TAR Liguria, Sez. I, 27 settembre 2021, n. 802

Responsabilità disciplinare dei professori - Violazione dell'art. 53, comma 7 d.lgs. n. 165/01 - Svolgimento di attività libro professionale senza previa comunicazione all'Ateneo

Data Documento: 2021-09-27
Area: Giurisprudenza
Massima

In riferimento all’inflizione delle sanzioni disciplinari ai professori, il Consiglio di amministrazione non è vincolato alla valutazione del Collegio di disciplina potendo, in caso di disaccordo con quest’ultimo, archiviare il procedimento. Tale soluzione appare molto garantista per l’incolpato in quanto l’archiviazione potrà conseguire in tutti i casi in cui il Consiglio di amministrazione non concordi con la valutazione del Consiglio di disciplina e ciò anche, in ipotesi, ove sussistano mere divergenze in ordine alla tipologia e entità della sanzione irrogata. Pertanto, non vi è invalidità del provvedimento sanzionatotio per effetto dell’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, l. 240/10, per contrasto con gli art. 3, 24 e 97 della Costituzione.

Le sanzioni disciplinari previste per i professori universitari sono individuate dall’art. 10, comma 2, l. 240/10, che rinvia al catalogo di cui all’art. 87 r.d. 31 agosto 1933 n. 1592, che a sua volta prevede le seguenti sanzioni disciplinari: censura, la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno, la revocazione, la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni, la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni. Le fattispecie in presenza delle quali tali sanzioni sono irrogabili sono contemplate dai successivi articoli 88 e 89.
Tali articoli contemplano una serie di ipotesi descritte mediante clausole generali che trovano applicazione in ordine di gravità crescente. Deve escludersi che la previsione dell’illecito disciplinare mediante clausole generali riferentesi ai doveri di ufficio possa essere considerato costituzionalmente illegittimo: da un primo punto di vista, la posizione dei professori universitari, facenti parte del pubblico impiego non contrattualizzato, non appare assimilabile al resto del pubblico impiego non contrattualizzato; da altro punto di vista la tipizzazione degli illeciti avviene per relationem con riferimento ai doveri d’ufficio quali risultanti dal compendio normativo applicabile a tale categoria di dipendenti pubblici, di talchè deve escludersi che la normazione per clausole generali possa essere per ciò solo incostituzionale; da ultimo, la circostanza che la violazione dei medesimi doveri possa essere sanzionata con sanzioni diverse non sembra configurare un vulnus ai valori costituzionali invocati dal momento che alla concreta irrogazione delle sanzioni presiede il criterio della gravità che, a sua volta, costituisce la estrinsecazione concreta dei principi di imparzialità e proporzionalità che sorreggono l’agere amministrativo il cui mancato rispetto può essere sindacato dal giudice del rapporto. Nella specie, poi, la violazione contestata al ricorrente non scaturisce da una più o meno attendibile ricostruzione del sistema dei doveri del professore universitario, ma dalla violazione di una chiara e univoca disposizione di legge, l’art. 53, comma 7, d.lgs. 165/01. Pertanto, non vi è invalidità dell’atto di contestazione degli addebiti derivata dall’illegittimità costituzionale degli artt. 87, 88, 89 del rd. 1592 del 1933, per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 97 Costituzione e del principio di legalità.

In merito al fatto che l’avvio al procedimento disciplinare del Rettore contenesse già la proposta della tipologia e entità della sanzione disciplinare, il Collegio osserva che l’art.10, comma 2, l. 240/10 stabilisce: “L’avvio del procedimento disciplinare spetta al rettore che, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura tra quelle previste dall’articolo 87 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata proposta”. Orbene il tenore letterale della norma non preclude al Rettore di formulare una proposta che contenga in sé anche una indicazione in ordine alla tipologia e alla entità della sanzione disciplinare. Tale particolarità che sembra distonica rispetto alla generalità degli ordinamenti disciplinari in realtà trova giustificazione nella struttura particolarmente garantista che connota il procedimento disciplinare dei professori universitari in cui l’istruttoria è collegiale e la sanzione può essere irrogata soltanto ove vi sia perfetta consonanza tra il Collegio di disciplina e il Consiglio di amministrazione. Tali caratteristiche garantistiche escludono in radice la possibilità di condizionamento da parte del Rettore degli esiti del procedimento disciplinare, di talchè il tenore della disposizione, esprimendosi in termini di proposta motivata, non preclude l’eventualità che tale proposta contempli anche la tipologia e la entità della sanzione. Né tale sistema appare in contrasto con le disposizioni costituzionali indicate dal ricorrente.

