Corte Costituzionale, 24 luglio 2020, n. 165

Procedura valutativa - art. 24, comma 6 legge n. 240/2010 - reclutamento - ricercatori a tempo indeterminato - giudizio di legittimità costituzionale

Data Documento: 2020-07-24
Area: Giurisprudenza
Massima

L’art. 24, comma 6 della legge n. 240/2010 non viola l’art. 3 Cost, in quanto “il carattere discrezionale del potere dell’università di chiamata ex art. 24, comma 6, esprime un non irragionevole bilanciamento fra l’interesse dei ricercatori a tempo indeterminato, ai quali è offerto in via transitoria un canale di accesso, alternativo e a partecipazione riservata, alla posizione di professore associato, e l’interesse degli atenei a operare autonomamente le proprie scelte di reclutamento del personale”. Inoltre, ugualmente infondato è il profilo di censura riguardante la denunciata disparità di trattamento fra i ricercatori a tempo indeterminato e i ricercatori di tipo B, quanto al regime della chiamata a professore associato attraverso procedura riservata. Infatti, le due figure di ricercatore presentano talune diversità per aspetti del rispettivo regime giuridico, specialmente “considerato che tale chiamata nel caso del ricercatore a tempo determinato conduce alla immissione in ruolo (in alternativa alla fuoriuscita dal sistema accademico), mentre nel caso del ricercatore a tempo indeterminato si risolve in un passaggio da una posizione stabile a un’altra. La procedura automatica di valutazione di cui al comma 5 dell’art. 24 della legge n. 240 del 2010 è così riservata a ricercatori che, se non chiamati, alla scadenza del contratto vedrebbero cessare il loro rapporto di lavoro con l’università e che, pur in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale, in attesa dell’indizione e dello svolgimento delle ordinarie procedure comparative di reclutamento ex art. 18 della legge n. 240 del 2010 rischierebbero di perdere continuità scientifica“.

L’art. 24, comma 6 della legge n. 240/2010 non viola il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., giacchè il legislatore, nel perseguire con il nuovo «statuto del ricercatore» l’obiettivo del ricambio generazionale, non ha sacrificato la progressione di ricercatori di esperienza solo perché entrati nel vigore di pregressa disciplina. Infatti, “la norma censurata non ostacola la progressione in carriera dei ricercatori a tempo indeterminato ma si limita ad offrire un canale di progressione ulteriore che si affianca al sistema ordinario di reclutamento dei professori ex art. 18 della legge n. 240 del 2010. Contrariamente a quanto ritiene il rimettente, dunque, il legislatore non ha affatto sacrificato l’interesse dei ricercatori di ruolo a favore di quello al ricambio generazionale, ma tra tali interessi ha operato un non irragionevole bilanciamento“.

Contenuto sentenza

SENTENZA N. 165
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: [#OMISSIS#]: [#OMISSIS#] [#OMISSIS#]; [#OMISSIS#] : [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] de [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]̀ [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] VIGANÒ, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#],
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), promosso dal Tribunale
amministrativo regionale per la [#OMISSIS#] nel procedimento vertente tra D. D.A. e altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri e altri, con ordinanza del 30 aprile 2019, iscritta al n. 152 del registro ordinanze 2019 e pubblicata [#OMISSIS#] Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti l’atto di costituzione di D. D.A., nonché l’atto di intervento del [#OMISSIS#] del Consiglio dei ministri;
udito il [#OMISSIS#] relatore [#OMISSIS#] de [#OMISSIS#] ai sensi del decreto della [#OMISSIS#] della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 23 giugno 2020;
deliberato [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del 24 giugno 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 30 aprile 2019, iscritta al n. 152 del registro ordinanze del 2019, il Tribunale amministrativo regionale per la [#OMISSIS#] ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), in riferimento [#OMISSIS#] artt. 3 e 97 della Costituzione.
