Consiglio di Stato, Sez. VII, 20 marzo 2023, n. 2819

Mancata erogazione delle somme corrispondenti agli aumenti dovuti per le progressioni di carriera e di adeguamento retributivo

Data Documento: 2023-03-21
Autorità Emanante: Consiglio di Stato
Area: Giurisprudenza
Massima

Con riferimento al triennio 2011-2013, la mancata erogazione delle somme corrispondenti agli aumenti dovuti per le progressioni di carriera e di adeguamento retributivo è stata ritenuta espressamente ragionevole e conforme ai parametri costituzionali già oggetto di scrutinio, con riguardo specifico ai docenti universitari, dalla Corte Costituzionale con sentenza 310/2013; per il biennio successivo e sulla base dei principi evincibili dalle decisioni della stessa Corte Costituzionale, è da escludere la non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità, prospettate in questo giudizio.
La mancata erogazione degli aumenti, cui i docenti avrebbero avuto diritto secondo le norme previgenti al d.l. n 78/2010 e successive proroghe, risulta dunque espressione di una legittima scelta del legislatore, operata all’esito della delicata opera di contemperamento tra le diverse esigenze, pubbliche e private, in gioco, senza che dalla pur complessa disciplina esaminata emerga alcuna base normativa per la quale tali somme, “legittimamente” non erogate in virtù di quella scelta, dovrebbero invece essere considerate ai fini previdenziali e pensionistici e quale base di ricalcolo per l’erogazione di ogni componente del complessivo trattamento retributivo per gli anni a venire, come se fossero state effettivamente corrisposte, venendosi a configurare in questo modo, una sorta di “emolumento figurativo”, che però, come osservato, non può derivare da una interpretazione forzata dell’ordito normativo, ma da una specifica previsione positiva, allo stato insussistente.

Contenuto sentenza

Pubblicato il 20/03/2023
N. 02819/2023REG.PROV.COLL.
N. 03213/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3213 del 2019, proposto da
[#OMISSIS#] Avallone, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] Cristinziano, [#OMISSIS#] Petruccelli, [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#] Rinauro, [#OMISSIS#] Saliani, [#OMISSIS#] Vitolo, rappresentati e difesi dagli avvocati [#OMISSIS#] Motta e [#OMISSIS#] Scuderi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. [#OMISSIS#] Scuderi in Roma, via Stoppani Numero 1

contro

Ministero dell’università e della ricerca, Ministero dell’economia e delle finanze e Università degli studi della Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata n. 650/2018 del 6 ottobre 2018

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’università e della ricerca, del Ministero dell’economia e delle finanze e dell’Università degli studi della Basilicata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza straordinaria del giorno 3 febbraio 2023 – svoltasi in videoconferenza ai sensi dell’art. 87 comma 4bis c.p.a., il consigliere [#OMISSIS#] Fratamico e udito l’avvocato [#OMISSIS#] Motta per parte appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

 

FATTO e DIRITTO

Gli appellanti hanno chiesto l’annullamento e/o la riforma della sentenza del T.a.r. per la Basilicata n. 650 del 6 ottobre 2018 di rigetto del ricorso proposto in primo grado per l’accertamento del diritto soggettivo alla progressione economica per gli anni 2011, 2012, 2013 2014 e 2015 ai sensi degli artt. 36 e 38 del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382 e dell’art. 8 della l. 30 dicembre 2010 n. 240 e per la condanna delle amministrazioni intimate al pagamento in loro favore dei relativi importi e, in via subordinata, per ottenere l’adeguamento retributivo mediante progressione economica a partire dal 1° gennaio 2014 tenendo quale base iniziale di ricalcolo quanto avrebbe dovuto essere corrisposto loro in applicazione dell’art. 9 n. 21 del d.l. n. 78/2010.

