Rispetto ai provvedimenti di primo grado (in tesi illegittimi) adottati anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 124/2015, il termine di diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, fatta salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione del citato art. 21-nonies.
Cons. Stato, Sez. VII, 17 gennaio 2024, n. 539
Le modalità temporali di esercizio del potere di annullamento in autotutela
00539/2024 REG.PROV.COLL.
03323/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3323 del 2022, proposto dall’ERDIS – Ente Regionale per il Diritto allo Studio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. OMISSIS e con domicilio digitale come da P.E.C. da Registri di Giustizia;
contro
prof. ing. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS e OMISSIS e con domicilio eletto presso lo studio degli stessi, in Roma, via [#OMISSIS#] Paulucci de’ Calboli, n. 9
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sezione Prima,-OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato accolto il ricorso principale R.G. n. 58/2017 ed è stata dichiarata inammissibile la domanda riconvenzionale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione e difensiva del prof. -OMISSIS-;
Viste le memorie e le repliche delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2023 il Cons. OMISSIS e uditi per le parti l’avv. OMISSIS per l’ERDIS, gli avv.ti OMISSIS e OMISSIS per il-OMISSIS-;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in epigrafe l’Ente Regionale per il Diritto allo Studio delle Marche (ERDIS) propone appello contro la sentenza del T.A.R. Marche, Sez. I,-OMISSIS-, chiedendone la riforma.
La sentenza di prime cure ha accolto il ricorso presentato dal prof. ing. -OMISSIS- contro il decreto commissariale del -OMISSIS-, con cui l’Ente, preso atto di alcune irregolarità che avevano contraddistinto le delibere di conferimento al predetto ricorrente dell’incarico di direzione lavori ed attività correlate in riferimento alle opere di messa in sicurezza e risanamento conservativo dell’edificio “-OMISSIS-”, sito in Ancona e destinato a residenza universitaria, ha annullato in autotutela le suddette delibere. Il ricorrente aveva, altresì, impugnato gli atti presupposti e connessi, tra cui in particolare la relazione del R.U.P. del 13 gennaio 2016, che aveva riscontrato le irregolarità e proposto l’intervento in autotutela poi attivato dal decreto commissariale.
In estrema sintesi, al termine di una vicenda assai complessa, descritta analiticamente dalla sentenza, l’incarico conferito all’ing. -OMISSIS- è stato annullato in autotutela dal decreto del Commissario dell’Ente (allora ERSU) a seguito della succitata relazione del R.U.P.: questa aveva segnalato errori nel prezziario applicato dal professionista, errori di progettazione causa di ripetute perizie di variante e suppletive, nonché irregolarità nelle iscrizioni delle riserve e, più in generale, la circostanza che l’incarico al professionista sarebbe dovuto scaturire da una convenzione dell’ERSU con l’Università Politecnica delle Marche (di cui l’ing. -OMISSIS- era professore ordinario), la quale avrebbe dovuto individuare al proprio interno il responsabile della prestazione: tuttavia, non essendo stata stipulata la convenzione, l’incarico di direttore lavori veniva a configurarsi – secondo la relazione del R.U.P. poi recepita dal decreto commissariale – come conferito direttamente a un professionista senza gara e, dunque, illegittimo sotto il profilo amministrativo.
Il T.A.R. Marche, adito dal-OMISSIS-, ha accolto il suo ricorso ritenendo fondata la censura di violazione del termine ragionevole per l’esercizio del potere di autotutela. Il primo giudice ha invece dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda riconvenzionale spiegata dall’ERDIS per l’accertamento e la declaratoria della nullità e/o inefficacia e/o caducazione delle convenzioni e dei contratti stipulati dall’Ente con lo stesso professionista.
Nel gravame l’ERDIS ha contestato l’iter argomentativo e le statuizioni della sentenza di prime cure, deducendo i seguenti motivi:
1) error in iudicando, illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere, violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004 e dell’art. 14 della l. n. 11/2005, nonché degli artt. 3 e 97 Cost., eccesso di potere per ingiustizia, illogicità, irrazionalità, difetto di motivazione, contraddittorietà e perplessità, in quanto il Tribunale sarebbe incorso in errore nel ritenere che nel caso di specie l’ERDIS abbia emesso i provvedimenti di autotutela oltre un termine ragionevole;
2) error in iudicando, illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere, violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004 e dell’art. 14 della l. n. 11/2005, nonché degli artt. 121, 122 e 133 c.p.a. e dell’art. 2033 c.c., eccesso di potere per ingiustizia, illogicità, irrazionalità, difetto di motivazione, contraddittorietà e perplessità, giacché, analogamente, sarebbe erronea la statuizione della sentenza di prime cure che ha dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale dell’ERDIS per difetto di giurisdizione.
