Va ammessa l’equipollenza degli esami “affini”, sostenuti in altro corso di laurea rispetto a quelli previsti nell’ambito del corso ad accesso programmato che il candidato ha interessate a frequentare, laddove quest’ultimo abbia maturato un numero di crediti formativi sufficienti all’immatricolazione ad anno successivo al primo, sempre che per tale anno, a seguito di trasferimenti o rinunce, si sia verificata una scopertura dei posti disponibili e senza che, in tale situazione, sia necessario affrontare il test, previsto solo per il primo accesso agli studi universitari in questione (in tal senso, tra le altre, TAR Lazio, Roma, Sez. III, 9 ottobre 2018, n. 9832; Id. 12 dicembre 2018, n. 12092).
TAR Lazio, Roma, Sez. III, 9 gennaio 2020, n. 154
Studente-Ammissione corso di laurea-Massoterapia
N. 00154/2020 REG.PROV.COLL.
N. 11789/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11789 del 2018, proposto da
[#OMISSIS#] Caucci, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e Giovanni Di [#OMISSIS#], con domicilio digitale in atti;
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio;
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per l’annullamento
– del provvedimento emesso dalla Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, protocollo n. 2018-URM1SAM- 0060591 del 20 luglio 2018, notificato in pari data, recante il diniego della richiesta presentata dal ricorrente di voler ottenere la riconversione creditizia del titolo di “Massofisioterapista” e della Laurea in “Scienze delle Attività Motorie e Sportive”, con l’iscrizione diretta ad anni superiori al primo del corso di laurea in “Fisioterapia”;
– di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, connesso e conseguente se ed in quanto lesivo dei diritti ed interessi del ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 novembre 2019 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente gravame, il ricorrente impugna l’atto in epigrafe, con cui l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” ha rigettato l’istanza di valutazione – ai fini dell’ammissione diretta al terzo anno del corso di laurea in “Fisioterapia” – del diploma triennale di “massofisioterapista” (conseguito nel 2017, presso l’Istituto “[#OMISSIS#] Fermi” di Perugia) e della laurea in “Scienze delle Attività Motorie e Sportive” (conseguita nel 2015 presso l’Università degli Studi “[#OMISSIS#] d’Annunzio” di Chieti-Pescara), sul presupposto che, essendo il corso di laurea a numero chiuso, la valutazione dei relativi crediti formativi vantati avrebbe potuto essere effettuata dagli organi accademici solo a seguito del superamento della relativa prova di ammissione e nel limite dei posti messi a concorso.
Parte ricorrente chiede, dunque, l’annullamento di tale diniego, affermandone, in particolare, l’illegittimità sostanzialmente per:
– violazione dell’art. 4 della l. n. 42/1999, dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 502/1992 e dell’art. 7, comma 5, del d.m. 27 luglio 2000, sostenendo l’equipollenza del citato titolo triennale di massofisioterapista (conseguito ai sensi della legge n. 403/1971, del d.P.R. n. 1406/1968 e del d.m. n. 105/1997), al diploma di laurea in “Fisioterapia”, con discendente asserita idoneità del titolo posseduto a consentire la riconversione creditizia ai fini dell’iscrizione all’ultimo anno al corso di laurea in “Fisioterapia”;
– violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, difetto di motivazione e difetto di istruttoria, evidenziando come l’Ateneo abbia, finanche, omesso anche solo di esaminare i crediti vantati, opponendo (in tesi) erroneamente l’applicazione del c.d. “numero chiuso” e, per l’effetto, negando ogni [#OMISSIS#] alle competenze acquisite dal ricorrente mediante il conseguimento dei titoli in questione.
Si costituiva in giudizio l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, chiedendo il rigetto del gravame.
La Sezione con ordinanza cautelare n. 6994/2018 ordinava il riesame della posizione del ricorrente al fine di verificare se – alla luce dei crediti formativi, maturati nel (solo) corso di laurea in “Scienze delle Attività Motorie e Sportive”, ed in presenza di eventuali posti disponibili – egli potesse essere immatricolato ad anno di corso successivo al primo.
