TAR Basilicata, Potenza, Sez. I, 6 ottobre 2018, n. 650

Trattamento economico dei docenti universitari - blocco scatti stipendiali

Data Documento: 2018-10-06
Area: Giurisprudenza
Massima

In materia di (mancata) progeressione economica dei docenti universitari dovuta al blocco degli scatti stipendiali, come già osservato in giurisprudenza, la proiezione strutturale del contenimento è stata peraltro già presa in considerazione dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 310/2013, con cui è stato comunque escluso ogni profilo di irragionevolezza, nonostante l’idoneità dell’intervento legislativo a determinare effetti permanenti sotto il profilo economico (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 22 dicembre 2017, n. 2138). Non è quindi dato ravvisare la base normativa in forza della quale gli scatti stipendiali relativi al quinquennio 2011/2015 possano essere utili per la maturazione degli scatti successivi al periodo di blocco, né come la maggiore retribuzione corrispondente alla invocata rilevanza, nel periodo successivo al 2015, degli scatti congelati nel quinquennio, possa essere considerata ai fini previdenziali e pensionistici. Il trattamento economico corrispondente agli scatti stipendiali che avrebbero dovuto maturare nel periodo 2011/2015 e che invece sono stati bloccati ex lege, non essendo entrato a far parte della base retributiva e contributiva dei ricorrenti, non può, in assenza di un’espressa statuizione legislativa, entrare nel calcolo della base pensionabile o rilevare ai fini della maturazione degli scatti successivi al blocco (T.A.R. Toscana, sez. I, 12 aprile 2018, n. 526). L’erogazione del trattamento economico voluto dai ricorrenti non può derivare da una interpretazione forzata dell’ordito normativo, ma da una specifica previsione positiva, allo stato insussistente.

Contenuto sentenza

N. 00650/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00543/2017 REG.RIC.
 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso avente numero di registro generale 543 del 2017, proposto da 
– [#OMISSIS#] Avallone, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cristinziano, Umberto Petruccelli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Rinauro, [#OMISSIS#] Saliani, [#OMISSIS#] Vitolo, rappresentati e difesi in giudizio dagli avvocati [#OMISSIS#] Scuderi e [#OMISSIS#] Motta, da intendersi domiciliati, ai sensi dell’art. 25, n. 1, lett. a) cod. proc. amm., presso la segreteria di questo Tribunale; 
contro
– Università degli studi della Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, in persona del Ministro in carica, Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Potenza, presso i cui uffici domiciliano, in Potenza, al corso XVIII 1860, n. 46; 
per l’accertamento
– del diritto soggettivo alla progressione economica per gli anni 2011, 2012 e 2013, 2014, 2015, ai sensi degli artt. 36 e 38 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, e dell’art. 8 della l. 30 dicembre 2010, n. 240, con la conseguente condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento ai ricorrenti dei relativi importi per il periodo in questione;
– in via subordinata, e senza recesso dalle superiori azioni e domande, per l’accertamento ed il riconoscimento del diritto soggettivo dei ricorrenti medesimi ad ottenere l’adeguamento retributivo mediante progressione economica a partire dall’1 gennaio 2014 e sino al momento della pronuncia, tenendo conto quale base iniziale di ricalcolo di quanto si sarebbe dovuto corrispondere loro negli anni dal 2011 al 31 dicembre 2013, anche laddove ciò non venisse corrisposto a causa dell’applicazione delle disposizioni contenute all’art. 9, n. 21, del decreto legge 78 del 2010, con la conseguente condanna dell’amministrazione al relativo pagamento, ai sensi dell’articolo 30 CPA, oltre interessi e rivalutazione come dovuti per legge, e senza alcuna rinunzia o pregiudizio ad ogni altra azione già proposta e pendente ovvero da proporre per i medesimi titoli, nonché per il risarcimento dei danni.
 Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione delle Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del giorno 5 aprile 2018, il Primo Referendario avv. Benedetto [#OMISSIS#];
Uditi i difensori delle parti presenti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I ricorrenti sono docenti universitari inquadrati nel ruolo dei professori di prima e di seconda fascia, o in quello dei ricercatori. Il loro trattamento economico si sviluppa secondo una progressione temporale per classi e scatti stipendiali, come previsto dagli artt. 36 e 38 del d.P.R. 11 luglio 1980. Per tale categoria di dipendenti pubblici, l’art. 24 della legge 23 dicembre 1988, n. 448, ha previsto, inoltre, l’adeguamento automatico delle retribuzioni al costo della vista e ai fenomeni inflazionistici, ancorato, quanto al criterio, alle variazioni rilevate dall’ ISTAT “degli incrementi medi […] conseguiti nell’ anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive”.
2. Su tale disciplina ha spiegato effetti l’art. 9, n. 21 del d.l. 21 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha introdotto il c.d. “blocco” pluriennale del meccanismo di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato, di cui all’art. 3 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165. Tale articolo, in particolare, ha previsto che i meccanismi di adeguamento retributivo per il predetto personale non si applichino per gli anni 2011-2013, “ancorché a titolo di acconto” e che non diano comunque luogo a successivi recuperi. Inoltre, per il personale non contrattualizzato, che fruisca di un “meccanismo di progressione automatica degli stipendi”, si è ivi stabilito che gli anni 2011, 2012 e 2013 non siano utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti, e che le progressioni di carriera “comunque denominate”, ove eventualmente disposte nel triennio 2011-2013, abbiano effetto a fini esclusivamente giuridici.
3. Il blocco degli aumenti stipendiali, originariamente previsto solo per un triennio, è stato dapprima prorogato fino al 31 dicembre 2014, in forza dell’art. 1, n. 1, lett. a) del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, adottato sulla base dell’art. 16 del d.l. n. 98/2011, convertito in legge n. 111/2011, e, da ultimo, fino al 31 dicembre 2015, per effetto dell’art.1, n. 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
4. I deducenti, col presente ricorso mirano a conseguire, in primo luogo, la condanna delle amministrazioni resistenti a pagare i maggiori importi dovuti per il biennio di proroga 2014-2015, quantificati sulla scorta della previgente normativa, previa declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni di proroga del “blocco” retributivo. In via gradata, sulla base di una interpretazione “costituzionalmente orientata” delle medesime disposizioni, gli stessi intendono conseguire che le somme, non erogate sulla base della “cristallizzazione” normativa, entrino comunque nel computo degli elementi retributivi per gli anni successivi, anche ai fini previdenziali e pensionistici, con conseguente accertamento del diritto al “ricalcolo” della complessiva retribuzione spettante.
5. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e l’Università degli studi della Basilicata, costituitisi in giudizio, hanno concluso per il rigetto del ricorso. Il Ministero dell’economia e delle finanze, del pari costituitosi in giudizio, ha eccepito il suo difetto di legittimazione passiva, nonché, nel merito, l’infondatezza del ricorso.
6. Alla camera di consiglio svoltasi il 6 dicembre 2017 i ricorrenti hanno rinunciato alla trattazione dell’incidentale istanza cautelare.
7. Alla pubblica udienza del 6 aprile 2018 i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive posizioni e il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. In limine litis, va disposta l’estromissione dal giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze, risultando fondata l’eccezione di formale estraneità di quest’ultimo alla lite, né rilevando, in senso opposto, il riferimento a generiche e non meglio precisate avvenute “riduzioni” dei trasferimenti dovuti per legge all’Ateneo di appartenenza.
2. Nel merito, il ricorso è infondato, alla stregua della motivazione che segue.
2.1. Ritiene il Collegio di procedere alla delibazione delle questioni poste in sede di ricorso secondo l’ordine di rilevanza desumibile dalla graduazione delle conclusioni formulate da parte ricorrente.