Il rimettente è stato adito da D. D.A., ricercatore confermato a tempo indeterminato in possesso di abilitazione scientifica nazionale di prima fascia, per l’annullamento, sia della nota con cui l’Università della [#OMISSIS#], presso cui presta servizio, ha respinto la sua istanza di essere sottoposto alla valutazione per la chiamata in ruolo come professore associato, sia del regolamento del citato ateneo sulla chiamata dei professori di ruolo di prima e seconda fascia, nonché per l’accertamento del suo diritto soggettivo a essere sottoposto alla procedura di valutazione.
Nel giudizio principale, promosso nei confronti del [#OMISSIS#] del Consiglio dei ministri, del Ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, nonché dell’Università della [#OMISSIS#], sono intervenuti ad adiuvandum altri ricercatori a tempo indeterminato con abilitazione scientifica nazionale e mai valutati dai propri atenei per la chiamata nel ruolo dei professori associati.
1.1.– Il [#OMISSIS#] a quo dubita della legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010 [#OMISSIS#] parte in cui prevede che la procedura di valutazione di cui al comma 5 dello stesso articolo «può essere utilizzata», anziché «è utilizzata», per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di ricercatori a tempo indeterminato e [#OMISSIS#] parte in cui prevede il [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] del 31 dicembre 2019 per l’utilizzazione di tale procedura. L’art. 24 sui “Ricercatori a tempo determinato” definisce al comma 3, lettera b), la figura del ricercatore cosiddetto “di tipo B” e stabilisce, al citato comma 5, che «nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l’università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera e)».
1.2.– Dopo avere respinto il motivo di ricorso fondato sul preteso contrasto della [#OMISSIS#] censurata con il diritto dell’Unione europea, il rimettente ritiene impraticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto la lettera dell’art. 24 della legge n. 240 del 2010 – là dove prevede, al comma 5, che nel terzo anno di contratto l’università «valuta» il ricercatore di tipo B in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale ai fini della chiamata in ruolo come professore associato e, al comma 6, che la stessa procedura di valutazione «può» essere utilizzata, ai medesimi fini, per i ricercatori a tempo indeterminato muniti anch’essi dell’abilitazione scientifica nazionale – deporrebbe con chiarezza nel senso di individuare a carico dell’università un obbligo di valutazione solo nel primo [#OMISSIS#] e una mera facoltà nel secondo.
Le questioni sarebbero dunque rilevanti, giacché soltanto il loro accoglimento consentirebbe di annullare il diniego impugnato nel giudizio principale.
1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il [#OMISSIS#] a quo ricostruisce sinteticamente il quadro normativo delineato dalla riforma di cui alla legge n. 240 del 2010 con riguardo alle figure dei ricercatori a tempo determinato, titolari dei contratti di lavoro subordinato disciplinati alle lettere a) e b) del comma 3 dell’art. 24, e all’esaurimento del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato istituito dall’art. 1 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché ́ sperimentazione organizzativa e didattica) e osserva che la [#OMISSIS#] censurata violerebbe innanzi tutto l’art. 3 Cost., per irragionevolezza «estrinseca» e per lesione del principio di uguaglianza.
Sotto il primo profilo, la scelta legislativa di non sottoporre “di diritto” i ricercatori a tempo indeterminato che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale alla valutazione della propria università per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia sarebbe incongrua rispetto al fine di selezionare i docenti meritevoli, perseguito dalla legge n. 240 del 2010. Non vi sarebbe ragionevole giustificazione di limitare per costoro la indicata chiamata e ciò produrrebbe, inoltre, l’effetto paradossale di negare il diritto di essere valutato a un ricercatore a tempo indeterminato con abilitazione di prima fascia, attribuendolo invece a un ricercatore a tempo determinato con abilitazione solo di seconda fascia.