L’Ente appellante ha concluso per la riforma della sentenza appellata e quindi:
a) per la reiezione del ricorso di primo grado promosso dal-OMISSIS-;
b) per l’accoglimento della domanda riconvenzionale da esso spiegata e per l’effetto:
b1) per l’accertamento e la declaratoria della caducazione e/o inefficacia e/o nullità dei contratti e delle convenzioni stipulate tra lo stesso ERDIS (già ERSU) ed il-OMISSIS- e di ogni rapporto sorto tra le parti in riferimento all’incarico in questione;
b2) per l’accertamento e la declaratoria che nulla è dovuto dall’ERDIS (già ERSU) al-OMISSIS- in ordine agli incarichi affidati e annullati e/o dichiarati nulli;
b3) per l’accertamento e la declaratoria dell’obbligo del-OMISSIS- di restituire all’ERDIS (già ERSU), a titolo di indebito oggettivo, la somma complessiva di € 1.375.123,07, oltre interessi legali dai singoli pagamenti al saldo, o la maggiore o minore somma che dovesse risultare di giustizia in esito al giudizio e in corso di causa;
b4) per la condanna del-OMISSIS- al pagamento in favore dell’ERDIS (già ERSU) della somma di cui al punto precedente.
Si è costituito in giudizio l’appellato con memoria di costituzione e difensiva, a mezzo della quale ha replicato ai motivi del gravame e riproposto, ex art. 101, comma 2, c.p.a., i motivi, le domande e le eccezioni dichiarati assorbiti o non esaminati nella sentenza di primo grado.
Le parti hanno successivamente depositato memorie e repliche, ribattendo alle altrui argomentazioni e insistendo nelle rispettive conclusioni.
All’udienza pubblica del 10 ottobre 2023 sono comparsi i difensori delle parti. Il Presidente, sentiti i predetti difensori, ha disposto che la causa fosse trattenuta in decisione.
DIRITTO
Viene in decisione l’appello proposto dall’ERDIS – Ente Regionale per il Diritto allo Studio delle Marche contro la sentenza del T.A.R. Marche che ha accolto il ricorso del prof. -OMISSIS- avverso il decreto commissariale di annullamento in autotutela delle delibere con le quali l’ERSU (ora ERDIS) aveva affidato al citato-OMISSIS- l’attività di direzione lavori – contabilizzazione ed assistenza collaudo, nonché di coordinatore per la sicurezza, in relazione ai lavori di risanamento conservativo dell’edificio denominato “-OMISSIS-”, ubicato in Ancona, alla via [#OMISSIS#] di [#OMISSIS#], e destinato a residenza universitaria e servizi.
In sintesi, il T.A.R. ha anzitutto evidenziato che nel caso di specie gli atti annullati (gli affidamenti, le convenzioni, nonché la transazione stipulata tra l’ERSU e il ricorrente) sono anteriori all’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla l. 7 agosto 2015, n. 124 all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990 (modifiche in base alle quali la P.A, può adottare nel termine di diciotto mesi atti di annullamento in autotutela): se ne evince, alla stregua della pronuncia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio del 17 ottobre 2017, n. 8, che per i provvedimenti di autotutela che, come quello in esame, sono posteriori alla l. n. 124/2015, ma hanno a oggetto atti precedenti alla stessa, il termine di diciotto mesi decorre dall’entrata in vigore della legge de qua (pubblicata nella G.U. del 13 agosto 2015); ciò implicherebbe la tempestività del decreto impugnato, siccome adottato il -OMISSIS-.
Senonché, osserva il T.A.R. che per i provvedimenti di annullamento in autotutela che intervengano su atti anteriori alla l. n. 124/2015 occorre altresì tener conto della loro tempestività sulla base della precedente normativa, poiché altrimenti il nuovo art. 21-nonies della l. n. 241/1990, nell’introdurre il suindicato termine di diciotto mesi, avrebbe assunto il ruolo di una sanatoria dei provvedimenti di secondo grado adottati nel rispetto di detto termine, a prescindere dal tempo trascorso dall’adozione degli atti oggetto di annullamento, dunque pure se intervenuti a distanza di molto tempo rispetto agli atti da annullare.
Orbene, nel caso di specie rilevano sia la pregressa formulazione dell’art. 21-nonies cit. (secondo cui l’annullamento d’ufficio doveva essere disposto entro un “termine ragionevole”), sia la disciplina dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004 – non abrogato dall’originario art. 21-nonies cit., ma solo dall’art. 6, comma 2, della l. n. 124/2015 – che stabiliva il termine di tre anni per l’annullamento di provvedimenti illegittimi incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati (quali quelli qui in esame), fissandone la decorrenza dall’acquisto di efficacia dei predetti provvedimenti, anche se la loro esecuzione fosse stata perdurante.
Ha osservato la sentenza appellata che, assumendo a riferimento l’art. 1, comma 136, cit., il decreto commissariale impugnato risulta tardivo rispetto a quasi tutti gli atti da esso annullati in autotutela, siccome anteriori al suddetto termine triennale: questo, infatti, andando a ritroso non può risalire oltre il 28 novembre 2013, mentre le convenzioni annullate sono state rispettivamente stipulate il 1° giugno 2007 e il 28 dicembre 2010 (e ancora più risalenti sono gli atti che ne hanno comportato la stipula: le delibere n. 14 del 5 luglio 2005 e n. 50 del 21 dicembre 2010).