2.2. In tale prospettiva, in primo luogo si è chiesto l’accertamento del diritto soggettivo dei ricorrenti alla progressione economica per gli anni 2011, 2012 e 2013, 2014, 2015, ai sensi degli art. 36, 38 e 39 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, e dell’art. 8 l. 30 dicembre 2010, n. 240, nonché dei meccanismi di adeguamento retributivo di cui all’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, per il medesimo periodo, previa occorrendo rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 9, nn. 1 e 21 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, nonché dell’art. 16, n. 1, del d.l. n. 98 del 2011 e dell’art. 1, n. 256, della legge del 23 dicembre 2014 n. 190, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 53 Cost. e con i principi di eguaglianza, ragionevolezza, adeguatezza della retribuzione e progressività della contribuzione alle spese pubbliche.
2.2.1. La domanda non ha giuridico pregio. Si deve subito osservare che larga parte dei rilievi di incostituzionalità accennati in ricorso relativamente all’art. 9, nn. 1 e 21, del d.l. n. 78 del 2010 sono stati ripetutamente esaminati, e disattesi, dalla Corte costituzionale. In proposito, è agevole richiamare la decisione n. 310 del 2013, concernente proprio i docenti universitari, sui cui contenuti si tornerà in prosieguo. In sintesi, il Giudice delle leggi ha ritenuto, di volta in volta: a) le disposizioni censurate giustificate, nel loro complesso, dalle esigenze di contenimento della spesa pubblica «in presenza del carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti» (sentenza n. 310 del 2013); b) infondata la questione di costituzionalità fondata sulla progressività della contribuzione alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., osservando come la norma censurata non abbia natura tributaria, non prevedendo una decurtazione o un prelievo a carico del dipendente pubblico a copertura di pubbliche spese, bensì determinando un risparmio di spesa (sentenza n. 304 del 2013); c) parimenti infondato il prospettato contrasto coll’art. 36 Cost., in quanto, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale, sentenze n. 120 del 2012 e n. 287 del 2006), allo scopo di verificare la legittimità delle norme in tema di trattamento economico dei dipendenti, occorre fare riferimento, non già alle singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso, dovendosi avere riguardo – in sede di giudizio di non conformità della retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza – al principio di onnicomprensività della retribuzione medesima. Pertanto tale parametro, ex se ed in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., non risulta violato, non incidendo le disposizioni in esame sulla struttura della retribuzione dei docenti universitari nel suo complesso, né emergendo una situazione che leda le tutele socio-assistenziali degli interessati e dunque l’art. 2 Cost.; d) insussistente l’ipotizzata lesione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, atteso che il legislatore può emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni «non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto», situazione, quest’ultima, ritenuta, appunto, insussistente nella specie.
2.2.2. In ricorso si è prospettata, peraltro, l’incostituzionalità del ripetuto art. 9, nn. 1 e 21, del d.l. n. 78 del 2010, correlata alla violazione quali “norme interposte”, degli articoli 1, protocollo 1 e 14, della C.E.D.U.. In particolare, «nel riconosciuto presupposto, in tale ambito, che il rispetto del principio di proporzionalità quale corollario fondamentale della giustizia e dell’equità dell’ordinamento riguardi il credito del lavoratore, anch’esso configurato come proprietà tutelata (si veda la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia) l’applicazione del “blocco” di cui si discute, assume con ogni evidenza un aspetto assolutamente sproporzionato e radicalmente ingiusto». E ciò da un lato perché, alla luce delle decisioni della Consulta che hanno esonerato dal “blocco” diverse categorie di appartenenti al comparto del pubblico impiego non contrattualizzato apparirebbe evidente la sproporzione nascente dal fatto che l’onere di contribuire mediante un vero e proprio “prelievo forzoso” al pubblico bilancio, avrebbe finito per gravare sulla docenza universitaria in modo squilibrato e perciò sproporzionato, rispetto al complessivo compendio del comparto medesimo. Dall’altro, in ragione della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale del “blocco” applicato al comparto dell’impiego pubblico contrattualizzato, contenuta nella decisione della Consulta n. 178 del 2015, lo squilibrio e la sproporzione gravante sulla docenza universitaria, verrebbe ancora a più ad accentuarsi.