Ad avviso del rimettente, l’irragionevolezza del trattamento riservato ai ricercatori a tempo indeterminato potrebbe rivelarsi ancora «più profonda» qualora la Corte di giustizia dell’Unione europea, pronunciando su un rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanza del 3 aprile 2019, n. 4336, ritenesse che la clausola 5 (recante «Misure di prevenzione degli abusi») dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva n. 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 2008, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEP sul lavoro a tempo determinato, vada interpretata nel senso che osti a una normativa nazionale che, come quella italiana, preclude ai ricercatori cosiddetti “di tipo A”, assunti con contratto di lavoro a tempo determinato di durata triennale prorogabile per due anni, la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato. La stabilizzazione di tali ricercatori, infatti, «li assimilerebbe di molto ai ricercatori confermati».
Sotto il secondo profilo, la [#OMISSIS#] censurata introdurrebbe un’irragionevole disparità di trattamento dei ricercatori a tempo indeterminato che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica nazionale rispetto ai ricercatori a tempo determinato di tipo B in possesso di analoga abilitazione, per i quali il citato comma 5 dell’art. 24, assunto a tertium comparationis, prevede l’automatica sottoposizione a valutazione nel terzo anno di contratto ai fini della chiamata in ruolo come professori associati. E ciò nonostante l’omogeneità delle due situazioni quanto a modalità di reclutamento (pubblico concorso con valutazione di titoli e pubblicazioni, da discutere pubblicamente con una commissione), a mansioni (ricerca, didattica, didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti) e a impegno lavorativo (350 ore in regime di tempo pieno nei primi tre anni), «in disparte le differenze eminentemente legate alla durata del rapporto».
1.3.1.– L’art. 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010 violerebbe altresì l’art. 97 Cost.
Il rimettente osserva che questa Corte, in fattispecie diversa, ha già affermato che l’obiettivo di favorire il ricambio generazionale nell’università, pur appartenendo alla discrezionalità del legislatore, deve essere bilanciato, nel rispetto dell’art. 97 Cost., con l’esigenza di mantenere in servizio docenti in grado di dare un positivo contributo per l’esperienza professionale acquisita, in funzione dell’efficiente andamento del servizio (è citata la sentenza n. 83 del 2013). Analogamente, «pur nel rinnovo dello statuto della figura del ricercatore», contrasterebbe con il principio di buon andamento dell’amministrazione «ostacolare la progressione di ricercatori di esperienza sol perché entrati nel vigore di pregressa disciplina».
2.– Con atto depositato il 21 ottobre 2019 si è costituito in giudizio D. D.A., ricorrente nel processo principale, che ha concluso per l’accoglimento delle questioni.
Dopo avere tratteggiato le figure del ricercatore a tempo indeterminato e di quello a tempo determinato di tipo B, mettendone in evidenza le caratteristiche comuni per modalità di reclutamento e mansioni a essi riservate, la parte privata aderisce sostanzialmente alle censure mosse dal rimettente.
Quanto alla violazione del principio di uguaglianza nell’accesso al ruolo dei professori associati, i ricercatori a tempo indeterminato sarebbero sottoposti, rispetto ai loro omologhi a tempo determinato di tipo B, a un trattamento penalizzante e discriminatorio, aggravato dal fatto che i secondi hanno maturato, al momento della valutazione, un periodo di servizio di soli tre anni, pari alla durata del loro contratto, mentre i primi potrebbero avere conseguito – come avrebbe effettivamente conseguito il ricorrente nel processo principale – un’anzianità di servizio ben più lunga, oltre ad avere superato la procedura di conferma con valutazione dell’attività di ricerca scientifica e di didattica integrativa da parte di una commissione nazionale.
