I contratti e gli assegni rilevanti ai fini del computo del termine di cui all’art. 22, comma 3, della legge n. 240 del 2010, sono soltanto quelli previsti dalla medesima Legge Gelmini. Ciò sulla base del chiaro tenore testuale della disposizione, che fa espresso riferimento ai soli rapporti disciplinati dall’art. 22 medesimo – mediante il richiamo ai “rapporti instaurati ai sensi del presente articolo” – senza quindi estendersi a tipologie differenti disciplinate da leggi diverse.
L’univocità del dato letterale e l’assenza di profili di oscurità della littera legis, non consente, invero, di giungere a diverse conclusioni che possano legittimare l’inclusione, nel computo della durata complessiva dei contratti, dei rapporti disciplinati dalla normativa previgente rispetto alla riforma del 2010, che postulerebbero un’operazione ermeneutica contraria ai criteri previsti dall’art. 12 delle preleggi, giacché si dovrebbe obliterare il senso letterale della norma ed il rinvio operato dal legislatore ai contratti di cui al medesimo articolo, senza peraltro che sussistano ambiguità del testo.
TAR Lazio, Roma, Sez. III ter, 10 ottobre 2022, n. 12873
Limite dei 12 anni - art. 22 della Legge Gelmini
N. 12873/2022 REG.PROV.COLL.
N. 09812/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 9812 del 2022, proposto da
[#OMISSIS#] Pegna, rappresentato e difeso dagli avvocati [#OMISSIS#] Macciotta, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
previa adozione di misura cautelare anche [#OMISSIS#] forma del decreto presidenziale inaudita [#OMISSIS#] parte
– della deliberazione n. 13184 del 23.06.2022 dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – [#OMISSIS#] Esecutiva avente ad oggetto “deliberazione n. 13142 del 18 [#OMISSIS#] 2022, annullamento approvazione graduatoria bando n. 24109/2022, assegno per la collaborazione all’attività di ricerca sezione di Pisa”;
– di ogni altro atto presupposto, prodromico, consequenziale e/o connesso;
e per ottenere
– l’accertamento dell’obbligo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di procedere alla firma del contratto di conferimento al dott. [#OMISSIS#] Pegna dell’assegno di ricerca di cui al Bando n. 24109/2022 dell’11 febbraio 2022.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Istituto Nazionale di Fisica Nucleare;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 5 ottobre 2022 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
1 -Espone in fatto l’odierno ricorrente di essere risultato vincitore del concorso pubblico per titoli ed esame colloquio per il conferimento di un assegno di ricerca Senior Fascia 3 per la collaborazione ad attività di ricerca scientifica, da usufruire presso la Sezione di Pisa dell’I.N.F.N., della durata di 12 mesi ed importo annuo lordo di € 31.213,48.
Sulla base dell’esito del concorso, avente come unico partecipante il ricorrente, l’incarico è stato a questi conferito con delibera della [#OMISSIS#] Esecutiva n. 13142 del 18 [#OMISSIS#] 2022.
Tale assegnazione è stata annullata con successiva deliberazione n. 13184 del 23 giugno 2022 – gravata con il ricorso in esame – [#OMISSIS#] considerazione che il vincitore avesse già fruito del periodo complessivo di contratto per assegno di ricerca di sei anni e, stante l’assenza di candidati idonei, avendo partecipato al concorso solo il ricorrente, la somma stanziata è stata riassegnata su altri fondi.
Avverso tale provvedimento deduce parte ricorrente il seguente motivo di censura:
– Violazione della legge n. 240 del 2010.
Sostiene parte ricorrente che, ai fini del computo della durata massima complessiva di 6 anni di contratti per assegno di ricerca, di cui all’art. 22, comma 23, della legge n. 240 del 2010 – come modificato dall’art. 6, comma 2 bis del decreto-legge n. 192 del 2014, che ha prorogato la durata da 4 a 6 anni – non debba tenersi conto della fruizione di assegni di ricerca conferiti precedentemente all’entrata in vigore della legge stessa, con la conseguenza che gli anni di ricerca del ricorrente computabili sarebbero cinque su un totale di nove anni, inferiori quindi al [#OMISSIS#] consentito, richiamando al riguardo lo specifico precedente in termini di questa Sezione di cui alla sentenza n. 9337 del 2022.
Con decreto monocratico n. 5428 del 26 agosto 2022 è stata rigettata l’istanza cautelare proposta ai sensi dell’art. 56 c.p.a.
Si è costituito in resistenza l’intimato Istituto dapprima con formula di rito, e successivamente depositando – solo in data 4 ottobre 2022, alle ore 19,30 – articolata memoria difensiva volta a sostenere l’inammissibilità ed infondatezza dell’azione.
Alla [#OMISSIS#] di consiglio del 5 ottobre 2022 la causa è stata chiamata e, dato avviso della possibile definizione del giudizio ai sensi dell’art. 60 c.p.a, trattenuta per la decisione, come da verbale.
