- 08336/2021REG.PROV.COLL.
- 04285/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4285 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati OMISSIS, con domicilio eletto presso lo studio OMISSIS in Roma, Lungotevere [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], 9;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Universita’ degli Studi Genova, Ministero dell’Universita’ e della Ricerca, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. -OMISSIS-/2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del prof. -OMISSIS-, dell’ Universita’ degli Studi Genova e del Ministero dell’Universita’ e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 novembre 2021 il OMISSIS e uditi per le parti gli avvocati OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
- L’appellante professoressa -OMISSIS- ha partecipato alla selezione pubblica indetta dall’Università di Genova, ai sensi dell’art. 18, comma 1, L. 240/2010, per la selezione di un professore di prima fascia presso il Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia per il settore scientifico-disciplinare L-FIL-LET/05.
- Gli atti della procedura, culminati [#OMISSIS#] nomina della odierna appellante, sono stati impugnati dal controinteressato, prof. -OMISSIS-, che ha dedotto sia l’illegittimità della procedura di nomina della Commissione, sia vizi attinenti alle valutazioni dei titoli.
- In esito al giudizio il TAR Liguria, con sentenza n.-OMISSIS-/2020, ha accolto il ricorso ed annullato gli atti della procedura, ritenendo fondate tutte le censure. In particolare, dopo aver respinto l’eccezione di inammissibilità/improcedibilità del ricorso per difetto di interesse, correlata alla circostanza che il prof. -OMISSIS-sarebbe stato collocato a riposo al 1° novembre 2020, il TAR Liguria ha statuito:
– che illegittimamente, e per [#OMISSIS#] senza alcuna giustificazione, la Commissione si é discostata dalle raccomandazioni inserite dall’ANAC nell’aggiornamento del piano nazionale anticorruzione approvato con Delibera n. 1208/2017, poi recepite anche nell’atto di indirizzo n. 39/2018 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che imponevano la nomina a sorteggio dei membri della commissione giudicatrice;
– che la valutazione dei titoli è complessivamente inattendibile, avendo la Commissione: (i) sostituito unilateralmente il criterio della “consistenza complessiva” delle pubblicazioni, con quello della “produttività”; (ii) palesemente travisato il numero e la tipologia delle docenze dei candidati, il che si è tradotto in una sostanziale equiparazione tra le esperienze della professoressa -OMISSIS- e quelle del prof. -OMISSIS-, nonostante quest’[#OMISSIS#] vanti un numero significativamente [#OMISSIS#] di corsi tenuti in qualità di docente titolare; (iii) omesso di considerare, in applicazione di uno specifico criterio, un premio nazionale conseguito dal prof. -OMISSIS-; iv) omesso di considerare che tra le pubblicazioni del prof. -OMISSIS-vi sono anche 6 editio princeps, allorché la professoressa -OMISSIS- non ne ha indicata neppure una.
- Con il ricorso indicato in epigrafe la professoressa -OMISSIS- ha impugnato l’indicata sentenza, sia [#OMISSIS#] parte in cui ha ritenuto l’ammissibilità e procedibilità del ricorso, sia [#OMISSIS#] parte in cui ha accolto le doglianze afferenti la valutazione dei titoli.
- L’Università degli studi di Genova si è costituita in giudizio ed ha proposto appello incidentale, concludendo per l’integrale riforma della sentenza .
- Il prof. -OMISSIS-si è costituito in giudizio, insistendo per la reiezione degli appelli.
- In occasione della [#OMISSIS#] di consiglio del 4 agosto 2020 il Collegio ha respinto l’istanza di sospensione dell’appellata sentenza.
- La causa è stata quindi chiamata, per la discussione sul merito, alla pubblica udienza del 4 novembre 2021, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
- L’appello non merita favorevole valutazione.
- Sotto un primo profilo l’appellata sentenza viene censurata [#OMISSIS#] parte in cui ha ritenuto procedibile il ricorso, nonostante che il prof. -OMISSIS-, dovendo essere collocato a riposo sotto la data del 1° novembre 2020, comunque non avrebbe potuto prendere servizio.
10.1. A tale proposito l’appellante evidenzia, come già aveva fatto in primo grado, che l’art. 11 del regolamento per le chiamate dell’Ateneo (in prosieguo, “il Regolamento”), prevede che per i vincitori di concorso “la nomina ha effetto dal 1° novembre successivo”, e che proprio per tale ragione nel momento in cui il TAR Liguria definiva il primo grado del giudizio, in occasione della [#OMISSIS#] di consiglio del 30 aprile 2020, era già [#OMISSIS#] che il prof. -OMISSIS-, in ogni [#OMISSIS#] – id est: anche se nominato vincitore in esito alla rinnovazione degli atti della procedura concorsuale – non avrebbe potuto prendere servizio neppure per un giorno, coincidendo la data della presa in servizio con quella di collocamento a riposo. Tale circostanza avrebbe dovuto condurre il primo [#OMISSIS#] a ritenere insussistente, alla data della decisione, un interesse concreto del ricorrente all’annullamento degli atti, non potendo egli pretendere di essere selezionato per un incarico di insegnamento, che non sarebbe mai stato in grado di espletare.
10.2. Il ragionamento dell’appellante non è corretto, perché non tiene conto del fatto che in esito all’accoglimento del ricorso la procedura selettiva avrebbe dovuto essere rinnovata quale effetto conformativo discendente dal giudicato, con il risultato che l’esito di essa, in qualsiasi momento fosse intervenuto, avrebbe esplicato effetti “ora per allora”, in ossequio al principio, richiamato appropriatamente dall’appellato, secondo cui la durata del processo (in particolare amministrativo) non deve andare a danno della parte che impugna gli atti e che ha ragione. Tale principio comporta, in particolare, che l’atto legittimo adottato in conformità, ed in esecuzione, al giudicato deve intendersi idealmente “sostitutivo” di quello riconosciuto illegittimo, e come tale esplicante efficacia retroattiva. In una simile situazione l’Ateneo non avrebbe potuto opporre la previsione di cui all’art. 11, comma 1, del Regolamento.