Un’ulteriore «sperequazione» ai danni dei ricercatori a tempo indeterminato, «assolutamente gratuita e incomprensibilmente punitiva», deriverebbe poi dalla possibilità, concessa dall’attuale formulazione dell’art. 24, comma 3, lettera b), della legge n. 240 del 2010, che i contratti ivi disciplinati siano stipulati non solo con i ricercatori a tempo determinato di tipo A o con i titolari degli assegni di ricerca previsti all’art. 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), come era stabilito ab origine, ma anche con chi abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale di prima o di seconda fascia ovvero abbia usufruito per almeno tre anni non consecutivi degli assegni di ricerca di cui all’art. 22 della stessa legge n. 240 del 2010. Mentre nell’impianto originario di quest’[#OMISSIS#] legge si accedeva alla posizione di ricercatore di tipo B solo avendo maturato un periodo almeno triennale di servizio con l’università ([#OMISSIS#] forma del contratto di tipo A o dell’assegno di ricerca ex art. 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997), nell’attuale assetto normativo possono accedere anche soggetti che non hanno intrattenuto alcun rapporto di servizio con l’università. E, come rilevato dal [#OMISSIS#] a quo, potrebbe assurdamente capitare che un ricercatore di ruolo in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale di prima fascia, come lo stesso ricorrente nel processo principale, non venga chiamato dal proprio ateneo come professore associato, mentre dovrebbe essere chiamato un ricercatore a tempo determinato di tipo B che abbia conseguito la sola abilitazione di seconda fascia.
Il denunciato trattamento normativo violerebbe anche gli artt. 4 e 35 Cost. Tali disposizioni impedirebbero al legislatore di introdurre senza giustificazione razionale norme che comprimono le aspettative di crescita professionale dei lavoratori, con particolare riguardo a quelli che, come i ricercatori universitari, prestano un servizio pubblico. La «elevazione professionale» dei ricercatori a tempo indeterminato si troverebbe in una sorta di limbo, rimessa alle scelte discrezionali dell’università di appartenenza, che potrebbero dipendere da circostanze e valutazioni indipendenti dal merito e legate, ad esempio, a ragioni di carattere economico-finanziario e alla disponibilità dei cosiddetti “punti organico”.
Quanto alla violazione dell’art. 97 Cost., una disciplina che, come quella censurata, subordina l’avanzamento in carriera dei ricercatori di ruolo a valutazioni del tutto discrezionali nell’an e nel quando, senza dare rilievo al merito dell’attività scientifica e didattica svolta, svilirebbe la figura principalmente coinvolta nell’attività di ricerca scientifica, in contrasto con lo scopo che l’art. 1 della legge n. 240 del 2010, richiamando gli artt. 9, comma primo, e 33, comma primo, Cost., assegna alle università quali «sede primaria di [#OMISSIS#] ricerca e di [#OMISSIS#] formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti e […] luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze».
Il ricercatore di ruolo, a differenza di quello a tempo determinato di tipo B, si troverebbe infatti in una situazione di [#OMISSIS#] e propria soggezione nei confronti del proprio ateneo, che ne minerebbe la libertà di ricerca. Sarebbe posto in condizione di «subalternità rispetto alla sua struttura di afferenza, nonché rispetto ai professori ordinari del suo settore scientifico disciplinare» e al «potere di fatto che il professore ordinario “di riferimento” […] è in grado di esercitare nell’ambito del Dipartimento». Un ricercatore a tempo indeterminato di eccellente valore potrebbe non essere chiamato nei ruoli di professore associato solo perché «nel suo settore scientifico disciplinare è stato attivato un posto da ricercatore di tipo B, che vincola apposite
risorse per la chiamata di quest’[#OMISSIS#]», a prescindere dal merito. La perdita di ogni chance di progressione in carriera provocherebbe nel ricercatore a tempo indeterminato demotivazione e frustrazione, con inevitabili ricadute sul suo rendimento e con compromissione, oltre che delle istanze di promozione della ricerca scientifica e della libertà di trasmissione del sapere garantite dalla Costituzione, anche del principio di buon andamento, che le università sono tenute a rispettare.
La [#OMISSIS#] censurata contrasterebbe, infine, con l’art. 2 Cost. Nel contesto dell’università, formazione sociale dove si sviluppa la personalità dello studioso [#OMISSIS#] relazione con i colleghi, essa riserverebbe alla valutazione discrezionale del dipartimento di appartenenza la decisione sulla progressione in carriera del ricercatore di ruolo in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale, così mortificandolo in ambito lavorativo e peggiorandone il rendimento e la qualità della [#OMISSIS#], nonché la stessa dignità.
