L’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017, dichiaratamente volto al superamento del precariato del ceto impiegatizio nelle pubbliche amministrazioni, mal si attaglia ad un settore, quale quello universitario, governato da specifiche regole di reclutamento e di disciplina del rapporto d’impiego, che risultano espressamente ritagliate per tener conto dell’elevato livello di qualificazione richiesta per la copertura dei ruoli, nonché funzionali a scandire il progredire della carriera universitaria in ragione della sussistenza di una serie di presupposti, requisiti e positive verifiche (riguardanti l’attività didattica, la ricerca e più in generale il corredo curriculare).
Pertanto, per quel che rileva ai fini del presente giudizio, la specificità del rapporto d’impiego dei ricercatori universitari a tempo determinato, anche tenuto conto della sua attrazione nell’alveo del pubblico impiego non contrattualizzato, risulta ontologicamente incompatibile con l’applicazione di una misura di tipo sostanzialmente emergenziale, indirizzata alla stabilizzazione del personale precario alle dipendenze dell’Amministrazione in regime di diritto pubblico contrattualizzato.
TAR Lazio, Roma, Sez. III, 14 novembre 2022, n. 14822
Art. 20 del d.lgs. n. 75/2017 - Stabilizzazione dei ricercatori a tempo determinato
N. 14822/2022 REG.PROV.COLL.
N. 08908/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8908 del 2018, proposto da
[#OMISSIS#] Arvigo, rappresentata e difesa dagli avvocati [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Universita’ e della Ricerca, Università degli Studi di Genova, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
della nota prot. n. 0019405 del 28 marzo 2018, recante in oggetto «istanza di attivazione di una procedura di chiamata volta all’assunzione a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 20 del decreto legislativo 25.5.2017, n. 75» (allegato n. 1) per quanto possa occorrere, della circolare n. 3/2017 adottata dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione (allegato n. 2) e per l’accertamento del diritto della ricorrente ad essere [#OMISSIS#] a tempo indeterminato come ricercatrice.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Universita’ degli Studi Genova e di Ministero dell’Universita’ e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 aprile 2022 la dott.ssa Chiara [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La ricorrente, esponendo di aver prestato servizio presso l’Università odierna resistente in qualità di ricercatrice [#OMISSIS#] ai sensi dell’art. 24, comma 3, lett. a), Legge n. 240/2010 per la prevista durata di tre anni (con l’ulteriore proroga biennale) e di essere altresì divenuta successivamente titolare di un assegno di ricerca annuale, proponeva impugnazione avverso la nota di diniego emanata dal medesimo Ateneo in riscontro all’istanza, avanzata dalla ricorrente stessa, di attivazione di una procedura di chiamata volta all’assunzione a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 20, comma 1, d.lgs. n. 75/2017.
1.1. Sul punto riferiva che l’opposto diniego risultava motivato dall’Amministrazione sulla base della considerazione che “… le invocate disposizioni di cui all’art. 20 del decreto legislativo n. 75/2017 non trovano applicazione nei confronti del ricercatore universitario a tempo determinato … In particolare, il medesimo legislatore, all’art. 22, comma 16, del citato decreto legislativo n. 75/2017, ha inserito in maniera inequivocabile, il ricercatore universitario a tempo determinato tra il personale di cui all’art. 3, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001 (professori e ricercatori universitari a tempo indeterminato) il cui rapporto di lavoro, a differenza degli altri lavoratori dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni per i quali si è già detto, [#OMISSIS#] regolato dalla normativa di diritto pubblico vigente”.
2. Il proposto ricorso è affidato a cinque motivi di doglianza.
2.1. Con il primo mezzo di gravame la ricorrente lamenta la violazione di legge per contrasto con l’art. 20, d.lgs. n. 75/2017, assumendo che i ricercatori universitari sarebbero destinatari della misura di stabilizzazione introdotta dalla medesima disposizione normativa quale categoria soggettiva di personale – a tempo determinato – alle dipendenze delle amministrazioni non ricompresa tra le eccezioni espressamente contemplate dalla suddetta previsione (segnatamente, ai commi 9 e 10 del citato articolo 20).
