01.11.2005 al 31.03.2006 del figlio P. C.”.
Infine, con riferimento alla terza richiesta avanzata dalla ricorrente viene precisato che la I.I.S. deve considerarsi conglobata alla pensione decorrendo quest’ultima dal 1 luglio 1998, mentre la tredicesima mensilità è stata corrisposta a decorrere dalla data di cessazione dal servizio attivo di quest’ultima. In ogni caso per l’Amministrazione resistente le somme pretese risultano parzialmente prescritte per “l’inutile decorso del termine quinquennale a decorrere a ritroso dalla notifica del ricorso”.
In definitiva l’I.N.P.S. chiede:
– in via principale di respingere il presente ricorso;
– in ogni caso di dichiarare la prescrizione di ogni somma pretesa dalla ricorrente e maturata prima del quinto anno anteriore alla notifica del ricorso;
– in subordine, in caso di accoglimento del ricorso, di dichiarare non dovuti interessi legali e rivalutazione monetaria.
– con vittoria di spese e onorari di causa.
All’udienza, sentite le parti presenti, si è data lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione. Considerato in
Motivi della decisione
In via preliminare, questo Giudice deve osservare che, contrariamente a quanto rivendicato da parte attorea, in termini di accoglimento del ricorso previo annullamento del provvedimento impugnato, in fattispecie la giurisdizione di questa Corte ha natura dichiarativa poiché tende all’accertamento del diritto a pensione. Pertanto, l’atto o gli atti gravati sono degradati a meri presupposti processuali proprio perché la giurisdizione investe l’intero rapporto. La pienezza di quest’ultima consente, quindi, di conoscere di ogni aspetto del provvedimento impugnato (legittimità e merito) all’unico scopo di accertare il diritto soggettivo con esclusione di pronunce a carattere caducatorio o annullatorio, estranee al potere ascritto alla Corte dei Conti.
Ancora, in via preliminare, deve essere rigettata la richiesta istruttoria avanzata dalla ricorrente in quanto la documentazione presente nel fascicolo della causa in trattazione risulta ampiamente sufficiente per una ponderata e completa valutazione della vicenda nel suo complesso.
Tanto precisato, nel merito, passando alla prima questione sottoposta all’esame di questo Giudice, deve rilevarsi che essa si basa sull’illegittimità del recupero effettuato dall’Amministrazione resistente ai sensi della L. n. 335 del 1995 art. 1, comma 41, tabella F in quanto effettuato in costanza dell’assoluta buona fede della ricorrente.
In sostanza, nel caso di specie, come precisato dalla stessa Amministrazione previdenziale non è in questione la rideterminazione in se stessa, ma la recuperabilità delle somme corrisposte in più, in costanza, come detto, della buona fede della ricorrente.
A tal proposito deve rilevarsi che, nel caso di specie, trattasi di revisione del trattamento pensionistico di reversibilità operata con procedure automatizzate, che implicano per la pubblica amministrazione, accertamenti, variazioni e revisioni di carattere generale e di periodica cadenza, cui assoggettare tutte le partite di pensione appartenenti alla categoria dei “trattamenti pensionistici ai superstiti”, mediante immissione di dati ed elaborazioni da eseguire, senza adozione di provvedimento formale, a cura del competente centro di calcolo dell’Ente previdenziale, previa acquisizione delle relative informazioni, con conseguente riconducibilità dell’attività al riguardo espletata dalla P.A. nelle previsioni di cui agli artt. 9 della L. 7 agosto 1985, n. 428 e 5 del D.P.R. 8 luglio 1986, n. 429.
Pertanto, alla predetta normativa occorre far riferimento anche per individuare i principi applicabili in tema di recupero di eventuali indebiti pensionistici.
In base alle predette disposizioni, l’Amministrazione dispone del termine di un anno per concludere la revisione delle liquidazioni disposte con procedure automatizzate, con espressa previsione di provvisorietà delle liquidazioni stesse entro il predetto termine (art. 9, secondo comma, della L. 7 agosto 1985, n. 428 e art. 5, quarto comma, del D.P.R. 8 luglio 1986, n. 429), sicché nessun affidamento può essere riposto dal beneficiario, nel corso di detto arco temporale annuale, nella stabilizzazione e nella giustezza del trattamento percepito (proprio in quanto provvisorio e in via di revisione sulla base dei dati prodotti), né può al riguardo rilevare l’eventuale elemento soggettivo della buona fede, in quanto il recupero di eventuali indebiti maturati entro il termine annuale di che trattasi trova causa e legittimazione nella stessa ratio del dettato normativo.
