TAR Lazio, Roma, Sez. III ter, 29 settembre 2023, n. 14427

Legittimità della revoca dell'assegno ad personam corrisposto ai sensi dell’art. 202 del DPR n. 3/1957,

Data Documento: 2023-10-02
Autorità Emanante: TAR Lazio
Area: Giurisprudenza
Massima

Il caso di specie verte sulla legittimità del provvedimento di revoca dell’assegno ad personam, corrisposto al ricorrente (al momento della sua assunzione quale ricercatore universitario) ai sensi dell’art. 202 del DPR n. 3/1957, in virtù del trattamento retributivo prima goduto quale dipendente INAIL, e reiteratamente confermato nei vari passaggi di carriera fino alla nomina a professore ordinario, e della conseguente ripetizione delle somme indebitamente erogate dall’Ateneo dal 1°febbraio 2014 al 31 agosto 2021.

L’art. 202 del DPR n. 3/1957, prima della sua abrogazione, prevedeva infatti che «[n]el caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica».

È poi intervenuto l’art. 1, comma 458, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 che ha abrogato la previsione sopra riportata, disponendo altresì che «ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità». Il successivo comma 459 ha poi stabilito che «[l]e amministrazioni interessate adeguano i trattamenti giuridici ed economici, a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, in attuazione di quanto disposto dal comma 458, secondo periodo, del presente articolo e dall’articolo 8, comma 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 370, come modificato dall’articolo 5, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 13».

La novella legislativa non ha avuto tuttavia un’interpretazione uniforme.

Un primo orientamento, muovendo dalla differenza sussistente tra le situazioni contemplate al comma 458 prima parte (passaggi di carriera) e quelle di cui alla seconda parte (rientro in ruolo), è giunto ad affermare che l’adeguamento stipendiale imposto dal comma 459, con la correlativa riduzione del trattamento economico, si applicherebbe solo alle fattispecie di cui al comma 458, seconda parte, ritenendo conseguentemente che le provvidenze contemplate dalla parte prima del citato comma 458, se riconosciute in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 147/2013, non possano essere fatte oggetto di decurtazione in applicazione del comma 459, neppure con riferimento ai ratei stipendiali successivi al 1° gennaio 2014, costituendo esse, in sostanza, un diritto ormai consolidato (in tal senso, Consiglio di Stato, Quinta Sezione, sentenza n. 4224/2016; Tar Lazio, Sezione Prima, sentenza 4730/2019); orientamento inizialmente seguito anche dall’Ateneo resistente sulla scorta del parere reso dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (nota prot. n. 49968 del 09.06.2014) e sposato dalla difesa ricorrente.

Di diverso avviso l’orientamento, più recente – accolto anche dal Collegio – che ha ritenuto che le disposizioni di cui ai commi 458 e 459, quand’anche trattino due fattispecie distinte, hanno in comune la stessa efficacia retroattiva, pur se del peculiare tipo della retroattività c.d. “impropria” – che si verifica quando la legge, «pur disponendo per il futuro, incide sfavorevolmente sullo stato dei rapporti giuridici in corso sorti anteriormente alla sua entrata in vigore», nel senso che, dal momento di entrata in vigore della nuova legge, essa trova applicazione (Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2009) – sul presupposto per cui «l’espressione “ruolo” o “incarico”, in linea con l’abrogazione generale dell’assegno personale, de[bba] essere intesa in modo omnicomprensivo, rientrandovi anche i “passaggi di carriera” e, dunque, anche la fattispecie in esame» (in tali termini, Consiglio di Stato, Sesta Sezione, sentenze n. 1093/2022; n. 6620/2019).

Contenuto sentenza
  1. 14427/2023 REG.PROV.COLL.
  2. 16607/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16607 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato [#OMISSIS#] Amorosino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

– del Decreto Rettorale datato -OMISSIS–OMISSIS-, Prot. -OMISSIS-, comunicato il -OMISSIS-, recante:

i) la revoca retroattiva, a decorrere dal 1° febbraio 2014, dell’assegno ad personam in precedenza riconosciuto e più volte confermato al ricorrente – proveniente dall’INAIL – con una serie ininterrotta di DD.RR. dal 2003 al 2019;

ii) il riconteggio delle retribuzioni a far data dal 2014;

iii) la ripetizione delle somme corrisposte al ricorrente dal 1° febbraio 2014 al 31 agosto 2021 a titolo di assegno ad personam;