Contenuto sentenza

N. 00802/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00142/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 142 del 2014, proposto da 
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] Barilati, [#OMISSIS#] De Vico, con domicilio eletto presso lo studio [#OMISSIS#] Barilati in -OMISSIS-, via Cairoli, 2/10; 
contro
Universita’ degli Studi di -OMISSIS-, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in -OMISSIS-, v.le B. Partigiane, 2; 
per l’annullamento
1) del decreto rettorale -OMISSIS- avente ad oggetto sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per sei mesi ai sensi degli artt. 87 ed 89 del t.u. approvato con r.d. 31/08/1933, n. 1592, a decorrere dal 01/01/2014 fino al 30/06/2014;
2) deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’Università 13 dicembre 2013
3) di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e conseguenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Universita’ degli Studi di -OMISSIS- e di Rettore Università degli Studi di -OMISSIS- e di Collegio di Disciplina dell’Università di -OMISSIS- e di Consiglio di Amministrazione dell’Università di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 luglio 2021 il dott. [#OMISSIS#] Morbelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il professore -OMISSIS- ha impugnato i provvedimenti in epigrafe.
Con atto del Rettore 11 novembre 2013 n. -OMISSIS- l’Università contestava al ricorrente di avere svolto tra il 2002 e il 2011 una serie di incarichi non rientranti nei compiti e doveri d’ufficio e qualificabili come prestazioni di lavoro autonomo senza autorizzazione.
In data 6 dicembre 2013 si svolgeva l’audizione dinanzi al Collegio di disciplina.
In data 13 dicembre 2013 il Consiglio di amministrazione deliberava in senso conforme al parere del collegio di disciplina.
Il Rettore, con il decreto impugnato in principalità, irrogava al ricorrente la sanzione disciplinare sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per sei mesi, a decorrere dal 01/01/2014 fino al 30/06/2014.
Il ricorso è stato affidato ai seguenti motivi:
1) incompetenza, violazione dell’art. 11, comma 8, dello Statuto dell’Ateneo in quanto il Rettore ha irrogato la sanzione disciplinare;
2) invalidità degli atti impugnati per effetto dell’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, l. 240/10 per contrasto con gli art. 3, 24 e 97 della Costituzione anche in relazione ai principi generali che regolano i procedimenti disciplinari di cui agli artt. 55 e ss. d.lgs. 165/01 e ai principi che regolano l’articolazione tra attività istruttoria e attività decisoria. L’organo competente ad irrogare la sanzione è vincolato al parere del Collegio di disciplina potendo solo conformarsi all’avviso di quest’ultimo o decidere di estinguere il procedimento;
3) invalidità dell’atto di contestazione degli addebiti derivata dall’illegittimità costituzionale degli artt. 87, 88, 89 del rd. 1592 del 1933, per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 97 Costituzione e del principio di legalità anche in relazione alla disciplina di cui agli artt. 55 e ss. d.lgs. 165/01. Gli illeciti disciplinari sono atipici e possono essere ricondotti a diverse sanzioni esclusivamente in forza della loro diversa gravità;
4) violazione e falsa applicazione degli artt. 87, 88, 89 del rd. 1592 del 1933, dell’art. 10, commi 1, 2 e 3 l. 240/10, in relazione all’art. 55 – bis d.lgs. 165/01, tardività, illogicità manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dei principi generali di legalità contraddittorio e giusto procedimento, in subordine invalidità degli atti del Collegio di disciplina per effetto dell’illegittimità costituzionale dell’art. 10 l. 240/10 per violazione degli artt. 3, 24, 97 e 111 Costituzione. Il Collegio di disciplina avrebbe negato al ricorrente l’accesso alla data della relazione della Guardia di finanza allegata alla nota del Dipartimento della funzione pubblica -OMISSIS- da cui è scaturito il procedimento disciplinare nonché la data esatta di comunicazione della nota da parte della presidenza del Consiglio, l’art. 10 l. 240/10 ove ritenuto ostativo all’accoglimento dell’istanza dovrebbe ritenersi incostituzionale;
5) violazione e falsa applicazione degli artt. 87, 88, 89 del rd. 1592 del 1933, dell’art. 10, commi 1, 2 e 3 l. 240/10, in relazione all’art. 55 – bis d.lgs. 165/01, tardività, illogicità manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dei principi generali di legalità contraddittorio e giusto procedimento, violazione dei principi generali di legalità contraddittorio e giusto procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, in subordine invalidità degli atti del Collegio di disciplina per effetto dell’illegittimità costituzionale dell’art. 10 l. 240/10 per violazione degli artt. 3, 24, 97 e 111 Costituzione. Il Collegio di disciplina non ha comunicato al ricorrente il verbale della propria audizione;