A sostegno della loro impugnazione gli appellanti hanno dedotto i seguenti motivi: 1) erroneità della declaratoria di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’economia e delle finanze al giudizio; 2) erronea qualificazione della domanda, omessa pronuncia e mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; 3) rilevanza della questione di costituzionalità per lesione delle norme interposte di cui alla Convenzione CEDU; 4) errato convincimento del [#OMISSIS#] di primo grado circa l’esistenza del giudicato costituzionale sul mancato “ricalcolo figurativo”; 5) errata esclusione della possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di cui al comma 21 dell’art. 9 del d.l. n. 78/2010; 6) errata lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 310 del 2013, incoerenza delle “proroghe del blocco” attuate con le disposizioni di cui al comma 1 lettera a) del d.P.R. 4 settembre 2013 fino al 31 dicembre 2014 e al comma 256 dell’art. 1 della l. 23 dicembre 2014 n. 190 sino al 31 dicembre 2015 e mancato ricalcolo “al piede di ripartenza” degli importi rimasti sottratti dai diritti all’adeguamento retributivo e dagli scatti di anzianità; 7) violazione degli artt. 3, 36 e 53 della Costituzione; 8) errata interpretazione degli effetti della l. 27 dicembre 2017 n. 205.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’università, il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Università degli studi della Basilicata, chiedendo il rigetto dell’appello, in quanto infondato.

All’udienza pubblica di smaltimento del 3 febbraio 2023 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

Gli odierni appellanti, tutti docenti universitari nel ruolo di ricercatori o professori di prima e seconda fascia, hanno lamentato l’erroneità della sentenza impugnata, in primo luogo in relazione all’accoglimento da parte del T.a.r. dell’eccezione di difetto di legittimazione del Ministero dell’economia e delle finanze, che non avrebbe tenuto conto del fatto che il ripristino delle corrette retribuzioni a seguito del risparmio di spesa imposto dal legislatore – che aveva avvantaggiato le finanze pubbliche nel loro complesso – avrebbe necessitato del concorso di tutte le amministrazioni intimate.

Gli appellanti hanno, poi, dedotto che la loro domanda principale non fosse, come interpretato dal [#OMISSIS#] di prime cure, volta al “recupero o rimborso netto” di quanto era stato già oggetto di prelievo materiale dai trattamenti di docenza universitaria per effetto del blocco triennale dei meccanismi di adeguamento retributivo, “essendo quelle somme già trattenute per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 310/2013…”, quanto piuttosto alla “verifica dell’esistenza e della conformità a costituzione di quelle diverse e mai scrutinate disposizioni, contenute secondo l’amministrazione [#OMISSIS#] disciplina relativa al blocco della progressione economica e degli scatti di anzianità, che esoneravano l’amministrazione stessa dal ricalcolo figurativo al piede di ripartenza del blocco degli importi rimasti medio tempore sottratti …(per evitare che gli effetti si protraessero per l’intera carriera del docente)”.

Gli appellanti hanno, quindi, riproposto la richiesta di rimessione alla Corte costituzionale della questione relativa all’art. 9 nn. 1 e 21 del d.l. n. 78 del 2010 per violazione delle norme interposte degli artt. 1 protocollo 1 e 14 della CEDU, apparendo il sacrificio di sottrarre in via definitiva dalla base delle retribuzioni dei docenti le somme “risparmiate” dall’amministrazione per effetto del blocco del triennio 2011-2013 del tutto sproporzionato ed incongruo, nonché contrario ai principi affermati dalla Corte EDU a tutela dei diritti fondamentali tra i quali anche la proprietà dei beni.

Il T.a.r. avrebbe errato anche nel ritenere “non percorribile la via di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di cui al ventunesimo comma dell’art. 9 del d.l. 78/2010” che consentisse di utilizzare per l’adeguamento “a partire dal 1 gennaio 2014 e sino al momento della pronuncia…quale base iniziale di ricalcolo … quanto si sarebbe dovuto corrispondere negli anni dal 2011 al 31 dicembre 2013…”, non valutando con la dovuta attenzione la circostanza per la quale “posto che le detrazioni economiche subite dai docenti universitari nel triennio in questione (avevano) comportato un’effettiva economia per la spesa pubblica né (erano) mai state rimborsate, il ricalcolo di cui si discute non (avrebbe comportato) alcun rimborso, in perfetta coerenza con il dettame di cui alla pronuncia (della Corte costituzionale) per la quale << la scelta del legislatore è stata quella di realizzare una economia di spesa e non un semplice rinvio della stessa, come si verificherebbe se i tagli fossero recuperabili…>>”.