– della mail “semplice” in data -OMISSIS-, ore 15:10, dell’Ufficio Stipendi dell’Università di Roma recante la comunicazione che, in esecuzione del D.R. -OMISSIS-, l’attuale ricorrente “è risultato debitore nei confronti della Sapienza Università di Roma della somma complessiva di € 152.037,66. Tale importo verrà recuperato mensilmente detraendo dallo stipendio rate di importo lordo di € 1.197.15. La rateizzazione decorrerà dal corrente mese di dicembre 2022 con scadenza il mese di giugno 2033”;

– di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso, in particolare, l’anticipata trattenuta dallo stipendio dell’assegno ad personam operata in fatto sin dal 2021 e sottaciuta al ricorrente, e, successivamente, le modalità di calcolo – non comunicate – dell’importo complessivo da restituire e dell’importo delle trattenute mensili sullo stipendio, stabilite in via autoritativa.

Nonché per ottenere la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni morali e materiali discendenti dai provvedimenti impugnati.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Roma La Sapienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 luglio 2023 la dott.ssa [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. L’odierno ricorrente, professore ordinario dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ha adito questo TAR per ottenere l’annullamento del decreto rettorale in oggetto con cui è stata disposta la revoca, a decorrere dal 1° febbraio 2014, dell’assegno ad personam di cui all’art. 202, d.p.r. n. 3/1957, con conseguente riconteggio della retribuzione e ripetizione delle somme corrisposte a tale titolo dal 1° febbraio 2014 al 31 agosto 2021, nonché per la condanna dell’Ateneo al risarcimento dei danni morali e materiali subiti.

2. Premette in fatto di aver prestato servizio presso l’INAIL prima dell’inquadramento come ricercatore universitario nell’Ateneo resistente e, una volta nominato ricercatore, di aver ottenuto nel 2004 l’attribuzione di un assegno personale pensionabile in virtù del trattamento retributivo in precedenza goduto. L’attribuzione di detto assegno, gradualmente riassorbibile, veniva rinnovata ad ogni successivo passaggio di ruolo, fino alla nomina a professore di prima fascia, nel luglio 2021, allorquando, a decorrere dalla successiva mensilità di settembre, tale emolumento non era più riconosciuto. In data -OMISSIS-, il ricorrente riceveva una comunicazione con allegato il decreto impugnato e, con email del -OMISSIS-, l’Università lo informava che la somma lorda, risultata a debito, ammontava complessivamente a € 152.037,66 e che detto importo sarebbe stato recuperato mensilmente, nei cedolini paga, mediante rate di importo lordo pari ad € 1.197,15, con effetto sulla retribuzione netta comunque entro il limite del [#OMISSIS#] stipendiale, a decorrere dal mese di dicembre 2022 e con scadenza prevista per il mese di giugno 2033.

3. Il ricorso è affidato a tre motivi di diritto:

«Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 458 e 459, della legge n. 147/2013 in quanto interpretati come dotati di efficacia “retroattiva impropria” anche nei confronti dei dipendenti pubblici transitati da altre amministrazioni, anteriormente al 2014, titolari di assegni riassorbibili ad personam». Secondo il ricorrente, la disciplina di cui alla legge n. 147/2013 avrebbe abrogato il “trascinamento” della [#OMISSIS#] retribuzione con esclusivo riferimento ai ricercatori e professori universitari rientrati nei ruoli, una volta cessati da incarichi o ruoli temporanei ai quali erano stati nominati, senza [#OMISSIS#] disporre in merito a professori e ricercatori universitari “transitati” da altri impieghi pubblici (come il ricorrente), nei confronti dei quali la disposizione in questione non potrebbe esser interpretata in senso retroattivo, neppure improprio, valendo solo per i “transitati” dopo il 2014. Tale interpretazione troverebbe conferma [#OMISSIS#] pronuncia della Plenaria n. 9/22 e, prima ancora, in quella della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, n. 1385/2018.

Erronea ed infondata sarebbe quindi l’estensione ai professori transitati ante 2014 dell’efficacia retroattiva (impropria) delle disposizioni in questione, come invece disposta dalle pronunce successive del Consiglio di Stato, n. 6690/2019 e n. 1093/2022, omettendo di procedere ad un rigoroso e doveroso scrutinio di proporzionalità e ragionevolezza di dette disposizioni con riferimento alla diversa categoria dei “transitati”.

«Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 458 e 459 – Violazione dei principi di affidamento, proporzionalità e buon andamento della P.A. – Violazione del principio di buona fede e leale collaborazione nei rapporti tra amministrazione e cittadino – Carenza di motivazione – Contraddittorietà – Omessa considerazione della realtà». I provvedimenti impugnati sarebbero viziati da carenza di motivazione, in quanto basati sulla “erronea” sentenza del Consiglio di Stato n. 6620/2019 che avrebbe superato il precedente parere contrario della Ragioneria Generale; contraddittorietà, perché l’Università avrebbe adottato comportamenti contraddittori, annunciando prima la revisione dell’assegno, poi continuando ad erogarlo sulla base del parere della Ragioneria generale (reso con nota prot. n. 49968 del 09.06.2014) e confermandolo nei vari passaggi di carriera, fino ad operare una “sottrazione” di fatto dello stesso, senza alcuna comunicazione, al momento della sua nomina a professore ordinario; violazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa, perplessità e travisamento dei fatti, slealtà procedimentale, inefficienza, perché avrebbe atteso ben tre anni per procedere alla revoca dopo la sentenza del 2019.

«Violazione del principio di proporzionalità con riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (sottoscritta e ratificata dall’Italia) – Violazione del principio di indebita ripetizione del trattamento economico del pubblico dipendente in buona fede nel [#OMISSIS#] di imputabilità esclusiva dell’errore alla P.A». Ricorrerebbero tutti i presupposti individuati dalla Corte EDU (sentenza Casarin v. Italia) ai fini della configurabilità [#OMISSIS#] specie della violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale.

4. Per resistere al gravame, si è costituita in giudizio l’Università “La Sapienza”, depositando documentazione e relazione illustrativa della vicenda.

5. All’esito della [#OMISSIS#] di consiglio del 15 febbraio 2023, è stata accolta l’istanza cautelare nei limiti della ripetizione delle somme e disposta istruttoria a carico di parte ricorrente, che ha provveduto a depositare la documentazione richiesta.

6. Alla pubblica udienza del 5 luglio 2023, in vista della quale solo il ricorrente ha prodotto note d’udienza, insistendo nelle proprie argomentazioni anche alla luce dell’intervenuta pronuncia della Corte costituzionale n. 8 del 2023 (che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c. con riferimento all’art. 117 Cost, in relazione all’art. 1 Protocollo addizionale CEDU), la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Viene all’esame del Collegio la legittimità del provvedimento di revoca dell’assegno ad personam, corrisposto all’odierno ricorrente al momento della sua assunzione quale ricercatore universitario ai sensi dell’art. 202 del DPR n. 3/1957, in virtù del trattamento retributivo prima goduto quale dipendente INAIL, e reiteratamente confermato nei vari passaggi di carriera fino alla nomina a professore ordinario, e della conseguente ripetizione delle somme indebitamente erogate dall’Ateneo dal 1°febbraio 2014 al 31 agosto 2021.

2. L’art. 202 del DPR n. 3/1957, prima della sua abrogazione, prevedeva infatti che «[n]el [#OMISSIS#] di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione [#OMISSIS#] impiegati con stipendio superiore a quello spettante [#OMISSIS#] nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, [#OMISSIS#] riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica».

È poi intervenuto l’art. 1, comma 458, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 che ha abrogato la previsione sopra riportata, disponendo altresì che «ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall’incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità». Il successivo comma 459 ha poi stabilito che «[l]e amministrazioni interessate adeguano i trattamenti giuridici ed economici, a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, in attuazione di quanto disposto dal comma 458, secondo periodo, del presente articolo e dall’articolo 8, comma 5, della legge 19 ottobre 1999, n. 370, come modificato dall’articolo 5, comma 10-ter, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95,convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 13».

2.1. La novella legislativa non ha avuto tuttavia un’interpretazione uniforme.

2.1.1. Un primo orientamento, muovendo dalla differenza sussistente tra le situazioni contemplate al comma 458 prima parte (passaggi di carriera) e quelle di cui alla seconda parte (rientro in ruolo), è [#OMISSIS#] ad affermare che l’adeguamento stipendiale imposto dal comma 459, con la correlativa riduzione del trattamento economico, si applicherebbe solo alle fattispecie di cui al comma 458, seconda parte, ritenendo conseguentemente che le provvidenze contemplate dalla parte prima del citato comma 458, se riconosciute in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 147/2013, non possano essere fatte oggetto di decurtazione in applicazione del comma 459, neppure con riferimento ai ratei stipendiali successivi al 1° gennaio 2014, costituendo esse, in sostanza, un diritto ormai consolidato (in tal senso, Consiglio di Stato, Quinta Sezione, sentenza n. 4224/2016; Tar Lazio, Sezione Prima, sentenza 4730/2019); orientamento inizialmente seguito anche dall’Ateneo resistente sulla scorta del parere reso dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (nota prot. n. 49968 del 09.06.2014) e [#OMISSIS#] dalla difesa ricorrente.