10.3. Traslati tali principi al [#OMISSIS#] di specie si ha che l’eventuale nomina del prof. -OMISSIS-, conseguente alla rinnovazione della procedura selettiva oggetto del giudizio, avrebbe dovuto retroagire alla data di nomina della professoressa -OMISSIS-, cioè al 29 [#OMISSIS#] 2019, esplicando effetti – in conformità alle previsioni del Regolamento dell’Ateneo – dal 1° novembre 2019, quando il prof. -OMISSIS-era ancora in servizio. Dunque, al momento in cui il TAR Liguria si pronunciava era ancora possibile che il prof. -OMISSIS-, ove vincitore della rinnovata procedura concorsuale, fosse immesso in servizio prima del 1° novembre 2020, e pertanto è corretta la statuizione del primo [#OMISSIS#] sulla sussistenza dell’interesse alla decisione.
10.5. Il Collegio è poi del parere che detto interesse persista ancora alla data attuale, nonostante l’ormai avvenuto collocamento a riposo del prof. -OMISSIS-. Infatti, malgrado non sia stato dimostrato in giudizio che la nomina di che trattasi comportasse immediati risvolti economici, sul versante del trattamento economico percepito dall’Università e del trattamento pensionistico, non si può negare che essa, anche all’attualità, potrebbe costituire un titolo facilmente spendibile dall’odierno appellato al fine di ottenere incarichi nell’ambito delle opere dell’ingegno del settore privato che richiedano una alta qualificazione; lo stesso dicasi per incarichi di consulenza, perizie scientifiche o pareri qualificati; attività – quelle citate – che hanno risvolti economici e che, implicando attività intellettuale, secondo la comune esperienza vengono ordinariamente svolte anche dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, appunto nell’ambito di attività non dipendente.
10.6. Il primo motivo d’appello va dunque respinto.
- Il secondo motivo d’appello, afferente la legittimità della nomina della Commissione, va, pure, respinto, ma con alcune precisazioni.
11.1. Va premesso che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in seguito all’aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione (in prosieguo indicato solo con l’acronimo “PNA”) di cui alla delibera ANAC n. 1208/2017, contenente una sezione dedicata alle istituzioni universitarie, ha accolto la richiesta dell’ANAC di invitare le Università a contrastare fenomeni di corruzione, di cattiva amministrazione e di conflitto di interessi: a tanto il Ministero ha provveduto con un “Atto di indirizzo”, adottato in base al combinato disposto dell’art. 4, comma 1, lett. a) del D. L.vo 165/2001 e dell’art. 1, comma 2, della L. n. 168/89, a mezzo del quale ha portato le Università a conoscenza delle raccomandazioni contenute nel PNA. Per quanto di interesse nel presente giudizio, l’Atto di indirizzo (n. 39 del 14 [#OMISSIS#] 2018) ha raccomandato alle Università – inter alia – di recepire, nei propri regolamenti, il ricorso al sorteggio, basato su liste di soggetti in possesso dei medesimi requisiti previsti per la partecipazione alle commissioni dell’abilitazione scientifica nazionale, per l’individuazione dei componenti le commissioni di concorso.
11.2. Nel momento in cui veniva bandita la procedura selettiva oggetto del giudizio, il 10 dicembre 2018, il Regolamento interno per le chiamate dei professori non era stato ancora modificato nei sensi indicati dal menzionato atto di indirizzo, e prevedeva – all’art. 8 – che la commissione fosse composta da tre professori di elevata qualificazione scientifica, di cui almeno due esterni all’Ateneo, designati dal consiglio del dipartimento e nominati con decreto rettorale. Dunque anche nel [#OMISSIS#] di che trattasi la nomina dei membri della commissione è avvenuta in applicazione di tale previsione, comportando la designazione di tre professori esterni; peraltro tale designazione è avvenuta all’esito di una riunione del consiglio di dipartimento (del 13 febbraio 2019) nel corso della quale, su sollecitazione di uno dei componenti – che si richiamava anche all’atto di indirizzo del MIUR del 14 [#OMISSIS#] 2018 – sono state messe al voto alcune proposte di estrazione a sorte dei nominativi dei commissari dalle liste dei professori ordinari inclusi [#OMISSIS#] banca dati MIUR/CINECA, ma tali proposte non hanno avuto il numero di voti favorevoli necessari, e [#OMISSIS#] al riguardo è stato verbalizzato. Di fatto il Consiglio di Dipartimento ha approvato la proposta del Direttore, che aveva individuato la terna di nomi.
11.3 L’impugnata sentenza, accogliendo il primo motivo del ricorso di primo grado, ha ritenuto illegittima tale modalità di nomina della commissione di concorso, sulla base dei seguenti rilievi:
(i) “la composizione della commissione di concorso deve ritenersi illegittima quando, pur rispettosa del regolamento di Ateneo, risulti in contrasto con le indicazioni del Piano nazionale anticorruzione e del successivo atto di indirizzo ministeriale n. 39/2018. Tale conclusione discende dall’art. 1, comma 3, della legge n. 190/2012, che, consentendo ad Anac l’annullamento d’ufficio di comportamenti o atti contrastanti con i [#OMISSIS#] e le regole sulla trasparenza, presuppone l’illegittimità del provvedimento da rimuovere, fungendo in sostanza da [#OMISSIS#] interposta.”;
(ii) l’autonomia delle istituzioni universitarie non osta a che il piano nazionale anticorruzione e l’atto di indirizzo ministeriale del 14 [#OMISSIS#] 2018 siano opponibili [#OMISSIS#] atenei, non incidendo sulla libertà scientifica;
(iii) in ogni [#OMISSIS#] il consiglio di dipartimento avrebbe dovuto motivare le ragioni per cui venivano respinte le proposte di nominare i membri della commissione a sorteggio.