2.2.2.1. La questione appare manifestamente infondata. Quanto al primo versante, relativo all’esonero dal blocco di talune categorie di personale afferente all’area del personale in rapporto di diritto pubblico, la censura è innanzitutto del tutto generica, non risultando neppure allegata l’entità, in termini quantitativi e percentuali, dell’asserita sproporzione. Si è poi già visto innanzi che l’art. 9, nn. 1 e 21, del d.l. n. 78 del 2010 non importa alcun “prelievo forzoso” a carico del dipendente pubblico, non venendo in gioco alcun credito già maturato dal lavoratore. Invero, la disposizione non realizza un’acquisizione, anche in via indiretta, di risorse, ma determina un risparmio di spesa. Inconferente appare poi il richiamo alla decisione CEDU, sentenza 7 giugno 2011 (ricorsi nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09), riguardante fattispecie ben differente. In ogni caso, e conclusivamente sul punto, va rilevato che la Corte europea afferma, interpretando il secondo comma dello stesso art. 1 del Primo Protocollo addizionale, che la concreta applicazione del regime di tutela piena del proprietario del “bene” va sempre contemperata con il principio del rispetto del giusto equilibrio e quindi del bilanciamento tra la salvaguardia del diritto fondamentale di proprietà e le esigenze della collettività; che tale contemperamento va effettuato alla stregua del criterio del margine di apprezzamento dell’interesse generale riconosciuto ai singoli Stati in ordine ai mezzi prescelti per attuare tali esigenze, entro il limite di ragionevolezza e di proporzionalità, ferma restando la necessità che l’ingerenza dell’Autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto del “bene” si fondi su di una base legale (sentenze Sporrong e Lonnroth c. Svezia, 23 settembre 1982; Mellacher e altri c. Austria, 19 dicembre 1989). Ebbene, ritiene il Collegio, dando continuità a un condivisibile arresto giurisprudenziale sul punto, che l’art. 9 all’esame rispetti i riportati principi (T.A.R. Trento, 11 marzo 2016, n. 139).
2.2.2.2. Destituito di fondamento è poi l’ulteriore argomento secondo cui la posizione dei docenti universitari verrebbe a essere ulteriormente penalizzata dalla decisione della Corte costituzionale n. 178 del 2015. Proprio in detta pronunzia (capo 9.2. dei considerando in diritto), infatti, si è affermato che «la disciplina impugnata […] persegue l’obiettivo di un risparmio di spesa, che “opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono” (sentenza n. 310 del 2013, punto 13.5. del Considerato in diritto)». Inoltre, ed è dato rilevante nella complessiva valutazione di infondatezza della denunciato difetto di proporzionalità, occorre tenere conto di quanto previsto dal sopravvenuto art. 1, n. 629, della legge n. 205 del 27 dicembre 2017, che ha previsto la corresponsione di un importo una tantum ad personam proporzionato all’entità del blocco stipendiale subito, statuendo che «a titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il quinquennio 2011-2015 dall’articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ai professori e ricercatori universitari di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge e che lo erano alla data del 1° gennaio 2011, o che hanno preso servizio tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2015, è attribuito una tantum un importo ad personam in relazione alla classe stipendiale che avrebbero potuto maturare nel predetto quinquennio e in proporzione all’entità del blocco stipendiale che hanno subìto, calcolato, nei limiti delle risorse di cui al presente comma, sulla base di criteri e modalità definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge».
2.2.3. Così sgombrato il campo dalle dedotte questioni di non conformità a Costituzione del parametro normativo di riferimento, non residua spazio alcuno per letture del quadro disciplinare differenti da quella avversata col presente ricorso.