2.1.2. Di diverso avviso l’orientamento, più recente, che ha ritenuto che le disposizioni di cui ai commi 458 e 459, quand’anche trattino due fattispecie distinte, hanno in comune la stessa efficacia retroattiva, pur se del peculiare tipo della retroattività c.d. “impropria” – che si verifica quando la legge, «pur disponendo per il futuro, incide sfavorevolmente sullo stato dei rapporti giuridici in corso sorti anteriormente alla sua entrata in vigore», nel senso che, dal momento di entrata in vigore della nuova legge, essa trova applicazione (Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2009) – sul presupposto per cui «l’espressione “ruolo” o “incarico”, in linea con l’abrogazione generale dell’assegno personale, de[bba] essere intesa in modo omnicomprensivo, rientrandovi anche i “passaggi di carriera” e, dunque, anche la fattispecie in esame» (in tali termini, Consiglio di Stato, Sesta Sezione, sentenze n. 1093/2022; n. 6620/2019).

2.2. Questa Sezione, con la sentenza non definitiva n. 4186/2023 resa su una vicenda del tutto analoga alla presente, ha ritenuto, in adesione a detto [#OMISSIS#] orientamento, che la [#OMISSIS#] di cui al comma 458 riguardi tanto il personale cd. “transitato” – come il ricorrente – quanto quello “rientrato in ruolo”, comportando l’abrogazione, con efficacia retroattiva impropria, della generale disciplina dell’assegno ad personam e il correlato obbligo, per le Amministrazioni, di adeguare i trattamenti giuridici ed economici nei termini di cui all’art. 1, comma 459, a partire dal 1° febbraio 2014 (ovvero dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore della medesima legge), anche in relazione ai passaggi di carriera precedentemente avvenuti, come nel [#OMISSIS#] in esame.

2.2.1. È stato, in particolare, osservato che “sebbene il comma 458 cit. si componga di due norme, come anche ricostruito dall’Adunanza Plenaria n. 10 del 2022, per cui «[la] prima abroga espressamente l’art. 202 d.P.R. n. 3 del 1957, unitamente all’art. 3, commi 57 e 58, l. n. 537 del 1993, le quali, come si è detto, completavano la disciplina dei c.d. passaggi di carriera. La seconda fissa la regola per la quale alla cessazione dell’incarico ricoperto (o del diverso ruolo assunto) al dipendente pubblico che rientri (nei ruoli) nell’amministrazione di provenienza spetta un trattamento pari quello del collega con pari anzianità», lo stesso va interpretato alla luce dell’intento del legislatore di abrogazione generale della disciplina degli assegni personali “in [#OMISSIS#] di passaggio tra diverse amministrazioni di dipendenti titolari di un trattamento economico superiore a quello spettante [#OMISSIS#] nuova qualifica” (in tali termini, cfr. Lavori Preparatori del Servizio Studi [#OMISSIS#], Schede di Lettura), comprensiva di entrambe le fattispecie, atteso che la seconda parte della disposizione in questione detta unicamente la modalità di definizione del trattamento economico del dipendente pubblico una volta cessato dal diverso ruolo prima ricoperto (o dal precedente incarico assunto), [#OMISSIS#] escludendo che il precedente ruolo possa derivare anche da un cd. passaggio di carriera.

5. Tale lettura, contrariamente all’assunto ricorrente, non appare irragionevole e in contrasto con l’art. 3 Cost.

5.1. Ad avviso della difesa ricorrente, la disciplina contenuta all’art. 1, commi 458 e 459, legge n. 147/2013, come interpretata dalla recente giurisprudenza amministrativa, inciderebbe irragionevolmente sul legittimo affidamento riposto dai dipendenti sulla certezza dell’erogazione di un assegno personale, previsto da una disciplina legislativa volta a incentivare la mobilità nel pubblico impiego, neutralizzandone gli effetti retributivi sfavorevoli, risultando pertanto illegittima.