11.4. Sia l’appellante principale che l’appellante incidentale hanno censurato le ricordate statuizioni assumendo che non sarebbe corretto (a maggior ragione in sede di verifica di legittimità di un atto) affermare che l’art. 1 comma 3 L. 190/2012 consenta all’ANAC l’annullamento d’ufficio di comportamenti o atti contrastanti con i [#OMISSIS#] e le regole sulla trasparenza; inoltre un tale potere di annullamento non potrebbe essere esercitato nei confronti di soggetti dotati di autonomia statutaria, e tanto più per difformità rispetto a norme che costituiscono mere “raccomandazioni”, e non precetti di rango [#OMISSIS#]. Entrambe le parti appellanti hanno inoltre censurato i passaggi della motivazione in cui si assume che l’autonomia statutaria degli atenei non osterebbe a ritenere vincolanti, anche nei di loro confronti, le misure di prevenzione della corruzione: sottolineano, a tale proposito, che l’art. 18 della L. n. 168/89 ribadisce il principio secondo cui le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento, con espressa esclusione di disposizioni emanate con circolare; e soggiungono che tanto l’ANAC, nelle indicazioni contenute nel PNA, che l’Atto di indirizzo del 14 [#OMISSIS#] 2018, non mettono in discussione, nei rispettivi atti, la natura non vincolante delle indicazioni di che trattasi, che costituirebbero solo suggerimenti di “buone pratiche”; il menzionato atto ministeriale, del resto, non avrebbe neppure la natura di “atto di indirizzo”, poiché non indicherebbe alcun obiettivo da raggiungere, ma avrebbe il solo ruolo di portare le Università a conoscenza delle raccomandazioni contenute nel PNA. Sostiene, ancora l’appellante principale, che l’Università di Genova neppure era tenuta a motivare la scelta di discostarsi da tali indicazioni, poiché solo le “linee [#OMISSIS#]” dell’ANAC genererebbero uno specifico obbligo motivazionale in capo all’amministrazione che se ne discosti, e non, invece, un atto generale qual è il PNA. L’autonomia statutaria delle Università, infine, comprenderebbe anche tutti gli aspetti organizzativi e operativi delle strutture, e non solo la didattica e la ricerca, come si legge nell’appellata sentenza.
- Tali argomenti non sono di per sé sufficienti a determinare la riforma del capo della sentenza in esame, che va confermato con le precisazioni che di seguito si [#OMISSIS#] ad esporre.
12.1. La L. n. 190/2012 è stata approvata in attuazione dell’articolo 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003, ratificata con L. n. 116/2009, nonché degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999, ratificata con L. n. 110/2012.
12.2. Il sistema disegnato dalla L. n. 190/2012 si fonda, prima di tutto, sulla individuazione, nelle amministrazioni pubbliche, dei settori di attività esposte al rischio di corruzione e sulla individuazione delle relative misure di contrasto e di prevenzione. Ciò avviene nell’ambito del Piano Nazionale Anticorruzione, predisposto ed approvato a cura dell’ANAC, che costituisce atto di indirizzo per ogni amministrazione pubblica; e poi nell’ambito dei [#OMISSIS#] di prevenzione della corruzione previsti all’art. 1, comma 5, nei quali ogni amministrazione fornisce una valutazione del diverso livello di esposizione dei propri uffici al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio.
12.3. L’altro caposaldo fondamentale del sistema disegnato dalla L. n. 190/2012 è rappresentato dalla individuazione di soggetti deputati a vigilare sul rispetto delle misure di controllo e prevenzione: la legge prevede, infatti, che, nell’ambito di ciascuna amministrazione pubblica deve essere individuato il c.d. Responsabile della Prevenzione e Corruzione e della Trasparenza – RPCT (art. 1, comma 7), al quale è affidato il compito di segnalare all’organo di indirizzo e all’organismo indipendente di valutazione le disfunzioni inerenti all’attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza, e di indicare [#OMISSIS#] uffici competenti all’esercizio dell’azione disciplinare i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza; l’RPCT, inoltre, è esposto a responsabilità dirigenziale, disciplinare ed erariale, nel [#OMISSIS#] in cui si verifichino fatti corruttivi all’interno dell’amministrazione (art. 1, comma 11), o comunque ripetute violazioni delle misure di prevenzione previste dal Piano (art. 1, comma 12). L’RPCT, ancora, verifica l’efficace attuazione del piano, la sua idoneita’, ed all’occorrenza ne propone la modifica.
12.4. A livello nazionale, invece, è previsto che l’ANAC, tra le varie attribuzioni, “esercita la vigilanza e il controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell’attivita’ amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti” (art. 1, comma 2, lett. f); e a tale fine “l’Autorità nazionale anticorruzione esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, e ordina l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dai [#OMISSIS#] di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell’attivita’ amministrativa previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i [#OMISSIS#] e le regole sulla trasparenza citati” (art. 1, comma 3).
12.5. Come si vede le norme sopra riportate non evocano minimamente il potere dell’ANAC di annullare gli atti adottati in violazione delle misure di contrasto e prevenzione alla corruzione. E’ invece evidente che l’ANAC, dopo aver raccolto le informazioni del [#OMISSIS#], può solo “ordinare” a) l’adozione degli atti o provvedimenti che essa Autorità ritenga necessari per dare corretta attuazione ai [#OMISSIS#] anticorruzione ed alle regole sulla trasparenza, oppure b) la rimozione degli atti e comportamenti contrastanti con i predetti [#OMISSIS#] e regole sulla trasparenza, e ciò nell’esercizio di un potere che non può che essere diretto verso gli organi cui spetta, ordinariamente, la competenza ad adottare gli atti oggetto di sollecitazione.
12.6. Il fatto che l’ANAC non sia stata investita, dal legislatore, di un potere sostitutivo, quanto all’adozione degli atti necessari alla corretta attuazione dei [#OMISSIS#] anticorruzione e delle regole sulla trasparenza, ovvero quanto alla rimozione degli atti e comportamenti contrastanti con i citati [#OMISSIS#] e regole, suggerisce che il potere d’ordine non abbia natura vincolante, essendo solo funzionale a sollecitare gli organi istituzionalmente deputati all’adozione di tali atti.