Sostiene al riguardo che l’ulteriore disposizione ex articolo 3, co. 2, d.lgs. n. 165/2001 invocata dall’Ateneo resistente nell’ambito del gravato provvedimento – a supporto della ritenuta esclusione (dalla prevista misura di stabilizzazione) dei rapporti di lavoro in regime di diritto pubblico non contrattualizzato, tra cui quelli inerenti alla figura del ricercatore universitario – risulterebbe inconferente, attesa l’autonomia sul piano logico-giuridico sottesa alla misura introdotta dal richiamato art. 20 d.lgs. n. 75/2017, in ragione della specificità della sua ratio e della conseguente [#OMISSIS#] generalizzata sul piano operativo, non circoscrivibile ai dipendenti pubblici soggetti all’applicazione del d.lgs. n. 165/2001 in quanto integrante un diverso corpus normativo, estraneo alle norme in materia di stabilizzazione del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
La ricorrente contesta, sulla scorta delle medesime argomentazioni, anche la legittimità della circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 3/2017 ove, nel dettare gli indirizzi operativi per l’applicazione dell’art. 20 d.lgs. n. 75/2017, reca la precisazione che “la presente circolare è rivolta alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” e “ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. 165/2001, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: […] il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari, a tempo indeterminato o determinato”, deducendo sul punto che le suddette previsioni (contenute [#OMISSIS#] menzionata circolare ministeriale) non troverebbero alcun fondamento [#OMISSIS#] disposizione normativa di rango [#OMISSIS#].
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, articolato in via subordinata ove si ritenesse la [#OMISSIS#] primaria in considerazione (di cui all’art. 20 d.lgs. n. 75/2017) non applicabile ai ricercatori universitari a tempo determinato, parte ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale di tale previsione, per asserita violazione degli artt. 2, 3, 4, 9 e 33, comma 1, della Costituzione, deducendo – con particolare riferimento ai ricercatori di tipo A – il conseguente depotenziamento della misura introdotta per superare il precariato, in violazione dei principi di ragionevolezza e uguaglianza anche alla luce della posizione asseritamente speculare rivestita dai ricercatori presso gli Enti pubblici di ricerca, viceversa inclusi nel novero dei beneficiari della introdotta misura di stabilizzazione, pure in raffronto [#OMISSIS#] ulteriori precetti costituzionali in materia di tutela del diritto al lavoro e di promozione della ricerca scientifica.
2.3. Con il terzo motivo di doglianza, formulato in via subordinata al pari del superiore motivo, parte ricorrente eccepisce altresì la violazione del diritto europeo e dell’art. 117 della Costituzione per contrasto con gli obblighi derivanti dalla direttiva n. 1999/70/CE, che impone [#OMISSIS#] Stati membri di limitare l’uso dei contratti a tempo determinato e ne vieta l’abuso.
La contestata esclusione dalle previste misure di stabilizzazione, secondo la prospettazione di ricorrente, nel rendere precaria la figura del ricercatore universitario consentirebbe il raggiungimento fino a sessanta mesi della durata dei relativi contratti, per effetto della proroga biennale prevista dalla legge n. 240/2010 (come accaduto nel [#OMISSIS#] della medesima ricorrente), con conseguente violazione del [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di trentasei mesi, fissato dal legislatore interno in recepimento della normativa comunitaria (ai sensi dell’articolo 19, d.lgs. n. 81/2015), operante sia con riferimento al settore privato che con riferimento al settore pubblico.