Precisa il Tribunale che a tal fine non possono considerarsi l’ultimo incarico affidato al ricorrente (in data 30 giugno 2014) e la successiva transazione stipulata il 4 ottobre 2014 – atti, questi, per i quali sarebbe rispettato il termine di tre anni di cui all’art. 1, comma 136, cit. – poiché i vizi di legittimità posti a fondamento del provvedimento di annullamento in autotutela erano tutti individuabili sin dal momento della stipula delle convenzioni del 2007 e del 2010 (e dell’adozione degli atti che hanno implicato tale stipula). Detti vizi vengono infatti ravvisati dal provvedimento gravato: a) nell’assenza di una convenzione tra l’Università Politecnica delle Marche e l’ERSU, recante l’individuazione del professionista quale responsabile della prestazione, trattandosi di atto necessariamente propedeutico alla stipula della convenzione del 1° giugno 2007 (dove fu conferito l’incarico professionale al-OMISSIS-); b) nel proseguimento del rapporto tra l’ERSU e lo stesso-OMISSIS-, sebbene costui avesse comunicato che il suo rapporto con l’Università sarebbe divenuto “a tempo pieno” e in assenza del nulla osta previsto dal d.P.R. n. 382/1980; c) nel conferimento dell’incarico di direzione lavori al-OMISSIS- quale Presidente della Asset S.r.l., in quanto costituzione di un nuovo affidamento, diverso rispetto al precedente incarico, in violazione della normativa contrattuale pubblica; d) infine, nel proseguimento del rapporto dopo la comunicazione, da parte del citato professionista, della messa in liquidazione della Asset S.r.l..
In ogni caso, gli atti adottati meno di tre anni prima del decreto impugnato (e dunque rientranti nel termine triennale ex art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004) trovano origine nei precedenti e in specie nelle due convenzioni stipulate nel 2007 e nel 2010. Ed anche se si volesse escludere l’applicabilità diretta alla fattispecie del citato art. 1, comma 136, il termine triennale ivi previsto – osserva il primo giudice – costituirebbe comunque un indice ermeneutico rilevante al fine di parametrare e valutare in concreto l’esercizio dell’autotutela decisoria da parte dell’Ente.
In secondo luogo, la sentenza ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda riconvenzionale spiegata dall’ERDIS per sentir dichiarare la nullità e/o inefficacia e/o caducazione delle convenzioni e dei contratti stipulati tra l’Ente (all’epoca: ERSU) e il professionista. Infatti, la giurisdizione del G.A. sulla sorte dei contratti oggetto di provvedimenti in autotutela è legata – nota il T.A.R. – alla presenza del provvedimento di annullamento d’ufficio di natura pubblicistica: una volta accolto il ricorso e annullato il decreto commissariale di annullamento in autotutela, perciò, la domanda riconvenzionale perde il suo collegamento con il ricorso principale e si riduce a un’azione per la declaratoria di nullità e/o inefficacia e/o caducazione di atti paritetici, come tale estranea alla giurisdizione amministrativa.
Analogamente, la sentenza appellata ha affermato l’estraneità alla cognizione del G.A. delle domande – del pari proposte dall’ERDIS – di accertamento e declaratoria che nulla va più corrisposto al-OMISSIS-, nonché di condanna di quest’ultimo a restituire all’Ente le somme corrispostegli in forza delle convenzioni, contratti e rapporti cui riferisce il decreto commissariale, in applicazione dell’art. 2033 c.c. (indebito oggettivo).
Venendo alla disamina delle censure dell’appello, con il primo motivo di gravame l’ERDIS lamenta l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere la stessa affermato la tardività dell’intervento in autotutela dell’Ente, siccome avvenuto oltre un “termine ragionevole”, con conseguente illegittimità del decreto commissariale impugnato.
In primo luogo l’appellante ha contestato l’affermazione del T.A.R. della vigenza dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004, trattandosi di disposizione che, ancorché abrogata espressamente dall’art. 6 della l. n. 124/2015, non sarebbe stata comunque più invocabile una volta entrata in vigore la l. 11 febbraio 2005, n. 15, che ha introdotto l’art. 21-nonies nella l. n. 241/1990: quest’ultima, infatti, in quanto posteriore alla l. n. 311/2004 e recante una disciplina organica dell’istituto dell’annullamento d’ufficio, prevarrebbe sull’art. 1, comma 136, della citata l. n. 311/2004.
La l. n. 15/2005, nel recare la disciplina dell’annullamento in autotutela, ha introdotto la nozione di “termine ragionevole” entro cui lo stesso può essere disposto e si tratta di una terminologia elastica e valutabile caso per caso, la quale – osserva l’appellante – sarebbe depotenziata e resa inutile, ove si sostenesse (come ha fatto il T.A.R.) il permanere di una disposizione (l’art. 1, comma 136, cit.) che invece individua un termine rigido (tre anni), non elastico, ma rigoroso.
In ogni caso, lamenta l’ERDIS, quand’anche si optasse per la perdurante vigenza dell’art. 1, comma 136, cit., quest’ultima, quale norma speciale attinente a fattispecie peculiari, non si applicherebbe al caso di specie. Essa, infatti, perseguirebbe una finalità di risparmio di spesa, mentre l’intervento in autotutela dell’Ente avrebbe motivazioni ben diverse, aventi a oggetto l’eliminazione di situazioni di evidente illegalità (l’assenza di una convenzione a monte tra l’Università e l’ERSU, la prosecuzione del rapporto con il-OMISSIS- nonostante il passaggio di costui al regime c.d. a tempo pieno e in difetto del prescritto nulla osta, ecc.). La norma di riferimento per la fattispecie in esame, pertanto, sarebbe rappresentata dall’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, nel testo introdotto dalla l. n. 15/2005 e, quindi, prima della riforma del 2015: né, al fine di valutare se il potere sia stato esercitato entro il “termine ragionevole” previsto dall’art. 21-nonies cit., si potrebbe far ricorso all’art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004, atteso il già visto carattere speciale di questa disposizione.