12.7. Si deve anche considerare che poteri “d’ordine” vincolanti non sono stati riconosciuti all’ANAC neppure in materia di contestazione dell’inconferibilità e incompatibilità di incarichi. Questo Consiglio di Stato ha già avuto occasione di precisare, a tale riguardo (cfr. sentenza della Sez. V n. 126 dell’11 gennaio 2018), che il procedimento di contestazione dell’inconferibilità e incompatibilità dell’incarico è di competenza propria del Responsabile per la prevenzione della corruzione all’interno della pubblica amministrazione o dell’ente pubblico o privato soggetto a controllo pubblico, e che l’art. 15 cit. non prevede, al riguardo, “poteri di ordine” dell’ANAC, che non sarebbero coerenti con la assenza, tra l’ANAC e le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici, gli enti privati soggetti a controllo pubblico e/o i relativi i Responsabili per la prevenzione della corruzione, di un rapporto di sovraordinazione. Piuttosto, “all’ANAC spetta, in base [#OMISSIS#] artt. 15 e ss. d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, un potere di vigilanza sul rispetto delle regole da parte delle amministrazioni pubbliche, enti pubblici ed enti privati soggetti a controllo pubblico, eventualmente anche con accertamento della violazione delle stesse nei sensi indicati al punto 10.3.; ma cui può accedere solo una non impositiva sollecitazione ad attivarsi del Responsabile per la prevenzione della corruzione, organo interno ai soggetti suddetti, cui spetta, invece, [#OMISSIS#] propria responsabilità di contestare all’interessato la situazione di inconferibilità e incandidabilità con conseguente adozione delle sanzioni dell’art. 18, comma 1, d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39: potere in cui è compreso il potere di dichiarare la nullità dell’incarico. Nell’attività di vigilanza descritta non rientra il potere di rivolgere ordini [#OMISSIS#] organi interni delle pubbliche amministrazioni in [#OMISSIS#] di inerzia o di elusione delle norme rivolte alla prevenzione dei fenomeni corruttivi.”. (cfr, C.d.S. n. 126/2018 cit.).
12.8. Se, dunque, in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi il legislatore non ha attribuito all’ANAC altro che poteri di vigilanza – sia pure idonei a sfociare in un atto di accertamento estremamente qualificato, e quindi tale da innestare precise responsabilità in capo all’RPCT che senza motivo non vi si adegui -, non v’è luogo per credere che, invece, poteri maggiormente e concretamente invasivi, delle competenze delle amministrazioni e dell’RPCT, siano stati attribuiti all’ANAC in via generale, con la L. n. 190/2012, stante la rilevata assenza di un rapporto di sovraordinazione tra l’ANAC e le amministrazione soggette al suo controllo, e considerato, altresì, che le norme contenute nei [#OMISSIS#] anticorruzione hanno un contenuto indubbiamente meno preciso e vincolante rispetto a quello delle norme che definiscono i casi di inconferibilità e incompatibilità di incarichi: si vuol dire, cioè, che sarebbe incoerente e irragionevole la scelta del legislatore di limitare i poteri dell’ANAC proprio nel settore in cui le amministrazioni sono maggiormente vincolate dalle norme regolatorie, lasciando intatti tali poteri in settori caratterizzati da maggior discrezionalità delle amministrazioni.
12.9. Anche ragioni di coerenza interna del sistema, insomma, conducono ad escludere che i poteri “d’ordine”, cui esplicitamente allude l’art. 1, comma 3, della L. n. 190/2012, possano tradursi in pareri, valutazioni o veri e propri “ordini” vincolanti per le amministrazioni.
12.10. La stessa ANAC, con la delibera n. 146 del 18 novembre 2014, ha riconosciuto che tali poteri “d’ordine”, essendo manifestazione di un potere di vigilanza, non hanno natura sanzionatoria, “essendo volti ad assicurare, in modo tempestivo, il rispetto della legge, con riferimento a particolari atti e comportamenti che la legge ha ritenuto particolarmente significativi ai fini della prevenzione della corruzione e della garanzia del principio di trasparenza. In particolare il potere è costruito dalla legge n. 190 come potere che rafforza gli obblighi derivanti da disposizioni normative e da misure adottate nei “[#OMISSIS#] di cui ai commi 4 e 5 del presente articolo” (in particolare il PNA e i PTPC) e dalle “regole sulla trasparenza……. Si tratta, infine, di un potere diverso dal potere sostitutivo: anche se uno dei suoi presupposti può essere l’inerzia dell’amministrazione nell’attuare le disposizioni richiamate, con esso l’ANAC non si sostituisce all’amministrazione, adottando al suo posto un atto o un comportamento cui sarebbe obbligata dalla legge, ma si limita ad ordinare l’adozione di atti di esercizio di funzioni che restano [#OMISSIS#] titolarità dell’amministrazione.”.
12.10.1. Più in dettaglio, quanto alle conseguenze derivanti dalla mancata osservanza del provvedimento “d’ordine” dell’ANAC, si legge [#OMISSIS#] citata delibera che “La legge non prevede specifiche forme di sanzione in [#OMISSIS#] di mancata ottemperanza al provvedimento di ordine dell’Autorità. Ai sensi del comma 3 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2102, il provvedimento di ordine è pubblicato sul [#OMISSIS#] dell’ANAC e sul [#OMISSIS#] dell’amministrazione destinataria. In casi particolari l’Autorità può decidere di dare altre forme di pubblicità al provvedimento adottato. L’Autorità potrà anche dare pubblicità ad ulteriori provvedimenti con i quali si solleciti l’ottemperanza al provvedimento di ordine. La pubblicità del provvedimento è la sola “sanzione” prevista, che ha effetti di natura solo “reputazionale” sugli organi dell’amministrazione destinataria del provvedimento e solo relativamente al momento di adozione del provvedimento di ordine dell’ANAC. L’assenza di una specifica sanzione costituisce una grave carenza della disciplina vigente, che si segnala al Parlamento e al Governo perché completino il potere di ordine conferito dalla legge n. 190 con efficaci sanzioni. [#OMISSIS#], ma separatamente dal procedimento di ordine, la possibilità di attivare sanzioni nei casi previsti dalla legge….”.