Dopo la scadenza del termine annuale di provvisorietà della liquidazione pensionistica disposta con procedura automatizzata, il recupero di indebiti, pur rientrando tra le azioni di titolarità della p.a., resta invece condizionato dalla valutazione della sussistenza di uno stato soggettivo di buona fede in capo al beneficiario di trattamento di riversibilità, che abbia assolto agli obblighi di comunicazione posti a suo carico.
Tanto precisato, nel caso di specie non può affermarsi sussistente la buona fede della ricorrente tenuto conto del fatto che le Sezioni Riunite di questa Corte, con sentenza n. 4/2008 del 16-25.07.2008, hanno rilevato come, per i percettori di pensione, sussista l’obbligo di comunicazione di qualsiasi evento che comporti la cessazione del pagamento ovvero la variazione della pensione stessa o degli assegni accessori, precisando che il mancato assolvimento degli obblighi di comunicazione normativamente imposti e fra questi può essere naturalmente anche annoverato il non aver comunicato all’I.N.P.S. il compimento del 26 anno di età da parte del figlio P. C., non può creare alcun legittimo affidamento del percettore stesso nella giustezza del trattamento percepito. A ciò si aggiunga poi il fatto che è difficile affermare la propria buona fede nel caso di specie in quanto la decorrenza della decadenza del beneficio dipendeva da un fatto grandemente noto, ovvero, il compimento appunto del 26 anno di età da parte del figlio della ricorrente.
La ripetizione delle somme effettuata dall’Istituto deve, pertanto, ritenersi legittima di conseguenza l’istanza della ricorrente va respinta.
Passando ora alla seconda domanda avanzata sempre dalla ricorrente deve rilevarsi che l’articolo 82 del T.U. approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 secondo cui “gli orfani minorenni del dipendente civile o militare di cui al primo comma dell’art. 81 ovvero del pensionato hanno diritto alla pensione di riversibilità; la pensione spetta anche agli orfani maggiorenni inabili a proficuo lavoro o in età superiore a sessanta anni, conviventi a. carico del dipendente o del pensionato e nullatenenti. Ai fini del presente articolo sono equiparati ai minorenni gli orfani maggiorenni iscritti ad università o ad istituti superiori equiparati, per tutta la durata del corso legale degli studi e, comunque, non oltre il ventiseiesimo anno di età” (nel testo modificato dalla L. 21 luglio 1984, n. 391).
Ad integrare tale regime giuridico concorre l’art. 22 della L. 21 luglio 1965, n. 903 (sostitutivo dell’art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636) che recita “nel caso di morte del pensionato o dell’assicurato … spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell’assicurato, non abbiano superato l’età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi … Per i figli superstiti che risultino a carico del genitore al momento del decesso e non prestino lavoro retribuito, il limite di età di cui al primo comma è elevato a 21 anni qualora frequentino una scuola media professionale e per tutta la durata del corso legale, ma non oltre il 26 anno di età, qualora frequentino l’Università“.
Ancora, va precisato che l’equiparazione agli orfani minorenni di quelli maggiorenni iscritti all’università è stata disposta anche con l’art. 17, comma 2, della L. 8 agosto 1991, n. 274 (acceleramento delle procedure di liquidazione delle pensioni e delle ricongiunzioni, modifiche ed integrazioni degli ordinamenti delle Casse pensioni degli istituti di previdenza, riordinamento strutturale e funzionale della Direzione generale degli istituti stessi – A.G.O.), con sostanziale riproduzione dell’art. 82, co. 2 cit., per cui la parificazione è stata gradualmente estesa riconoscendo il diritto al trattamento di quiescenza indiretto o di riversibilità nei confronti di altri ordinamenti previdenziali dapprima sprovvisti (cc.dd. casse pensioni, come, ad esempio, la Cassa di previdenza dei dipendenti degli enti locali e la Cassa per le pensioni ai sanitari).
E ciò finanche per il periodo anteriore all’entrata in vigore di dette norme, grazie alla rimozione dell’irragionevole e perdurante discriminazione delle categorie di orfani in relazione alle funzioni di tale istituto, di perspicua matrice solidaristica (artt. 2 e 38 Cost.), in conseguenza delle pronunce di illegittimità della Corte costituzionale (sentenze n. 454 del 1993 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 38 del Regio D.L. 3 marzo 1938, n. 680; sent. n. 433 del 2005, degli artt. 30 e 31 della L. 6 luglio 1939, n. 1035 e sent. n. 366 del 1988, riguardante l’art. 82, comma 1, del D.P.R. n. 1092 del 1973 per i dipendenti e militari dello Stato).