In secondo luogo, con il motivo di appello in esame l’ERDIS ha sostenuto la “ragionevolezza”, ai sensi dell’art. 21-nonies cit., del termine entro cui l’Ente stesso è intervenuto in autotutela, in quanto: a) ha dovuto porre rimedio a gravi violazioni con [#OMISSIS#] di falsa applicazione di principi comunitari, per le quali non sussisterebbe un limite temporale per l’esercizio dell’autotutela; b) è intervenuto una volta conosciuti i vizi che inficiavano le volontà assunte, con conseguente decorrenza del termine di intervento dalla loro scoperta; c) ha rispettato tutti i criteri e parametri valutabili al fine di considerare “ragionevole” il termine trascorso per l’autotutela; d) ha anche posto fine a una situazione giuridica di nullità.
In sintesi: la violazione dei principi comunitari sarebbe ravvisabile nel fatto che gli affidamenti sono avvenuti in violazione della normativa contrattuale pubblica e dell’evidenza pubblica.
La ragionevolezza del termine si connetterebbe all’acquisizione, da parte dell’Ente, della conoscenza dei profili di illegittimità degli atti, ottenuta anche l’acquisizione di pareri e verbali ispettivi. Inoltre rileverebbero fattori quali la tipologia e complessità del provvedimento da annullare, la complessità dell’iter istruttorio, le incertezze in fatto e in diritto, ecc.; invero, il decreto del -OMISSIS- è stato assunto dall’Ente diretto non più dal Consiglio di Amministrazione in carica nel periodo degli affidamenti contestati, ma da un Commissario straordinario (incaricato ex l.r. n. 23/2015), a seguito dell’attività di indagine posta in essere dal nuovo R.U.P. e da un’apposita Commissione tecnica e di supporto.
Per di più il decreto impugnato avrebbe evidenziato, altresì, aspetti non di mera illegittimità, ma di radicale nullità degli atti, in merito ai seguenti profili: 1) l’assenza di una convenzione tra l’ERSU e l’Università, che comporterebbe la nullità del conferimento originario dell’incarico al-OMISSIS- con la convenzione del 2007; 2) l’assenza della forma scritta in relazione all’ultimo affidamento al professionista (dopo la messa in liquidazione dell’Asset S.r.l.), non surrogata da un mero scambio di corrispondenza.
Né corrisponderebbe al vero l’affermazione della sentenza appellata che gli atti dell’Ente rientranti nel triennio ex art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004, dunque annullabili ai sensi della disposizione ora citata, trovano origine negli atti precedenti, in quanto tra l’Ente e il-OMISSIS- sarebbero, in realtà, intervenuti più rapporti con presupposti ogni volta differenti e con la sostituzione del soggetto destinatario (Asset S.r.l.): cosicché, in conclusione, anche nella denegata ipotesi dell’operatività del termine triennale di cui all’art. 1, comma 136, cit., tutti gli affidamenti successivi al novembre 2013 sarebbero stati legittimamente annullati e/o dichiarati nulli, con ogni consequenziale determinazione anche in termini restitutori.
Così riferite le censure in cui si articola il primo motivo di appello, osserva il Collegio che nessuna di esse è suscettibile di positivo apprezzamento, non essendo le stesse capaci di superare le pregevoli argomentazioni della sentenza di primo grado.
Al riguardo, il Collegio ritiene che si debba in primo luogo individuare la disciplina sulle modalità temporali di esercizio del potere di annullamento in autotutela applicabile alla fattispecie per cui è causa.
Per quanto riguarda l’applicabilità del termine di diciotto mesi introdotto nell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990 dall’art. 6 della l. n. 124/2015 (legge posteriore agli atti annullati), si ritiene di aderire all’indirizzo giurisprudenziale, richiamato anche dalla sentenza appellata, secondo il quale rispetto ai provvedimenti di primo grado (in tesi illegittimi) adottati anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 124/2015, il termine di diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, fatta salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione del citato art. 21-nonies (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VI, 8 maggio 2019, n. 2974; id., 13 luglio 2017, n. 3462; Sez. V, 19 gennaio 2017, n. 250).
Invero, questo Consiglio ancora in un recente arresto (Sez. VI, 9 marzo 2022, n. 1704) ha chiarito che “secondo la giurisprudenza di questo Consiglio il termine di diciotto mesi, nei procedimenti di annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies L. 241/90, è applicabile solo per i provvedimenti adottati successivamente alla entrata in vigore della l. 124/2015 (avutasi in data 28 agosto 2015) in considerazione della natura innovativa (e non interpretativa) della disposizione. Infatti, si tratta di un termine che non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della novella legislativa, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi) finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa. È fatta comunque salva l’operatività del “termine ragionevole”, secondo la formulazione del testo previsto dall’originaria versione del citato art. 21-nonies, aggiungendo che – per quanto i diciotto mesi non possano considerarsi ancora decorsi – è anche vero che la novella non può non valere come prezioso indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell’osservanza della regola di condotta in questione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5410)”.