Una simile disciplina sarebbe già stata stigmatizzata dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 169 del 2022, ha dichiarato incostituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost. l’art. 1, comma 261 della legge n. 190/2014 [#OMISSIS#] parte in cui ha disposto l’abrogazione dell’art. 2262, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 66/2010, che prevedeva l’attribuzione di un premio in favore dei controllori di volo militare del traffico aereo, al fine di ridurre “l’esodo” di detto personale verso l’Ente nazionale di Assistenza al Volo (ENAV) a causa delle migliori condizioni economiche da questo offerte.

Come [#OMISSIS#] vicenda esaminata dalla Corte – evidenzia il ricorrente – anche nel [#OMISSIS#] in oggetto “il legislatore ha dapprima creato le condizioni per le quali gli interessati abbandonassero l’amministrazione di appartenenza e passassero ad altra amministrazione, prevedendo a tale scopo un assegno ad personam diretto a colmare le differenze retributive, e, poi, irragionevolmente, una volta raggiunto il risultato, ha abrogato la [#OMISSIS#] attributiva dell’incentivo economico, disponendone con effetto immediato la mancata erogazione”.

5.2. Sul punto, il Collegio osserva in primo luogo che la giurisprudenza della Corte, nell’affermare che il valore del legittimo affidamento trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., ha comunque precisato che detto principio «non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni che modificano in senso sfavorevole [#OMISSIS#] interessati la disciplina di rapporti giuridici, “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”. Ciò può avvenire, tuttavia, a condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini [#OMISSIS#] sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (in tali termini, la stessa sentenza n. 169 del 2022 e giur. ivi richiamata).

5.3. Il giudizio sull’irragionevolezza di tali previsioni è quindi operato dalla Corte costituzionale attraverso un’operazione di bilanciamento di valori fatta [#OMISSIS#] per [#OMISSIS#], che vede fronteggiarsi, da un lato, la tutela dell’affidamento e, dall’altro, l’interesse pubblico sopravvenuto che giustifica l’intervento normativo censurato.

5.4. Una simile valutazione, da operarsi [#OMISSIS#] per [#OMISSIS#], induce quindi questo Collegio a tener distinta la vicenda oggetto della pronuncia richiamata dal ricorrente, da quella qui in esame.

[#OMISSIS#] prima, la Corte ha infatti dichiarato incostituzionale la [#OMISSIS#], affermando in particolare: “poiché l’ordinamento ha creato le condizioni per le quali gli interessati non abbandonassero l’amministrazione militare istituendo il premio in questione, irragionevolmente il legislatore, una volta raggiunto il risultato, alla [#OMISSIS#] del conseguimento delle condizioni per l’erogazione del citato emolumento, ha abrogato la [#OMISSIS#] attribuita dello stesso”.

[#OMISSIS#] presente fattispecie invece, non è ravvisabile quella specifica ratio incentivante, caratterizzante il premio, circoscritta a frenare la tendenza di una particolare categoria di personale (controllori di volo militare del traffico aereo) a lasciare anticipatamente il servizio, così impattando negativamente sia sull’interesse pubblico alla sicurezza dello spazio aereo, perseguito dalle Amministrazioni militari interessate, sia sulle casse delle stesse che, dopo aver impegnato risorse finanziarie [#OMISSIS#] formazione dei controllori di volo, se ne vedevano poi private.

5.5. La ratio sottesa all’assegno ad personam di cui all’art. 202 del DPR n. 3/57, ossia quella di incentivare la mobilità del personale pubblico, non presenta all’evidenza le medesime peculiarità (platea predeterminata di soggetti beneficiari e peculiarità delle Amministrazioni interessate, circoscritte a quelle militari) e può essere adeguatamente bilanciata dalle opposte esigenze di contenimento della spesa pubblica, esigenze che la stessa Corte costituzionale ha più volte riconosciuto idonee a giustificare e supportare interventi normativi sopravvenuti incidenti negativamente sulle diverse posizioni soggettive (es. sentenza n. 203 del 2016).

5.6. Accanto alle evidenti ragioni di contenimento della spesa pubblica, non mancano poi altre finalità, come quelle di superamento di disparità di trattamento, che pure in altre occasioni la Corte ha ritenuto altrettanto valide.