Sostiene parte ricorrente, nell’articolazione del presente motivo di gravame, che l’espressa esclusione dei “contratti a tempo determinato stipulati ai sensi della legge 30 dicembre 2010, n. 240” dall’ambito di applicazione del citato art. 19 d.lgs. n. 81/2015 (cfr. art. 29, comma 2, lett. d), si porrebbe in contrasto con il diritto europeo e, dunque, tale [#OMISSIS#] dovrebbe essere disapplicata. Prospetta, dunque, la necessità di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ove emergesse la non applicabilità dell’art. 20 d.lgs. n. 75/2017 ai ricercatori universitari a tempo determinato.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso, la parte ricorrente eccepisce l’incostituzionalità dell’art. 24 della legge n. 240/2010 sotto un ulteriore profilo, per violazione dell’art. 9, comma 1, e dell’art. 33, comma 1, Cost., assumendo che l’assenza di stabilità del rapporto di lavoro nel ruolo di ricercatore universitario porrebbe un problema di compatibilità con il principio della “libertà” della scienza.
2.5. Con l’[#OMISSIS#] motivo di doglianza parte ricorrente sostiene che sussisterebbero comunque i presupposti per disporre nel [#OMISSIS#] di specie la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sulla base di una interpretazione del medesimo articolo 20 d.lgs. n. 75/2017 costituzionalmente orientata nonché conforme all’esigenza di salvaguardare l’effetto utile del diritto europeo.
3. Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio per resistere al ricorso, depositando una relazione difensiva proveniente dal Ministero.
4. Con ordinanza n. 5157/2018 la Sezione respingeva l’istanza cautelare avanzata.
5. In vista dell’udienza di merito, parte ricorrente depositava memoria.
6. Con ordinanza n. 1967/2022 la Sezione disponeva il rinvio della trattazione nel merito del ricorso all’udienza pubblica del 20 aprile 2022, prendendo atto dell’istanza avanzata da parte ricorrente [#OMISSIS#] memoria prodotta – di fissazione [#OMISSIS#] medesima data di discussione degli altri ricorsi pendenti innanzi alla Sezione aventi oggetto analogo – e della circostanza ivi rappresentata circa la pendenza innanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea delle cause riunite C-40/20 e C-173/20 (in corso di definizione), instaurate in seguito ai rinvii pregiudiziali disposti dal Consiglio di Stato in casi analoghi a quello per cui è causa.
7. All’udienza pubblica del 20 aprile 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. Il primo motivo di doglianza risulta infondato, ritenendo il Collegio che l’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017 non possa trovare applicazione con riguardo ai ricercatori universitari, per le ragioni nel prosieguo illustrate.
2.1. Il dettato normativo assume, in tal senso, portata dirimente laddove, al secondo comma dell’articolo 3 del d.lgs. n. 165/2001 (recante “Testo Unico in materia di pubblico impiego” – T.U.P.I.), rubricato “Personale in regime di diritto pubblico”, prevede che “il rapporto d’impiego dei professori e dei ricercatori universitari, a tempo indeterminato o determinato [#OMISSIS#] disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che la regoli in modo organico ed in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all’art. 33 della Costituzione ed [#OMISSIS#] articoli 6 e seguenti della Legge 9 [#OMISSIS#] 1989, n° 168, e successive modificazioni ed integrazione, tenuto conto dei principi di cui all’art. 2, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n° 421”.
La disposizione richiamata, infatti, mostra l’intento legislativo di valorizzare la specialità della disciplina che regola il rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari, richiamando espressamente l’esigenza che l’ambito dei predetti rapporti sia governato da una disciplina “specifica”, in coerenza con i principi afferenti all’autonomia universitaria.
L’evidenziata peculiarità, peraltro, è stata presa in considerazione dallo stesso corpo normativo di cui parte ricorrente invoca l’applicazione (ossia, il d.lgs. n. 75/2017), posto che proprio mediante lo stesso (più in particolare, in base a quanto disposto dall’articolo 22, comma 16) è stata apportata un’integrazione al testo dell’articolo 3, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, sopra richiamato, inerente al rapporto d’impiego dei ricercatori universitari, segnatamente rappresentata dall’aggiunta della specificazione “a tempo indeterminato o determinato”.