6) violazione e falsa applicazione degli artt. 87, 88, 89 del rd. 1592 del 1933, dell’art. 10, commi 1, 2 e 3 l. 240/10, in relazione all’art. 55 – bis d.lgs. 165/01, illogicità manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dei principi generali di legalità contraddittorio e giusto procedimento, violazione dei principi generali di legalità contraddittorio e giusto procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, in subordine invalidità degli atti dell’illegittimità costituzionale dell’art. 10 l. 240/10 per violazione degli artt. 3, 24, 97 e 111 Costituzione. L’atto del Rettore che ha dato avvio al procedimento disciplinare conteneva già la proposta della tipologia e entità della sanzione disciplinare;
violazione e falsa applicazione degli artt. 87, 88, 89 del rd. 1592 del 1933, dell’art. 10, commi 1, 2 e 3 l. 240/10, in relazione all’art. 56, comma 3, d.lgs. 165/01, e dell’art. 11, comma 5, lett. a) d.p.r. 382/80 difetto di presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, disparità di trattamento violazione dei principi generali sui principi disciplinari. Gli incarichi contestati sono tutti anteriori all’atto di contestazione del Rettore 28 settembre 2010, tanto è vero che l’unica fattura del 2011 riguarda un mero rimborso spese, la sanzione inoltre risulta sproporzionata se confrontata con quella di altro docente cui era stato addebitato lo stesso comportamento. Inoltre la sanzione sarebbe sproporzionata sotto vari profili.
Il ricorrente concludeva per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, degli atti impugnati.
Si costituiva in giudizio l’amministrazione intimata.
Con ordinanza -OMISSIS-è stata respinta l’istanza incidentale di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati.
All’udienza pubblica del 21 luglio 2021, celebrata con modalità telematiche, il ricorso è passato in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è rivolto avverso gli atti del procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per mesi sei irrogata nei confronti di un professore universitario per avere svolto attività libero professionale senza darne comunicazione all’Università.
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta che sia stato il Rettore e non il Consiglio di amministrazione a irrogare la sanzione disciplinare.
Il motivo è infondato.
Il Rettore si è limitato a dare esecuzione alla deliberazione del Consiglio di amministrazione onde l’insussistenza del vizio lamentato.
Tanto è vero che dal verbale della seduta 13 novembre 2013 del Consiglio di amministrazione risulta testualmente che il Consiglio di amministrazione “infligge” la sanzione disciplinare.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che, ai sensi dell’art. 10 l. 240/10, la decisione sostanziale sulla responsabilità disciplinare spetti allo stesso organo che ha svolto l’istruttoria cioè il Collegio di disciplina, dovendosi il Consiglio di amministrazione conformare all’avviso espresso dal primo.
Da ciò deriverebbero i vizi di legittimità costituzionale denunciati.
Il motivo è infondato
L’art. 10, comma 4, l. 240/10 stabilisce: “Entro trenta giorni dalla ricezione del parere, il consiglio di amministrazione, senza la rappresentanza degli studenti, infligge la sanzione ovvero dispone l’archiviazione del procedimento, conformemente al parere vincolante espresso dal collegio di disciplina”.
Orbene, contrariamente a quanto paventato dal ricorrente, il Consiglio di amministrazione, non è vincolato alla valutazione del Collegio di disciplina potendo, in caso di disaccordo con quest’ultimo, archiviare il procedimento. Tale soluzione appare molto garantista per l’incolpato in quanto l’archiviazione potrà conseguire in tutti i casi in cui il Consiglio di amministrazione non concordi con la valutazione del Consiglio di disciplina e ciò anche, in ipotesi, ove sussistano mere divergenze in ordine alla tipologia e entità della sanzione irrogata.
I lamentati vizi di illegittimità costituzionale si appalesano, pertanto, infondati.
Con il terzo motivo il ricorrente censura il sistema sanzionatorio disciplinare in quanto le fattispecie sarebbero caratterizzate da atipicità e dalla mancata correlazione univoca con le sanzioni.
Il Collegio rileva come le sanzioni disciplinari previste per i professori universitari siano individuate dall’art. 10, comma 2, l. 240/10 che rinvia al catalogo di cui all’art. 87 r.d. 31 agosto 1933 n. 1592, che a sua volta prevede le seguenti sanzioni disciplinari: censura, la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno, la revocazione, la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni, la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni.
Le fattispecie in presenza delle quali tali sanzioni sono irrogabili sono contemplate dai successivi articoli 88 e 89.