Con successiva ordinanza n. 1583/2019, la Sezione, su istanza di parte ricorrente, “considerato che dopo l’ordine di riesame dei titoli del ricorrente impartito con ordinanza n. 69942018 l’Ateneo, con nota del 19.12.2018, ha nuovamente affermato che l’ammissione è subordinata al superamento del test di ingresso, senza procedere al suddetto riesame”, reiterava l’incombente.
L’Università intimata depositava, quindi, nota della propria Area Servizi agli Studenti, nella quale si attestava di non aver ancora potuto concludere l’attività prescrittale, dovendo ancora acquisire da parte ricorrente la richiesta certificazione degli esami da quest’ultimo sostenuti presso l’Università “[#OMISSIS#] d’Annunzio” di Chieti-Pescara.
All’udienza pubblica del 20 novembre 2019, la causa veniva trattata e, dunque, trattenuta in decisione.
Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
Ritiene, infatti, il Collegio che la pretesa di parte ricorrente sia legittima limitatamente alla mancata considerazione, ai fini dell’immatricolazione e della maturazione di crediti formativi spendibili nel corso di laurea in “Fisioterapia”, degli esami sostenuti dal ricorrente nell’ambito del corso di laurea in “Scienze delle Attività Motorie e Sportive”, previa valutazione discrezionale della loro rilevanza e della loro incidenza, in termini di crediti formativi universitari, da parte dei competenti organi universitari, sulla base dei regolamenti didattici propri dell’ateneo interessato.
La Sezione, infatti, ha in più occasioni ha affermato e ribadito il principio secondo cui va ammessa l’equipollenza degli esami “affini”, sostenuti in altro corso di laurea rispetto a quelli previsti nell’ambito del corso ad accesso programmato che il candidato ha interessate a frequentare, laddove quest’ultimo abbia maturato un numero di crediti formativi sufficienti all’immatricolazione ad anno successivo al primo, sempre che per tale anno, a seguito di trasferimenti o rinunce, si sia verificata una scopertura dei posti disponibili e senza che, in tale situazione, sia necessario affrontare il test, previsto solo per il primo accesso agli studi universitari in questione (in tal senso, tra le altre, T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III, 9 ottobre 2018, n. 9832; id. 12 dicembre 2018, n. 12092).
Sotto tale profilo, già con l’ordinanza cautelare n. 6994/2018 le ragioni difensive del ricorrente sono state accolte con prioritario riferimento ai principi interpretativi, desumibili dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 28 gennaio 2015, il cui percorso argomentativo può essere sintetizzato, per quanto qui interessa, nei termini che seguono:
– il superamento del test, di cui all’art. 1, commi 1 e 4, della legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accesso ai corsi universitari) costituisce requisito di ammissione, ma non anche abilitazione o titolo ulteriore, indefettibilmente richiesto per accedere alla facoltà a numero chiuso, in aggiunta al diploma di scuola secondaria superiore;
– coerentemente, pertanto, la citata normativa richiede che le prove di cui trattasi siano riferite al livello formativo assicurato, appunto, dagli studi liceali, in un logico “continuum temporale” fra detti studi e la prima ammissione al corso di laurea di cui trattasi;
– nessuno specifico requisito di ammissione, invece, è formalmente richiesto per i trasferimenti, disciplinati dall’art. 3, commi 8 e 9 del d.m. del 16 marzo 2007 (Determinazione delle classi di laurea magistrale): le citate norme si limitano infatti a disporre il riconoscimento dei crediti già maturati dagli studenti, in caso di passaggio non solo ad una diversa Università, ma anche ad un diverso corso di laurea; la determinazione di criteri e modalità per effettuare tale riconoscimento è rimessa ai regolamenti didattici, senza esclusione di eventuali colloqui, per la verifica delle conoscenze possedute dallo studente;
– solo per il primo accesso alla facoltà, pertanto, appare ragionevole un accertamento della predisposizione agli studi da intraprendere, mentre per gli studenti già inseriti nel sistema (ovvero, già iscritti in Università italiane o straniere) può richiedersi soltanto una valutazione dell’impegno complessivo di apprendimento: impegno, dimostrato con l’acquisizione dei crediti, corrispondenti alle attività formative compiute;
– per il trasferimento, sia in ambito nazionale che con provenienza da università straniere, l’ammissione agli studi universitari si pone come requisito pregresso, divenuto irrilevante poiché superato dal percorso formativo-didattico, già seguito in ambito universitario (purché detto percorso sia reso oggetto di rigorosa valutazione);
– non si pone, conclusivamente, alcun problema di “elusione” del percorso prescritto dalla legge, venendo gli obiettivi perseguiti pienamente raggiunti per vie diverse, comunque rispettose delle capacità formative delle università e delle regole dalle medesime dettate per assicurare la più ampia possibile attuazione del diritto allo studio costituzionalmente garantito, non senza un rigido e serio controllo del percorso formativo dello studente che chieda il trasferimento da altro ateneo.