Alla luce dell’attuale quadro normativo, dunque, tanto il rapporto d’impiego dei ricercatori universitari a tempo indeterminato, quanto quello dei ricercatori universitari a tempo determinato, risultano assoggettati allo specifico regime pubblicistico previsto dall’art. 3, comma 2, T.U.P.I.
È evidente, pertanto, come il Legislatore nell’intervento del 2017 abbia ritenuto di mantenere [#OMISSIS#] l’impostazione originaria in punto di regime afferente ad un rapporto di impiego inteso come peculiare nell’ambito del settore universitario, rispetto al quale non potevano trovare applicazione le straordinarie misure di stabilizzazione volte alla riduzione del precariato, in quanto destinate ad altre categorie di dipendenti e a diversi contesti (contrattuali).
Tale conclusione emerge dall’inequivoco tenore del corpus normativo in considerazione – quale il d.lgs. n. 75/2017 – ove complessivamente inteso, [#OMISSIS#] misura in cui, da un lato, all’articolo 20 introduce le misure di stabilizzazione sopra richiamate, aventi carattere “extra ordinem”, e dall’altro concorre a delimitarne l’ambito di operatività tramite il successivo articolo 22, con il quale risulta sostanzialmente recepito il carattere autonomo della disciplina inerente al personale docente dell’Università, espressamente posto dall’articolo 3, comma 2, T.U.P.I.
D’altronde, la stessa denominazione della rubrica normativa in parola – quale intervento recante “modifiche e integrazioni al d.lgs 30.3.2001, ai sensi degli artt. 16, comma 1 lett. a) e 2, lett. b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7.8.2015, n° 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” – milita nel senso di una piena afferenza e coordinamento tra la disciplina introdotta con il citato d.lgs. n. 75/2017 e l’ambito applicativo (con le correlate esclusioni) delineato dall’impianto complessivo del T.U.P.I., rendendo pleonastico l’esplicito riferimento alla figura del ricercatore universitario a tempo determinato (viceversa preteso nell’ambito della prospettazione di parte ricorrente) all’interno delle categorie esplicitamente escluse dalla stabilizzazione ai sensi del medesimo articolo 20 (commi 9 e 10) del medesimo d.lgs. n. 75/2017.
Sul punto può altresì richiamarsi quanto affermato dal Consiglio di Stato nell’ambito dell’ordinanza della sezione VI n. 240 del 10 gennaio 2020 (di rinvio pregiudiziale alla CGUE), [#OMISSIS#] parte in cui si evidenzia che l’art. 3, comma 2, del T.U.P.I. ha attratto anche il rapporto di lavoro dei ricercatori a tempo determinato al regime di diritto pubblico non contrattualizzato, con la conseguenza che risulta del tutto superfluo escludere espressamente tale categoria di ricercatori dall’ambito di applicazione soggettivo dell’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017, rivolto essenzialmente a regolare le vicende del solo impiego pubblico contrattualizzato.
2.2. Nel contesto delineato, il contenuto della gravata circolare del Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione n. 3/2017 si rivela, dunque, in linea con il dettato normativo laddove, all’articolo 2, annovera tra le categorie escluse dall’applicazione della misura introdotta con l’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017 proprio i professori e i ricercatori universitari.
2.3. Il Collegio ritiene, altresì, che l’interpretazione sul punto accolta sia coerente alla ratio del regime in tema di stabilizzazione del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni posto dall’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017.
La richiamata disposizione normativa, infatti, dichiaratamente volta al superamento del precariato del ceto impiegatizio nelle pubbliche amministrazioni, mal si attaglia ad un settore, quale quello universitario, governato da specifiche regole di reclutamento e di disciplina del rapporto d’impiego, che risultano espressamente ritagliate per tener conto dell’elevato livello di qualificazione richiesta per la copertura dei ruoli, nonché funzionali a scandire il progredire della carriera universitaria in ragione della sussistenza di una serie di presupposti, requisiti e positive verifiche (riguardanti l’attività didattica, la ricerca e più in generale il corredo curriculare).