[#OMISSIS#] sentenza n. 241 del 2019, ad esempio, la Corte è stata chiamata a valutare un intervento normativo di riduzione della retribuzione originaria per i docenti provenienti dalla Scuola superiore dell’economia e finanze e trasferiti alla Scuola nazionale dell’amministrazione (SNA), a cui è stato attribuito il medesimo trattamento previsto per i docenti a tempo pieno della SNA; ritenendo, in tal [#OMISSIS#], che la riduzione fosse “sorretta dall’adeguata e ragionevole giustificazione di non creare sperequazioni retributive tra i docenti della stessa SNA, a parità di funzioni esercitate”.

In detta pronuncia, la Corte ha tra l’altro osservato che per il personale in regime di diritto pubblico, «il cui trattamento economico è sempre determinato dalla legge, la giurisprudenza amministrativa (così TAR Lazio, sezione prima, sentenza 10 giugno 2017, n. 6874) sottolinea che il divieto della reformatio in peius della retribuzione – che, del resto, veniva applicato soltanto quando l’impiegato fosse rimasto alle dipendenze dello stesso ente e non anche quando fosse passato ad altra amministrazione (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 5 settembre 2012, n. 4690) – è stato espunto dalla disciplina generale sul pubblico impiego dall’art. 1, comma 458, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del [#OMISSIS#] annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)». In mancanza di copertura costituzionale del principio di irriducibilità della retribuzione (sentenze n. 330 del 1999 e n. 219 del 1998), tale disposizione ha infatti abrogato le norme (contenute negli artt. 202 del d.P.R. n. 3 del 1957 e 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante «Interventi correttivi di finanza pubblica») che prevedevano – in [#OMISSIS#] di passaggio del dipendente da un’amministrazione ad un’altra – la corresponsione di un assegno personale (riassorbibile nei successivi incrementi stipendiali) per consentire il mantenimento del trattamento economico in godimento, ove superiore a quello riconosciuto [#OMISSIS#] posizione di destinazione». Applicando tali principi al [#OMISSIS#] al suo esame, la Corte ha quindi escluso una lesione dell’art. 3 Cost da parte della [#OMISSIS#] indubbiata, «laddove prevede, in capo ai docenti ex SSEF, in virtù del loro trasferimento alla SNA, una riduzione della retribuzione originaria, poiché tale riduzione è sorretta dall’adeguata e ragionevole giustificazione di non creare sperequazioni retributive tra i docenti della stessa SNA, a parità di funzioni esercitate».

6. Riprendendo le parole della Corte anche per il [#OMISSIS#] in esame, può quindi ritenersi che l’aver abrogato l’assegno ad personam, prevedendo la corresponsione di un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità, trovi ragionevole giustificazione, oltre che [#OMISSIS#] già rilevata esigenza di contenimento della spesa pubblica, anche in quella di “non creare sperequazioni retributive, a parità di funzioni esercitate”.

6.1. La stessa Adunanza Plenaria del 2022 ha invero rilevato che, attraverso le disposizioni in questione, “sono eliminate ragioni di differenziazione dei trattamenti economici all’interno della stessa amministrazione”.

6.2. Alla luce delle considerazioni sopra fatte, l’affermazione della Plenaria, benché espressa con riguardo alla particolare vicenda del rientro in ruolo del professore universitario, prima eletto componente del CSM, può estendersi anche a quella del dipendente che sia assunto presso una nuova amministrazione a seguito di passaggio da una precedente”.

2.3. Le argomentazioni sopra riportate, valevoli anche per il [#OMISSIS#] in esame, destituiscono di fondamento il primo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente ha censurato l’estensione della disciplina in questione anche al personale “transitato” in ragione dell’asserita diversità esistente tra le posizioni soggettive del personale rientrato e di quello transitato, in relazione all’affidamento maturato sulla stabilità del trattamento retributivo.

2.4. Il motivo va quindi respinto.

3. Parimenti è da respingere la seconda censura, in considerazione della natura doverosa della revoca dell’emolumento in questione.

3.1. Come sopra visto, la legge n. 147/2013 ha sancito l’obbligo per tutte le amministrazioni pubbliche di adeguare il trattamento economico dei propri dipendenti, senza l’attribuzione dell’assegno personale a decorrere dal 1° febbraio 2014. Pertanto, il decreto rettorale che, nel ripercorrere la vicenda in questione ha dato atto tanto dell’intervenuto parere delle Ragioneria, quanto del superamento di quest’[#OMISSIS#] da parte del Consiglio di Stato alla luce della vincolatività del disposto normativo, è esente dal denunciato difetto motivazionale.