I principi basilari sopra sintetizzati, in conformità alla linea interpretativa tracciata dall’Adunanza Plenaria, si adattano al caso in esame ovvero alla situazione di chi abbia maturato in facoltà italiane diverse da “Fisioterapia” crediti formativi “spendibili”, secondo i regolamenti didattici dell’ateneo, anche in quest’ultimo settore disciplinare.
Ove tali crediti sussistano – e siano sufficienti per l’immatricolazione in anni successivi al primo – non c’è ragione per non ritenere doverosa detta immatricolazione (come peraltro già previsto per chi voglia immatricolarsi al corso di laurea in “Medicina e Chirurgia” presso un’università italiana, avendo iniziato tali studi in un’università straniera), senza reiterazione del testdi primo accesso, essendo l’accesso subordinato all’unica ulteriore condizione della presenza di posti disponibili, presso l’Ateneo a cui venga presentata la domanda (per mancata iscrizione degli idonei selezionati negli anni antecedenti, ovvero per trasferimenti in uscita o rinunce agli studi).
Tali conclusioni appaiono conformi alla ratio, che giustifica sul piano costituzionale e comunitario la stessa previsione del cosiddetto “numero chiuso”, ovvero dell’accesso programmato a facoltà in cui il numero degli iniziali aspiranti superi di gran lunga le capacità formative degli atenei, nonché – per quanto noto in sede di programmazione – alle esigenze del sistema sociale e produttivo, in cui dovranno immettersi i nuovi professionisti (si confronti, per il principio, Corte Costituzionale, sentenza 11 dicembre 2013, n. 302 in tema di graduatoria unica nazionale; ordinanza 20 luglio 2007, n. 307; sentenza 27 novembre 1998, n. 383 sulla previgente l. n. 341/1990, come modificata con l. n. 127/1997 sulla base di principi speculari a quelli ora deducibili in rapporto alla l. n. 264/1999; Corte di Giustizia dell’Unione europea, III sezione, 12 giugno 1986).
Dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria sopra richiamata emerge, infatti, con chiarezza come il cosiddetto numero chiuso sia reso indispensabile dall’esigenza di assicurare, per la formazione di professionalità adeguate, che l’accesso a talune facoltà, quali quelle di “Medicina e Chirurgia” e di “Fisioterapia”, sia subordinato alla congruità del rapporto fra numero di studenti e idoneità delle strutture, sotto il profilo non solo della didattica, ma anche della disponibilità di laboratori e della possibilità di avviare adeguate esperienze cliniche, nonché di accedere alle specializzazioni. Non ultima, infine, (ferma restando la priorità delle esigenze sopra indicate) è la finalità di assicurare – anche in considerazione della libera circolazione di professionisti in ambito U.E. – la possibilità di adeguati sbocchi lavorativi, da commisurare al fabbisogno nazionale, sul presupposto che vi sia un potenziale bilanciamento fra medici formati in altri Paesi dell’Unione, operanti in Italia, e medici italiani trasferiti in ambito comunitario. Anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea – pur escludendo la sussistenza di un obbligo, a livello comunitario, di limitare il numero di studenti ammessi alle facoltà in questione – ha riconosciuto la facoltà dei singoli Stati di adottare le misure più opportune, per garantire i predetti, ottimali livelli di formazione, al fine di tutelare lo standard qualitativo della sanità pubblica. Parimenti, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha affermato che “in linea di principio, la limitazione dell’accesso agli studi universitari non è incompatibile con l’art. 2 del Protocollo n. 1, tenendo presenti le risorse disponibili e il fine di ottenere alti livelli di professionalità (…). Pertanto, l’applicazione del numero chiuso non può violare la citata norma se è ragionevole e nell’interesse generale della società. La materia ricade nell’ampio margine di apprezzamento dello Stato” (in tal senso, oltre alle sentenze sopra citate, T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III, n. 9269/2005 e n. 10129/2017).
E’ dato di comune esperienza, d’altra parte, che la difficoltà degli studi di cui trattasi, o altre possibili circostanze, finiscano per “sfoltire”, nel corso degli anni, il numero degli immatricolati, creando disponibilità di posti che non c’è ragione di lasciare scoperti, non solo per il legittimo soddisfacimento di interessi costituzionalmente tutelati, ma anche nell’interesse pubblico ad un livello qualitativo e quantitativo di personale sanitario, in grado di soddisfare le esigenze della popolazione.
Il ricorso non può, viceversa, essere accolto nella parte in cui mira al riconoscimento anche del diploma di “Massofisioterapista” conseguito dal ricorrente.
Al riguardo assume, infatti, rilievo decisivo la recente pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 9 novembre 2018, n. 16, ove si afferma – all’esito della disamina della lunga e articolata vicenda normativa e del contrastante dibattito giurisprudenziale che ha riguardato il diploma “de quo” – come “il diploma di massofisioterapista, rilasciato ai sensi della l. 19 maggio 1971 n. 403, non consente ex se l’iscrizione alla facoltà di Fisioterapia né dà vita, nella fase di ammissione al corso universitario, ad alcuna forma di facilitazione, nemmeno se posseduto unitamente ad altro titolo di scuola secondaria di secondo grado di durata quinquennale; l’iscrizione alla facoltà di Fisioterapia potrà quindi avvenire solo secondo le regole ordinarie che postulano il possesso di un titolo idoneo all’accesso alla formazione universitaria ed il superamento della prova selettiva di cui all’art. 4, l. 2 agosto 1999, n. 264”.
Per tutte le ragioni esposte, in conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente al preteso riconoscimento, ai fini dell’immatricolazione e della maturazione di crediti formativi spendibili nel corso di laurea in “Fisioterapia”, degli esami sostenuti dal ricorrente nell’ambito del corso di laurea in “Scienze delle Attività Motorie e Sportive”.
Gli effetti conformativi della presente pronuncia non implicano, in ogni caso, il richiesto accertamento del diritto del ricorrente all’immatricolazione richiesta, essendo rimessa al discrezionale apprezzamento dell’Ateneo resistente – in base ai parametri vigenti – la valutazione sia di equipollenza degli esami sostenuti nel corso di laurea vantato che di sufficienza dei crediti formativi in possesso del ricorrente, ai fini dell’immatricolazione al corso di laurea in “Fisioterapia” in un anno successivo al primo, con conseguente eventuale proporzionale abbreviazione del relativo percorso di studi, sempre che, si ripete, sussistano per tale anno posti disponibili.
Solo nei limiti e con gli effetti sopra illustrati il ricorso può, dunque, essere accolto.
Sussistono, comunque, giusti motivi, atteso l’accoglimento parziale del ricorso, per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti precisati in motivazione, per l’effetto, annullando il gravato provvedimento dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Primo Referendario
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Primo Referendario, Estensore
Pubblicato il 09/01/2020