Pertanto, per quel che rileva ai fini del presente giudizio, la specificità del rapporto d’impiego dei ricercatori universitari a tempo determinato, anche tenuto conto della sua attrazione nell’alveo del pubblico impiego non contrattualizzato, risulta ontologicamente incompatibile con l’applicazione di una misura di tipo sostanzialmente emergenziale, indirizzata alla stabilizzazione del personale precario alle dipendenze dell’Amministrazione in regime di diritto pubblico contrattualizzato.
2.4. Al medesimo risultato ermeneutico concorre, infine, l’evoluzione normativa registratasi con riguardo alla categoria del ricercatore universitario a tempo indeterminato.
Tale figura, infatti, per effetto delle disposizioni contenute [#OMISSIS#] riforma operata con la legge n. 240/2010 – che definisce un peculiare percorso di sviluppo di carriera, volto, per i più meritevoli, all’inquadramento nel ruolo dei professori universitari – è stata indirizzata verso il progressivo esaurimento al fine, da un lato, di valorizzare la connotazione progettuale dell’attività di ricerca e, dall’altro, di scongiurare il possibile svilimento dei connotati afferenti all’alta [#OMISSIS#] scientifica di tali posizioni, che avrebbe potuto verificarsi laddove il Legislatore avesse virato verso una tendenziale contaminazione del rapporto di impiego di tale figura con quello proprio del ceto impiegatizio.
In proposito la Corte costituzionale ha precisato, tra l’altro, che “La riforma del sistema universitario operata con la legge n. 240 del 2010 ha trasformato la figura del ricercatore universitario, introducendo la nuova posizione del ricercatore a contratto a tempo determinato, destinata a sostituire quella del vecchio ricercatore a tempo indeterminato, a suo tempo istituita con l’art. 1, comma 4, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), adottato in attuazione della legge 21 febbraio 1980, n. 28 (Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica). Sulla scia di quanto già anticipato con la legge 4 novembre 2005, n. 230 (Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari), che aveva limitato l’assunzione di ricercatori di questo tipo alla copertura dei posti banditi non oltre il 30 settembre 2013 (art. 1, commi 7 e 22), la riforma del 2010 ne ha definitivamente vietato il reclutamento, stabilendo espressamente che, dalla sua entrata in vigore, per la copertura dei posti di ricercatore le università possono avviare esclusivamente le procedure previste per il reclutamento dei ricercatori a tempo determinato (art. 29, comma 1)” (cfr. Corte Cost., sent. 24 giugno 2020, n. 165).
In senso analogo, il Consiglio di Stato ha sul punto evidenziato che “è corretta la definizione di ruolo ad esaurimento riconoscibile, in base alla [#OMISSIS#] lettura della l. 240/2010, alla categoria dei ricercatori universitari a tempo indeterminato, in quanto, prevedendo pro futuro tal normativa solo il reclutamento di ricercatori a tempo determinato (nei due tipi ‘A’ o ‘B’) e non contemplando più alcuna immissione in ruolo di nuovi ricercatori d’altro tipo, quelli a tempo indeterminato costituiscono ormai (se non expressis verbis, [#OMISSIS#] in base ad una chiara ed agevole interpretazione sistematica) un ruolo appunto ‘ad esaurimento’, che ha così ridefinito la categoria dei ricercatori universitari, indicando in essa il primo gradino (solo a [#OMISSIS#], ai sensi dell’art. 24 della legge n. 240) della docenza universitaria” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord. 10 gennaio 2020, n. 240, cit.).