3.– Con atto depositato il 22 ottobre 2019 è intervenuto in giudizio il [#OMISSIS#] del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza delle questioni.
Ad avviso dell’interveniente, la ratio della automatica procedura di valutazione riservata ai ricercatori di tipo B (cosiddetta tenure-track), di cui al comma 5 dell’art. 24 della legge n. 240 del 2010, risiederebbe [#OMISSIS#] necessità di assicurare il trattenimento nell’ateneo del ricercatore che ivi si è formato all’esito di un percorso lungo, strutturato e contraddistinto da un susseguirsi di contratti a tempo determinato, assolvendo dunque anche a una finalità di stabilizzazione dell’organico. Senza tale procedura, infatti, il ricercatore di tipo B, a differenza di quello a tempo indeterminato, non avrebbe più alcun rapporto di lavoro con l’università, perderebbe continuità scientifica e sarebbe tagliato fuori dal sistema nelle more dell’indizione delle ordinarie procedure comparative di reclutamento ex art. 18 della legge n. 240 del 2010.
Il comma 6 dello stesso art. 24, invece, sarebbe una [#OMISSIS#] speciale che consente alle università, per un periodo di tempo limitato, di utilizzare la procedura del comma 5 per chiamare nel ruolo dei professori di prima e seconda fascia sia professori associati che ricercatori a tempo indeterminato in servizio nelle medesime università e in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale, entro un contingente [#OMISSIS#] rispetto alla totalità delle assunzioni di professori e utilizzando risorse destinate a tal fine, fino alla [#OMISSIS#]̀ di quelle necessarie per coprire i posti disponibili di professore di ruolo.
Sussisterebbero dunque differenze tra i soggetti destinatari delle due procedure, nonché tra le rationes sottese alle stesse procedure e tra i loro presupposti, in quanto l’una, di carattere obbligatorio, è volta a immettere nel ruolo dei professori associati ricercatori sui quali l’università ha investito negli anni e che sarebbero destinati altrimenti a uscire dal sistema, mentre con l’altra il legislatore ha inteso concedere alle università la facoltà di far progredire in ruolo studiosi già inquadrati tra i docenti a tempo indeterminato.
La differenza sostanziale alla base del diverso meccanismo di progressione dovrebbe essere individuata nel «differente percorso che struttura i due [#OMISSIS#] in esame».
Il ricercatore di tipo B, infatti, è sottoposto a un primo concorso per stipulare il contratto a tempo determinato di tipo A, alla valutazione per il rinnovo biennale di tale contratto, a un secondo concorso per accedere al contratto a tempo determinato di tipo B, alla valutazione per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale e, infine, alla valutazione per l’immissione nel ruolo dei professori associati.
Il ricercatore a tempo indeterminato, invece, sarebbe una figura residua del vecchio sistema di reclutamento universitario contraddistinta da una [#OMISSIS#] stabilità. Per giungere all’immissione in ruolo quale professore di seconda fascia, deve aver superato un solo concorso e avere ottenuto la conferma in ruolo, oltre all’abilitazione scientifica nazionale. L’ordinamento avrebbe comunque apprestato anche per tale figura specifiche chance di carriera, mediante la procedura speciale ex art. 24, comma 6, o mediante quella ordinaria ex art. 18 della legge n. 240 del 2010.
La progressione del ricercatore di tipo B non potrebbe essere assimilata a quella del ricercatore a tempo indeterminato, in quanto caratterizzata da molteplici prove concorsuali e valutazioni della produttività scientifica, che giustificherebbero «l’automatismo premiale» delineato dal legislatore, cui si affianca un «meccanismo di incentivo» della produttività degli studiosi al fine di reclutare i migliori, selezionati attraverso un puntuale percorso di perfezionamento. Il ricercatore a tempo indeterminato vedrebbe invece consolidarsi la propria posizione con il primo concorso e la valutazione per la conferma. La diversità e non assimilabilità delle due figure, alla base dei diversi sistemi di reclutamento, sarebbe stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza amministrativa.