Per effetto di tale inquadramento logico-giuridico e sistematico discende che il beneficio pensionistico in esame non può competere all’orfano maggiorenne studente universitario “fuori corso”, cioè che non abbia terminato gli studi universitari mediante il conseguimento del diploma di laurea entro il periodo di durata legale del corso di studi, in conformità a quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte con indirizzo consolidato al quale si ritiene di prestare continuità (Sez. I Centr. App., n. 11/2013/A; Sez. II Centr. App., n. 422 del 2010).
Infatti, l’interpretazione letterale delle disposizioni “per tutta la durata del corso legale degli studi” è sufficiente e rende perspicuo che tale riconoscimento soggiace alla previsione legale del limite stabilito dal legislatore fintanto che esso non sia superato, costituendo una condizione del tutto autonoma quella della durata legale del corso di studi universitari – rispetto a quella del ventiseiesimo anno – sufficiente per giustificare la permanenza dell’attribuzione del trattamento previsto o della quota di compartecipazione, finanche in presenza dell’iscrizione ad un corso universitario diverso che si protrae oltre la “durata legale”, ad esempio, a seguito di passaggio da un corso di studi universitari ad un altro (in termini, cfr. Sez. Lazio, n. 31/2009).
Ora, nel caso di specie dagli atti depositati da parte ricorrente risulta (all. 15 del fascicolo della ricorrente) che il figlio della Sig.ra G. G., Sig. P. C., nato il 25 novembre 1983, si era immatricolato nell’anno accademico 2002/2003 alla facoltà di ingegneria presso il Politecnico di Milano per un corso di laurea di durata triennale, poi in data 29 settembre 2003 ha chiesto ed ottenuto il trasferimento alla facoltà di economia presso l’università di Pavia ed infine sempre senza soluzione di continuità, si era iscritto, nell’anno accademico 2004/2005 al primo anno del corso di laurea triennale in architettura delle costruzioni presso il Politecnico di Milano, fino al conseguimento della laurea.
Da tale ricostruzione discende dunque inequivocabilmente che il figlio della ricorrente Sig. P. C. non era fuori corso dal 1 novembre 2005 al 31 marzo 2006 come invece affermato dall’Amministrazione resistente.
Tuttavia nel caso di specie deve trovare accoglimento l’eccezione di prescrizione avanzata dall’Amministrazione resistente in quanto risulta inutilmente decorso il termine di prescrizione quinquennale relativamente ai singoli ratei di pensione di cui all’art. 2 della L. n. 428 del 1995, atteso che il dies a quo di decorrenza di tale termine deve essere ricondotto all’aprile 2006 momento in cui la ricorrente poteva certamente evincere la trattenuta operata dal proprio cedolino.
Deve, quindi, ritenersi che la mancata emanazione di un provvedimento ad hoc risulta elemento assolutamente ininfluente sull’esordio della prescrizione tanto è vero che l’istante, nonostante tutto, ha attivato il presente giudizio.
Di conseguenza deve dichiararsi prescritta la pretesa di parte attorea.
Passando infine alla terza domanda avanzata dalla ricorrente deve precisarsi che essa è tesa al riconoscimento dell’I.I.S. e della 13 mensilità in misura intera sul trattamento pensionistico indiretta certificato n. 14206126Z1, così come percepito in costanza di opera retribuita.
Ora, nell’ipotesi di causa, di titolarità di pensione e di svolgimento contestuale di attività lavorativa retribuita, va rilevato che la carenza assoluta di disposizioni di legge dalle quali possa trarsi, con inequivoca certezza, il limite dell’emolumento al di sotto del quale la percezione di una retribuzione non sia idonea a determinare la decurtazione del trattamento pensionistico, impone al giudice di merito di attuare, in assenza di un intervento del Legislatore, la riespansione del diritto dei privati e pubblici dipendenti, prima compresso dal divieto di cui all’art. 99, del D.P.R. n. 1092 del 1973, e 17, della L. n. 843 del 1978, a ottenere il trattamento di attività e di quiescenza, sia esso ordinario, normale o privilegiato (liquidato sino al 31 dicembre 1994), o tabellare (liquidato prima e dopo la data del 31 dicembre 1994), con il computo dell’i.i.s in misura intera (cfr. ex plurimis Corte dei Conti, Sez. II, sent. n.189/2000, Sezione d’Appello per la Regione Sicilia, sentt. n.188 – 189/2000, Sezione III, sent. n.5/2001, n. 9/2001, n. 26/2001, Sezione d’Appello per la Regione Sicilia, sentt. nn. 84 -121/2002, Sezione III d’Appello, sentt. n.403/2003 e n.10/2006; id. Sez. Veneto, sent. n. 666/2003, n.1171/2004, n.308/2005, 1261/2005, 89 e 118/2007, n. 434/2010, n. 285/2011, n. 725/2011 e n. 13/2012).