2.5. Ad ulteriore conforto della conclusione accolta il Collegio osserva altresì che depongono nel senso dell’inapplicabilità dell’articolo 20, comma 1, d.lgs. n. 75/2017 ai ricercatori universitari a tempo determinato di tipo A anche ragioni inerenti ai [#OMISSIS#] di autonomia finanziaria degli Atenei, emergenti dall’apposita disciplina contemplata per la diversa figura dei ricercatori di tipo B.
In proposito, infatti, occorre evidenziare che l’assunzione dei ricercatori di tipo A non comporta alcun impegno di spesa in relazione ad un eventuale mutamento del rapporto di impiego, non essendo previsto che gli stessi possano accedere al ruolo dei professori associati, a differenza di quanto avviene per l’indizione della procedura selettiva per l’assunzione dei ricercatori universitari di tipo B, in occasione della quale le singole Università sono tenute a impegnare specifiche risorse in vista della chiamata a professore associato (come altresì evidenziato in Corte Cost., sent. n. 165/2020, cit.).
La diversità di regime giuridico esistente tra ricercatori universitari di tipo A e quelli di tipo B, in particolare, costituisce espressione della scelta di fondo operata dal Legislatore all’atto della riforma dell’ordinamento delle carriere dei docenti universitari, essendo stata espressamente esclusa la possibilità di indire procedure di assunzione di personale docente a tempo indeterminato diverse da quelle previste dalla legge n. 240/2010. Ciò, invero, è stato evidenziato anche dalla Corte costituzionale che, sul punto, ha affermato come “l’impostazione di fondo è che, nel sistema a regime, solo due sono le posizioni di ruolo a tempo indeterminato, quella di professore associato e quella di professore ordinario, a ciascuna delle quali si accede per una procedura a doppio stadio, in cui entrambi i passaggi si svolgono in concorrenza e sono aperti a tutti coloro che siano in possesso dei requisiti previsti” (C. cost., sent. n. 165/2020, cit.).
2.6. Il primo motivo di ricorso risulta, pertanto, infondato.
3. Anche il secondo motivo di doglianza unitamente al quarto mezzo di gravame – suscettibili di disamina congiunta in quanto involgenti [#OMISSIS#] parzialmente coincidenti ovvero strettamente connessi sul piano logico-giuridico – non appaiono meritevoli di accoglimento.
3.1. Al riguardo si rivela, innanzitutto, manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale laddove censura l’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017 per asserita violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza in ragione della esclusione dei ricercatori universitari a tempo determinato dalle previste misure di stabilizzazione.
In proposito, il Collegio evidenzia come sia [#OMISSIS#] l’orientamento della giurisprudenza costituzionale nel ritenere che la violazione del principio di uguaglianza possa ricorrere solo laddove situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ma non anche quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni tra loro non assimilabili (cfr., ex plurimis, Corte Cost., sentenze n. 85/2020, n. 155/2014, n. 108/2006, n. 340/2004 e n. 136/2004).
Sul punto, oltre alle considerazioni già svolte in occasione della disamina del primo motivo di gravame, è dirimente considerare – con riferimento alle differenti determinazioni assunte dal Legislatore con riguardo alla posizione, invocata nell’articolazione del motivo di gravame, del personale inquadrato nel profilo di “ricercatore” presso gli enti pubblici di ricerca – che, come evidenziato nell’ambito della richiamata ordinanza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 240/2020, “al di là dell’omonimia, le due categorie sono differenti e non sovrapponibili tra loro, sia per la diversità dei compiti che svolgono (i ricercatori di detti Enti, a differenza di quelli universitari, non sono istituzionalmente investiti di compiti didattici), sia per il diverso regime giuridico di riferimento (essendo i ricercatori degli Enti stessi destinatari d’una disciplina ad hoc e compresi tra i dipendenti pubblici ‘contrattualizzati)”.