2.3. In via gradata, i ricorrenti hanno chiesto l’accertamento del diritto a ottenere l’adeguamento retributivo mediante progressione economica, a partire dall’1 gennaio 2014, e sino al momento della pronuncia, tenendo conto – quale base iniziale di ricalcolo – di quanto si sarebbe dovuto corrispondere negli anni dal 2011 al 31 dicembre 2013.
2.3.1. Per un primo profilo, i ricorrenti hanno sostenuto che la protrazione del “blocco” retributivo in questione per l’intero anno 2014, di cui al d.l. 98 del 2011, art. 16, n. 1, lett. b), su cui riposa la conseguente disposizione contenuta nel d.P.R. n. 122 del 2013, violerebbe i quei criteri di eccezionalità, temporaneità e transitorietà enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 310 del 2013. Analoghe considerazioni varrebbero in relazione all’ulteriore protrazione del “blocco” prevista al n. 256 dell’art.1 della l. 23 dicembre 2014, n. 190, per l’anno 2015.
2.3.1.1. Sul punto, i ricorrenti hanno invocato, in virtù di un’interpretazione costituzionalmente orientata, “l’inapplicabilità” delle predette disposizioni. Tuttavia, l’ordinamento non conosce la possibilità della diretta disapplicazione della legge per contrasto con la Costituzione secondo il modello del sindacato diffuso, essendo il controllo di legittimità costituzionale delle leggi riservato al Giudice delle leggi.
2.3.2. Neppure si ravvisano, rispetto alle norme e ai principi invocati dai ricorrenti, antinomie fra le avversate disposizioni di rango primario e il dettato della Carta fondamentale.
2.3.2.1. Si è, per tale versante, diffusamente lamentata la violazione dell’art. 3 Cost.. Da un lato, in particolare, si è sostenuto che l’ultrattività delle norme derogatorie del sistema di adeguamento automatico delle retribuzioni, anche per il periodo successivo al primo triennio 2011-2013, sarebbe di per sé contraria al “carattere eccezionale, temporaneo e transeunte”, dell’art. 9, n. 21, del d.l. n. 78 del 2010, su cui si sarebbe imperniato la più volte richiamata decisione n. 310/2013 della Corte costituzionale.
2.3.2.2. In senso contrario, osserva il Collegio che tale pronunzia richiama, nel § 13.2, i propri precedenti che, “in generale”, hanno ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione. In alcuna sua parte, tuttavia, la stessa sentenza ha individuato nel triennio 2011-2013 l’estensione temporale massima delle misure di contenimento della spesa pubblica di cui è questione, pena il travalicamento dei predetti caratteri. A ben vedere, anzi, al § 13.3 la Corte costituzionale ha fatto mostra di avere ben presente l’intervenuta proroga del “blocco” per l’anno 2014, precisando che «nella specie, quanto all’adeguamento, il blocco è stato previsto per la durata di tre anni (poi prorogato sino al 31 dicembre 2014), con l’espressa esclusione di successivi recuperi». Nella prospettiva della ragionevolezza dello sviluppo temporale delle misure, ancora, la Corte non ha mancato di rilevare come «le norme impugnate, dunque, superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono – e per un periodo di tempo limitato, che comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio».
2.3.2.3. Il riferimento all’orizzonte temporale, certamente limitato, ma di portata pluriennale, in coerenza con la programmazione delle politiche di bilancio, e l’aver comunque considerato l’intervenuta prima proroga dei trattamenti retributivi rispetto all’iniziale triennio, depongono nel senso dell’inesattezza della direttrice ermeneutica propugnata dai ricorrenti.