Tali articoli contemplano una serie di ipotesi descritte mediante clausole generali che trovano applicazione in ordine di gravità crescente.
Deve escludersi che la previsione dell’illecito disciplinare mediante clausole generali riferentesi ai doveri di ufficio possa essere considerato costituzionalmente illegittimo.
Da un primo punto di vista la posizione dei professori universitari, facenti parte del pubblico impiego non contrattualizzato, non appare assimilabile al resto del pubblico impiego non contrattualizzato.
Da altro punto di vista la tipizzazione degli illeciti avviene per relationem con riferimento ai doveri d’ufficio quali risultanti dal compendio normativo applicabile a tale categoria di dipendenti pubblici di talchè deve escludersi che la normazione per clausole generali possa essere per ciò solo incostituzionale.
Da ultimo la circostanza che la violazione dei medesimi doveri possa essere sanzionata con sanzioni diverse non sembra configurare un vulnus ai valori costituzionali invocati dal momento che alla concreta irrogazione delle sanzioni presiede il criterio della gravità che, a sua volta, costituisce la estrinsecazione concreta dei principi di imparzialità e proporzionalità che sorreggono l’agere amministrativo il cui mancato rispetto può essere sindacato dal giudice del rapporto.
Nella specie, poi, la violazione contestata al ricorrente non scaturisce da una più o meno attendibile ricostruzione del sistema dei doveri del professore universitario ma dalla violazione di una chiara e univoca disposizione di legge, l’art. 53, comma 7, d.lgs. 165/01.
Ne consegue l’infondatezza del motivo.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che il Collegio di disciplina avrebbe negato al ricorrente l’accesso alla data della relazione della Guardia di finanza allegata alla nota del Dipartimento della funzione pubblica -OMISSIS- da cui è scaturito il procedimento disciplinare nonché la data esatta di comunicazione della nota da parte della presidenza del Consiglio dei ministri.
Il motivo è infondato.
Non è stata negata la conoscenza del contenuto degli atti e nemmeno del momento in cui gli stessi sono stati ricevuti dall’Università ma soltanto della data in cui gli stessi sono stati inviati.
Tale elemento appare del tutto ultroneo e irrilevante ai fini della difesa posto che comunque il termine fondamentale è quello della conoscenza da parte dell’amministrazione di appartenenza dei fatti idonei ad integrare l’illecito disciplinare.
Ciò che si vuol dire è che la posizione dell’incolpato è tutelata da due diversi istituti la decadenza dall’esercizio dell’azione disciplinare che ha come dies a quo quello della conoscenza da parte dell’amministrazione di appartenenza e quello della prescrizione che fa riferimento al momento di commissione del fatto.
Rispetto a queste coordinate la conoscenza della data di invio da parte di altra autorità della notizia di un fatto integrante gli estremi dell’illecito disciplinare non assume alcuna rilevanza.
Ne consegue l’infondatezza del motivo.
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta che il verbale della seduta del Consiglio di disciplina del 6 dicembre 2013 sia stato redatto successivamente alla seduta, non gli sia stato inviato per consentirgli di inserire le proprie dichiarazioni e che non contenga le dichiarazioni del ricorrente e che dallo stesso non sia stato sottoscritto.
Il motivo non è fondato.
In primo luogo la lagnanza relativa al momento di redazione del verbale, che sarebbe stato successivo a quello di celebrazione della seduta, è smentita dal timbro di protocollo apposto al verbale stesso recante la data del 6 dicembre 2013 e il numero di protocollo -OMISSIS-.
Quanto alla mancata comunicazione del verbale al ricorrente e alla mancata sottoscrizione dello stesso, il Collegio rileva come tale incombente non sia previsto dal compendio normativo applicabile alla fattispecie tanto è vero che neppure il ricorrente individua in maniera esplicita le norme che tale incombente prevederebbero.
Quanto al mancato inserimento a verbale delle dichiarazioni dell’incolpato il Collegio rileva come non vi sia prova di tale omissione senza comunque considerare che, trattandosi il verbale di atto pubblico dotato di fede privilegiata, tale contestazione non potrebbe essere fatta valere se non mediante la proposizione di querela di falso.
Il motivo si appalesa, pertanto, infondato.
Con il sesto motivo il ricorrente lamenta che l’atto del Rettore che ha dato avvio al procedimento disciplinare contenesse già la proposta della tipologia e entità della sanzione disciplinare.
A tal riguardo il Collegio osserva come l’art.10, comma 2, l. 240/10 stabilisca: “L’avvio del procedimento disciplinare spetta al rettore che, per ogni fatto che possa dar luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura tra quelle previste dall’articolo 87 del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata proposta”.