In questo senso, è corretta e condivisibile l’affermazione del primo giudice, il quale ha rilevato come nel caso di specie la disciplina sopravvenuta nel 2015 debba essere coordinata con quella previgente: in caso contrario, infatti, la l. n. 124/2015 avrebbe il valore, per i provvedimenti di annullamento in autotutela che (come nella vicenda qui in esame) sono posteriori alla sua entrata in vigore, ma hanno ad oggetto atti anteriori alla legge stessa, di una sanatoria per tali provvedimenti, ove emanati entro il termine di diciotto mesi dall’entrata in vigore della medesima l. n. 124/2015, indipendentemente dal tempo trascorso dall’adozione degli atti da annullare, ossia pur se emanati a grande distanza di tempo da tali atti. Una simile opzione ermeneutica, tuttavia, da una parte contrasta con la nozione di “termine ragionevole” entro cui è esercitabile il potere di autotutela in base all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990 (nella versione anteriore alla riforma del 2015); dall’altra – è il caso qui di aggiungere – contrasta con la ratio della stessa l. n. 124/2015, che ha fissato un termine breve (soli diciotto mesi) per l’esercizio del predetto potere.
Tale conclusione è coerente con l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 8 del 17 ottobre 2017, la quale al parag. 10.3 ha osservato che mentre il pregresso e risalente orientamento “predicava la sostanziale perennità della potestà amministrativa di annullare gli atti invalidi”, “la successiva evoluzione dell’ordinamento si è mossa in chiave di maggiore protezione per i soggetti incisi dall’esplicazione del potere di autotutela”: cosicché, in definitiva, “prima ancora che la l. 15 del 2005 legificasse le principali acquisizioni in materia, la giurisprudenza amministrativa aveva già temperato il richiamato principio di perennità predicando invece la necessità che l’annullamento e la revoca intervenissero entro un termine ragionevole (sul punto – ex multis –: Cons. Stato, VI, 15 novembre 1999, n. 1812; id., V, 20 agosto 1996, n. 939)”. Il richiamo alla ragionevolezza del termine peraltro non stava a significare la consumazione del potere di riesame dopo il decorso di un lasso di tempo ampio, quanto, piuttosto, la necessità di “una valutazione via via più accorta fra l’interesse pubblico al ritiro dell’atto illegittimo e il complesso delle altre circostanze e interessi rilevanti (e, in primis, quello del destinatario del provvedimento illegittimo”, a lui favorevole, “il quale maturava, per effetto del decorso del tempo, un affidamento legittimo alla permanenza dell’assetto di interessi delineato dal provvedimento medesimo)”.
Quindi – conclude la Plenaria nel passaggio in esame – “l’evoluzione dell’ordinamento pubblicistico ha comportato che il decorso del tempo condizioni in modo rilevante le modalità di esercizio del potere di autotutela”. Tale evoluzione culmina nell’art. 6 della l. n. 124/2015, che con la fissazione del termine di diciotto mesi ha introdotto una predeterminazione legale della “ragionevolezza” del termine per l’annullamento in autotutela (C.d.S., A.P. n. 8/2017, cit., parag. 4) e da ultimo nell’art. 63, comma 1, del d.l. n. 77/2021, conv. con l. n. 108/2021, che ha ridotto il suddetto termine a dodici mesi.
Da quanto finora detto, pertanto, discende in concreto che nel caso di specie, ai fini della legittimità del decreto commissariale impugnato, non basta che lo stesso sia stato adottato il -OMISSIS-, dunque nei diciotto mesi dall’entrata in vigore della l. n. 124/2015 (avvenuta il 28 agosto 2015), ma occorre altresì che lo stesso sia conforme alla normativa previgente sotto il profilo della tempestività della sua adozione e quindi:
I) o che il predetto decreto sia stato adottato entro tre anni dalla data dell’acquisto di efficacia degli atti su cui è intervenuto, come ha opinato il T.A.R., giudicando applicabile alla fattispecie il termine triennale ex 1, comma 136, della l. n. 311/2004;
II) o che comunque tale decreto sia stato adottato entro un “termine ragionevole” da tali atti, ai sensi dell’art. 21-noniesdella l. n. 241/1990, nel testo anteriore alla riforma del 2015.
Come si è visto, l’Ente appellante si sforza di dimostrare a) che alla fattispecie non può applicarsi il termine triennale di cui all’art. 1, comma 136, cit., b) che il decreto di annullamento d’ufficio è stato adottato entro un “termine ragionevole” ex art. 21-nonies della l. n. 241 cit.: senonché, anche ove si aderisca alla tesi ora indicata al punto a) e si ritenga che la fattispecie in esame è disciplinata dall’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, nella versione originaria dettata dalla l. n. 15/2005, in nessun modo si potrebbe sostenere che nel caso di specie la P.A. abbia esercitato il potere di annullamento d’ufficio entro il “termine ragionevole” previsto da tale disposizione.
Anche da questo punto di vista, infatti, il Collegio condivide le affermazioni della sentenza di prime cure, secondo cui il decreto commissariale impugnato non rispetta la regola sull’esercizio del potere di autoannullamento entro un termine ragionevole, in quanto è intervenuto nel 2016 in relazione a un incarico conferito nel 2007 (su decisione assunta nel 2005) ed ha avuto ad oggetto vizi di legittimità degli atti annullati che l’Ente conosceva, o avrebbe dovuto conoscere, da lungo tempo.