La prospettata violazione dell’art. 3 Cost. non sarebbe dunque fondata e, anzi, un’equiparazione di trattamento determinerebbe una discriminazione al contrario, favorendo ingiustamente i ricercatori a tempo indeterminato e sottraendo le risorse vincolate alla tenure-track a vantaggio di coloro che sono già stabili nel sistema. Inoltre, sarebbe compressa l’autonomia costituzionalmente garantita alle università in ordine alle politiche di reclutamento e all’uso delle risorse economiche, che rimarrebbero in gran parte vincolate alla chiamata di studiosi già nei rispettivi ruoli. Ciò che comporterebbe la contestuale erosione del principio di comparazione, sotteso alle procedure di cui all’art. 18 della legge n. 240 del 2010, e la diminuzione delle chance di chiamata di soggetti estranei all’ateneo.
Infine, la temporaneità della previsione censurata sarebbe giustificata dalla sua eccezionalità, avendo il legislatore delineato un regime transitorio nel quale gli atenei possono valorizzare i docenti in servizio escludendo le procedure comparative aperte anche [#OMISSIS#] “esterni”, in considerazione della contestuale introduzione, ai fini della progressione in carriera, dell’ulteriore requisito dell’abilitazione scientifica nazionale.
4.– Il ricorrente nel processo principale ha depositato il 1° giugno 2020 una memoria illustrativa, insistendo per l’accoglimento delle questioni.
4.1.– In primo luogo, osserva che per effetto dei [#OMISSIS#] straordinari di reclutamento dei ricercatori a tempo determinato di tipo B, ai quali il legislatore ha fatto ripetutamente ricorso negli ultimi anni – da [#OMISSIS#], con il decreto-legge 19 [#OMISSIS#] 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), in corso di conversione – per fare fronte al drammatico aumento del precariato universitario, la discriminazione subìta dai ricercatori a tempo indeterminato si sarebbe notevolmente acuita.
Infatti, allorché i ricercatori di tipo B – così reclutati – accedono alla posizione di professore di seconda fascia ex art. 24, comma 5, della legge n. 240 del 2010, le risorse attribuite per il loro reclutamento straordinario devono essere utilizzate dalle università come co-finanziamento di tali posizioni, per le quali non sono state previste risorse aggiuntive. Il meccanismo così congegnato dai decreti ministeriali di attuazione dei suddetti [#OMISSIS#] straordinari (il primo dei quali sarebbe stato impugnato da alcuni ricercatori a tempo indeterminato, tuttavia con esito negativo: è citata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione sesta, 23 marzo 2020, n. 2022, che avrebbe rilevato il difetto di interesse dei ricorrenti) comporterebbe, di conseguenza, la sottrazione delle risorse a disposizione degli atenei per la chiamata dei ricercatori a tempo indeterminato nel ruolo dei professori associati.
4.2.– In secondo luogo, la parte ribadisce che la possibilità di stipulare contratti di tipo B in regime di tempo definito – recentemente ammessa dall’art. 5, comma 5-bis, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, [#OMISSIS#] legge 28 giugno 2019, n. 58 – consentirebbe a un ricercatore di quel tipo che avesse conseguito l’abilitazione scientifica nazionale, dopo soli tre anni di impegno a tempo definito, di “scavalcarne” uno a tempo indeterminato dotato della stessa abilitazione, nonostante quest’[#OMISSIS#] abbia dovuto per almeno tre anni, sino alla conferma nel ruolo, prestare obbligatoriamente un impegno a tempo
pieno. Né si potrebbe obiettare che per accedere al contratto di tipo B sono necessari tre anni di assegni di ricerca, di borse di studio o di contratti di tipo A, poiché l’attuale disciplina legittima l’accesso anche a chi è solo in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale.