2.3.2.4. Del resto, la Consulta ha avuto modo di tornare sulla questione, in termini più generali, con la successiva decisione n. 178 del 2015, nella quale ha specificato che – salvo che per il profilo inerente la libertà sindacale, riferibile come tale solo alle categorie di dipendenti pubblici contrattualizzati – risulta ragionevole il “sacrificio” di carattere economico imposto al pubblico impiego, anche se oggetto delle ulteriori proroghe, essendo diretto alla tutela delle finanze pubbliche, avente necessariamente un orizzonte pluriennale superiore ad un singolo esercizio finanziario, valorizzando in ottica di bilanciamento, e quindi nell’ambito del sindacato sulla ragionevolezza della scelta legislativa, il principio di “equilibrio di bilancio” ex art. 81 della Costituzione, inaugurato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2015 (T.A.R. Toscana, sez. I, 12 aprile 2018, n. 526).
2.3.3. Ne consegue, anche per tale versante, l’infondatezza delle pretese di parte ricorrente.
2.4. In via ulteriormente gradata, è stato infine chiesto l’accertamento del diritto soggettivo dei ricorrenti ad ottenere comunque l’adeguamento retributivo mediante progressione economica, a partire dall’1 gennaio 2016 e sino al momento della pronuncia, tenendo conto quale base iniziale di ricalcolo di quanto si sarebbe dovuto corrispondere negli anni dal 2011 al 31 dicembre 2015.
2.4.1. La domanda va disattesa. Il quadro disciplinare testé delineato muove nel senso propugnato dalle Amministrazioni intimate. L’art. 9, n. 21, del d.l. n. 78 del 2010 dispone testualmente che gli anni 2011, 2012, 2013 non siano «utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti stipendiali previsti dai rispettivi ordinamenti». Inoltre, il n. 21 dell’art. 9 prevede anche che i meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applichino per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non diano comunque luogo a successivi recuperi. In tal modo, il legislatore ha inteso quindi escludere il computo di tali elementi retributivi nelle successive rideterminazioni del trattamento retributivo. Parimenti, per la progressione automatica di stipendi di cui al secondo periodo del comma 21 dell’art. 9 del d.l. n. 78/2010, la norma esclude qualsiasi riflesso degli anni di servizio svolto dal 2011 al 2015 sulla maturazione degli scatti successivi al blocco.
2.4.2. Come già condivisibilmente osservato in giurisprudenza, la proiezione strutturale del contenimento è stata peraltro già presa in considerazione dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 310/2013, con cui è stato comunque escluso ogni profilo di irragionevolezza, nonostante l’idoneità dell’intervento legislativo a determinare effetti permanenti sotto il profilo economico (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 22 dicembre 2017, n. 2138). Non è quindi dato ravvisare la base normativa in forza della quale gli scatti stipendiali relativi al quinquennio 2011/2015 possano essere utili per la maturazione degli scatti successivi al periodo di blocco, né come la maggiore retribuzione corrispondente alla invocata rilevanza, nel periodo successivo al 2015, degli scatti congelati nel quinquennio, possa essere considerata ai fini previdenziali e pensionistici. Il trattamento economico corrispondente agli scatti stipendiali che avrebbero dovuto maturare nel periodo 2011/2015 e che invece sono stati bloccati ex lege, non essendo entrato a far parte della base retributiva e contributiva dei ricorrenti, non può, in assenza di un’espressa statuizione legislativa, entrare nel calcolo della base pensionabile o rilevare ai fini della maturazione degli scatti successivi al blocco (T.A.R. Toscana, sez. I, 12 aprile 2018, n. 526).
2.4.3. In definitiva, l’erogazione del trattamento economico voluto dai ricorrenti non può derivare da una interpretazione forzata dell’ordito normativo, ma da una specifica previsione positiva, allo stato insussistente (TAR Calabria, Catanzaro, n. 2138 del 2017, cit.).
3. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso.
4. Sussistono giusti motivi, in ragione delle peculiarità della questione, per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, definitivamente pronunciando sul ricorso, per come in epigrafe proposto, previa estromissione dalla lite del Ministero dell’economia e delle finanze, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Potenza, nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2018, con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] Mastrantuono, Consigliere
Benedetto [#OMISSIS#], Primo Referendario, Estensore

Pubblicato il 06/10/2018