3.2. Quanto al comportamento asseritamente contraddittorio dell’Università, il Collegio non ritiene che questo possa concretizzare un vizio di illegittimità del provvedimento impugnato, attesa la doverosità, per le ragioni già dette, dell’atto di revoca e del conseguente recupero delle somme corrisposte sine titulo dopo il 1° febbraio 2014.

3.2.1. In ogni [#OMISSIS#], la decisione di continuare ad erogare l’assegno personale al ricorrente dopo l’entrata in vigore della legge n. 147/2013 è stata [#OMISSIS#] dall’Ateneo sulla base, come visto, del parere reso dalla Ragioneria dello Stato nonché di quello successivo dell’Avvocatura generale dello Stato (cfr. decreto rettorale impugnato), secondo un’interpretazione tra l’altro condivisa, come sopra detto, anche da una parte della giurisprudenza; solo a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato dell’ottobre 2019, n. 6620, riferita ad una vicenda direttamente coinvolgente l’Università resistente, questa si è dovuta conformare all’orientamento così espresso, superando la precedente interpretazione, e provvedendo, già nel settembre 2021, ad interromperne di fatto il riconoscimento nei confronti del ricorrente.

Tali circostanze, in particolare, il contrasto giurisprudenziale in quell’epoca esistente sull’interpretazione della normativa in questione – a dirimere il quale è addirittura intervenuta nel 2022 l’Adunanza Plenaria con la già richiamata sentenza – e l’avallo “autorevole” dato dal parere della Ragioneria generale e da quello dell’Avvocatura, giustificano [#OMISSIS#] specie un errore scusabile dell’Università, avendo poi la stessa interrotto l’erogazione dell’assegno personale già prima dell’adozione del decreto impugnato, di fatto limitando l’importo delle somme da restituire e, di conseguenza, l’onere della ripetizione, ad un periodo più circoscritto (fino al 31 agosto 2021, anziché dicembre 2022).

4. Con il terzo ed [#OMISSIS#] motivo di ricorso, la parte censura l’azione di ripetizione avviata dall’Università, per violazione del principio di proporzionalità con riferimento all’art. 1 Prot. add. CEDU, richiamando a sostegno le condizioni evidenziate dalla pronuncia Casarin della Corte di Strasburgo (n. 4893 dell’11 febbraio 2021), che ricorrerebbero anche [#OMISSIS#] vicenda per cui è causa (i.e.: errore di valutazione commesso dall’Amministrazione; autorevolezza del datore di lavoro ente pubblico; mancanza di serio motivo fondato sull’interesse generale o di terzi per la revoca retroattiva dell’assegno; assenza di una clausola di ripetizione; stabilità e durata della percezione dell’assegno; natura retributiva della provvidenza; incidenza significativa sui redditi dell’interessato).

4.1. Va premesso che, in materia di ripetizione di indebito nel pubblico impiego, la giurisprudenza ha da sempre affermato la regola generale dell’art. 2033 cc. – in base al quale chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato – a fronte dell’obbligo dell’Amministrazione di recuperare le somme indebitamente versate, escludendo che la semplice buona fede del beneficiario legittimi, di per sé, una soluti retentio del trattamento economico così ricevuto, potendo piuttosto rilevare ai fini del temperamento dell’onerosità del recupero operato dall’Amministrazione.

4.1.1. Sebbene non siano mancate, anche di recente, pronunce del [#OMISSIS#] amministrativo che, valorizzando le specifiche connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, hanno escluso volta per volta la ripetizione (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione Seconda, sentenza n. 5014/2021 e giur. ivi richiamata; idem, sentenza n. 1373/2022; Tar Palermo, sentenza n. 2087/2023), non può [#OMISSIS#] affermarsi la vigenza di un generale principio di irripetibilità delle somme indebitamente corrisposte a fronte dell’affidamento maturato dal percettore, né lo stesso è stato sancito dalla pronuncia CEDU richiamata dalla difesa la quale, una volta specificati i presupposti che consentono di identificare un affidamento legittimo in capo all’accipiens, ha piuttosto stigmatizzato la sproporzione dell’interferenza rispetto a detto affidamento, ravvisando quindi una violazione dell’art. 1 Prot. add. CEDU, alla luce delle particolari circostanze del [#OMISSIS#] concreto e delle condizioni economico e personali, di indiscussa fragilità, dell’interessata, pur sempre riconoscendo l’interesse generale sotteso all’azione di ripetizione dell’indebito e la sua legittimità.