Pertanto, il percorso di graduale stabilizzazione contemplato dall’art. 1, comma 668, della legge n. 205/2017 per il personale ricercatore operante negli enti pubblici di ricerca (di cui al d.lgs. n. 218/2016) non appare idoneo ad integrare alcuna irragionevole disparità di trattamento rispetto alla figura dei ricercatori universitari (a tempo determinato), in ragione del fatto che – oltre all’elemento discretivo, sopra evidenziato, rappresentato dalla contrattualizzazione o meno del relativo rapporto – differenti sono le modalità di reclutamento e i [#OMISSIS#] di inquadramento e considerato, in ogni [#OMISSIS#], che nell’ipotesi del menzionato personale operante presso gli enti pubblici di ricerca viene in rilievo una “… categoria … non ammessa all’accesso, se non eventualmente dall’esterno, ai ruoli dei professori di prima e seconda fascia degli Atenei” (in tal senso, cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, sent. 18 febbraio 2022, n. 267).
Quanto all’evidenziata diversità delle categorie di personale in base alla circostanza rappresentata dalla contrattualizzazione o meno del relativo regime, la giurisprudenza costituzionale ha ulteriormente precisato che “… lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere in tutto e per tutto assimilati (sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in seguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. La medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale. Tale eterogeneità preclude ogni plausibile valutazione comparativa sul versante dell’art. 3 primo comma Cost. e risalta ancor più netta in ragione dell’irriducibile specificità di taluni settori (forze armate, personale della magistratura), non governati dalla logica del contratto […]” (cfr. Corte Cost., sent. 23 luglio 2015, n. 178).
3.2. Si palesano, inoltre, manifestamente infondati anche i richiami alla presunta violazione, da parte della normativa in esame, dei precetti costituzionali contenuti [#OMISSIS#] artt. 4, 9 e 33 Cost.
In proposito, nel rinviare alle precedenti considerazioni esposte, si evidenzia altresì come la previsione di un percorso di carriera universitaria che contempli una prima fase basata su un rapporto a tempo determinato di durata prefissata non possa rivelarsi in grado di minare alcuno dei valori costituzionali invocati, anche in ragione del fatto che tale scelta legislativa deve necessariamente essere analizzata all’interno del più ampio quadro sistematico inerente alle modalità di accesso alle posizioni di ruolo a tempo indeterminato, come chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost., sent. 24 giugno 2020, n. 165, cit.).
3.2.1. Il Collegio, in particolare, non ritiene sussistere alcuna violazione dell’art. 4 della Costituzione in quanto tale disposizione, come riconosciuto in termini univoci dalla giurisprudenza costituzionale sul punto maturata, “… non garantisce a ciascun cittadino il diritto al conseguimento di un’occupazione (il che è reso evidente dal ricordato indirizzo politico imposto allo Stato, giustificato dall’esistenza di una situazione economica insufficiente al lavoro per tutti, e perciò da modificare), così non garantisce il diritto alla conservazione del lavoro, che nel primo dovrebbe trovare il suo logico e necessario presupposto” (in tal senso, cfr. Corte Cost., sent. 9 giugno 1965, n. 45).
In proposito, la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto occasione di precisare che “[#OMISSIS#] affidata alla discrezionalità del legislatore la scelta dei modi e dei tempi di attuazione della garanzia del diritto al lavoro” (cfr. Corte Cost. sent. n. 303/2011 e sent. n. 419/2000).
Osserva, inoltre, il Collegio che la concreta attuazione del diritto al lavoro ben può esplicarsi anche per il tramite della stipula di contratti a tempo determinato, laddove di essi non si abusi; nel [#OMISSIS#] di specie, come chiarito dalla recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, il regime giuridico interno del rapporto d’impiego dei ricercatori universitari, tanto di tipo A, quanto di tipo B, non presenta alcun carattere abusivo e, per questo, risulta pienamente legittimo il ricorso [#OMISSIS#] stessi, non ravvisandosi sul punto alcun contrasto con il diritto eurounitario (in tal senso, cfr. CGUE, sent. 3 giugno 2021, C-326/19).