I principi di eccezionalità e transitorietà, nonché di limitazione temporale dei sacrifici evidenziati dalla Corte costituzionale [#OMISSIS#] sentenza n. 310 del 2013 avrebbero, dunque, secondo gli odierni appellanti, dovuto condurre a reputare contrarie alla Costituzione sia le proroghe del blocco degli adeguamenti, sia le disposizioni legislative che fossero andate comunque ad incidere, come quelle in questione, in modo definitivo su diritti soggettivi perfetti, imponendo ingiusti ritardi [#OMISSIS#] carriera dei docenti, non riequilibrati neppure dalle modifiche [#OMISSIS#] scatti stipendiali previste dalla “legge di [#OMISSIS#]” del 27 dicembre 2017 n. 205.

Tali censure non sono fondate e devono essere rigettate.

Condivisibile risulta, in primo luogo, il riconoscimento da parte del T.a.r. dell’estraneità al presente giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze (che non ha adottato alcun provvedimento impugnato) e per esso della Ragioneria territoriale dello Stato di Potenza/Matera, alla luce della personalità giuridica riconosciuta dalla legge (l. 9 [#OMISSIS#] 1989 n. 168) alle Università, dotate di autonomia organizzativa, finanziaria e contabile oltre che didattica e scientifica.

La sentenza impugnata risulta, poi, aver correttamente riconosciuto che gran parte dei [#OMISSIS#] di incostituzionalità delle disposizioni normative in materia di blocco degli adeguamenti erano già stati prospettati alla Corte costituzionale, che li aveva dichiarati infondati reputando le misure di contenimento della spesa in questione “coerenti con i parametri costituzionali posti a salvaguardia dell’equilibrio dei bilanci da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in ragione del più ampio contesto economico europeo che esige una proiezione che vada oltre il ciclo di [#OMISSIS#] annuale, [#OMISSIS#] in una prospettiva pluriennale della situazione di crisi economica a realizzare un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica”, nonché immuni dalla dedotta contrarietà al canone di ragionevolezza, al divieto di discriminazione ed alle norme fondamentali a tutela dei lavoratori.

Sul punto si deve precisare che la valutazione di manifesta infondatezza non può che estendersi, in base ai principi affermati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 310 del 2013 e n. 178 del 2015, al cui disposto ci si richiama, anche alle questioni relative alla proroga del blocco per gli anni 2014 e 2015, non in grado di intaccare il (pur esteso) nucleo di temporaneità e di eccezionalità delle misure stesse, adottate per far fronte ad un momento di profonda crisi economica e finanziaria del Paese e [#OMISSIS#] effetti cd. “permanenti” del blocco stesso sulle prospettive di carriera dei docenti.

Al riguardo la Corte ha specificato, infatti, che, in ordine “alla ritenuta irragionevolezza per le ricadute delle norme impugnate sulla riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010 (sull’incentivazione della qualità e dell’efficienza del sistema universitario), va affermato che il buon andamento dell’amministrazione universitaria anche in riferimento all’art. 9 Cost., non è connesso al solo sistema di avanzamento in carriera dei docenti e ricercatori universitari, come delineato dagli artt. 6 e 8 della legge n. 240 del 2010 e pertanto non risulta compromesso” e che, in ordine “ai differenti effetti del blocco in ragione della diversa anzianità di servizio maturata, il sacrificio imposto al personale docente , se pure particolarmente gravoso per quello più giovane, appare in quanto temporaneo congruente con la necessità di risparmi consistenti ed immediati”.

Da qui la manifesta infondatezza anche degli ulteriori [#OMISSIS#] di illegittimità costituzionale evidenziati dagli odierni appellanti [#OMISSIS#] loro impugnazione, relativi all’impossibilità di computare a fini economici per tutta la loro carriera gli avanzamenti che avrebbero maturato [#OMISSIS#] il blocco quinquennale.