Giustamente il T.A.R. ha osservato che il termine per l’annullamento in autotutela degli affidamenti di incarichi al-OMISSIS- e delle relative convenzioni non può farsi decorrere dall’ultimo incarico conferitogli, né dalla transazione stipulata nell’ottobre 2014, atteso che i vizi di legittimità lamentati dall’Ente e posti a fondamento del disposto annullamento in autotutela erano tutti individuabili sin dalla stipula della convenzione del 2007 e poi dalla stipula di quella del 2010, in occasione della quale l’incarico era stato confermato al-OMISSIS- come presidente di una “spin-off accademica” (la Asset S.r.l.), poi posta in liquidazione: dunque, erano vizi agevolmente conoscibili, se non conosciuti, dall’Ente appellante ben nove anni prima o almeno sei anni prima della data di adozione del decreto di annullamento (-OMISSIS-).
Anche per questo verso va richiamato l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 2017 (parag. 10.6), la quale ha chiarito che la locuzione “termine ragionevole” indica un concetto non parametrico, ma relazionale, in quanto riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie.
Più in particolare, “la nozione di ragionevolezza del termine è strettamente connessa a quella di esigibilità in capo all’amministrazione, ragione per cui è del tutto congruo che il termine in questione (nella sua dimensione ‘ragionevole’) decorra soltanto dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto”. Così, ad es., nell’ipotesi di titoli abilitativi rilasciati in base a dichiarazioni oggettivamente non veritiere (la cui prospettazione fallace abbia inciso sul rilascio del titolo), è congruo secondo la Plenaria che il termine ‘ragionevole’ decorra solo dal momento in cui la P.A. ha appreso di siffatta non veridicità. Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza successiva, che ha ricollegato il decorso del termine per l’annullamento in autotutela, nella sua dimensione “ragionevole”, al momento in cui la P.A. è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto (C.d.S., Sez. VI, 21 ottobre 2021, n. 7059; Sez. IV, 18 luglio 2018, n. 4374).
Quanto detto non può, però, valere a giustificare l’immotivata e protratta inerzia della P.A., a maggior ragione se per un lasso di tempo davvero considerevole (C.d.S., Sez. II, 14 dicembre 2020, n. 8004), come nel caso qui in esame: soprattutto, il decorso del termine de quo va ricollegato agli obblighi di correttezza e buona fede gravanti sulla P.A. anche nei rapporti di diritto amministrativo e non solo in quelli di diritto civile, per come codificati dall’art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241/1990, inserito dal d.l. n. 76/2020 (conv. con l. n. 120/2020), che ha positivizzato principi comunque ritenuti immanenti al sistema (C.d.S., Sez. II, 22 maggio 2023, n. 5072), in quanto traggono fondamento dai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost. (C.d.S., A.P., 29 novembre 2021, n. 21).
Orbene, tali obblighi di correttezza e buona fede avrebbero imposto all’Ente (all’epoca: ERSU) di procedere a un celere riscontro ed a una contestazione altrettanto celere dei pretesi vizi di legittimità degli atti di affidamento, perché esistenti e riconoscibili sin dalla stipula dell’originaria convenzione di conferimento dell’incarico all’appellato, avvenuta in data 1° giugno 2007: ciò, in quanto il vizio lamentato – l’assenza della previa sottoscrizione di una convenzione tra l’Università delle Marche e lo stesso Ente per l’individuazione del professionista quale responsabile della prestazione – emergeva ictu oculi dagli atti del procedimento.
Lo stesso decreto impugnato riconosce esplicitamente tale circostanza, osservando che l’incarico di direzione lavori è stato inizialmente conferito al-OMISSIS- con delibera n. 14 del 5 luglio 2005 “con la precisazione che la nomina stessa doveva essere preceduta dalla sottoscrizione della relativa convenzione tra l’Università Politecnica delle Marche e l’ERSU, contenente l’individuazione del professionista quale responsabile della prestazione”: aggiunge il decreto commissariale che “agli atti d’ufficio non esiste tale convenzione” ma che “nonostante ciò, il conferimento dell’incarico al Prof. Ing. -OMISSIS- quale DL è avvenuto con atto convenzionale dell’1/6/2007”.
Ma vi è di più: il decreto commissariale impugnato riconosce che il rapporto tra l’Ente e l’appellato è proseguito nella sua originaria (e in tesi viziata) configurazione originaria sebbene il-OMISSIS- avesse comunicato il 27 ottobre 2009 che a decorrere dal 1° novembre 2009 egli sarebbe passato in regime di impiego c.d. a tempo pieno con l’Università delle Marche, con la conseguente necessità, a questo punto, di acquisire il nulla osta dell’Ateneo allo svolgimento (prosecuzione) dell’incarico da parte del professionista, ai sensi del d.P.R. n. 382/1980. Orbene, il provvedimento ammette che “così non è avvenuto, nel senso che dal 01/11/2009 alla sottoscrizione della convenzione del 28/12/2010 (cioè la convenzione con cui l’incarico di direzione lavori, contabilizzazione, assistenza, ecc. è stato affidato all’appellato nella sua qualità di presidente della “spin-off accademica” Asset S.r.l.) il Prof. Ing. -OMISSIS- ha continuato ad espletare la sua attività di direzione lavori nonostante il passaggio al regime di tempo pieno senza alcuna autorizzazione dell’Università”.