Orbene il tenore letterale della norma non preclude al Rettore di formulare una proposta che contenga in sé anche una indicazione in ordine alla tipologia e alla entità della sanzione disciplinare.
Tale particolarità che sembra distonica rispetto alla generalità degli ordinamenti disciplinari in realtà trova giustificazione nella struttura particolarmente garantista che connota il procedimento disciplinare dei professori universitari in cui l’istruttoria è collegiale e la sanzione può essere irrogata soltanto ove vi sia perfetta consonanza tra il Collegio di disciplina e il Consiglio di amministrazione. Tali caratteristiche garantistiche escludono in radice la possibilità di condizionamento da parte del Rettore degli esiti del procedimento disciplinare, di talchè il tenore della disposizione, esprimendosi in termini di proposta motivata, non preclude l’eventualità che tale proposta contempli anche la tipologia e la entità della sanzione.
Né tale sistema appare in contrasto con le disposizioni costituzionali indicate dal ricorrente.
Con l’ultimo motivo il ricorrente contesta il merito del provvedimento disciplinare.
Occorre rammentare, in questa sede, come il ricorrente sia stato sanzionato in sede disciplinare per avere svolto nel decennio antecedente alla contestazione degli addebiti una serie di incarichi senza essere autorizzato dall’Università.
Occorre, altresì, rammentare come il Rettore avesse già nel 2010 chiesto chiarimenti in ordine all’assunzione di incarichi non autorizzati da parte del ricorrente in violazione della disciplina dei docenti a tempo pieno.
In risposta a tale richiesta il ricorrente aveva ammesso di avere svolto sporadici incarichi occasionali di talchè il Rettore aveva disposto di non avviare il procedimento disciplinare.
Successivamente tuttavia, a seguito di informativa della Guardia di finanza, l’Università appurava come il ricorrente, ben lungi dall’avere svolto soltanto gli sporadici incarichi di cui aveva informato il Rettore, aveva svolto una notevole messe di incarichi e dopo il 2009 era anche titolare di partita IVA.
Da qui l’avvio del procedimento disciplinare e la sua conclusione con il provvedimento in oggi avversato.
Ciò premesso, in primo luogo, il ricorrente lamenta una sorta di violazione del ne bis in idem per avere l’Università posto a fondamento della sanzione una serie di episodi anteriori all’atto con cui il Rettore aveva deliberato di non avviare il procedimento disciplinare.
La tesi non è persuasiva.
Il procedimento è stato avviato per una serie di episodi diversi da quelli portati, a suo tempo, alla conoscenza del Rettore. Conseguentemente nessuna [#OMISSIS#] preclusiva poteva avere la decisione di non avviare il procedimento disciplinare posto che tale decisione riguardava fatti diversi da quelli attuali.
I fatti attuali, infatti, erano sconosciuti al Rettore nel momento in cui ha inteso non avviare il procedimento disciplinare.
Esperita questa precisazione anche le successive censure relative alla tipologia ed entità della sanzione disciplinare si appalesano infondate.
Risulta, infatti, che il ricorrente avesse svolto nel periodo 2003 – 2012 ben 31 incarichi in assenza dell’autorizzazione prevista dall’art. 53, comma 7, d.lgs. 165/01; risulta, inoltre, che lo stesso fosse titolare di partita IVA in violazione dell’art. 60 d.p.r. 3/57.
Orbene la quantità e la continuatività degli incarichi, unitamente alla circostanza che il ricorrente fosse titolare di partita IVA rendono la valutazione in ordine alla tipologia e alla entità della sanzione immune dalle censure dedotte, non appalesandosi né illogica né irragionevole.
Peraltro la circostanza che in talune, circoscritte, ipotesi il ricorrente avesse richiesto l’autorizzazione rende evidente come lo stesso fosse perfettamente al corrente dell’obbligo di munirsi di autorizzazione e che verosimilmente tali richieste fossero giustificate dalla necessità di evitare controlli da parte dell’Università.
Da ultimo la circostanza che il ricorrente, in sede di richiesta di chiarimenti nell’anno 2010, avesse taciuto di avere esercitato altri incarichi, costituisce ulteriore elemento a favore della complessiva ragionevolezza e proporzionalità del provvedimento.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’amministrazione resistente, delle spese di giudizio che si liquidano in € 4000, 00 (quattromila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in -OMISSIS- nella camera di consiglio, celebrata con modalità telematiche, del giorno 21 luglio 2021 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Presidente
[#OMISSIS#] Morbelli, Consigliere, Estensore
Angelo Vitali, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
[#OMISSIS#] Morbelli
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#]
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 27/09/2021