3.2.2. Il Collegio neppure ritiene fondata la prospettata questione di legittimità in relazione [#OMISSIS#] articoli 9 e 33 della Costituzione, in quanto dalle invocate previsioni costituzionali, inerenti alla promozione della ricerca scientifica e alla [#OMISSIS#] esplicazione della relativa attività, non può farsi discendere il diritto dei ricercatori universitari a tempo determinato alla stabilizzazione del proprio rapporto d’impiego.
Inoltre, è stato chiarito in sede giurisprudenziale che non può ravvisarsi alcun profilo di incompatibilità tra la natura subordinata del rapporto di lavoro dei ricercatori universitari e i principi costituzionali che garantiscono la cultura, la ricerca e la libertà di insegnamento.
In particolare, nell’ambito di pronunciamenti resi su contestazioni di analogo tenore è stato affermato che “Da un lato … l’assoggettamento ad un potere direttivo non implica necessariamente una diretta ingerenza sul contenuto dell’insegnamento e sugli obiettivi di ricerca. Al contempo, la natura ‘a [#OMISSIS#]’ dell’incarico di ricercatore si esplica pur sempre all’interno di un orizzonte temporale (tre anni, prorogabili ad altri due) senz’altro compatibile con l’attività di ricerca scientifica e le sue tempistiche” (in tal senso, cfr. TAR Friuli-[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], sez. I, sent. 17 novembre 2021, n. 342).
4. Anche il terzo motivo di doglianza risulta infondato, unitamente al [#OMISSIS#] motivo suscettibile di esame congiunto in ragione della parziale coincidenza ovvero della stretta connessione sul piano logico e giuridico.
4.1. Sul punto giova evidenziare in via preliminare che le pertinenti disposizioni della Legge n. 240/2010, sopra richiamate, sono finalizzate a contenere entro un limite [#OMISSIS#] il precariato accademico [[#OMISSIS#] specie, 5 anni (3 + altri 2 eventuali di proroga) [#OMISSIS#] fascia A + altri 3 non prorogabili [#OMISSIS#] fascia B] e [#OMISSIS#] restando comunque la possibilità di accedere, previo conseguimento del prerequisito obbligatorio dell’abilitazione scientifica nazionale, al ruolo di professore di prima e di seconda fascia mediante concorsi indetti dagli atenei con procedura aperta ex art. 18 della medesima L. n. 240/2010.
4.2. Ciò posto, va quindi escluso che, [#OMISSIS#] prassi, le Università possano “abusare” dei contratti a tempo determinato di tipo “A”, in violazione della disciplina eurounitaria (direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999) attuata dagli artt. 1 e 6 del D. Lgs. 6/9/2001, n. 368, tenuto conto che in relazione a tale tipologia di contratto è prevista la possibilità di un’unica proroga biennale.
Tale conclusione risulta coerente con le considerazioni espresse nell’ambito della recente pronuncia della Corte di Giustizia (CGUE, sent. 3 giugno 2021, C-326/19) intervenuta sul tema, la quale ha chiarito che la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato in allegato alla direttiva 1999/70/CE deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo [#OMISSIS#] di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse “per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio [#OMISSIS#] studenti”, e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla “positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte”, concludendo la medesima Corte che la normativa nazionale riguardante i ricercatori universitari sul punto contiene due delle misure indicate alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, ossia limiti riguardanti la durata massima totale dei contratti a tempo determinato e il numero di possibili rinnovi.
5. Conclusivamente, per le ragioni illustrate il ricorso proposto va respinto in quanto infondato.
6. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti delle altre parti costituite che liquida forfetariamente [#OMISSIS#] misura complessiva di euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 20 aprile 2022 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]
Chiara [#OMISSIS#], Referendario, Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario
Pubblicato il 14/11/2022