In altre parole, arrivati a tal momento (2009), non solo l’Ente ha continuato a non tenere conto del vizio originario del conferimento dell’incarico, ma neppure ha considerato l’ulteriore vizio (in tesi: ostativo alla prosecuzione dello stesso) consistente nell’assenza del nulla osta dell’Ateneo, sebbene in ambedue i casi si trattasse di vizi agevolmente individuabili, vertendosi nell’una e nell’altra ipotesi in carenze documentali ictu oculi rilevabili (nel primo caso il difetto della convenzione tra l’Ateneo e l’ERSU, nel secondo il difetto del nulla osta dell’Università).
Anche gli ulteriori (pretesi) vizi assunti a base del provvedimento impugnato scontano le medesime caratteristiche di agevole e immediata riconoscibilità e, nonostante ciò, di immotivata inerzia della P.A. nel rilevarli: così è per il conferimento dell’incarico di direzione lavori attribuito dall’ERSU al-OMISSIS- con la convenzione del 28 dicembre 2010, avvenuto – lamenta il decreto impugnato – direttamente e senza selezione a una società esterna e a responsabilità limitata, anche se con natura di “spin-off didattica” (cioè di società promossa da personale di ruolo dell’Università con il diretto coinvolgimento di docenti e giovani ricercatori, finalizzata all’utilizzazione industriale dei risultati della ricerca), ma in ogni caso, aggiunge il decreto commissariale, “senza alcuna presa di posizione e/o assenso e/o convenzione con l’Università”.
La suesposta caratteristica di agevole e pronta riconoscibilità del vizio lamentato è ancora più palese per l’ultimo snodo procedimentale di prosecuzione del rapporto tra l’Ente e il professionista sul quale il decreto commissariale pone l’accento, quello successivo alla messa in liquidazione della “spin-off accademica” (Asset S.r.l.), in cui, a fronte della richiesta formulata dal-OMISSIS- con missiva del 5 novembre 2013 di “tornare all’originaria convenzione stipulata in data 1/6/2007”, il R.U.P. dell’Ente in carica all’epoca ebbe a rispondere con nota del 14 novembre che nulla ostava al riguardo e che sul punto sarebbe stato assunto apposito provvedimento, poi mai emanato.
Il rapporto così ricostituito alle originarie condizioni contrattuali del 2007 – sottolinea sul punto il provvedimento di annullamento in autotutela – oltre ad essere viziato in via derivata per i (presunti) vizi sopra delineati, sarebbe stato viziato in via autonoma “configurandosi come un incarico diretto, in violazione della normativa, senza convenzione (originaria e semmai sopravvenuta)” e poi ancora “senza alcuna formalizzazione scritta, se non uno scambio di corrispondenza”: ma è evidente che un vizio di tal tipo avrebbe dovuto essere prontamente eccepito dall’Ente, essendo ictu oculi rilevabile e presentandosi come immediatamente ostativo alla prosecuzione del rapporto.
Nell’appello l’ERDIS contesta l’affermazione da parte del T.A.R. della tardività dell’annullamento in autotutela sostenendo di essere intervenuto nel “termine ragionevole” di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/1990 (ante riforma del 2015), ma nello spendere al riguardo le argomentazioni che si sono sopra viste, l’Ente incorre nei seguenti equivoci:
I) non considera il carattere dirimente dei vizi del conferimento originario – formalizzato nel 2007 – che, giova ribadire, non è affermato solo dalla sentenza appellata (la quale dimostra ampiamente come sia gli snodi procedurali di prosecuzione dell’incarico, sia gli atti più recenti, trovino tutti la propria ragion d’essere nell’originaria convenzione del 1° giugno 2007), ma emerge dalla stessa lettura del decreto commissariale di annullamento in autotutela;
II) fa riferimento a circostanze, anche normative, inerenti alla vita dell’Ente stesso (il passaggio al regime commissariale in forza della l.r. n. 23/2015 di riordino preliminare del settore, sulla base di un percorso concluso con la l.r. n. 4/2017, che ha istituito gli Enti Regionali per il Diritto allo Studio – ERDIS, in luogo dei soppressi Enti Regionali per il Diritto allo Studio Universitario – ERSU; il mutamento degli organi dell’Ente e in particolare l’insediamento di un nuovo R.U.P.; la costituzione di un’apposita Commissione tecnica e di supporto all’attività di indagine posta in essere dal R.U.P.), ma non considera né il dettato dell’art. 1 della legge della Regione Marche 21 settembre 2015, n. 23, né quello dell’art. 19 della legge regionale 20 febbraio 2017, n. 4. In particolare, l’art. 1 della l.r. n. 23 cit. ha stabilito il commissariamento degli ERSU (e il decreto impugnato è stato emanato dallo stesso ERSU in tale regime commissariale); l’art. 19 cit., poi, ha previsto al comma 2 che “gli ERSU di Ancona, Camerino, Macerata e Urbino sono soppressi dalla data di costituzione dell’ERDIS il quale subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi degli ERSU soppressi”. Da tali norme (la seconda delle quali regolamenta un fenomeno di successione ex legein base al quale tutti i rapporti giuridici dell’Ente soppresso si trasferiscono in capo all’Ente successore) emerge l’impossibilità di ipotizzare soluzioni di continuità tra l’operato dell’ERSU in regime ordinario, quello dello stesso ERSU in regime commissariale e quello dell’ERDIS, e invece la necessità di addossare all’Ente in regime commissariale e poi all’ERDIS l’inerzia degli organi dell’ERSU nel riscontrare e contestare i pretesi vizi di legittimità degli atti di affidamento dell’incarico al-OMISSIS-, che sin dall’inizio avrebbero dovuto ostare all’instaurazione del rapporto con costui;