4.3.– Infine, il ricorrente nel processo principale contesta che i ricercatori a tempo indeterminato appartengano a un ruolo a esaurimento, come ritenuto dal [#OMISSIS#] a quo. La figura infatti, lungi dall’essere stata abolita, sarebbe disciplinata in modo organico dalla legge n. 240 del 2010, come dimostra la rubrica del suo art. 6, dedicata allo «Stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo», nonché il fatto che viene presa in considerazione anche da leggi successive, tra cui, ad esempio, la legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), che esonera i ricercatori confermati in materie giuridiche dall’obbligo della formazione continua (art. 11) e li inserisce tra i membri delle commissioni di esame per l’abilitazione da avvocato (art. 47).
Inoltre, si dovrebbe considerare che, quando il legislatore ha inteso mettere in esaurimento il ruolo degli assistenti universitari, lo ha fatto con una disposizione espressa (art. 3, comma quattordicesimo, del decreto-legge 1° ottobre 1973, n. 580, recante «Misure urgenti per l’Università», convertito, con modificazioni, [#OMISSIS#] legge 30 novembre 1973, n. 766), continuando a definirlo tale in leggi successive, come all’art. 6, comma 4, della legge n. 240 del 2010.
5.– Il 15 giugno 2020 D. D.A. ha depositato anche «brevi note aggiuntive», ai sensi del decreto della [#OMISSIS#] della Corte del 20 aprile 2020, punto 1, lettera c).
In esse contesta l’assunto del [#OMISSIS#] del Consiglio dei ministri secondo cui la ratio della previsione censurata andrebbe individuata [#OMISSIS#] necessità di trattenere nell’università il ricercatore di tipo B in essa formatosi «all’esito di un percorso lungo, strutturato e contraddistinto da un susseguirsi di contratti a tempo determinato», che renderebbe la sua progressione in carriera non assimilabile a quella del ricercatore a tempo indeterminato.
Secondo la disciplina vigente infatti i contratti di tipo B potrebbero essere stipulati anche con chi ha conseguito soltanto l’abilitazione scientifica nazionale di prima o di seconda fascia, senza avere intrattenuto alcun rapporto di servizio con l’università, mentre il ricercatore a tempo indeterminato ha superato un concorso pubblico ed è stato sottoposto alla valutazione di conferma nel ruolo, oltre ad avere «alle spalle» un periodo di almeno tre anni di regime a tempo pieno.
Inoltre, il sistema sarebbe congegnato in modo tale da incoraggiare le università a bandire procedure per il reclutamento di ricercatori di tipo B – alle quali [#OMISSIS#]̀ non possono partecipare quelli a tempo indeterminato – anziché procedure valutative “aperte” per posti di professore associato, giacché questi ultimi impegnano «0,7 punti organico», mentre i posti di ricercatori di tipo B impegnano solo «0,5 punti organico». D’altra parte, reclutare ricercatori di tipo B sarebbe più conveniente anche perché possono svolgere attività didattica non integrativa, e le università potrebbero così «riservarsi un momento di ulteriore verifica del rendimento del docente-ricercatore prima di assumerlo definitivamente come professore associato».
Di conseguenza, i ricercatori a tempo indeterminato, oltre a non essere titolari del diritto alla automatica sottoposizione a valutazione, vedrebbero ridursi significativamente le chance di divenire professori associati tramite le procedure bandite ex art. 18 della legge n. 240 del 2010, e verrebbero così a trovarsi in una sorta di «binario morto». D’altro canto, l’estensione a essi della procedura ex art. 24, comma 5, richiederebbe «risorse estremamente esigue», tali da non giustificare nemmeno sotto il profilo economico la censurata discriminazione.
6.– Il 15 giugno 2020 anche il [#OMISSIS#] del Consiglio dei ministri ha depositato «brevi note», insistendo per l’infondatezza delle questioni e chiedendo in alternativa la restituzione degli atti al [#OMISSIS#] a quo per una nuova valutazione sulla rilevanza.
L’interveniente ribadisce che la ragione della censurata diversità di trattamento deve essere individuata nel «differente percorso» che caratterizza i ricercatori a tempo determinato di tipo B e quelli a tempo indeterminato. La progressione di carriera dei primi sarebbe infatti connotata da [#OMISSIS#] complessità, presupponendo molteplici prove concorsuali e valutazioni della produttività scientifica, non previste invece per i secondi, ai quali il legislatore garantirebbe comunque «ben due procedure – una ordinaria ed una speciale – mediante le quali assicurare le chance di carriera».