12.11. In definitiva, il potere “d’ordine” di cui si discute pare essere stato concepito dal legislatore quale forma di “moral suasion”, che non priva le singole amministrazioni della competenza a decidere, autonomamente, se, ed in che limiti, sia necessario adottare nuovi atti, o rimuovere precedenti atti, al fine di adeguare l’ordinamento interno alle previsioni dei [#OMISSIS#] anticorruzione o delle regole sulla trasparenza. La pubblicità che l’ANAC riserva ai propri provvedimenti “d’ordine” non costituisce, peraltro, solo una “sanzione reputazionale”, essendo evidente che stimola un controllo da parte della collettività, che può poi tradursi in un contenzioso giurisdizionale.
12.11. Va altresì sottolineato che il potere “d’ordine” dell’ANAC può essere diretto ad assicurare la corretta attuazione – oltre che delle regole sulla trasparenza – solo dei [#OMISSIS#] anticorruzione di cui all’art. 1, comma 5, cioè i [#OMISSIS#] anticorruzione adottati dalle amministrazioni centrali: l’art. 1, comma 3, infatti, statuisce che l’ANAC “ordina l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dai [#OMISSIS#] di cui ai commi 4 e 5…..ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i [#OMISSIS#]….citati”, ma il riferimento al Piano nazionale anticorruzione, contenuto nell’art. 1, comma 4, lett. c), è stato soppresso (ad opera dell’articolo 41, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 25 [#OMISSIS#] 2016, n. 97), con il risultato che all’attualità i poteri “d’ordine” dell’ANAC debbono intendersi limitati a quanto necessario per assicurare il rispetto dei [#OMISSIS#] di cui all’art. 1, comma 5. Ciò conferma che le previsioni contenute nel PNA non possono, se non ancora recepite dalle singole amministrazioni, costituire, ex se, parametro diretto di valutazione di legittimità degli atti da esse adottati.
12.12. Alla luce delle considerazioni che precedono non può condividersi l’affermazione del primo [#OMISSIS#] secondo cui l’art. 1, comma 3, della legge n. 190/2012 consentirebbe ad ANAC l’annullamento d’ufficio di comportamenti o atti contrastanti con i [#OMISSIS#] anticorruzione e le regole sulla trasparenza, affermazione dalla quale si dovrebbe inferire che i predetti [#OMISSIS#] e regole costituiscono ex se parametri di legittimità di atti e comportamenti delle pubbliche amministrazioni.
- Va anche escluso che le previsioni contenute nel PNA, e trasfuse nell’Atto di indirizzo n 39 del 14 [#OMISSIS#] 2018 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, abbiano un contenuto ex sevincolante.
13.1. La delibera ANAC n. 1208 del 22 novembre 2017, di approvazione del PNA 2017, costituisce, in forza di quanto stabilito all’art. 1, comma 2 bis, della L. 190/2012, “atto di indirizzo” per tutte amministrazioni pubbliche indicate all’art. 1, comma 2, del D. L.vo 165/2001, e quindi anche per le istituzioni universitarie, “ai fini dell’adozione dei propri [#OMISSIS#] triennali anticorruzione”. Le misure ivi contenute sono indicate come “suggerite e non imposte”, ragione per cui “Rimane pertanto [#OMISSIS#] piena responsabilità delle amministrazioni individuare e declinare queste ed altre misure nel modo che più si attagli allo specifico contesto organizzativo, per prevenire i rischi corruttivi come identificati nel processo di analisi e gestione del rischio necessari per l’elaborazione dei PTPC”. Le varie misure indicate sono proposte come un elenco esemplificativo, e non tassativo, di “possibili” soluzioni alle problematiche rilevate ed analizzate dall’ANAC nel PNA, la cui adozione viene “raccomandata”.
13.2. L’ “Atto di indirizzo” n. 39, del 14 [#OMISSIS#] 2018, a sua volta, si è limitato a “raccomandare” alle Istituzioni universitarie l’adozione di misure simili a quelle indicate dal PNA, nell’esplicitato intendimento di non interferire con l’autonomia statutaria ad esse riconosciuta.
13.3. A fronte di simili previsioni, è evidente che le Università rimangono libere di adottare misure anche diverse, purché idonee a prevenire i rischi evidenziati dal PNA: e l’atto del 14 [#OMISSIS#] 2018 costituisce “atto di indirizzo” precisamente nel senso che alle Istituzioni universitarie è implicitamente indicato, quale obiettivo da raggiungere, quello della concreta prevenzione dei rischi che il PAN indica come “rischi tipici” delle loro attività.
13.4. Quanto sopra anche per la ragione che le Università devono poter godere di margini di autonomia nell’organizzazione dell’attività amministrativa: infatti, la libertà [#OMISSIS#] didattica e [#OMISSIS#] ricerca, garantita alle Università, è strettamente influenzata dalle risorse umane, finanziarie e strumentali di cui dispone l’ateneo, e tali risorse vengono appunto assicurate attraverso molteplici attività di carattere strettamente amministrativo.
13.5. Coglie dunque nel segno l’appellante, prof.ssa -OMISSIS-, laddove evidenzia che l’autonomia statutaria degli atenei comprende anche tutti gli aspetti organizzativi che possono incidere sulla libertà didattica e di insegnamento loro garantita, e proprio per questa ragione si deve ammettere che il singolo ateneo possa ritenere maggiormente confacente alle proprie esigenze l’adozione di misure di prevenzione della corruzione diverse da quella indicate nel PNA, e nell’Atto di Indirizzo del MIUR del 14 [#OMISSIS#] 2018, purché idonee a prevenire, in modo efficace, i rischi indicati nel PNA.
13.6. Ciò nondimeno, deve essere chiaro che l’autonomia riconosciuta alle Università non costituisce motivo sufficiente perché siano sottratte all’obbligo di perseguire gli obiettivi indicati nel PNA, adottando delle misure di prevenzione della corruzione.
13.6.1. Milita a favore di tale considerazione anzitutto il dato normativo, e cioè l’art. 1, comma 2 bis della L. 190/2012, che implicitamente riferisce l’obbligo per ogni amministrazione pubblica menzionata all’art. 1, comma 2, del D. L.vo 165/2001, di adottare un piano triennale anticorruzione, rispetto al quale il PNA costituisce atto di indirizzo.