III) ancora, si propone di aggirare la problematica della tardività dell’intervento evidenziando profili di nullità radicale – più gravi della mera illegittimità – che vizierebbero il suddetto affidamento, senza considerare che il potere di intervento in autotutela ex art. 21-nonies della l. n. 241/1990 concerne, per esplicita previsione del comma 1 dello stesso art. 21-nonies, “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies” (escluse le ipotesi del comma 2), dunque investe provvedimenti annullabili: non riguarda, invece, gli atti o provvedimenti nulli, ai quali si riferisce il precedente art. 21-septies della l. n. 241/1990; del resto, non è ipotizzabile la rimozione ex tunc degli effetti di un provvedimento nullo (che, come tale, non produce alcun effetto). Né va obliato che le ipotesi di nullità provvedimentale sono tassative e sono quelle enucleate dal citato art. 21-septies (C.d.S., Sez. IV, 17 febbraio 2023, n. 1682; id., 12 gennaio 2023, n. 426; Sez. II, 14 aprile 2022, n. 2821; id., 30 ottobre 2020, n. 6648; Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5843);
IV), da ultimo, sottovaluta la rilevanza comunitaria del principio di tutela del legittimo affidamento degli interessati e del principio di certezza del diritto, quale principio generale del diritto dell’Unione (v. Corte Giust. UE, Sez. VII, 27 aprile 2023, n. 681).
Vanno quindi condivise le obiezioni sollevate dalla difesa dell’appellato, che ha sottolineato nei suoi scritti come nel caso di specie non sia stata ravvisata alcuna colpa, falsificazione o condotta dolosa del-OMISSIS- tale da aver indotto in errore la P.A. e come i presunti profili di illegittimità degli atti annullati d’ufficio siano semmai riconducibili a errori interni di valutazione da parte dell’ERSU e non attribuibili al citato professionista: questi, che anzi ebbe ad avvisare nel 2009 l’Ente del suo passaggio al regime c.d. a tempo pieno, non può a distanza di circa dieci anni subirne le conseguenze deleterie, né può bastare l’instaurazione di una nuova “governance” dell’Ente e la nomina di un nuovo R.U.P. per rimettere l’Amministrazione in termini e ciò tanto più alla luce dell’unitarietà del rapporto, non seriamente contestabile.
Da quanto detto emerge, in conclusione, l’infondatezza del motivo di appello ora in esame, dovendo condividersi la statuizione del T.A.R. che ha giudicato illegittimo il provvedimento di annullamento in autotutela per violazione del termine ragionevole per la sua adozione: ciò, impregiudicati restando i profili di responsabilità erariale per gli eventuali danni cagionati alle Casse pubbliche dagli atti e/o provvedimenti su cui l’Ente è tardivamente intervenuto in autotutela.
Infondate sono poi le censure mosse contro la declaratoria di difetto di giurisdizione della domanda riconvenzionale proposta dall’ERDIS, che è attratta alla giurisdizione del G.O., visto che il medesimo Ente appellante si duole, in primo luogo nel decreto impugnato, del difetto a monte di una procedura di evidenza pubblica conclusa da un’aggiudicazione, il cui eventuale annullamento in sede giudiziale comporterebbe la declaratoria di inefficacia del contratto stipulato a valle.
D’altro canto, è di palmare evidenza che tutte le contestazioni insorte tra le parti in ordine agli asseriti inadempimenti nell’esecuzione delle rispettive prestazioni, attenendo alla fase esecutiva del rapporto, sono sottratte alla giurisdizione amministrative e devolute a quella ordinaria.
Donde, in conclusione, l’infondatezza del secondo motivo di appello, poiché le pretese dell’Ente di ottenere la declaratoria di inefficacia delle convenzioni e/o contratti stipulati con il professionista, così come di ottenere la restituzione delle somme a costui corrisposte, rientrano nella cognizione del G.O., come correttamente rilevato dalla sentenza appellata.
In definitiva, l’appello è infondato, attesa l’infondatezza di tutte le censure con esso dedotte, e deve pertanto essere respinto, dovendo la sentenza gravata essere integralmente confermata.
L’accoglimento della conclusione avanzata in via principale dall’appellato, rivolta per l’appunto alla conferma della sentenza di prime cure, esonera ovviamente il Collegio dalla disamina delle richieste formulate dal medesimo in subordine.
Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio di appello, attesa la complessità delle questioni affrontate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del giudizio di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (ed agli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti e della dignità della parte interessata, dà mandato alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo all’identificazione dell’appellato.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2023, con l’intervento dei magistrati:
Omissis, Presidente
Omissis, Consigliere
Omissis, Consigliere, Estensore
Omissis, Consigliere
Omissis, Consigliere
L’Estensore OMISSIS
Il Presidente OMISSIS
Pubblicato il 17 gennaio 2024