Tale effetto, lungi dall’intaccare la temporaneità delle misure in questione o dal determinare una ingiusta disparità di trattamento nei confronti di altri dipendenti pubblici o dal rendere la disciplina incoerente o lesiva del diritto di proprietà, tutelato anche dalla CEDU, risulta rientrare pienamente [#OMISSIS#] ratio delle disposizioni che hanno disposto il blocco degli scatti stipendiali per far fronte, come ricordato, ad una situazione nazionale di [#OMISSIS#] e propria emergenza economica e finanziaria con un risparmio di spesa sistematico e pluriennale, ma pur sempre di carattere eccezionale.

A mitigare il suddetto effetto il legislatore ha, inoltre, disposto alcuni specifici interventi finalizzati alla compensazione di quanto astrattamente perduto dai lavoratori (riduzione del tempo necessario alla maturazione dello scatto e una tantum ad personam in rapporto alla misura del blocco stipendiale subito) così da attenuare i risvolti di lungo periodo delle suddette disposizioni e da assicurare la coerenza del sistema

Alla luce delle argomentazioni che precedono, tutte le questioni di legittimità riproposte non risultano, quindi, superare il vaglio di non manifesta infondatezza e, come tali, non possono costituire oggetto di quesito alla Corte, come del resto correttamente già ritenuto dal [#OMISSIS#] di prime cure.

Infondate sono, infine, anche le doglianze degli odierni appellanti circa la pretesa erroneità dell’interpretazione seguita dall’amministrazione ed avallata dal T.a.r. sull’impossibilità di un “ricalcolo figurativo al piede di ripartenza” del blocco degli importi rimasti medio tempore sottratti. La lettura “costituzionalmente orientata” delle disposizioni normative de quibus suggerita dagli appellanti al riguardo non appare, infatti, come del resto illustrato [#OMISSIS#] sentenza impugnata, in alcun modo condivisibile, risultando in realtà contraria alla lettera ed alla ratio della disciplina dettata dal legislatore, che esclude espressamente qualsiasi “recupero” o “rimborso”.

La proiezione “strutturale” del contenimento è stata, peraltro, già presa in considerazione dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 310/2013 con cui è stato comunque escluso, anche in questo [#OMISSIS#], qualsiasi profilo di irragionevolezza, nonostante l’idoneità dell’intervento legislativo a determinare effetti permanenti sotto il profilo economico (cfr. punto 13.3 della motivazione); [#OMISSIS#] restando, come specificato dalla Corte, che restava però intaccato il complessivo meccanismo della progressione economica “sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale [#OMISSIS#], a seguito dell’esclusione del periodo in cui è previsto il blocco”.

Con riferimento al triennio 2011-2013, la mancata erogazione delle somme corrispondenti [#OMISSIS#] aumenti dovuti per le progressioni di carriera e di adeguamento retributivo è stata quindi ritenuta espressamente ragionevole e conforme ai parametri costituzionali già oggetto di scrutinio, con riguardo specifico ai docenti universitari, dalla Corte Costituzionale con sentenza 310/2013; per il biennio successivo e sulla base dei principi evincibili dalle decisioni della stessa Corte Costituzionale, è poi da escludere la non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità, prospettate in questo giudizio.

La mancata erogazione degli aumenti, cui i docenti avrebbero avuto diritto secondo le norme previgenti al d.l. n 78/2010 e successive proroghe, risulta dunque espressione di una legittima scelta del legislatore, operata all’esito della delicata opera di contemperamento tra le diverse esigenze, pubbliche e private, in gioco, senza che dalla pur complessa disciplina esaminata emerga alcuna base normativa per la quale tali somme, “legittimamente” non erogate in virtù di quella scelta, dovrebbero invece essere considerate ai fini previdenziali e pensionistici e quale base di ricalcolo per l’erogazione di ogni componente del complessivo trattamento retributivo per gli anni a venire, come se fossero state effettivamente corrisposte, venendosi a configurare in questo modo, una sorta di “emolumento figurativo”, che però, come osservato, non può derivare da una interpretazione forzata dell’ordito normativo, ma da una specifica previsione positiva, allo stato insussistente.

In conclusione, l’appello deve essere, dunque, come detto, integralmente rigettato.

Per la complessità delle questioni trattate sussistono, in ogni [#OMISSIS#], giusti motivi per compensare tra le parti le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 3 febbraio 2023 con l’intervento dei magistrati:

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere

[#OMISSIS#] Fratamico, Consigliere, Estensore