13.6.2. Oltre a ciò deve rammentarsi che l’attività didattica e di ricerca è espressione di diritti civili e sociali fondamentali, ed è, a sua volta, funzionale a garantire ai cittadini diritti civili e sociali altrettanto fondamentali, e pertanto è imperativo che le prestazioni in cui tali attività si esplicano rispettino determinati livelli essenziali di qualità.
13.6.3. Ebbene, la prevenzione della corruzione, come la trasparenza dell’azione amministrativa, contribuisce a garantire tali livelli essenziali. E poiché, ai sensi dell’art. 117, comma 1, lett. m), i livelli essenziali delle prestazioni afferenti diritti civili e sociali debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ne consegue che l’attività dell’ANAC, che si traduce [#OMISSIS#] predisposizione ed adozione del PNA, legittimamente si dirige anche all’attività delle Università: individuando le aree di attività degli atenei in cui annida il rischio di corruzione, e indicando degli obiettivi di qualità, il PNA contribuisce ad assicurare, da parte di tutte le istituzioni universitarie italiane, l’erogazione di una attività didattica e di ricerca rispettosa dei livelli essenziali.
13.6.4. I singoli atenei possono, come già precisato, modulare o adattare in [#OMISSIS#] modo le specifiche misure di prevenzione indicate nel PNA, e possono anche adottarne di diverse, purché idonee a perseguire gli obiettivi indicati dal PNA; tuttavia è chiaro che, decidendo di adottare misure di prevenzione che si discostano dal modello “tipo” indicato nel PNA – modello che, dopo tutto, è il frutto di una attenta analisi e riflessione – gli atenei si espongono al rischio di adottare una misura non realmente efficace, di andare incontro a contenziosi nonché al verificarsi di eventi corruttivi.
- Si può, allora, convenire sulla affermazione che le previsioni contenute nel PNA e nell’ “Atto di indirizzo” del MIUR, del 14 [#OMISSIS#] 2018 non fossero immediatamente vincolanti per le Università, nonché sul fatto che le indicazioni del PNA che raccomandano l’estrazione a sorte dei membri della Commissione non potevano essere considerate alla stregua di un parametro di legittimità. Correlativamente, l’affermazione del primo [#OMISSIS#] secondo cui l’autonomia statutaria delle Università non sarebbe assolutamente di ostacolo a ritenere le previsioni del PNA direttamente applicabili alle Istituzioni universitarie non può essere condivisa, necessitando da parte di queste ultime un atto di recepimento: a tale proposito si potrebbe anche dubitare che i poteri “d’ordine” di cui si è trattato nei paragrafi che precedono possano essere esercitati dall’ANAC nei confronti delle istituzioni universitarie, posto che l’art. 1, comma 3, della L. 190/2012, riferisce tali poteri solo all’esigenza di assicurare l’attuazione dei [#OMISSIS#] di cui all’art. 1, comma 5, cioè ai [#OMISSIS#] triennali delle pubbliche amministrazioni centrali. Se così fosse, ciò costituirebbe una ulteriore conferma, se ancora ve ne fosse bisogno, che l’autonomia delle Università nell’implementare il piano triennale anticorruzione è rispettata anche dalla L. 190/2012, e quindi non si può pretendere che si estrinsechi [#OMISSIS#] mera trasposizione delle misure previste nel PNA.
- Tuttavia, proprio il valore programmatico delle previsioni del PNA, e dell’ “Atto di indirizzo” del MIUR, rendeva legittima la richiesta, avanzata da uno dei docenti del Dipartimento, di procedere alla nomina dei membri della Commissione di concorso con estrazione a sorte, e ciò anche se in quel momento l’Università non aveva ancora proceduto alla modifica del Regolamento sulle chiamate di professori.
15.1. Come già precisato, tale richiesta è stata esaminata nel corso della riunione del Consiglio di Dipartimento del 13 febbraio 2019 (doc. 5 del fascicolo di primo grado del ricorrente), dal quale risulta che tale riunione era stata preceduta da uno scambio di corrispondenza: uno dei professori del Consiglio aveva già chiesto al Rettore di designare i membri della Commissione del concorso tramite estrazione a sorte, sottolineando che il Regolamento vigente non indicava la procedura specifica da seguire per la designazione dei membri delle commissioni: a tale richiesta il Rettore aveva risposto affermando che si dovesse seguire la procedura indicata nel Regolamento vigente, che non contemplava il sorteggio. Il professore, tuttavia, aveva replicato con missiva in cui sottolineava nuovamente come il sorteggio non fosse incompatibile con le previsioni del Regolamento vigente, e ciò per la ragione che l’art. 8 del Regolamento “individua nel Consiglio di Dipartimento il soggetto a cui è demandato il compito di designare, ma non precisa il modo in cui si giunge alla designazione, né prevede cautele particolari nei casi di potenziali conflitti di interesse. Pertanto il Consiglio di Dipartimento è [#OMISSIS#] di optare per il metodo giudicato a maggioranza più equo per comporre la commissione giudicatrice”.
15.2. Il medesimo professore ha quindi riproposto l’estrazione a sorte dei membri della Commissione al Consiglio di Dipartimento, il cui Direttore ha messo ai voti tre distinte proposte: (i) quella di sorteggiare i commissari tra tutti i professori ordinari del SSD inclusi [#OMISSIS#] banca dati MIUR/CINECA, proposta che ha ricevuto 2 voti favorevoli, 12 contrari e 2 astenuti; (ii) quella di sorteggiare 8 nominativi (6 + 2 supplenti) di professori ordinari del SSD inclusi [#OMISSIS#] banca dati MIUR/CINECA, proposta che ha ricevuto 3 voti favorevoli, 11 contrari e 2 astenuti; ed infine (iii) la proposta di individuare 8 professori ordinari del SSD [#OMISSIS#] banca dati MIUR/CINECA di ciascuno dei quali fosse fatto circolare il CV prima della votazione, proposta che ha ricevuto 3 voti favorevoli, 10 contrari e 3 astenuti.