2 – Come sopra dato atto dell’oggetto del giudizio, la decisione verte su di un’unica questione giuridica, inerente l’individuazione della tipologia di assegni di ricerca che possono essere considerati ai fini del raggiungimento del periodo [#OMISSIS#] di anni indicati dall’art. 22, comma 3, della legge n. 240 del 2010, ai sensi del quale “La durata complessiva dei rapporti instaurati ai sensi del presente articolo, compresi gli eventuali rinnovi, non può comunque essere superiore a quattro anni”, come modificato dall’art. 6, comma 2 bis del decreto-legge n. 192 del 2014, che ha prorogato tale durata da 4 a 6 anni.
Il ricorrente ha maturato un periodo complessivo di nove anni di assegni di ricerca, di cui solo cinque inerenti conferimenti avvenuti [#OMISSIS#] vigenza della legge n. 240 del 2010.
Le tesi che si fronteggiano mirano – sul versante di parte ricorrente – a ritenere la computabilità dei soli assegni conferiti ai sensi della legge n. 240 del 2010 e, quindi, sotto la vigenza delle relative disposizioni, mentre la resistente Amministrazione – la cui memoria è stata tardivamente depositata e di cui comunque il Collegio ritiene di dover tenere conto, non comportando ciò alcuna lesione del diritto di difesa del ricorrente e del contraddittorio, stante l’infondatezza delle argomentazioni ivi spese – sostiene la computabilità di tutti gli assegni di ricerca fruiti, ivi compresi quelli conferiti ai sensi della previgente legge n. 449 del 1997.
Tanto premesso, ritiene il Collegio che i contratti e gli assegni rilevanti ai fini del computo del [#OMISSIS#] di cui all’art. 22, comma 3, della legge n. 240 del 2010, siano soltanto quelli previsti dalla medesima Legge [#OMISSIS#].
Ciò sulla base del chiaro tenore testuale della disposizione, che fa espresso riferimento ai soli rapporti disciplinati dall’art. 22 medesimo – mediante il richiamo ai “rapporti instaurati ai sensi del presente articolo” – senza quindi estendersi a tipologie differenti disciplinate da leggi diverse.
Ribadendo quando già affermato [#OMISSIS#] sentenza della Sezione n. 9337 del 7 luglio 2022, l’univocità del dato letterale e l’assenza di [#OMISSIS#] di oscurità della littera legis, con consente, invero, di giungere a diverse conclusioni che possano legittimare l’inclusione, nel computo della durata complessiva dei contratti, dei rapporti disciplinati dalla normativa previgente rispetto alla riforma del 2010, che postulerebbero un’operazione ermeneutica contraria ai criteri previsti dall’art. 12 delle preleggi, giacché si dovrebbe obliterare il senso letterale della [#OMISSIS#] ed il rinvio operato dal legislatore ai contratti di cui al medesimo articolo, senza peraltro che sussistano ambiguità del testo.
Ne consegue che l’avvenuta inclusione, ad opera del resistente Istituto, dei periodi di contratto disciplinati dalla precedente normativa ai fini del computo del periodo [#OMISSIS#] previsto, risulta essere in contrasto con l’interpretazione letterale della [#OMISSIS#], risultando, inoltre, poco coerente, sotto il profilo sistematico, con la volontà sottesa alla riforma del 2010 di ridisegnare l’assetto complessivo dei rapporti fra Università e personale accademico e con le differenze di disciplina intercorrenti fra le tipologie di assegno previste dalla [#OMISSIS#] e dalla nuova disciplina, sia quanto a durata che compensi. Elementi, questi, che consentono di escludere che l’art. 22, comma 3, della legge n. 240 del 2010 abbia inteso riferirsi indiscriminatamente [#OMISSIS#] assegni disciplinati dalla stessa legge e dalla normativa previgente, anziché soltanto ai primi.
Inoltre, ad ulteriore conferma, si richiama quanto affermato da Tar Sicilia, Catania, sez. I, 10 giugno 2019, n. 1413, laddove fa riferimento alla “Circolare n. 583 del 2011 (che) specifica che nel limite [#OMISSIS#] (4 anni) non devono essere ricompresi gli anni da assegnista svolti ai sensi della precedente normativa (art. 51, comma 6, della legge n.449/1997) e che nel limite [#OMISSIS#] dei 12 anni devono essere conteggiati: il periodo di assegno di ricerca, ai sensi dell’art.22, il periodo di ricercatore a tempo determinato di cui all’art.24, comma 3, lettera a), il periodo di ricercatore a tempo determinato di cui all’art.24, comma 3, lettera b)”.
Né, a diversamente ritenere, può condurre la suggerita – da parte resistente – continuità logica e normativa delle due discipline ed unitarietà della nozione di assegno di ricerca, che dovrebbero condurre al computo di tutti gli anni di assegno fruiti, ivi compresi quelli stipulati ai sensi della previgente disciplina.