4.1.2. In altri termini, come ben evidenziato dalla Corte costituzionale [#OMISSIS#] recente sentenza n. 8 del 2023, la pur doverosa considerazione dell’affidamento legittimo dell’obbligato e delle sue condizioni economiche, patrimoniali e personali non impone di «generalizzare un diritto alla irripetibilità della prestazione».

4.2. La stessa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2033 c.c. sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., quest’[#OMISSIS#] in relazione all’art. 1 Prot. add. CEDU, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, ha respinto la questione in ragione del quadro di tutele offerte dall’ordinamento interno al legittimo affidamento.

4.2.1. Il [#OMISSIS#] delle leggi ha, in particolare, evidenziato il ruolo della clausola della buona fede, che impone in primo luogo al creditore di adeguare, tramite la rateizzazione, il quomodo dell’adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’obbligato, sicché «[l]a pretesa si dimostra dunque inesigibile fintantoché non sia richiesta con modalità che il [#OMISSIS#] reputi conformi a buona fede oggettiva»; inoltre, in presenza di particolari condizioni personali dell’accipiens che «possono immediatamente palesare un impatto lesivo della prestazione restitutoria sulle condizioni di [#OMISSIS#] dello stesso», si può giustificare un’ipotesi di inesigibilità temporanea, fino a ritenere «giustificato anche un adempimento parziale, che solo in casi limite potrebbe approssimarsi alla totalità dell’importo dovuto» quando le particolari condizioni personali del debitore siano «correlate a diritti inviolabili», fino a riconoscere, nell’ipotesi di una lesione dell’affidamento, una possibile tutela risarcitoria nelle forme della responsabilità precontrattuale «sempre che ricorrano gli ulteriori presupposti applicativi del medesimo illecito».

4.2.3. Ne deriva quindi che il vaglio della proporzionalità dell’interferenza non può prescindere dalla situazione economica del ricorrente e dovrà condursi, in primo luogo, con riferimento al quomodo dell’obbligazione restitutoria tenendo conto proprio delle condizioni economico-patrimoniali in cui versa l’obbligato, potendosi solo in presenza di «particolari condizioni personali dell’accipiens e dell’eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili», giungere all’inesigibilità della prestazione.

4.3. Per l’esame di detto profilo, è stata pertanto disposta un’istruttoria sulle condizioni del ricorrente, il quale in riscontro ha prodotto la documentazione richiesta.

4.4. Alla luce di quanto prodotto e provato, il Collegio non ritiene tuttavia che la pretesa restitutoria azionata dall’Università risulti [#OMISSIS#] specie sproporzionata e oltremodo onerosa per la parte, tenuto conto della modalità di recupero rateizzata, con trattenute mensili entro il limite del [#OMISSIS#] stipendiale – nei confronti della quale non vi è censura specifica – e delle condizioni economico patrimoniali dell’interessato (presenza di un patrimonio mobiliare e immobiliare quali fabbricati, terreni e investimenti all’[#OMISSIS#]), né sono stati rappresentati interessi superiori della persona e diritti inviolabili che rischino di essere [#OMISSIS#] specie compromessi (le spese documentate non risultano in tal senso determinanti: l’assistenza per il cognato è a carico della moglie, titolare di un proprio reddito; il contratto di locazione ha durata non eccedente i tre anni, a decorrere dall’ottobre 2019; il piccolo prestito quadriennale è in scadenza –novembre 2024).

4.5. Di tal che non si ravvisa la violazione denunciata.

5. Quanto alla domanda risarcitoria, la stessa è stata solo genericamente formulata nell’epigrafe del ricorso e come tale va disattesa.

6. Alla stregua di quanto sopra, il ricorso va pertanto respinto.

7. Si ravvisano tuttavia i presupposti, in ragione della particolarità della vicenda e della natura degli interessi coinvolti, per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Roma [#OMISSIS#] [#OMISSIS#] di consiglio del giorno 5 luglio 2023 con l’intervento dei magistrati:

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], [#OMISSIS#]

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Consigliere, Estensore

[#OMISSIS#] [#OMISSIS#] [#OMISSIS#], Referendario