15.3. Il professore che aveva sollevato la questione del sorteggio con il Rettore, riproponendola al Consiglio di Dipartimento, preso atto degli esiti sfavorevoli, ha fatto allegare al verbale sia la corrispondenza scambiata con il Rettore, sia una dichiarazione con la quale: ha ricordato che la chiamata diretta dei membri della commissione si presta alla costituzione di una commissione all’occorrenza compiacente; ha poi ripercorso la storia recente del Dipartimento, rammentando che da anni tre professori abilitati in prima fascia – tra cui il prof. -OMISSIS-– attendevano inutilmente l’opportunità di essere nominati professore ordinari; ha stigmatizzato il fatto che il CDA non fosse favorevole alla nomina a professore ordinario del prof. -OMISSIS-, in ragione dell’età anagrafica e del di lui prossimo pensionamento.
15.4. Il verbale della riunione del Consiglio di Dipartimento del 13 febbraio 2019 non reca la verbalizzazione delle ragioni esposte a sfavore del sorteggio a sorte, che sono rimaste inespresse. Dunque, pur specificamente sollecitato e sensibilizzato sul punto, il Consiglio del Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia non ha voluto affrontare la questione e prendere posizione, così immotivatamente respingendo plurime richieste di nominare i membri della commissione previo sorteggio, e ciò malgrado che la compatibilità tra il sorteggio e l’art. 8 del Regolamento fosse stata debitamente argomentata, e fosse stato anche evidenziato che la nomina a sorteggio dei commissari costituisse misura di prevenzione prevista sia nel PNA che nell’ “Atto di indirizzo” del MIUR.
15.5. Il difetto di una motivazione puntuale a giustificazione della decisione di discostarsi da una indicazione contenuta nel PNA, recepita in un atto di indirizzo del MIUR, deve essere effettivamente considerato sintomo di sviamento di potere, per una molteplicità di ragioni.
15.5.1. Infatti, sebbene il PNA e il più volte citato “Atto di indirizzo” non esplicassero efficacia immediatamente vincolante, non è men vero che da tali atti scaturiva l’obbligo per gli atenei di recepirne i contenuti, nei sensi sopra precisati, e da questo punto di vista l’Università di Genova risultava già ritardataria – essendo trascorso quasi un anno dalla emanazione dell’ “Atto di indirizzo” del MIUR – e quindi riottosa a prendere atto dell’esito della ricerca effettuata dall’ANAC sui rischi di corruzione all’interno delle Università, e dipoi ad adottare delle misure di prevenzione concrete.
15.5.2. E’ poi vero che il Regolamento dell’Ateneo, all’art. 8, prevedeva una procedura di designazione dei membri di commissione che si fondava sulla disamina, direttamente da parte del Consiglio di Dipartimento, dei curricula dei candidati, anche solo al fine di verificare il possesso dei requisiti indicati dalla [#OMISSIS#] (provenienza esterna, qualificazione scientifica), e quindi era apparentemente incompatibile con l’estrazione a sorte dei nominativi; ma è altrettanto vero che le previsioni della [#OMISSIS#] avrebbero anche potuto adattarsi ad una forma di sorteggio, ad esempio quella votata per seconda, che prevedeva il sorteggio di un numero di professori doppio rispetto a quello necessario in base al Regolamento, tra i quali il Consiglio di Dipartimento avrebbe poi potuto effettuare la selezione.
15.6. Tenuto conto di quanto precede e del fatto che il Consiglio di Dipartimento non risulta aver fatto un serio tentativo per verificare la possibilità di “integrare” il sorteggio [#OMISSIS#] procedura prevista dal Regolamento vigente, il Collegio ritiene che il difetto di motivazione che caratterizza il rifiuto opposto dal Consiglio di Dipartimento alle varie proposte di sorteggio sia indicativo di sviamento di potere, ed infici la delibera del Consiglio di Dipartimento del 13 febbraio 2019, di nomina dei commissari e tutti gli atti della procedura ad esso successivi.
- Il capo della sentenza contestato nell’ambito del secondo motivo dell’appello principale e dell’appello incidentale va, conclusivamente, confermato, sia pure con motivazione parzialmente sostitutiva.
- L’illegittimità dell’atto di nomina della Commissione di concorso è, da solo, idoneo a supportare l’accoglimento del ricorso di primo grado, comportando l’illegittimità derivata, e quindi l’annullamento, di tutti i successivi atti di gara, trattandosi di un vizio che “involge la legittima attribuzione del potere ad un organo collegiale che, in ragione dell’illegittima composizione dello stesso, non è legittimato ad esercitare tale potere”; é perciò assimilabile al vizio di incompetenza (T.A.R. Palermo sez. III 14 settembre 2012 n. 1873; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1575/2015; T.A.R. Trento, Sez. I, n. 180/2020), e dunque, alla luce della giurisprudenza dell’Adunanza plenaria (Cons. St., Ad. plen. 27 aprile 2015, n. 5, al § 8.3), avrebbe giustificato l’assorbimento dei restanti motivi.
- Questi ultimi (II, III, IV e V del ricorso originario), sono stati compiutamente esaminati dal primo [#OMISSIS#] al par. 3 della appellata sentenza, che è stato ritualmente impugnato – ma non sotto il profilo del mancato assorbimento – sia dalla appellante principale che dalla appellante incidentale, con motivi d’appello sui quali il Collegio ritiene di doversi pronunciare. In particolare, ambedue le parti appellanti hanno dedotto che il primo [#OMISSIS#] avrebbe, in sostanza, esorbitato dai limiti del sindacato che il [#OMISSIS#] Amministrativo può esercitare in sede di giurisdizione generale di legittimità, esercitando, invece, un sindacato pieno sull’operato della Commissione.
18.1. Il Collegio è, invece, dell’avviso che il sindacato effettuato dal TAR, sulle valutazioni della Commissione, si è mantenuto nei limiti del sindacato generale di legittimità, fondandosi, inoltre, su circostanze di fatto non smentite.