La chiara disposizione letterale della [#OMISSIS#] impedisce già di per sé il ricorso a criteri diversi, ulteriori ed integrativi che conducano ad assegnare un significato e una portata diversi da quelli emergenti chiaramente dalla [#OMISSIS#], non potendo – ai sensi dell’art. 12 delle preleggi del codice civile – attribuirsi alla legge altro senso che quello palesato dal significato proprio delle parole che formano la [#OMISSIS#] secondo la loro connessione, in quanto idoneo a palesare l’intenzione del legislatore.
Non vi è, inoltre, identità, quanto a durata e requisiti di accesso, tra la [#OMISSIS#] e nuova disciplina, mentre lo scopo di evitare l’abuso dello strumento dell’assegno che potrebbe creare ostacoli alla stabilizzazione lavorativa dei ricercatori era presente sin dalla legge n. 499 del 1997, che anch’essa prevedeva specifici, ma diversi, limiti temporali, e trattasi comunque di elemento di interpretazione suppletivo non utilizzabile a fronte del riferimento espresso – contenuto nell’art. 22 in esame – [#OMISSIS#] “assegni di cui al presente articolo”.
Aggiungasi che l’interpretazione letterale appare rispondente, altresì, alle esigenze di certezza in ordine all’assetto giuridico e alle connesse esigenze di prevedibilità delle conseguenze che possono scaturire da determinati fatti o circostanze.
In ossequio, inoltre, all’art. 11 delle preleggi, al fine di poter computare anche gli assegni di ricerca fruiti sotto la previgente disciplina sarebbe stata necessaria una previsione espressa volta ad attrarli nel conteggio della durata complessiva, [#OMISSIS#] specie assente, a fronte della chiara indicazione del perimetro degli assegni di ricerca considerabili.
Invero, se dovessero farsi rientrare nel computo della durata massima del periodo degli assegni anche quelli fruiti [#OMISSIS#] vigenza della precedente normativa, i soggetti che abbiano già maturato sei anni di assegni ante riforma si troverebbero preclusa in radice la possibilità di fruire di ulteriori assegni senza che gli stessi, al momento del conferimento dei relativi incarichi, fossero in grado di prevederne le conseguenze e di assumere le relative determinazioni, regolando i propri comportamenti al fine di non incorrere in tale preclusione.
Né la valutazione, ai sensi dell’art. 24 della legge n. 240 del 2010, degli assegni conferiti ai sensi dell’art. 51, comma 6, della legge n. 499 del 1997 quale requisito di accesso per la figura di ricercatore di tipo B-senior, comporta – nell’ambito di un’operazione ermeneutica – che tali assegni debbano essere valutati anche ai fini del computo del periodo [#OMISSIS#], venendo in rilievo, [#OMISSIS#] prima ipotesi, una previsione espressa che richiama la previgente disciplina, invece assente nell’art. 22.
A meri fini di completezza, deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di parte resistente circa la tardività della proposta azione – sollevata con memoria tardiva, il cui esame tuttavia non pregiudica le garanzie difensive di parte ricorrente – in quanto nessun onere di immediata impugnazione del bando è ravvisabile [#OMISSIS#] fattispecie in esame, non essendovi [#OMISSIS#] stesso alcuna specificazione in ordine alle modalità di computo del periodo [#OMISSIS#], tanto che il ricorrente è stato inizialmente destinatario del conferimento dell’assegno di ricerca, poi annullato in autotutela con il gravato provvedimento, dal quale unicamente discende la lesione idonea a radicare l’interesse all’impugnazione.
Alla luce dei suesposti principi, deve quindi ritenersi che il ricorrente non abbia superato, alla data del bando, il periodo [#OMISSIS#] di 6 anni di contratti per assegno di ricerca disciplinati dalla legge n. 240 del 2010, e, contrariamente a quanto affermato nel gravato provvedimento, possiede i requisiti di cui al bando, con la conseguenza che l’originaria delibera di conferimento dell’assegno di ricerca non risulta affetta da alcun vizio suscettibile di giustificare l’autotutela esercitata ed in questa sede contestata.
Ne discende che il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della gravata determinazione e riviviscenza della originaria delibera n. 13142 del 18 [#OMISSIS#] 2022 di conferimento dell’assegno.
Deve, invece, essere rigettata la domanda volta ad ottenere l’accertamento dell’obbligo dell’Istituto resistente di procedere alla firma del contratto di conferimento dell’assegno di ricerca, in quanto inammissibilmente proposta nell’ambito di un giudizio di legittimità non coinvolgente posizioni di diritto soggettivo e da cui discendono solo effetti caducatori e conformativi, pienamente idonei a garantire la piena tutela della posizione giuridica sostanziale del ricorrente.
Stante la peculiarità della vicenda e la novità della questione all’epoca dell’adozione del gravato provvedimento, le spese possono essere equamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Roma – Sezione Terza Ter
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il gravato provvedimento.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 5 ottobre 2022 con l’intervento dei magistrati:
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#], Estensore
[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere
[#OMISSIS#] Belfiori, Referendario
Pubblicato il 10/10/2022