Conclusivamente, allo stato, devono ritenersi espunte dall’ordinamento giuridico le norme contenenti il divieto di cumulo delle indennità integrative speciali percepite sulla pensione e sulla
retribuzione (art. 99, comma 5, T.U. n.1092/1973, e art. 17, della L. n. 843 del 1978): il contenuto di tali norme non può rivivere sotto forma d’interpretazione giudiziale, essendo rimessa al legislatore la determinazione del limite sopra il quale tale divieto deve ritenersi operante.
Pertanto, alla luce di quanto evidenziato in punto di diritto, come peraltro ammesso dalla stessa Amministrazione resistente, si deve riconoscere la fondatezza della pretesa di parte ricorrente, con conseguente affermazione del diritto a percepire, in costanza di opera retribuita, l’indennità integrativa speciale in misura intera sulla propria pensione indiretta certificato n. 14206126Z1.
Del pari fondata deve ritenersi la richiesta tesa all’accertamento del diritto a percepire la 13 mensilità, in misura intera, anche sulla
pensione in godimento, posto che l’originario divieto di cumulo riguardante detto emolumento, nel caso di concorso fra pensione e opera retribuita, deve ritenersi venuto meno in esito alla dichiarazione
d’incostituzionalità dell’art. 97, comma 1, del T.U. n.1092/1973, avvenuta con la sentenza n. 232/1992, “… per non avere il Legislatore determinato la misura della retribuzione oltre la quale non compete la
tredicesima mensilità”.
Ne consegue che la pretesa azionata dalla ricorrente va accolta nel senso di affermare il suo diritto a percepire in misura intera l’indennità integrativa speciale e la 13 mensilità sulla pensione indiretta in relazione ai periodi in cui ha prestato attività lavorativa, in misura differenziale rispetto a quanto già conseguito e nei limiti della prescrizione quinquennale.
Al riguardo, va rilevato che la prescrizione quinquennale del credito pensionistico, nel caso di specie, è stata già validamente interrotta in data 3 marzo 2015, momento in cui è stato notificato all’Amministrazione resistente un ricorso in via amministrativa avente come oggetto sempre l’esercizio del diritto della ricorrente ad ottenere i ratei pregressi di I.I.S. e della tredicesima mensilità.
Tanto precisato, sulle somme da riconoscersi sino al 3 marzo 2010 (quindi per tutto il periodo non prescritto) va, altresì, liquidato l’importo più favorevole tra gli interessi computati al tasso legale e la rivalutazione monetaria determinata con applicazione degli indici ISTAT al sensi dell’art. 150 disp. att. c.p.c. – secondo i principi affermati nella pronuncia delle SS.RR. di questa Corte n. 10/2002/QM – con decorrenza dalla data di maturazione dei singoli ratei differenziali e sino al soddisfo.
Avuto riguardo alla natura della controversia, si ravvisano apprezzabili motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese
di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia
nella sua composizione di Giudice unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando:
– rigetta nei termini di cui in motivazione la prima domanda della ricorrente;
– dichiara prescritto il diritto di parte attorea alla restituzione delle
trattenute operate dall’I.N.P.S. per il periodo aprile 2006 –
febbraio 2007;
– accerta il diritto della Sig.ra G. G. alla corresponsione dell’I.I.S. e della 13 mensilità in misura intera sulla pensione indiretta certificato n. 14206126Z1, sino al 3 marzo 2010;
– riconosce sui ratei di I.I.S. arretrati già corrisposti e su quelli ancora da corrispondere sino al 3 marzo 2010 (quindi per tutto il periodo non prescritto) la liquidazione dell’importo più favorevole tra gli interessi computati al tasso legale e la rivalutazione monetaria determinata con applicazione degli indici ISTAT al sensi dell’art. 150 disp. att. c.p.c. – secondo i principi affermati nella pronuncia delle SS.RR. di questa Corte n. 10/2002/QM – con decorrenza dalla data di maturazione dei singoli ratei differenziali e sino al soddisfo.
Compensa le spese di lite.
DISPONE
che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto art. 52 nei riguardi della ricorrente e degli eventuali
dante ed aventi causa.
Così deciso in Milano il 20 gennaio 2016.
Depositata in Cancelleria 26 gennaio 2016.