18.2. Sotto un primo profilo il TAR ha rilevato che la Commissione avrebbe surrettiziamente riformulato uno dei criteri di valutazione dei titoli, avendo sostituito il criterio della “produttività” (relativo al numero di pubblicazioni nel periodo) a quello della “consistenza” (relativo, invece, alla qualità intrinseca della pubblicazione). La conclusione cui è pervenuto il primo [#OMISSIS#] risulta condivisibile alla luce del fatto che la “consistenza complessiva” della produzione scientifica della professoressa -OMISSIS- (44 pubblicazioni, di cui una a sua volta composta di 78 articoli) è stata ritenuta più significativa, sulla base di un giudizio comparativo collegiale fondato su una motivazione assolutamente generica, e che però fa riferimento [#OMISSIS#] anni di attività (15 per la appellante, 40 per l’appellato, che ha al suo attivo 175 pubblicazioni) (cfr. verbale della terza seduta della Commissione, doc. 10 del ricorrente in primo grado).
18.3. Il TAR ha inoltre rilevato che la Commissione avrebbe letteralmente ignorato un importante il premio nazionale “[#OMISSIS#] dei trulli”, conseguito dal prof. -OMISSIS-nel 1992, nonostante che il “conseguimento di premi e riconoscimenti per l’attività scientifica” costituisse uno dei criteri di valutazione dei titoli presentati dai candidati. Su questo punto il Collegio dà atto che del premio in questione la Commissione non fa alcun cenno, né [#OMISSIS#] descrizione dei titoli vantati dal prof. -OMISSIS-, né [#OMISSIS#] valutazione dei titoli, formulato nel corso della terza seduta.
18.4. Il TAR ha poi rilevato un travisamento in fatto [#OMISSIS#] valutazione dell’attività didattica dei candidati, valutazione che la Commissione ha effettuato sottostimando il numero di insegnamenti tenuti dal prof. -OMISSIS-quale professore titolare di corso. Il Collegio rileva che con riferimento all’attività didattica la Commissione avrebbe dovuto attenersi a due criteri di valutazione: a) “numero e caratteristiche dei moduli/corsi tenuti e continuità della tenuta degli stessi”; b) “altre attività didattiche svolte a livello universitario, debitamente documentate”. Nel giudizio complessivo finale la Commissione ha ritenuto che “i candidati dal momento del loro ingresso nell’attività universitaria hanno svolto continuativamente attività didattiche, sia nei corsi di laurea e nel dottorato di ricerca, sia con insegnamenti destinati alla formazione degli insegnati; contestualmente i tre candidati hanno lavorato, a vari livelli, per le azioni di orientamento e tutorato”: tale valutazione, ad avviso del Collegio, appiattisce completamente l’esperienza didattica dei due candidati, nel senso che la Commissione ha omesso una [#OMISSIS#] e propria comparazione tra le esperienze didattiche dei due concorrenti, parendo aver ricercato, invece, la sussistenza di un “periodo minimo” di attività didattica a vari livelli, che è stato rilevato in entrambi. Da questo punto di vista l’operato della Commissione ha abdicato ai criteri sui si era vincolata nonché al compito di effettuare una valutazione comparata.
18.5. E ancora, secondo il TAR, la Commissione avrebbe omesso di considerare che il prof. -OMISSIS-ha pubblicato ben sette “edizioni critiche”, di cui sei “editio princeps”, allorché l’odierna appellata sembrerebbe aver curato solo una edizione critica. Il Collegio osserva che la valutazione di questa tipologia di pubblicazioni afferisce al merito dell’azione amministrativa, ma il rilievo del livello di tali pubblicazioni mette in ulteriore evidenza la genericità e l’assoluta mancanza di contenuti del giudizio comparativo espresso dalla Commissione con riferimento alle pubblicazioni dei candidati (“i [#OMISSIS#] di ricerca dei tre candidati sono ben definiti, perfettamente congruenti con il settore disciplinare, sia per le tematiche che per il metodo. Le loro ricerche hanno punti di forza chiaramente identificabili. La consistenza complessiva della loro produzione, anche in relazione [#OMISSIS#] anni di attività, è sempre considerevole, particolarmente nel [#OMISSIS#] della professoressa -OMISSIS- che si distingue anche per la qualità dei suoi lavori che forniscono sia analisi su testi di diversa natura e di orizzonte molto ampio sia sintesi di problemi più generali. L’apporto originale dei candidati [#OMISSIS#] studi del settore è rilevante, la ricaduta in ambito internazionale è più evidente nel [#OMISSIS#] della produzione della professoressa -OMISSIS-, in misura minore in quello della professoressa -OMISSIS-e del prof. -OMISSIS-; lo stesso vale per la collocazione editoriale delle pubblicazioni dei tre candidati che è comunque sempre avvenuta in sedi altamente qualificate.”).
18.6. In conclusione, anche il capo della sentenza che si riferisce [#OMISSIS#] originari motivi di ricorso II, III, IV e V non contiene errores in judicando, per la ragione che quelle che appaiono essere, prima facie, valutazioni del primo [#OMISSIS#] che afferiscono al merito dell’azione amministrativa, in realtà hanno costituito semplicemente la premessa per il rilievo di vizi logici.
- Conclusivamente, l’appellata sentenza va confermata, seppure con motivazione parzialmente sostitutiva.
- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, e per l’effetto:
– conferma l’appellata sentenza con motivazione parzialmente sostitutiva;
– conferma pertanto la statuizione di annullamento degli atti impugnati e l’obbligo dell’Università di rinnovare le operazioni concorsuali previa nomina di una nuova commissione;
– condanna l’Università di Genova e l’appellante professoressa -OMISSIS- al pagamento, in solido fra loro, delle spese del presente grado di giudizio in favore del prof. -OMISSIS-, spese che si liquidano in €. 5.000,00 (euro cinquemila), oltre accessori, se per legge dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della professoressa -OMISSIS-, del prof. -OMISSIS-.
Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 4 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
OMISSIS, [#OMISSIS#] FF
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere
OMISSIS, Consigliere, Estensore
In [#OMISSIS#] di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Pubblicato il 14/12/2021