La differenza tra le due categorie deriverebbe anche dal diverso «regime di impegno», in quanto l’art. 6 della legge n. 240 del 2010 prevede per i ricercatori a tempo determinato l’obbligo di svolgere anche compiti di didattica, mentre i ricercatori a tempo indeterminato possono essere titolari di «corsi e moduli curriculari» solo con il loro consenso e compatibilmente con la programmazione didattica definita dai competenti organi accademici.
Quanto al [#OMISSIS#] per l’utilizzo delle procedure, l’interveniente ribadisce che esso, in ragione dell’eccezionalità della [#OMISSIS#] sulla valutazione dei ricercatori a tempo indeterminato, troverebbe «fondamento nell’esigenza di strutturare un regime transitorio che consenta [#OMISSIS#] Atenei [di] valorizzare i docenti in servizio».
A questo riguardo, l’Avvocatura precisa che nel frattempo il [#OMISSIS#] è stato prorogato fino al 31 dicembre 2021 dall’art. 5, comma 2 [[#OMISSIS#]: comma 1, lettera b], del decreto-legge 29 ottobre 2019, n. 126 (Misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti), convertito, con modificazioni, [#OMISSIS#] legge 20 dicembre 2019, n. 159, sicché la rilevanza delle questioni dovrebbe poter essere nuovamente valutata anche alla luce di tale recente intervento normativo.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la [#OMISSIS#] dubita della legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), in riferimento [#OMISSIS#] artt. 3 e 97 della Costituzione.
La questione è stata sollevata in un giudizio promosso da un ricercatore universitario a tempo indeterminato in servizio presso l’Università della [#OMISSIS#] e in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale di prima fascia, per l’annullamento della nota con cui la stessa Università ha respinto la sua richiesta di essere sottoposto alla valutazione per la chiamata in ruolo come professore associato e del regolamento dello stesso ateneo sulla chiamata dei professori di ruolo di prima e seconda fascia, nonché per l’accertamento del suo diritto soggettivo a essere sottoposto alla procedura di valutazione.
La disposizione censurata, [#OMISSIS#] versione vigente al momento della pronuncia dell’ordinanza di rimessione, così stabiliva: «[n]ell’ambito delle risorse disponibili per la programmazione, [#OMISSIS#] restando quanto previsto dall’articolo 18, comma 2, dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo, la procedura di cui al comma 5 può essere utilizzata per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell’università medesima, che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica di cui all’articolo 16. A tal fine le università possono utilizzare fino alla [#OMISSIS#]̀ delle risorse equivalenti a quelle necessarie per coprire i posti disponibili di professore di ruolo. A decorrere dal nono anno l’università può utilizzare le risorse corrispondenti fino alla [#OMISSIS#]̀ dei posti disponibili di professore di ruolo per le chiamate di cui al comma 5».
Più precisamente, la previsione è oggetto di censura [#OMISSIS#] parte in cui dispone che la procedura di valutazione riservata dal comma 5 ai titolari dei contratti di cui al comma 3, lettera b), dello stesso articolo «può essere utilizzata» – per la chiamata nel ruolo di professore di seconda fascia di ricercatori a tempo indeterminato che abbiano ottenuto l’abilitazione scientifica nazionale – e non invece «è utilizzata», come lo stesso comma 5 prevede per i ricercatori a tempo determinato cosiddetti di tipo B, i quali, una volta ottenuta l’abilitazione scientifica nazionale, sono sottoposti di diritto alla valutazione ai fini della chiamata dalla propria Università. È censurata inoltre [#OMISSIS#] parte in cui fissa il [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] del 31 dicembre 2019 (e cioè «al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo» all’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010) per l’utilizzazione di tale procedura.
1.1.– L’art. 24, comma 6, della legge n. 240 de